La responsabilità della struttura ospedaliera per i danni invocati iure proprio dai congiunti di un paziente danneggiato in ambito sanitario si colloca, infatti, nell'area della responsabilità extracontrattuale.
L'odierna ricorrente si rivolgeva al Tribunale di Venezia per chiedere il risarcimento dei danni patiti per aver dovuto prestare assistenza alla madre a causa dell'aggravamento dell'invalidità della medesima seguita ad un intervento chirurgico eseguito presso il Policlinico.
La domanda risarcitoria veniva respinta tanto in primo quanto in...
Svolgimento del processo
premesso che la madre B.S. aveva agito nei confronti del Policlinico San Marco di Venezia per i danni subiti a seguito di un intervento di riduzione di frattura del femore, ottenendo il risarcimento con sentenze del 2001 (di primo grado) e del 2011 (di secondo grado, passata in giudicato), C.M., con atto notificato nell'aprile 2013, promosse un giudizio contro il medesimo Policlinico al fine di ottenere il risarcimento dei danni da lei patiti per aver dovuto prestare assistenza alla madre (per le ore non coperte dalla badante), a causa dell'aggravamento della invalidità della stessa, precisando che ciò era avvenuto a partire dal mese di settembre 2006; il Tribunale di Venezia rigettò la domanda, con sentenza che è stata confermata in sede di gravame; la Corte di Appello ha ritenuto che «il diritto dei congiunti ad essere risarciti in via riflessa dalla struttura sanitaria e ciò a causa dell'esito infausto di un'operazione chirurgica subita dalla danneggiata principale, si colloca nell'ambito della responsabilità aquiliana ed è soggetto al termine di prescrizione quinquennale ex art. 2947 c.c.», in quanto i congiunti non possono giovarsi del termine più lungo derivante dall'inquadramento contrattuale della responsabilità sanitaria; ha aggiunto che, anche a voler far decorrere il termine prescrizionale dall'anno 2006, «sarebbe comunque maturata la prescrizione quinquennale in quanto l'atto di citazione di primo grado (primo atto interruttivo) è stato introdotto solo nel 2013»; ha proposto ricorso per cassazione la M., affidandosi a tre motivi; ha resistito il Policlinico con controricorso; la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell'art. 380 bis.1. c.p.c.; entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
col primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell'art. 2935 c.c., assumendo che l'exordium praescriptionis dell'azione risarcitoria è da collocare nel luglio 2011 -data di pubblicazione della sentenza di appello nel giudizio promosso dalla S. nei confronti del Policlinico- e, anzi, nella data di passaggio in giudicato di tale sentenza (da far risalire all'ottobre 2012), giacché prima di tale momento la M. non avrebbe potuto agire nei confronti del Policlinico perché non era ancora stata accertata in via definitiva la responsabilità dell'ospedale; col secondo motivo, viene dedotta la violazione dell'art. 1218 c.c. «per mancato riconoscimento dell'azione contrattuale nei confronti dell'Ospedale da parte del familiare tenuto all'assistenza nei confronti del soggetto primario leso»; si assume che il contratto di spedalità ha effetti protettivi anche nei confronti di terzi e, quindi, anche nei confronti dei familiari del paziente che siano tenuti all'assistenza; il terzo motivo denuncia, in subordine, la violazione dell'art. 2948 c.c. sul rilievo che «il danno non è tanto permanente, quanto costante», di talché, «se la prescrizione dovesse essere quinquennale, tale danno può essere risarcito solo a partire dal quinquennio antecedente all'atto interruttivo della prescrizione», con la conseguenza che «la parte precedente è prescritta, ma la parte del danno verificatosi entro il quinquennio a partire dalla citazione non è prescritto affatto»; tutti i motivi vanno disattesi, in quanto: a fronte di una pretesa risarcitoria fondata sull'aggravamento dell'invalidità della madre (collocato nel settembre 2006), che la M. indica come conseguente ai postumi residuati alla S. dall'intervento chirurgico (risalente a data anteriore al 2001), la ricorrente aveva la possibilità di far valere la sua pretesa risarcitoria anche prima del passaggio in giudicato della sentenza di appello pronunciata fra la madre e la struttura ospedaliera: invero, l'accoglimento della sua pretesa non era condizionato alla preventiva affermazione definitiva della responsabilità del Policlinico (che avrebbe ben potuto costituire oggetto di accertamento incidentale all'interno dello stesso giudizio promosso dalla M.) e già dal settembre 2006 l'attrice disponeva di tutti gli elementi necessari per esercitare il proprio diritto al risarcimento, essendosi determinata la situazione irreversibile di pregiudizio che si assumeva conseguente ai postumi residuati alla madre dall'intervento; è erroneo l'assunto che i congiunti del paziente danneggiato in ambito sanitario possano fruire del termine prescrizionale decennale correlato alla responsabilità contrattuale medica; è pacifico, infatti, che la responsabilità della struttura sanitaria per i danni invocati "iure proprio" dai congiunti di un paziente danneggiato (o deceduto) «è qualificabile come extracontrattuale, dal momento che, da un lato, il rapporto contrattuale intercorre unicamente col paziente, e dall'altro i parenti non rientrano nella categoria dei "terzi protetti dal contratto", potendo postularsi l'efficacia protettiva verso terzi del contratto concluso tra il nosocomio ed il paziente esclusivamente ove l'interesse, del quale tali terzi siano portatori, risulti anch'esso strettamente connesso a quello già regolato sul piano della programmazione negoziale» (Cass. n. 21404/2021), come avviene specificamente nel contratto concluso dalla gestante con riferimento alle prestazioni sanitarie afferenti alla procreazione (cfr., in senso conforme, Cass. n. 14615/2020, Cass. n. 14258/2020 e Cass. n. 5590/2015, non massimata); la censura svolta col terzo profilo è inammissibile, in quanto presenta evidenti profili di novità (ponendo un tema che non risulta trattato dalla sentenza impugnata e rispetto al quale la ricorrente non indica se, quando e come l'abbia dedotto nei gradi di merito) ed è, altresì, formulata in modo generico, senza precisare in quali termini e in relazione a quale delle ipotesi previste dall'art. 2948 c.c. la Corte di merito sarebbe incorsa in errore di diritto; il ricorso va pertanto, nel complesso, rigettato; le spese di lite seguono la soccombenza; sussistono le condizioni per l'applicazione dell'art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in euro 200,00) e agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.