Inoltre, tutte le volte in cui il giudice si discosta dai parametri previsti dal D.M. numero 55/2014, è tenuto a darne motivazione.
Con l'ordinanza n. 14198 del 5 maggio 2022, la Cassazione accoglie il ricorso e afferma i seguenti principi di diritto:
- «In tema di liquidazione delle spese processuali ai sensi del d.m. n. 55 del 2014, l'esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il...
Svolgimento del processo
La Corte d'appello di Milano, decidendo sull'impugnativa di lodo arbitrale proposta dalla società S. s.r.l. nei confronti di M.C., della T. s.r.l., di L.H., del Fallimento S.O. s.r.l., di B.L. e di L.A., rigettò il gravame e, per quel che ancora rileva in sede di legittimità, condannò la S. s.r.l. alle spese di lite nella misura di € 150.000,001, in favore delle parti costituite M.C. e la T. s.r.l. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la curatela del Fallimento S. s.r.l. sulla base di tre motivi; Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. da 1 ad 11 del DM 55/2014, in relazione all'art.360, comma 1, n.3 c.p.c., con particolare riferimento agli artt.4, 5 e 6 del Decreto Ministeriale citato, per avere la Corte d'appello liquidato gli onorari in misura superiore ai valori medi, senza spiegare le ragioni per le quali si sarebbe discostata dalla nota spese prodotta dalla parte vittoriosa. Il valore della causa era di € 4.948.7001, e la nota specifica della parte vittoriosa ammontava ad € 54.724,00 mentre sarebbe stata liquidata la superiore somma di€ 150.000,00. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 5 del DM 55/2014 poiché la Corte non avrebbe tenuto conto del valore della controversia, pari ad € 4.948.700100, sulla base della quale avrebbe dovuto effettuarsi la liquidazione. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 4, comma 1 del DM 55/2014, in relazione all'art.360, comma 1, n.3 c.p.c. in quanto la Corte di merito si sarebbe discostata dai valori medi senza adeguata motivazione. I motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente, sono fondati. Ai sensi dell'art.5 del D.M. 55/2014, ai fini della liquidazione del compenso si tiene conto delle caratteristiche, dell'urgenza e del pregio dell’attività prestata, dell'importanza, della natura, della difficolta' e del valore dell'affare, delle condizioni soggettive del cliente, dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate. In ordine alla difficoltà dell'affare si tiene particolare conto dei contrasti giurisprudenziali, e della quantità e del contenuto della corrispondenza che risulta essere stato necessario intrattenere con il cliente e con altri soggetti. La norma prosegue affermando che: "Il giudice tiene conto dei valori medi di cui alle tabelle allegate, che, in applicazione dei parametri generali, possono essere aumentati di regola sino all'80 per cento, ovvero possono essere diminuiti in ogni caso non oltre il 50 per cento". Ai sensi dell'art.4, comma 2 del D.M.55/2014, quando in una causa l'avvocato assiste più soggetti aventi la stessa posizione processuale, il compenso unico può di regola essere aumentato per ogni soggetto oltre il primo nella misura del 30 per cento, fino a un massimo di dieci soggetti, e del 10 per cento per ogni soggetto oltre i primi dieci, fino a un massimo di trenta. L'art.6 del D.M.55/2014 disciplina l'ipotesi in cui la causa abbia un valore di € 520.000.000,00 e prevede un incremento fino al 30% dei parametri numerici contemplati dai relativi scaglioni di riferimento. Questa Corte ha affermato che, in tema di liquidazione delle spese processuali successiva al D.M. n. 55 del 2014, il giudice deve solo quantificare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe, a loro volta derogabili con apposita motivazione (Sez. 6 - L, Ordinanza n. 2386 del 31/01/2017, Rv. 642544 - 01; conf. Cass. n. 26608 del 09/11/2017; n. 29606 del 11/12/2017). In una recente pronuncia (Cass. Civ. Sez. VI, 1.6.2020, n.10343) la Corte ha preso atto che "in questo quadro normativo, si va consolidando l'orientamento secondo cui, non sussistendo più il vincolo legale della inderogabilità dei minimi tariffari, i parametri di determinazione del compenso per la prestazione defensionale in giudizio e le soglie numeriche di riferimento costituiscono criteri di orientamento e individuano la misura economica "standard" del valore della prestazione professionale; pertanto, il giudice è tenuto a specificare i criteri di liquidazione del compenso solo in caso di scostamento apprezzabile dai parametri medi (Cassazione civile sez. VI, 15/12/2017, n. 30286 e, in motivazione Cassazione civile sez. VI, 04/03/2019, n. 6296; Cassazione civile sez. VI, 31/07/2018, n. 20183). Tale indirizzo ha avuto un arresto da parte di Cassazione Civile, Sez. III, 07/01/2021, n.89, secondo cui, in tema di liquidazione delle spese processuali successiva al d.m. n. 55 del 2014, non trova fondamento normativo un vincolo alla determinazione secondo i valori medi ivi indicati, dovendo il giudice solo quantificare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe, a loro volta derogabili con apposita motivazione, la quale è doverosa allorquando si decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi affinché siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di questo. Quanto all'art.6 del DM 55/2014, nella parte in cui prevede che alla relativa liquidazione si applica, "di regola", un incremento fino al 30% dei parametri numerici contemplati dai relativi scaglioni di riferimento, è stato di recente affermato che si impone uno specifico apporto motivazionale, esplicativo delle ragioni sottese a tale scelta, nel solo caso in cui il giudice reputi