Per il finanziere, l'accettazione non poteva considerarsi come episodio di corruzione, in quanto i controlli fiscali effettuati nei confronti dell'imprenditore donante non rientravano nell'esercizio delle sue funzioni pubbliche. Di senso opposto il pensiero della Cassazione, la quale rileva che le dazioni erano poste in essere “allo scopo di tenersi buoni i finanzieri” per il compimento di atti futuri.
L'imputato ricorre in Cassazione lamentando, tra i motivi di doglianza, il travisamento della prova in entrambi i gradi di giudizio in merito alla ritenuta sussistenza dell'elemento costitutivo delle funzioni di pubblico ufficiale, con riferimento al reato
Svolgimento del processo
1. G.V. è stato tratto a giudizio dal Pubblico Ministero del Tribunale di Alessandria per i delitti: - di cui agli artt. 110 e 318 cod. pen., perché, in concorso con il collega L.T., nella qualità di Luogotenente della Guardia di Finanza in forza al Nucleo di Polizia Tributaria di Alessandria, si era fatto indebitamente consegnare da G.M., amministratore della M. Oil S.r.l. la somma di euro 750,00 (oltre ad euro 750,00 ricevuti da L.T.) per l'esercizio delle proprie funzioni e dei propri poteri, in quanto la M. Company S.r.l. era sottoposta dal reparto di appartenenza di V. e T. a periodici controlli e segnatamente a cinque controlli tra il 2005 ed il 2015 cui il T. aveva partecipato personalmente, in Alessandria l'11.12.2015 (capo 1); - di cui agli artt. 81, commi 1 e 2, 346, commi 1 e 2, 61 n. 9 cod. pen., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, violando i doveri inerenti alla propria funzione di Luogotenente della Guardia di Finanza, millantando credito presso cinque militari in servizio presso la Compagnia della Guardia di Finanza di Valenza e col pretesto di doverne comprare il favore, si faceva dare e promettere da C.R., amministratore delle C.R. S.p.a., per cinque anni (dal dicembre 2010 al gennaio 2016), una volta per anno, la somma di euro 18.000, corrispondente in parte al prezzo della propria mediazione presso i militari (euro 8.000) e in parte al presunto prezzo per pagare i favori dei militari (euro 10.000), in Pecetta di Valenza dal dicembre 2010 al 13 gennaio 2016; in tale ultima occasione la consegna del danaro non avveniva per l'intervento della polizia giudiziaria (capo 2), - di cui all'art. 81, comma 2, 110 e 318 cod. pen, perché in concorso con il T., si faceva consegnare da A.T. e S.G., rispettivamente amministratore di fatto e amministratore di diritto della Casa Vinicola C. S.r.l., in più occasioni, cartoni di vino per l'esercizio delle loro funzioni e dei loro poteri (in particolare la Casa Vinicola era sottoposta dal reparto a periodici controlli e verifiche, svolte personalmente dai due militari, una nel 2013 e un controllo tra il 2013 e il 2014 (capo 4 del proc. riunito R.G.N.R. 4184/16) - di cui agli artt. 110 e 318 cod. pen. perché indebitamente si faceva consegnare da G.M., amministratore unico della M. Oil s.r.l., un telefono cellulare marca Appie del valore di 660 euro per l'esercizio delle proprie funzioni e dei propri poteri (capo 6 del proc. riunito R.G.N.R. 4184/16).
2. Il Tribunale di Alessandria ha condannato il V. per i delitti contestati ai capi 1), 2) e 4), uniti dal vincolo della continuazione con riferimento ai delitti di millantato credito sub art. 2) e concesse le attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata aggravante, lo ha condannato alla pena di quattro anni, cinque mesi di reclusione ed euro 1.900,00 oltre al pagamento delle spese processuali.
3. La Corte di appello di Torino, con la sentenza impugnata, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riqualificato il delitto di cui al capo 2) quale violazione dell'art. 346-bis, terzo comma, cod. pen., dichiarato non doversi procedere per le condotte incriminate a tale titolo sino al 2013 perché estinte per prescrizione, ha rideterminato la pena per il reato continuato in tre anni e due mesi di reclusione.
