Ciò vale a prescindere dalla qualità del donatario. Questo è uno tra i principi espressi dalla Cassazione con la sentenza in commento.
Con l'ordinanza n. 14193 del 5 maggio 2022, la Corte di Cassazione approfondisce la tematica inerente alla determinazione delle quote spettanti ai coeredi sulla base del testamento, pronunciando i seguenti principi di diritto:
Svolgimento del processo
La presente causa riguarda la successione testamentaria di V.R., deceduto il 16 marzo 1982, lasciando tre figli: M., F. e G.R.. Il de cuius ha disposto dei propri beni con testamento, con il quale, dopo avere menzionato una donazione fatta in favore del figlio M., lasciava tutto il resto del suo patrimonio ai tre figli M., F. e G. "in parti uguali e indivisamente". In aggiunta alla donazione menzionata nel testamento, il de cuitts ha fatto altre donazioni, alcune in favore del medesimo figlio M., un'altra in favore della figlia F. e una donazione alla nipote R.V., figlia di M.. Il Tribunale di Termini Imerese, adito da R.F., con sentenza non definitiva, ha disposto l'annullamento, per incapacità naturale del de cuius, sia del testamento sia delle donazioni fatte in favore di M. e della figlia di lui; poi, con sentenza definitiva, ha esteso la pronuncia di annullamento alla donazione fatta in favore della stessa F. e ha operato la divisione dei beni relitti in tre quote uguali mediante sorteggio. Contro le sentenze, non definitiva e definitiva, hanno proposto appello R. M. e R. V.. La Corte d'appello di Palermo, con una prima sentenza non definitiva (n. 1163/2008), confermata in Cassazione, ha dichiarato la validità sia del testamento e sia del complesso delle donazioni fatte dal de cuius. Con ulteriore sentenza non definitiva, ha ricostruito l'asse ereditario, precisando che l'iniziale domanda di riduzione, proposta da F., doveva intendersi abbandonata; quindi, ha accertato che le donazioni fatte a M. eccedevano, nel complesso, la disponibile, essendo pertanto il donatario tenuto al conferimento dell'eccedenza, ai sensi dell'art. 737, comma 2, c.c.; di seguito ha proceduto alle operazioni di collazione avuto riguardo all' "eccedenza" ricevuta da M. e F. e alla donazione fatta a F., e ai conseguenti prelevamenti; ha disposto la prosecuzione del giudizio per la divisione dei beni residui, tolti quelli prelevati a seguito della collazione. Infine, con sentenza definitiva, la Corte d'appello ha disposto la divisione degli stessi beni residui mediante vendita. Per la cassazione delle sentenza R. M. e R. V. hanno proposto ricorso, affidato a cinque motivi. R. F. ha resistito con controricorso. R. G. è rimasto intimato. Il ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 556, 537, 737 c.c. I ricorrenti evidenziano che la Corte d'appello, al fine di determinare l'asse sul quale calcolare la disponibile, non ha incluso nel conteggio la donazione fatta in favore della nipote R. V.. Essi denunciano che il rilievo, proposto dalla Corte d'appello per giustificare l'esclusione, e cioè che la donataria non è compresa fra i soggetti tenuti a collazione, non sottraeva la donazione dalla riunione fittizia, che comprende tutte le donazioni, a chiunque fatte. Si denuncia ancora che la Corte d'appello, in aggiunta a tale omissione, ha commesso anche un altro errore. Essa ha riconosciuto che le donazioni fatte al figlio M. fossero tutte non soggette a collazione, in presenza di dispensa; ha quindi riconosciuto che il donatario, seppure dispensato da collazione, fosse tenuto a conferire, ex art. 737, comma 2, c.c., l'eccedenza delle donazioni rispetto alla disponibile. Tuttavia, quando ha calcolata l'entità di tale eccedenza, la Corte d'appello ha espunto dal conteggio le donazioni fatte a M.. In questo modo, l'eccedenza sulla disponibile, che la Corte d'Appello ha posto a carico del donatario a titolo di collazione, è stata determinata in misura superiore rispetto a quella effettiva, quale sarebbe derivata dal calcolo corretto, che implicava che fossero state comprese nella riunione fittizia tutte le donazioni, incluse quella fatta all'estranea e quelle in favore del donatario dispensato da collazione.
