A nulla rileva il fatto che la parte abbia depositato la copia autentica della sentenza che si assume essere stata notificata.
In una controversia avente ad oggetto un contratto di appalto privato, la Cassazione dichiara il ricorso improcedibile con la sentenza n. 14416 del 6 maggio 2022.
Sebbene la ricorrente abbia dedotto di aver notificato il ricorso entro il termine di sessanta giorni, la Corte rileva l'omessa produzione della stampa dei messaggi di posta...
Svolgimento del processo
La Immobiliare A. S.r.l. concludeva con la A. Costruzioni S.r.l. un contratto di appalto per la edificazione di un nuovo fabbricato a destinazione residenziale in Busto Arsizio, alla via (omissis), affidandosi altresì all'ing. C.G., ed agli arch. G.G. ed E.G. per la progettazione e direzione dei lavori. Terminata l'opera, la committente lamentava una serie di vizi e difetti e pertanto richiedeva un accertamento tecnico preventivo per la loro verifica. Completato l'ATP, la committente introduceva la causa di merito dinanzi al Tribunale di Busto Arsizio per conseguire il ristoro dei danni scaturenti dai vizi riscontrati, giudizio nel quale si costituivano resistendo la società appaltatrice ed i professionisti. In particolare, la prima in via riconvenzionale chiedeva la condanna dell'attrice al pagamento del saldo residuo del corrispettivo dell'appalto, mentre G.G. chiedeva la chiamata in causa, poi autorizzata, della R.M. Assicurazioni, con la quale aveva concluso una polizza per la responsabilità civile, al fine di essere manlevato per l'eventuale ipotesi di condanna. Si costituiva altresì la Compagnia che insisteva per il rigetto della domanda, formulando varie eccezioni quanto all'operatività della copertura assicurativa. Il Tribunale adito, con la sentenza n. 781/2011, riç1ettava la domanda della committente, reputando fondata l'eccezione dei convenuti secondo cui l'attrice era priva di legittimazione attiva, avendo alienato prima dell'introduzione del giudizio, tutti gli immobili oggetto del contrato di appalto, ed accoglieva la domanda riconvenzionale con la condanna dell'attrice al pagamento della somma di€ 40.295,44 oltre interessi. Avverso tale sentenza proponeva appello A. Immobiliare cui resistevano gli appellati, instando per il rigetto del gravame. La Corte d'Appello di Milano, con la sentenza n. 4143 del 9 novembre 2016, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha condannato la A. Costruzioni a pagare a titolo di risarcimento del danno la somma di € 250.605,00, nonché, in solido con G.G., la somma di € 4.000,00, ed in solido con G.G. ed E.G., la somma di € 96.365,99, compensando il credito dell'attrice con quello oggetto della domanda riconvenzionale già accolta in primo grado; condannava la R.M. a manlevare G.G.; confermava il rigetto della domanda nei confronti di C.G.; compensava per un terzo le spese del doppio grado tra l'attrice ed i convenuti, ponendo la residua parte a carico dei secondi; condannava la R.M. al rimborso delle spese in favore del proprio assicurato. Disattesa l'eccezione di inammissibilità della domanda nuova proposta dall'appellante, la Corte rilevava che pur dovendosi ammettere che l'attrice avesse successivamente alienato la proprietà dei beni costruiti, non poteva accedersi alla conclusione del Tribunale secondo cui fosse stata avanzata una domanda ex art. 1669 c.c. (e ciò pur senza considerare che anche il diritto al risarcimento del danno compete a colui che era proprietario della cosa allorché il danno ebbe a prodursi), occorrendo rilevare che con la memoria di cui all'art. 183 co. 6 