4. Gli avvocati L.C. e G.V. ricorrono avverso tale sentenza e ne chiedono l'annullamento deducendo quattro motivi e, segnatamente: a) il travisamento della prova in entrambi i gradi di giudizio in merito alla ritenuta sussistenza dell'elemento costitutivo dell'esercizio delle funzioni di pubblico ufficiale, con riferimento al delitto di cui all'art. 318 cod. pen. contestato al capo 1). Deduce il ricorrente che i controlli nei confronti dell'imprenditore M. non rientrassero nelle proprie funzioni, bensì in quelle del collega Maresciallo T., e, quindi, l'accettazione della somma di 750 euro in prossimità delle festività natalizie dovrebbe essere considerata come una mera regalia, in quanto non giustificata dall'esercizio di alcuna funzione. Si duole, inoltre, la difesa che sarebbe stato travisato il tenore della propria linea difensiva, che era consistito, in ogni grado di giudizio, nel contestare qualsiasi collegamento funzionale tra le mansioni dell'imputato e il privato M.. b) il travisamento della prova in entrambi i gradi di giudizio in merito alla ritenuta sussistenza dell'elemento costitutivo dell'esercizio delle funzioni di pubblico ufficiale, con riferimento al delitto di cui all'art. 318 cod. pen. contestato al capo 4), in quanto la ricezione dei vini non avrebbe trovato causa nel condizionamento dell'esercizio delle funzioni di pubblico ufficiale. Ad avviso del ricorrente, infatti, si sarebbe trattato della mera ricezione di una regalia, in occasione delle festività natalizie, di valore (euro 79,132) di gran lunga inferiore alla soglia di punibilità penale prevista dall'art. 4, comma 5, d.P.R. n. 62 del 2013. Il ricorrente deduce, inoltre, il travisamento del valore del cartone di vini ricevuto, adducendo a sostegno della propria prospettazione produzioni documentali e rileva che i correi, gli imprenditori A.T. e S.G., sarebbero stati assolti per il medesimo fatto dal Tribunale di Alessandria all'esito del giudizio dibattimentale. Si imporrebbe, dunque, l'annullamento della sentenza impugnata sul punto, stante il carattere inconciliabile delle statuizioni adottate nei diversi procedimenti per un reato a concorso necessario, al fine di evitare un conflitto tra giudicati idoneo a fondare la revisione della sentenza ai sensi dell'art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. c) l'inosservanza di norme processuali sub specie di carenza assoluta di motivazione in ordine alla quantificazione della pena, in quanto la Corte di appello di Torino aveva riqualificato il delitto contestato al capo 2) nella fattispecie di cui all'art. 346-bis cod. pen. e questa scelta imponeva la rideterminazione del reato più grave nel reato continuato e una rinnovata considerazione del bilanciamento delle circostanze. d) l'inosservanza della legge processuale e il vizio della motivazione, in quanto la Corte di appello non aveva motivato sui motivi di gravame e sulla documentazione prodotta relativamente alla confisca allargata, disposta ai sensi dell'art. 240-bis cod. pen., dei depositi-titoli e delle autovetture intestate al V..
5. Con nota di deposito del 7 gennaio 2018 i difensori del ricorrente hanno prodotto la sentenza, medio tempore divenuta irrevocabile, del Tribunale di Alessandria, che, all'esito del giudizio dibattimentale, ha assolto il T., il T. e il G. per il delitto contestato al capo 4), ritenendo che i vini donati, in ragione del loro modico valore, costituissero una mera regalia posta in essere in occasione delle festività natalizie.