2. Il motivo è palesemente fondato. La Corte d'Appello, in principio della propria analisi, ha precisato che la domanda di riduzione, inizialmente proposta da R. F. e rimasta assorbita dall'annullamento del testamento e delle donazioni, non fu riproposta in appello, «sicché nel presente grado deve aversi riguardo alla sola domanda di divisione, previa collazione, dei beni donati dal de cuius ai figli M. e F.». Essa ha riconosciuto che tutte le donazioni fatte in favore del figlio M. non erano soggette a collazione, in presenza di dispensa. Dal momento che l'una e l'altra affermazione non sono investite dai motivi di ricorso, tanto la delimitazione della materia controversa, operata dalla Corte d' Appello nei termini suddetti, quanto la dispensa in favore di M. debbono ritenersi acquisite.
3. La dispensa dalla collazione ha la finalità, potenziando la facoltà di disposizione del donante, di esonerare il donatario dal conferimento del donatum, con l'effetto che la successione si svolge, e la determinazione delle quote di eredità si attua, come se la donazione non fosse stata fatta e il bene, che ne fu l'oggetto, non fosse uscito dal patrimonio del de cuius a titolo liberale (Cass. n. 711/1966; n. 268/1984; n. 989/1995); il tutto, naturalmente, fino all'invalicabile limite dell'intangibilità della quota di riserva dei legittimari (Cass. n. 2633/1969). È fin troppo ovvio, infatti, tenuto conto del carattere cogente delle norme sulla c.d. successione necessaria, che la dispensa dalla collazione non importa l'esclusione del bene donato dalla riunione fittizia, ai fini della determinazione della porzione disponibile (Cass. n. 74/1967), né implica la non assoggettabilità della donazione alla riduzione. Ciò risulta dall'art. 737, comma 2, c.c., ove si dice che «la dispensa non produce effetto se non nei limiti della disponibile»: il che non significa che, se il valore della donazione dispensata eccede la disponibile, l'eccedenza è soggetta a collazione, ma piuttosto che il donatario è esposto per l'eccedenza all'azione di riduzione (Cass. n 711/1966). In contrasto con l'autentico significato dell'art. 737, comma 2, c.c., la norma è stata intesa dalla Corte d'Appello, nel senso che se la donazione eccede la disponibile, il donatario sarebbe tenuto al conferimento ai coeredi dell'eccedenza, anche se non è stata esercitata contro di lui l'azione di riduzione. Neanche tale aspetto della decisione, però, ha costituito oggetto di censura, per cui può ritenersi oramai acquisito che l'attuale ricorrente sia tenuto a conferire ai coeredi, a titolo di collazione, l'eccedenza delle donazioni ricevute rispetto alla disponibile. Il ricorrente pretende solo che la disponibile sia calcolata correttamente.
4. Risulta con evidenza dal tenore della sentenza, che nel determinare la disponibile, la Corte di merito non ha incluso nel conteggio la donazione in favore della nipote, rispetto alla quale essa ha posto prioritariamente in evidenza che la stessa, in quanto fatta a un estraneo, non era soggetta a collazione. Risulta inoltre che non furono inclusi nel conteggio, fatto dalla Corte di merito ai fini del calcolo della disponibile, i beni oggetto delle donazioni in favore di M., in quanto dispensate da collazione. L'errore è evidente. La Corte d'Appello, una volta riconosciuta l'esigenza di determinare la disponibile, doveva procedere alla riunione fittizia secondo quanto prescrive l'art. 556 c.c., in base al quale sono incluse nel calcolo tutte le donazioni, a chiunque fatte, indipendentemente dalla qualità di congiunto, di erede o di estraneo del donatario. È stato sopra chiarito che la dispensa dalla collazione sottrae il donatario del conferimento, ma non importa l'esclusione del bene donato dalla riunione fittizia ai fini della determinazione della porzione disponibile (Cass. n. 74/1967), né sottrae la donazione dalla riduzione, se essa sia lesiva della legittima altrui (Cass. n. 13660/2017; n. 12317 /2019). Si deve piuttosto precisare che l'improprio metodo seguito dalla Corte d'appello, una volta determinata la disponibile sul relictum e sul complesso delle donazioni, imponeva il seguente accorgimento: nel determinare l'eccedenza" a carico di M., si sarebbe dovuta considerare sola la parte di disponibile in mano del donatario tenuto al conferimento, al netto, cioè, della donazione fatta all'estraneo, destinata a gravare per definizione sulla disponibile. Diversamente, se l'eccedenza è calcolata sulla disponibile intera, il donatario finisce per profittare anche della parte di disponibile attribuita all'estraneo, in danno dei legittimari concorrenti, ai quali conferisce meno del dovuto.