c.p.c., A. Immobiliare aveva specificato che la pretesa si fondava sul dedotto inadempimento dei convenuti rispetto alle obbligazioni nascenti dai contratti intervenuti tra le parti. Doveva quindi ritenersi che avesse inteso agire ai sensi dell'art. 1668 c.c., non essendo tale garanzia esclusa sol perché i vizi fossero stati dedotti come particolarmente gravi. Ciò implicava che dovesse essere rigettata anche l'eccezione di nullità dell'atto di citazione. Nel merito, rilevava la Corte che le risultanze dell'ATP confortavano la fondatezza della domanda attorea, una volta esclusa la ricorrenza della decadenza dalla garanzia, essendo stata la relativa denuncia tempestiva. Inoltre, non poteva invocarsi la transazione intervenuta tra le due società, avendo la stessa riguardato solo i vizi già emersi alla data della sua stipula, e non anche quelli oggetto di causa, invece insorti in data successiva. La sentenza, quindi, individuava alla pag. 21 i vari vizi riscontrati dal consulente nominato in sede di accertamento tecnico preventivo, escludendone la riconducibilità ai convenuti per alcuni di essi, e distinguendo all'interno dei vizi addebitabili agli appellati, tra quelli dei quali doveva rispondere la sola costruttrice, e quelli invece da addebitare in concorso alla stessa società ed ai professionisti, in ragione delle mansioni dagli stessi espletate. Dal complessivo ammontare dei danni, andava poi detratta una quota del 30 % da imputare alla stessa committente, che, essendo società operante nel settore, avrebbe dovuto preoccuparsi di conferire uno specifico incarico ad un tecnico esperto in materia di acustica, al fine di impedire i problemi poi insorti nella fase realizzativa dell'opera. La sentenza riteneva, altresì, fondata la domanda di garanzia, successivamente riproposta da G. G. nei confronti della propria compagnia, rigettando tutte le eccezioni sollevate da quest'ultima, ed infine confermava il rigetto della domanda avanzata nei confronti di G. C., essendosi questi limitato al solo calcolo delle opere in cemento armato, attività questa che era esente da ogni profilo di responsabilità. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso principale sulla base di due motivi la A. Costruzioni S.r.l., illustrati da memorie. A sua volta G. G. e G. E. hanno proposto ricorso affidato a sette motivi. A. Immobiliare S.r.l. ha resistito ad entrambi ricorsi con separati controricorsi. La R.M. Assicurazioni S.p.A. non ha svolto difese in questa fase.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la A. Costruzioni S.r.l. denuncia l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, e precisamente l'assenza e comunque la mancata dimostrazione di danno subito dalla committente a seguito dei fatti di causa. Si deduce che l'attrice aveva già alienato le singole unità immobiliari ricavate nell'edificio oggetto del contratto prima dell'introduzione del giudizio, il che ne aveva determinato, come già rilevato dal Tribunale, la perdita di legittimazione ad agire. In ogni caso la società istante avrebbe dovuto dimostrare l'esistenza di un danno, malgrado l'avvenuta vendita a terzi degli immobili. Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 24 Cost., 6§1 CEDU e 115 c.p.c. per avere la Corte d'Appello violato il diritto al contraddittorio anche in ordine alle risultanze dell'ATP. Si sostiene che la Corte d'Appello, dopo avere già concesso i termini per gli scritti conclusionali, con ordinanza del 24/3/2016 ha disposto l'acquisizione dell'ATP, ma senza rimettere la causa in istruttoria, menomando il diritto di difesa delle parti.