Motivi della decisione
1. Il ricorso deve essere accolto nei limiti che di seguito si precisano.
2. Con il primo motivo il ricorrente censura il travisamento della prova in entrambi i gradi di giudizio in ordine alla ritenuta sussistenza dell'elemento costitutivo dell'esercizio delle funzioni di pubblico ufficiale, con riferimento al delitto di cui all'art. 318 cod. pen. contestato al capo 1). Ad avviso del ricorrente, infatti, controlli fiscali nei confronti dell'imprenditore M. rientravano esclusivamente nelle funzioni attribuite al Maresciallo T. e non già nelle proprie. Pertanto, l'accettazione della somma di 750 euro in prossimità delle festività natalizie, dovrebbe essere considerata come una regalia e non già come un episodio di corruzione, in quanto non sarebbe stata giustificata da alcun esercizio delle proprie funzioni pubbliche.
3. Il motivo si rivela infondato. Secondo il costante orientamento di questa Corte, per rintracciarsi un "travisamento della prova", occorre che la "prova travisata" sia idonea a "disarticolare" l'intero ragionamento probatorio e nello stesso tempo riguardi una prova decisiva per il decidere (ex plurimis: Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, G. e altri, Rv. 25877401; Cass., Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, M., Rv. 23720701). Nel caso di specie il travisamento denunciato, anche indipendentemente dalla propria sussistenza e riconducibilità al paradigma di cui all'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., è, in realtà, inidoneo a disarticolare il ragionamento probatorio dei giudici di merito, in quanto il fatto per come accertato nei processi di merito è stato correttamente ascritto alla fattispecie astratta di cui all'art. 318 cod. pen. La Corte di appello di Torino, infatti, nella sentenza impugnata ha giustificato la dazione della somma di euro 750,00 dall'imprenditore M. al V. con la volontà dell'imprenditore di «remunerare dei militari appartenenti al corpo competente ad eseguire controlli fiscali» sulle proprie società. Nella sentenza impugnata, in particolare, si rileva che «la causa della dazione si colloca nella volontà - punita dall'art. 318 c.p. - di acquisire la benevolenza dei pubblici ufficiali, preposti a svolgere accertamenti fiscali verso la ditta M., oggetto di verifiche (dato documentale e non contestato) da parte del Nucleo di Polizia Tributaria, nelle persone di T. e V., a partire dal 2005 e con cadenza regolare. Sussiste, dunque, (...) - la relazione funzionale tra prebenda e esercizio delle funzioni dei pubblici ufficiali, nell'intenzione di addomesticarne lo svolgimento...». Questa argomentazione è pienamente conforme al paradigma di legge. La fattispecie di corruzione per l'esercizio della funzione di cui all'art. 318 cod. pen., rispetto alla figura previgente della corruzione c.d. impropria, prescinde, infatti, dall'individuazione dello specifico atto "venduto" in ragione della dazione o della promessa posta in essere dal privato. Per la configurabilità del reato è, dunque, sufficiente che si accerti un nesso causale tra l'indebita dazione di danaro e le funzioni o il servizio svolto. La censura del ricorrente si rivela, pertanto, infondata, in quanto, nel disegno del legislatore, è esercizio della funzione quello che attiene alle attribuzioni proprie dell'ufficio in cui opera il pubblico ufficiale. E', dunque, sufficiente che il pubblico ufficiale eserciti o possa esercitare una qualche forma di ingerenza in favore del corruttore, prescindendo dall'individuazione di uno specifico atto, e nel caso di specie è acclarato che le verifiche fiscali fossero poste in essere proprio dal reparto della Guardia di Finanza al quale apparteneva il V. e del quale l'imputato era stato comandante interinale dal 1° gennaio 2010 al 31 dicembre 2015. Nessun rilievo può, dunque, assumere la cirC. che il V. non fosse specificamente destinato alle ispezioni e verifiche fiscali nei confronti del M., in quanto l'attività oggetto del mercimonio rientrava nella competenza dell'ufficio al quale apparteneva l'imputato.
4. Con il secondo motivo il ricorrente deduce il travisamento della prova in entrambi i gradi di giudizio in merito alla ritenuta sussistenza dell'elemento costitutivo dell'art. 318 cod. pen. contestato al capo 4) dell'imputazione, in relazione alla ricezione dei vini. Ad avviso del ricorrente, infatti, questa dazione non sarebbe stata finalizzata a condizionare l'esercizio delle funzioni di pubblico ufficiale, bensì esclusivamente a porre in essere una mera regalia di modico valore (euro 79,132), di gran lunga inferiore alla soglia di punibilità penale prevista dall'art. 4, comma 5, d.P.R. n. 62 del 2013, e, comunque, posta in essere in periodo natalizio.
