Sono assoggettabili a imposta solo le somme percepite dal lavoratore dipendente, a titolo di risarcimento del danno, volte a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi (c.d. lucro cessante).
La vicenda in esame trae origine dall'impugnazione di un avviso di accertamento che recuperava a tassazione IRPEF le somme riconosciute dall'Azienda sanitaria provinciale di Crotone al contribuente (dirigente medico dipendente dell'Azienda) a titolo di risarcimento del danno. Tale somma era stata riconosciuta al dipendente in esecuzione di un accordo transattivo con il quale era stata conclusa la causa riguardante il risarcimento del danno da perdita di chance di accrescimento professionale.
In tale contesto, la CTR aveva ritenuto che l'importo ricevuto dal contribuente fosse privo di rilievo fiscale, accogliendo l'appello proposto dal contribuente contro la sentenza della CTP.
L'Agenzia delle Entrate impugna la sentenza emessa dalla CTR mediante ricorso per cassazione, lamentando il fatto che il Giudice avesse ritenuto non tassabili le somme pagate dall'ASP, nonostante esse fossero state corrisposte in virtù di un rapporto di lavoro e per risarcire un danno da lucro cessante che, come affermato pacificamente dalla giurisprudenza, rientra tra le somme soggette a tassazione.
Con la sentenza n. 14560 del 9 maggio 2022 la Corte di Cassazione rigetta il ricorso, ricostruendo il quadro normativo e giurisprudenziale che contorna la vicenda in oggetto.
A partire dall’art. 6 TUIR, il quale si applica a tutte le tipologie di indennità, comprese i proventi conseguiti a titolo risarcitorio consistenti nella perdita di redditi che costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti. Allo stesso modo, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che le somme percepite dal contribuente a tiolo di risarcimento costituiscono reddito imponibile solo e nei limiti in cui essi abbiano la funzione di reintegrare un danno che si è sostanziato nella mancata percezione di redditi.
Ciò posto, con specifico riguardo al danno da perdita di chance, la giurisprudenza ha affermato che le suddette somme non costituiscono reddito imponibile se sono volte a riparare un pregiudizio avente diversa natura.
Recentemente poi, la Cassazione ha avuto modo di precisare che il risarcimento del danno connesso alla perdita di chance non ha natura reddituale perché consiste nel ristoro del danno emergente dalla perdita di un’attuale possibilità. Da ciò deriva che la chance è essa stessa un’entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente valutabile, la cui perdita produce un danno attuale e risarcibile nella misura in cui si accerti la ragionevole probabilità dell’esistenza di tale chance intesa come attitudine attuale.
Per chiudere il cerchio, recentemente la Cassazione ha affermato che «sono assoggettabili a imposta le somme percepite dal lavoratore dipendente, a titolo di risarcimento del danno, se siano volte a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi (c.d. lucro cessante), mentre non sono assoggettabili a imposta quelle intese a riparare un pregiudizio di natura diversa (c.d. danno emergente)».
Con riferimento al caso di specie, dagli atti di causa risultava che il contenzioso promosso dinanzi al Giudice del lavoro, terminato con transazione, era connesso all'accertamento dell'inadempimento contrattuale dell'Azienda in relazione al meccanismo della “retribuzione di risultato”, la quale è soggetta per ciascun dirigente a determinazione annuale da effettuarsi mediante la definizione (sempre su base annua) degli obiettivi e delle valutazioni degli organi di controllo interno, obiettivi e percorsi che nel caso concreto erano stati del tutto omessi. Da tale carenza scaturiva, infatti, la perdita di chance di miglioramento attitudinale/dirigenziale e di valutazione dei risultati, con ricadute economiche.
Per questa ragione, la Cassazione rigetta il ricorso, evidenziando che non è tassabile il risarcimento del danno ottenuto dal lavoratore dipendente, anche in via transattiva, per la perdita di chance di accrescimento professionale, essendo irrilevante il riferimento al CCNL di un certo comparto ai fini della determinazione del quantum debeatur.