1.2 Il primo motivo del ricorso incidentale denuncia l'omesso rilievo d'ufficio dell'inammissibilità dell'appello principale sebbene privo di specifici motivi con la conseguente violazione dell'art. 342 c.p.c. Il secondo motivo lamenta la violazione dell'art. 345 c.p.c. per essere stata rigettata l'eccezione circa l'inammissibile mutatio libelli posta in essere dall'appellante, nonché per l'omesso rilievo d'ufficio della violazione del principio di tipicità delle azioni costitutive. Si sostiene che in appello sarebbe stata avanzata una domanda diversa da quella invece dedotta in primo grado e che in relazione al contratto d'opera intellettuale si sarebbe consentita una domanda di riduzione del corrispettivo, che la legge non contempla e che non può essere in altro modo ritenuta ammissibile, attesa la tipicità delle azioni costitutive. Peraltro, non è stata adeguatamente considerata la ragione che aveva indotto il Tribunale al rigetto della domanda, e cioè che a seguito dell'alienazione degli immobili, la società committente non poteva vantare più alcuna pretesa al risarcimento del danno per l'eliminazione di vizi che ormai riguardavano beni appartenenti ai nuovi proprietari. Il terzo motivo lamenta la violazione dell'art. 342 c.p.c. nella parte in cui la sentenza di appello ha rigettato l'eccezione di nullità dell'atto di citazione per vizi dell'editio actionis, già sollevata in primo grado e reiterata in appello. Il quarto ed il quinto motivo denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1667, 1223 e 2697 c.c. per omessa pronuncia su di un fatto decisivo e controverso tra le parti, nella parte in cui la sentenza gravata ha riformato la decisione di primo grado quanto alla assorbente questione dell'insussistenza del diritto al risarcimento del danno, attesa l'alienazione della res a terzi. Si ribadisce che la committente al momento dell'introduzione della causa aveva già venduto tutte le unità immobiliari, e che tale circostanza è idonea a determinare il venir meno di ogni pretesa al risarcimento del danno, il che comportava anche la necessità di rigettare la domanda avanzata nei confronti dei professionisti. Il sesto motivo di ricorso lamenta la falsa applicazione degli artt. 1292 e 1293 c.c. e dell'art. 2908 c.c. Si deduce che anche a voler ammettere che sia stata proposta una domanda di riduzione del compenso, non poteva farsi applicazione della regola della solidarietà tra l'impresa appaltatrice ed singoli professionisti, essendo invece necessario operare la riduzione del corrispettivo in misura proporzionale a quanto dovuto ad ognuna delle controparti dell'attrice. Il settimo motivo denuncia, per l'ipotesi di accoglimento dei precedenti motivi, l'erroneità della decisione quanto alla parziale compensazione delle spese di lite, dovendosi invece rilevare la soccombenza della controparte.
2. Il ricorso principale va dichiarato improcedibile. Infatti, la ricorrente deduce che la sentenza pubblicata il 9 novembre 2016 le è stata notificata a mezzo pec in data 15 novembre 2016, proponendo quindi ricorso nei sessanta giorni da tale data. Manca però la produzione della stampa dei messaggi di posta elettronica attestanti l'avvenuta ricezione della notifica telematica ed in ogni caso non vi è attestazione di conformità delle stampe cartacee che è pur sempre necessaria, allorquando vi sia una parte intimata (nella specie la R.M., che resta litisconsorte necessaria, atteso che i motivi proposti rimettono in discussione anche l'an della responsabilità, Cass. S.U. n. 24 707/2015). Va quindi richiamato il principio affermato dalle Sezioni Unite, secondo cui il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall'ultima notificazione, di copia analogica della decisione impugnata - redatta in formato elettronico e sottoscritta digitalmente, e necessariamente inserita nel fascicolo informatico -, priva di attestazione di conformità del difensore ex art. 16 bis, comma 9 bis, del d.l. n. 179 del 2012, convertito dalla I. n. 221 del 2012, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non determina l'improcedibilità del ricorso per cassazione laddove il controricorrente (o uno dei controricorrenti), nel costituirsi (anche tardivamente), depositi a sua volta copia analogica della decisione ritualmente autenticata, ovvero non disconosca la conformità della copia informale all'originale; nell'ipotesi in cui, invece, la controparte (o una delle controparti) sia rimasta soltanto intimata, ovvero abbia effettuato il suddetto disconoscimento, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità il ricorrente ha l'onere di depositare l'asseverazione di conformità all'originale della copia analogica, entro l'udienza di discussione o l'adunanza in camera di consiglio (Cass. Sez. U n. 8312 