5. Il motivo è infondato. Il codice di comportamento dei dipendenti pubblici, adottato con il d. P.R. 16 aprile 2013, n. 62, in attuazione della legge c.d. anticorruzione, all'art. 4 in tema di «regali, compensi e altre utilità» ha stabilito che il dipendente non deve accettare per sé o altri, regali o altre utilità, salvo quelli d'uso di modico valore effettuati occasionalmente nell'ambito delle normali relazioni di cortesia e nell'ambito delle consuetudini internazionali. Per regali o altre utilità di modico valore si intendono quelle di valore non superiore, in via orientativa, a 150 euro, anche sotto forma di sconto. Questa disposizione, tuttavia, non ha introdotto una generale clausola di irrilevanza penale delle dazioni di danaro inferiori alla soglia indicata in favore del pubblico dipendente. Il d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, infatti, nel contesto di una disciplina di evidente sfavore per tale comportamento, ritiene ammissibile l'accettazione di «regali o altre utilità» solo con riferimento a «quelli d'uso di modico valore». In altri termini, i donativi che possono essere ricevuti dal dipendente pubblico debbono essere non solo «di modico valore», ma anche «d'uso». Secondo il costante orientamento di questa Corte, inoltre, la dazione di regali correlati alla definizione di una pratica amministrativa, cui è interessato il privato, non può essere definita quale regalia "d'uso", idonea a legittimarne, ove sia anche di modico valore, la relativa accettazione da parte del dipendente pubblico, ai sensi del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici di cui al d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62 e del precedente d.m. 28 novembre 2000 (ex plurimis: Sez. 6, n. 49524 del 03/10/2017, S., Rv. 271496 - 01, con riferimento alla donazione di buoni pasto o benzina; conf. Sez. 4, n. 34362 del 18/11/2022, G.; Sez. 6, n. 51897 del 11/04/2019, S.; Sez. 6, n. 48588 del 6/11/2019, P.). La Corte di appello di Torino ha fatto buon governo di questi principi, rilevando che non possono considerarsi regalie d'uso quelle dazioni finalizzate alla definizione di pratiche e, quindi, ad incidere sul corretto svolgimento dell'attività di ufficio del pubblico funzionario, a fronte dell'evidente (e illecito) fondamento sinallagmatico che ricorre in tali situazioni. La Corte di appello ha, infatti, ritenuto che queste dazioni, iniziate in seguito alla verifica del 2013 e proseguite successivamente, fossero poste in essere «allo scopo di tenersi buoni i finanzieri, competenti per territorio sull'azienda C.». La condotta è, dunque, ascrivibile alla fattispecie di cui all'art. 318 cod. pen., in quanto l'esercizio della funzione ricomprende anche il rendersi disponibile da parte del soggetto pubblico per il compimento di atti futuri.
6. Con il secondo motivo di ricorso e con la nota di deposito del 7 gennaio 2018 i difensori del ricorrente hanno, inoltre, dedotto che il Tribunale di Alessandria, all'esito del giudizio dibattimentale, ha assolto, con sentenza medio tempore divenuta irrevocabile, il T., il T. e il G. per il delitto contestato al capo 4), ritenendo che i vini donati, in ragione del loro modico valore, costituissero una mera regalia natalizia. La medesimezza dei fatti contestati e degli imputati, concorrenti necessari, nel presente procedimento e in quello definito innanzi al Tribunale di Alessandria imporrebbe, dunque, l'annullamento senza rinvio sul punto della sentenza impugnata al fine di prevenire l'insorgere di un potenziale conflitto di giudicati, stante il carattere inconciliabile delle due statuizioni, peraltro in un reato a concorso necessario.