Svolgimento del processo
1. L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso, con un motivo, contro T. D., avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale (“C.T.R.”) della Calabria, indicata in epigrafe, che - nella causa di impugnazione dell’avviso di accertamento che recuperava a tassazione Irpef, per l’annualità 2009, quale reddito di lavoro dipendente, le somme riconosciute dall’Azienda sanitaria provinciale (“A.S.P.” subentrata alla A.S.L. n. 5) di Crotone al proprio dipendente, dirigente medico presso il medesimo Ente, a titolo di risarcimento del danno, in esecuzione di un accordo transattivo a conclusione di una causa, oggetto della pronuncia del Tribunale del lavoro di Crotone, che aveva condannato l’Azienda sanitaria a risarcire al proprio dipendente il danno derivante dalla violazione degli obblighi di cui all’art. 52 del c.c.n.l. (dell’08/06/2000), rimettendone la quantificazione ad un separato giudizio - nel contraddittorio dell’ufficio finanziario, ha accolto l’appello del contribuente avverso la sentenza (n.691/2019) della Commissione tributaria provinciale di Crotone, sfavorevole alla parte privata.
2. Per la C.T.R., la lite, transatta, tra il contribuente e l’A.S.P., riguarda il risarcimento del danno da perdita di chance di accrescimento professionale, come accertato dal giudice del lavoro, con la citata sentenza passata in giudicato, e, quindi, l’importo ricevuto dall’interessato è privo di rilievo fiscale, in linea con la giurisprudenza di legittimità, per la quale, in tema di imposte sui redditi, in base all’art. 6, comma 2, t.u.i.r., le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette a imposizione soltanto se risultino destinate a reintegrare un danno da mancata percezione di redditi, mentre non costituiscono reddito imponibile nell’ipotesi in cui tendano a riparare un pregiudizio di natura diversa, come (appunto) quello da perdita di chance. È aspetto privo di rilievo, a giudizio della Commissione regionale, che ai fini della quantificazione in termini monetari del pregiudizio le parti abbiano richiamato l’art. 52 del c.c.n.l., che rappresenta un semplice meccanismo di determinazione dell’importo dovuto, ma non incide sulla qualificazione giuridica del danno.
T. D. ha resistito con controricorso.
L’Avvocatura generale dello Stato ha presentato memoria telematica ex art. 378 cod. proc. civ..
Motivi della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso [«Motivo 1: violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 51 dpr 917/1986 (art. 360, co. 1., n. 3, c.p.c.)»], l’Agenzia delle entrate censura la sentenza impugnata che ha erroneamente negato che le somme pagate dall’A.S.P. al contribuente fossero tassabili, senza considerare che esse erano state corrisposte, sulla base di un rapporto di lavoro, a titolo di risarcimento del danno da lucro cessante (o mancato guadagno) e che, in quanto tali, come pacificamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, erano soggette a tassazione (nella specie, a tassazione separata ex art. 17, comma 1, lett. b), t.u.i.r., perché percepite in anni successivi a quelli di competenza), in base al disposto dell’art. 6, comma 2, t.u.i.r..
1.1. Il motivo non è fondato.
1.2. È utile comporre, sinteticamente, nei seguenti termini, il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento:
(i) l’art. 6, comma 2, t.u.i.r., (“Classificazione dei redditi.”), quale norma di carattere generale, applicabile a tutte le tipologie di indennità (anche risarcitorie) sostitutive della retribuzione, così dispone: «I proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti […]»;
(ii) quanto all’esegesi della norma tributaria generale, la Corte ha chiarito che «In tema di imposte sui redditi, in base al dettato dell’art. 6, comma secondo, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio costituiscono reddito imponibile solo e nei limiti in cui abbiano la funzione di reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi. Pertanto, l’indennità corrisposta (in sede transattiva) dal datore di lavoro, a titolo di risarcimento del danno, per la reintegrazione delle energie psicofisiche […] spese dal lavoratore oltre l’orario massimo di lavoro da lui esigibile, non è assoggettabile a tributo.» (Cass. 21/06/2002, n. 9111, in connessione con Cass. 28/10/2000, n. 14241; in senso conforme, ex multis, Cass. 21/05/2007, 11682);