5. Come si potrà constatare sviluppando i calcoli, l'improprio metodo seguito dalla Corte d'appello, qualora applicato in modo coerente, avrebbe realizzato il medesimo risultato che sarebbe stato realizzato dall'istituzione generica di M. nella disponibile residua, al netto della donazione fatta all'estranea. In effetti l'ipotesi che sembra ventilata dalla Corte d'Appello è proprio quella della istituzione generica di M. nella disponibile. Si legge testualmente nella sentenza impugnata: «mediante il testamento pubblico del 3 aprile 1979, il de cuius ha lasciato la quota disponibile al figlio M.». La Corte d'appello non si è resa conto che, in base a tale interpretazione, M. aveva diritto di conseguire la disponibile (residua) in aggiunta alla quota di legittima; gli altri eredi la sola legittima, venendosi a trovare, per forza di cose, nella posizione del mero legittimario. Il metodo seguito dalla Corte d'Appello, di determinare la posizione del preteso istituito nella disponibile escludendo dal conteggio la donazione all'estranea, non soggetta a collazione, e quelle in favore del medesimo M., oggetto di dispensa, conduce comunque a un risultato incoerente con le premesse. Da un lato, l'attuale ricorrente prende meno del cumulo di legittima e disponibile e, correlativamente, i coeredi, in ipotesi chiamati come meri legittimari, prendono più della legittima, in contrasto con l'assunto che la disponibile era stata lasciata per intero a M.. Senza che sia minimamente necessario stabilire, in assenza di censura, se il tenore del testamento del de cuius, con una chiamata congiuntiva dei tre figli in parti uguali sul relictum, consentisse di intendere le disposizioni in esso contenuto quale generica istituzione di M. nella disponibile, è sufficiente rilevare che, una volta messasi su questa via, la corte di merito avrebbe dovuto procedere in primo luogo alla determinazione della disponibile con la riunione fittizia ex art. 556 c.c., includendo naturalmente in essa tutte le donazioni. Si ricorda che la riunione fittizia è un'operazione non solo preliminare per stabilire se la legittima sia salva o se invece, per la sua integrazione, si renda necessaria la riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni, ma anche necessaria ogni qual volta sia rilevante stabilire quale sia nel caso la disponibile, anche quando non vi sia questione di riduzione di disposizioni lesive. All'ipotesi, già proposta nella giurisprudenza della Corte, in cui legittimari concorrano con successori legittimi, ex art. art. 553 c.c., (Cass. n. 7/1967; n. 837 /1986), si deve certamente aggiungere quella del concorso di legittimari con istituiti non in quote determinate, ma genericamente nella disponibile. Le operazioni sono quelle solite, indicate nell'art. 556 c.c. In primo luogo, si determina il valore dei beni appartenenti al defunto al tempo della morte. Il valore del relictum va determinato con riferimento al momento dell'apertura della successione. Dal valore così calcolato si detrae l'ammontare dei debiti ereditari (se ci sono). Al valore netto del relictum si aggiunge il valore dei beni elargiti con atti di disposizione tra vivi a titolo gratuito, determinato in base alle regole dettate dagli art. 747 a 750 del Codice civile. Per determinare la quota spettante a ogni singolo legittimario occorre però ancora un'ulteriore operazione: occorre imputare alla sua porzione legittima le donazioni ed i legati a lui fatti, salvo che ne sia stato espressamente dispensato (Cass. n. 12919 /2012; n. 27352/2014). Il valore dei beni oggetto di liberalità in conto (o di legati in sostituzione di legittima) deve essere imputato alla porzione indisponibile fino a concorrenza delle quote individuali spettanti ai gratificati. In aggiunta a quanto ricevuto, il legittimario ha diritto di conseguire, a titolo di legittima, soltanto la differenza tra il valore della quota in astratto riservatagli dalla legge e quello dei beni a lui donati o legati (purché, si intende, il valore di tale quota sia maggiore di quello di questi beni).