di non disporre alcun incremento percentuale, restando egli, al contrario, libero di stabilire un aumento in misura anche superiore al massimo del 30%, applicando i criteri generali di cui all'art. 4 del medesimo d.m. n. 55, con decisione non censurabile in sede di legittimità (Cassazione civile sez. II, 20/10/2021, n.29170). Ritiene il collegio che di tali aumenti il giudice è tenuto a dare indicazione in sede di liquidazione in modo da consentire alle parti un controllo in ordine all'esattezza della liquidazione e da consentire a questa Corte il sindacato di legittimità. Nel caso di specie, il valore massimo stabiliti dai parametri di cui al D.M. 55/2014 non sono superati solo nel caso di applicazione dei valori massimi, comprensivi della fase istruttoria, della difesa di due parti ex art.5 del DM55/2014 e dell'aumento ex art.6 del DM 55/2014. Di tali aumenti non vi è traccia nella liquidazione delle spese da parte della Corte d'appello. Inoltre, il ricorrente ha dedotto che l'importo liquidato era superiore alla somma richiesta nella nota spese della controparte ed ha allegato detta nota, ai sensi dell'art.366, comma 1, n.6 c.p.c., da cui risulta una richiesta di liquidazione della somma di € 54.724,00, inferiore all'importo liquidato pari ad € 150.000.000,00. In tema di nota spese, in presenza di una nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, il giudice non può limitarsi ad una globale determinazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato ma ha l'onere di dare adeguata motivazione dell'eliminazione e della riduzione di voci da lui operata, allo scopo di consentire, attraverso il sindacato di legittimità, l'accertamento della conformità della liquidazione a quanto risulta dagli atti ed alle tariffe, in relazione all'inderogabilità dei relativi minimi, giusta D.L. n. 794 del 1942, art. 24 (Sez. L, n. 8824 del 05/04/2017, Rv. 643908 - 01; Sez. 3, n. 20604 del 14/10/2015, Rv. 637583 - 01; Sez. 6 - 2, n. 7293 del 30/03/2011, Rv. 616898 - 01; Sez. L, n. 4404 del 24/02/2009, Rv. 607744 - 01). Tale obbligo di motivazione sussiste non solo nell'ipotesi di liquidazione inferiore a quanto indicato nella nota spese ma anche nell'ipotesi in cui venga liquidata una somma superiore a quella prevista nella nota spese dell'Avvocato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la nota spese, ex art.75 disp. att, c.p.c., funge anche da limite al potere del giudice di liquidazione dei compensi alla parte vittoriosa sicché il giudice non può attribuire alla parte, a titolo di rimborso delle spese, una somma di entità superiore (Sez. 3, n. 17057 del 26/06/2019, Rv. 654402 -01; Sez. 6 - 3, n. 11522 del 14/05/2013, Rv. 626367 - 01; Sez. 3, n. 5327 del 04/04/2003, Rv. 561900 - 01). In tal senso, è stato sostenuto che la nota spese fissa l'oggetto della domanda ed il giudice viola l'art.112 c.p.c. se liquida un compenso superiore a quello domandato. Parte della dottrina ha posto in evidenza l'inconciliabilità di tale affermazione con il principio secondo cui la condanna al pagamento delle spese del giudizio, in quanto consequenziale ed accessoria, può essere legittimamente emessa a carico del soccombente anche d'ufficio, in mancanza di un'esplicita richiesta della parte vittoriosa, sempreché quest'ultima non abbia manifestato espressa volontà contraria (Cass. civ., 21 maggio 1979, n. 294; Cass. civ., 22 ottobre 1981, n. 5557; Cass. civ., 21 dicembre 1983, n. 7532; Cass. civ., 21 aprile 1990, n. 3346; Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2006 n. 21244; Cass. civ., sez. VI 11 febbraio 2015 n. 2719). È stato osservato in dottrina che l'art.75 disp. att. c.p.c. è stato implicitamente abrogato a seguito dell'abrogazione, da parte dell'9, comma 1 del D.L. 1/2012 delle tariffe professionali. La tesi non è condivisibile in quanto l'art.4, comma 5 del D.M. 55/2014 menziona espressamente la nota spese tra gli atti che può redigere il difensore, in relazione alla quale il giudice è tenuto a fornire una motivazione nel caso in cui da essa si discosti. La giurisprudenza che si è formata anche in seguito all'emanazione del DM 55/2014 è univoca nell'affermare che quando la parte presenta la nota spese, ex art. 75 disp. att. c.p.c., il giudice non può attribuire alla parte, a titolo di rimborso delle spese, una somma di entità superiore (Cassazione civile sez. VI, 05/03/2020, n.6345; Cassazione civile sez. III, 26/06/2019, n.17057). Nel caso di specie, la Corte d'appello ha triplicato la liquidazione delle spese rispetto alla richiesta del difensore, che, nell'indicare il compenso, aveva evidentemente ponderato la natura delle attività svolte, senza alcuna motivazione. Il ricorso va, pertanto, accolto; la sentenza impugnata va cassata e rinviata alla Corte d'appello di Milano in diversa composizione che applicherà i seguenti principi di diritto: " In tema di liquidazione delle spese processuali ai sensi del d.m. n. 55 del 2014, l'esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo e il massimo, non è soggetto a sindacato di legittimità, attenendo pur sempre a parametri fissati dalla tabella, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo necessario, in tal caso, che siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di questo". "Quando la parte presenta la nota delle spese, secondo quanto è previsto dall'art. 75 disp. att. c.p.c., specificando la somma domandata, il giudice non può attribuire alla parte, a titolo di rimborso delle spese, una somma di entità superiore". Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese relative al presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d'appello di Milano in diversa composizione.