(iii) analoghi concetti giuridici sono stati espressi da questa sezione tributaria (così Cass. 29/12/2011, n. 29579) che, con specifico riferimento al danno da perdita di chance, prima, ha ribadito che «In tema di imposte sui redditi, in base all’art. 6, comma 2, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 […] le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette a imposizione soltanto se, e nei limiti in cui, risultino destinate a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi»; ha quindi aggiunto che «[esse] non costituiscono reddito imponibile nell’ipotesi in cui […] tendano a riparare un pregiudizio di natura diversa»; ed ha concluso che (come risulta dalla massima ufficiale della sentenza) «non [è] tassabile il risarcimento ottenuto da un dipendente “da perdita di chance”, consistente nella privazione della possibilità di sviluppi e progressioni nell’attività lavorativa a seguito dell’ingiusta esclusione da un concorso per la progressione in carriera»;
(iv) tornando sull’argomento la Corte (cfr. Cass. 07/02/2019, n. 3632, che, in motivazione, menziona anche Cass. n. 29579/2011; in termini, Cass. 12/10/2018, n. 25471) ha recentemente spiegato che «il titolo al risarcimento del danno, connesso alla “perdita di chance”, non ha natura reddituale, poiché consiste nel ristoro del danno emergente dalla perdita di una possibilità attuale; ne consegue che la chance è anch’essa una entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente valutabile, la cui perdita produce un danno attuale e risarcibile, qualora si accerti, anche utilizzando elementi presuntivi, la ragionevole probabilità della esistenza di detta chance intesa come attitudine attuale (Cass. n. 11322/2003)», e, su tale base concettuale, addentrandosi nell’esame del motivo di ricorso, ha stabilito che «il ricorrente ha percepito il risarcimento per la perdita di possibilità conseguente ad irregolarità verificatesi nello svolgimento di un concorso interno per la promozione a funzionario; il giudice del lavoro ha riconosciuto al ricorrente il risarcimento del danno emergente (consistente appunto nella perdita delle possibilità ricollegate complessivamente alla progressione di carriera) e, per la quantificazione dell’importo dovuto, ha fatto ricorso al criterio di valutazione equitativa con riferimento al maggior stipendio non conseguito; tale criterio rileva ai limitati fini della determinazione del quantum e non è idoneo a mutare il titolo dell’attribuzione, la quale non è riconducibile all’art. 6 T.u.i.r., perché non ha natura reddituale e non è sostitutiva del reddito non percepito»;
(v) sulla scia di quest’ultima pronuncia, per Cass. 21/02/2019, n. 5108, sono assoggettabili a imposta le somme percepite dal lavoratore dipendente, a titolo di risarcimento del danno, se siano volte a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi (c.d. lucro cessante), mentre non sono assoggettabili a imposta quelle intese a riparare un pregiudizio di natura diversa (c.d. danno emergente). Tali princìpi sono stati enucleati anche dalla sezione lavoro della Corte (Cass. Sez. L, 03/02/2021, n. 2472), che ripropone la medesima distinzione: sono soggette a tassazione, tra le somme percepite dal lavoratore a titolo risarcitorio, soltanto quelle dirette a reintegrare il lucro cessante derivante dalla mancata percezione di redditi; sono invece fiscalmente esenti le somme liquidate a titolo di danno emergente.
1.3. Svolte queste premesse di carattere generale, in relazione al motivo di ricorso dell’ufficio finanziario, dagli atti di causa risulta che la ripresa tributaria è correlata al contenzioso promosso davanti al giudice del lavoro da numerosi dirigenti a tempo indeterminato, dipendenti dall’(ex) A.S.L. di Crotone (tra i quali l’odierno controricorrente), appartenenti ai ruoli “Medico e Veterinario”, per l’accertamento dell’inadempimento contrattuale dell’Azienda sanitaria rispetto all’intero meccanismo della “retribuzione di risultato”, prescritto dall’art. 52 del c.c.n.l. dell’08/06/2000 della dirigenza sanitaria, nonché al fine di ottenere il relativo risarcimento del danno. In breve, i dirigenti lamentavano la mancata attivazione del sistema prescritto dalla contrattazione collettiva, che avrebbe consentito la corresponsione di cd. “compensi incentivanti” in base ai risultati raggiunti in relazione a programmi predeterminati. Al riguardo, il giudice del lavoro (in alcune pronunce coperte da giudicato) ha dichiarato l’inadempimento contrattuale dell’A.S.L., ha riconosciuto il diritto dei lavoratori al risarcimento del danno patito per effetto dell’inadempimento dell’ente, e, per quanto adesso rileva, ha precisato che (cfr. pag. 12 del ricorso) «il danno deve ravvisarsi sia sotto il profilo della lesione alla professionalità, essendo evidente che l’assenza di programmi ed obiettivi incentivanti comporti una perdita di chance di accrescimento professionale, sia sotto il profilo della perdita di chance», demandandone la quantificazione a un separato giudizio.