7. Il motivo è infondato. Secondo il costante orientamento di questa Corte, infatti, il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili, di cui all'art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., deve essere inteso con riferimento ad una oggettiva incompatibilità tra i fatti storici stabiliti a fondamento delle diverse sentenze e non alle divergenti valutazioni in ordine ad elementi normativi della fattispecie, fondate sulla medesima ricostruzione in punto di fatto (ex plurimis: Sez. 2, n. 18209 del 26/02/2020, P., Rv. 279446 - 01; Sez. 6, n. 34927 del 17/04/2018, D., Rv. 273749 - 01). Il contrasto di giudicati rilevante ai fini della revisione di una sentenza definitiva non ricorre, dunque, nell'ipotesi in cui lo stesso verta sulla valutazione giuridica dello stesso fatto operata da giudici diversi (Sez. 5, n. 633 del 06/12/2017, dep. 2018, B., Rv. 271928 - 01; Sez. 2, n. 14785 del 20/01/2017, M., Rv. 269671 - 01). Nel caso di specie, pertanto, non ricorre alcuna necessità di prevenire il contrasto tra giudicati in quanto il Tribunale di Alessandria non ha negato la dazione della cassetta di vini in favore del V., bensì ha solo interpretato diversamente il titolo giuridico della stessa. La divergenza, dunque, attiene a profili schiettamente giuridici e non già fattuali.
8. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta l'inosservanza di norme processuali e, segnatamente, la carenza assoluta di motivazione in ordine alla determinazione della pena, anche tenendo conto dell'avvenuta riqualificazione del delitto di cui al capo 2) nella fattispecie di cui all'art. 346-bis cod. pen., alla rideterminazione del reato continuato ed al bilanciamento delle circostanze.
9. Il motivo deve essere accolto, in quanto la sentenza impugnata è integralmente carente di motivazione in ordine alla determinazione della pena. La Corte di appello, infatti, pur avendo espressamente ridotto la pena inflitta nel dispositivo, non ha in alcun punto della sentenza impugnata esplicato le ragioni del trattamento sanzionatorio irrogato.
10. Con l'ultimo motivo il ricorrente censura l'inosservanza della legge processuale e il vizio della motivazione, non avendo la Corte di appello motivato sui motivi di gravame relativi alla confisca allargata disposta ai sensi dell'art. 240- bis cod. pen. dei depositi-titoli e delle autovetture intestate al V..
11. Anche questo motivo deve essere accolto. La Corte di appello, infatti, nella motivazione ha ritenuto sussistente la sproporzione tra il reddito lecito dell'imputato e il complesso dei beni agli stessi attribuiti all'esito delle indagini ma non ha motivato sulle censure svolte dalla difesa dell'imputato e, segnatamente, in ordine all'articolata ricostruzione del patrimonio dello stesso operata. Secondo il costante orientamento di questa Corte, tuttavia, il giudice, chiamato ad applicare le disposizioni sulla confisca allargata, ha l'obbligo di prendere in considerazione tutta la documentazione prodotta dalla difesa, fornendo adeguata motivazione circa le giustificazioni fornite dagli interessati, tese a dimostrare la lecita provenienza dei beni (ex plurimis: Sez. 6, n. 10765 del 06/02/2018, B., Rv. 27271; Sez. 1, n. 9678 del 05/11/2013, dep. 2014, C., Rv. 259468)
12. Alla stregua dei rilievi che precedono, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla motivazione in ordine alla pena e alla disposta confisca, rinviando per nuovo giudizio su tali capi ad altra sezione della Corte di appello di Torino. Nella parte restante il ricorso deve essere rigettato e la sentenza impugnata deve essere dichiarata irrevocabile in ordine alla responsabilità del ricorrente.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla motivazione in ordine alla pena e alla disposta confisca e rinvia per nuovo giudizio su tali capi ad altra sezione della Corte di appello di Torino. Rigetta nel resto il ricorso. Visto l'art. 624 cod. proc. pen. dichiara irrevocabile la sentenza in ordine alla responsabilità del ricorrente. Manda alla Cancelleria per le comunicazioni ai sensi dell'art. 154-ter disp. att. cod. proc. pen.