del 25/03/2019). Siffatto principio si applica anche all'ipotesi di tempestivo deposito della copia della relata della notificazione telematica della decisione impugnata - e del corrispondente messaggio PEC con annesse ricevute - senza attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter, della legge n. 53 del 1994 oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa. Pertanto il ricorso per cassazione è improcedibile qualora la parte ricorrente dichiari di avere ricevuto la notificazione della sentenza impugnata, depositando, nei termini indicati dall'art. 369, comma 1, c.p.c., copia autentica della sentenza, priva però della relazione di notificazione (ovvero delle copie cartacee dei messaggi di spedizione e di ricezione, in caso di notificazione a mezzo PEC) e di tale documentazione non abbia effettuato la produzione neppure la parte controricorrente. (Cass. n. 19695/2019, essendosi in motivazione fatto riferimento a quanto precisato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 8312/2019, che alla pag. 42, sub 2) ha affermato che ai fini della procedibilità del ricorso si palesa comunque necessario il tempestivo deposito della copia della relata della notificazione telematica e del corrispondente messaggio pec con annesse ricevute, ancorché prive di attestazione di conformità del difensore oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, posto che solo in tal caso è dato al ricorrente provvedere al deposito sino all'udienza dell'attestazione di conformità del messaggi cartacei). Deve quindi reputarsi che il ricorso resti improcedibile laddove, pur essendosi depositata copia autentica della sentenza, che però si assume essere stata notificata, non siano stati tempestivamente depositati nel termine di cui al primo comma dell'art. 369 c.p.c., anche i detti messaggi pec con annesse ricevute (Cass. n. 3466/2020, secondo cui il vizio, rilevabile d'ufficio, non è sanabile dalla non contestazione da parte del contro ricorrente; Cass. n. 14360/2021). Né fattispecie si palesa invocabile la cd. prova di resistenza, secondo cui l'improcedibilità non sussiste quando il ricorso per cassazione risulta notificato prima della scadenza dei sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza e quindi nel rispetto del termine breve per l'impugnazione, perché in tal caso perde rilievo la data della notifica del provvedimento impugnato (Cass. 10 luglio 2013, n. 17066; Cass. n. 113986/2019; Cass. n. 15832/2021), atteso che nella fattispecie la notifica del ricorso (12/01/2017) è comunque avvenuta oltre i sessanta giorni dal deposito della sentenza di appello (9/11/2016). Il ricorso principale va quindi dichiarato improcedibile.
3. L'improcedibilità del ricorso principale comporta poi l'inefficacia del ricorso incidentale. Infatti, anche in quest'ultimo si ribadisce che la sentenza è stata notificata il 15/11/2016, mentre il ricorso incidentale è stato notificato il 21/2/2017, tardivamente rispetto al termine di sessanta giorni decorrente dalla notifica della sentenza. Trattasi quindi di ricorso incidentale tardivo per il quale vale la regola dell'inefficacia in caso di improcedibilità del ricorso principale, come affermato dalla giurisprudenza, anche a Sezioni Unite di questa Corte (Cass. n. 19188 del 19/07/2018; Cass. n. 2381 del 04/02/2014; Cass. S.U. n. 9741 del 14/04/2008).
4. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza nei rapporti tra ricorrente principale e ricorrenti incidentali, da un lato, e controricorrente dall'altro e si liquidano come da dispositivo che segue. Ricorrono invece i presupposti per la compensazione nei rapporti tra ricorrente principale e ricorrenti incidentali. Nulla a disporre quanto alle spese per la parte rimasta intimata.
9. Poiché il ricorso principale è dichiarato improcedibile, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell'art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n.115 - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte della ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per le rispettive impugnazioni.
P.Q.M.
Dichiara improcedibile il ricorso principale ed inefficace il ricorso incidentale; Condanna la ricorrente principale ed i ricorrenti incidentali, in solido tra loro, al rimborso in favore della controricorrente A. Immobiliare S.r.l. delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi € 5.800,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi ed accessori di legge, se dovuti; Compensa le spese del presente giudizio tra la ricorrente principale ed i ricorrenti incidentali; Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall'art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale del contributo unificato a norma dell'art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.