1.4. Al riguardo, merita ricordare Cass. Sez. L. 31/01/2018, n. 2462, la quale ha chiarito che, in materia di trattamento retributivo dei dirigenti: (a) la qualifica dirigenziale fonda la retribuzione base; (b) il livello di responsabilità attribuito con l’incarico di funzione fonda la cd. retribuzione di posizione; (c) l’apporto del dirigente in termini di produttività o redditività della sua prestazione fonda la cd. retribuzione di risultato. La retribuzione di risultato non è una voce automatica, ma è soggetta, per ciascun dirigente, a determinazione annuale, da effettuarsi solo a seguito della definizione, parimenti annuale, degli obiettivi e delle valutazioni degli organi di controllo interno, di cui al contratto collettivo. Nella specie, il Tribunale di Crotone ha accertato l’omessa attivazione di obiettivi/percorsi professionali e di consequenziali valutazioni dei risultati. Dalla carenza di un programma e di obiettivi incentivanti scaturisce quella perdita di chance di miglioramento attitudinale/dirigenziale e di valutazione (eventualmente positiva) dei risultati conseguiti con ricadute economiche. Si realizza, a ben vedere, una situazione affine a quella del demansionamento (sul punto cfr. Agenzia delle entrate, risposta ad interpello n. 185 dell’8 aprile 2022) o della precarizzazione (Cass. Sez. U. 15/03/2016, n. 5072), là dove l’attribuzione nummaria non è meramente sostitutiva della retribuzione, ma anzitutto ristora la lesione della capacità professionale del lavoratore. All’interno di questo perimetro giuridico, nel caso concreto, le parti hanno negoziato per transigere la vertenza in atto, donde la natura risarcitoria della somma attribuita (cfr. punto 2 dell’atto di transazione) «per mancato accesso dei ricorrenti all’istituto della retribuzione di risultato a causa della omessa attivazione da parte dell’azienda di tale istituto», che è poi la res litigiosa transatta, che il fisco ha inteso sottoporre a tassazione.
1.5. La C.T.R., senza infrangere alcuna norma di diritto, ha preso atto della qualificazione giuridica del danno, risultante dalla pronuncia del giudice del lavoro; dopodiché, in aderenza alla giurisprudenza della Corte, ha negato che fosse soggetta a tassazione la somma percepita dal lavoratore a titolo di risarcimento del danno da perdita di chance, con l’ulteriore notazione, anch’essa inappuntabile sul piano giuridico, che la natura del danno non è condizionata dal meccanismo lato sensu risarcitorio concretamente utilizzato, sicché non assume rilievo il richiamo all’art. 52 del c.c.n.l. ai fini della determinazione del quantum debeatur.
1.6. La soluzione del giudice tributario di appello collima con una recente decisione sezionale (cfr. Cass. Sez. 6-5, 11/02/2022, n. 4488) che, nel dirimere una lite del suaccennato (cfr. p. 1.3.) vasto contenzioso, ha disatteso il ricorso del fisco avverso la sentenza della C.T.R. della Calabria di accoglimento dell’appello del contribuente. Quest’ultimo condivisibile arresto nomofilattico va consolidato alla stregua del principio di diritto secondo il quale: «In tema di classificazione dei redditi ex art. 6, comma 2, t.u.i.r., le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette a imposizione soltanto se, e nei limiti in cui, risultino destinate a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi (cd. lucro cessante), e non costituiscono reddito imponibile nell’ipotesi in cui esse tendano a riparare un pregiudizio di natura diversa (cd. danno emergente). Non è quindi tassabile il risarcimento del danno ottenuto dal lavoratore dipendente, anche in via transattiva, per la perdita di chance di accrescimento professionale (a causa dell’assenza di programmi ed obiettivi incentivanti), ed è irrilevante che, ai fini della determinazione del quantum debeatur, si faccia riferimento al c.c.n.l. di un certo comparto».
2. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
3. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
4. Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Cass. 29/01/2016, n. 1778).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 1500,00, a titolo di compenso, euro 200,00, per esborsi, oltre al 15 per cento, sul compenso, a titolo di rimborso forfetario delle spese generali, e agli accessori di legge.