5. In presenza di una generica istituzione nella disponibile, la dottrina ammette generalmente la partecipazione passiva alla collazione del mero legittimario, tenuto, a tale titolo, in favore dei discendenti istituiti nella disponibile, al conferimento di ciò che gli sia stato donato oltre l'ammontare della legittima. Si chiarisce che la pretesa di restituzione alla massa fatta al discendente mero legittimario non è avanzata dall'erede della disponibile allo scopo di integrare la disponibile (non si tratta cioè di una pretesa riduzione vietata dall'art. 557 c.c.), bensì nella qualità di discendente o coniuge, come tale avente diritto alla collazione delle donazioni ricevute senza dispensa dai coeredi della medesima categoria. È utile richiamare la regola secondo cui allorché il bene donato superi in valore la quota ereditaria dei discendente (o coniuge) donatario, costui, se sceglie di conferire per imputazione, deve versare in modo effettivo nell'asse l'equivalente procurano dell'«eccedenza» (Cass. n. 74/1960; n. 1481/1979). È chiaro che il termine "eccedenza", rispetto alla collazione, ha un significato diverso rispetto a quello che il medesimo termine assume ai fini della riduzione. L'eccedenza della donazione ai fini della riduzione consiste nel fatto che la misura della donazione comprende parte dei beni che sono necessari a completare la misura della quota di riserva, mentre l'eccedenza della donazione ai fini della collazione sta solo a indicare che il donatario ha ricevuto più di quanto a lui spetta nel concorso con gli altri condividenti, come lui discendenti del de cztitts; i due concetti pertanto non coincidono e, conseguentemente, l'eccedenza ai fini della collazione non significa anche eccedenza come lesione della quota di riserva (Cass. n. 1481/1979; n. 28196/2020).
6. Ipotizzando il concorso di tre eredi figli Primo, Secondo e Terzo, Primo istituito genericamente nella disponibile. Relictum di 150 (zero debiti), donatum 345: 180 a Primo con dispensa dalla collazione, 120 a Secondo senza dispensa, 45 a un estraneo. Ammontando l'asse a 495, la disponibile (1 / 3) è 165; legittima (2/ 3) 330, suddivisa fra i tre figli, la cui quota di riserva individuale ammonta a 11O ciascuno. Primo, in ipotesi istituito nella disponibile, avrebbe diritto alla propria legittima di 11O e alla disponibile residua di 120 a disponibile al netto della donazione all'estraneo): in totale 230. Egli avendo ricevuto in donazione 180, con dispensa da collazione, avrebbe diritto di pretendere ancora 50, che gli competono quale erede della disponibile. Terzo deve prendere la propria legittima per intero di 11O sul relictum di 150, che si riduce a 40, che sono prelevati da Primo, il quale integrerà quanto ancora gli manca per eguagliare il proprio diritto, pretendendo 1O, a titolo di collazione, da Secondo, che ha ricevuto in donazione 120, che superano l'ammontare della quota di riserva. Si può notare che il relictum di 150 costituisce oggetto della riserva solo nei limiti della quota individuale di Terzo, avendo gli altri legittimari già ricevuto in donazione un valore maggiore. Il residuo di 40 fa parte della disponibile, che si assume attribuita per testamento a Primo.
7. L'accoglimento del primo motivo, comportando la necessità di operare ex novo il calcolo ai fini della collazione e dei conseguenti prelevamenti, travolge non solo le statuizione della sentenza non definitiva sulle operazioni di imputazione e prelevamento, ma travolge anche la sentenza definitiva, riguardante la divisione, in quanto destinata a svolgersi sui beni residui, tolti i beni prelevati a seguito della collazione per imputazione. Ciò comporta l'inammissibilità dei restanti motivi, diretti contro statuizioni della sentenza definitiva. La sentenza, pertanto, deve essere cassata in relazione al primo motivo e la causa deve essere rinviata alla Corte d'Appello di Palermo in diversa composizione, che provvederà a determinare le quote spettanti ai coeredi in base al testamento, attenendosi ai seguenti principi di diritto: «la riunione fittizia, prevista dall'art. 556 c.c., non è necessariamente legata all'esperimento dell'azione di riduzione, ma è operazione sempre necessaria, nel concorso con eredi legittimari, ogni qual volta sia rilevante stabilire quale sia nel caso la disponibile, come nel caso di concorso di legittimari con uno di essi, al quale il testatore abbia lasciato genericamente la stessa disponibile»; «ai fini del calcolo della disponibile ex art. 556 c.c. sono sempre assoggettate a riunione fittizia tutte le donazioni, a chiunque fatte, indipendentemente dalla qualità di congiunto, di erede o di estraneo del donatario»; «la dispensa dalla collazione sottrae il donatario del conferimento ma non importa l'esclusione del bene donato dalla riunione fittizia ai fini della determinazione della porzione disponibile». La Corte di rinvio regolerà le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo; dichiara inammissibili i restanti motivi; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia la causa alla Corte d'Appello di Palermo in diversa composizione anche per le spese