Condannato il richiedente che non ha riportato nella dichiarazione sostitutiva il precedente stato di detenzione. L'associazione mafiosa, infatti, rientra tra i reati capaci di produrre presuntivamente reddito superiore rispetto a quello previsto come "tetto" per l'ammissione al beneficio.
Svolgimento del processo
1. La Corte d'Appello di Palermo ha confermato la sentenza del 10.1.2018 del Tribunale di Trapani con cui G.D. è stato condannato per il reato di cui all'art. 483 cod. pen., aggravato dalla recidiva ex art. 99, comma quarto, seconda parte, cod. pen., così riqualificata l'originaria imputazione relativa alle contestazioni degli artt. 76 e 95 D.P.R. n. 115 del 2002, per aver falsamente attestato, nella dichiarazione sostitutiva di certificazione, allegata all'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, presentata il 3 marzo 2015 nell'ambito di un procedimento di prevenzione, di essere in possesso dei requisiti di legge per l'accesso al beneficio e, in particolare, di non aver riportato condanne definitive per i reati indicati nell'art. 76, comma 4-bis, D.P.R. n. 115 del 2002; l'imputato, invece, era stato condannato per il delitto di associazione mafiosa, con sentenza divenuta irrevocabile il 19.3.2013 e, quindi, in data antecedente alla presentazione dell'istanza oggetto dell'imputazione.
2. Ha proposto ricorso l'imputato, tramite il suo difensore, deducendo due motivi di censura.
2.1. La prima ragione difensiva eccepisce il vizio di violazione di legge e quello di mancanza e manifesta illogicità della motivazione avuto riguardo alla ritenuta sussistenza del dolo del reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, smentita da taluni "indicatori" della sua buona fede ed inconsapevolezza: l'attestazione da parte dello stesso ricorrente, all'interno del modulo dichiarativo per l'ammissione al gratuito patrocinio, del suo stato di detenzione ed il fatto che la dichiarazione falsa si riferisse ad aver riportato condanne per uno dei reati menzionati nell'art. 76, comma 4-bis, D.P.R. n. 115 del 1992, che implicano una presunzione di reddito illecito, con scarsa comprensibilità dei contenuti dell'autocertificazione. La tesi difensiva è che la dichiarazione falsa sia frutto di negligenza e superficialità - altrimenti l'imputato non avrebbe contestualmente dichiarato di essere detenuto, proprio per il delitto in relazione al quale ha riportato condanna passata in giudicato - ma non di una volontà proiettata a dichiarare circostanze di fatto non veritiere. Inoltre, la difesa evidenzia come l'art. 79 del D.P.R. n. 115 del 2002, nel disciplinare il contenuto dell'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, non faccia alcun cenno alla necessità di una dichiarazione relativa alla sussistenza del presupposto negativo inerente alla mancanza di precedenti penali ai sensi dell'art. 76, comma 4-bis, del DPR citato.
2.2. Il secondo motivo di ricorso censura violazione di legge e vizio di carenza e manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato quanto all'esclusione della causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis cod. pen., basata su argomentazioni prive di contenuti concreti e ridotte a clausole di stile: si fa riferimento al fatto che il reato "abbia generato un contesto concretamente e significativamente pericoloso riguardo ai beni indicati", nonché alla "particolare intensità del dolo della condotta", dimenticando che la condotta può ritenersi sostanzialmente inoffensiva vista la grossolanità della falsa dichiarazione, immediatamente evidente per la contestuale dichiarazione dello stato di detenzione del ricorrente-dichiarante.
3. Il PG L.O. ha chiesto l'inammissibilità del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è complessivamente infondato.
2. Il primo motivo che obietta il ricorrente lamenta la mancata prova del dolo del reato, senza tener conto - se non formalmente - del fatto che la giurisprudenza di legittimità, da tempo, afferma che il dolo del reato previsto dall'art. 483 cod. pen. è generico e consiste nella volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto e nella consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero (cfr., da ultimo, ex multis, Sez. 5, n. 15901 del 15/2/2021, P., Rv. 281041). Ciò posto, assume valenza neutra e non determinante dell'invocata buona fede del ricorrente, ovvero dell'attribuibilità del falso ad una mera negligenza e superficialità nella compilazione, la circostanza, molto valorizzata dal ricorso, relativa al fatto che l'imputato abbia contestualmente dichiarato il suo stato di detenzione nell'istanza di ammissione al gratuito patrocinio. Orbene, a prescindere dal fatto che non è stato allegato specificamente nel ricorso il passaggio del documento da cui specificamente si ricava la dichiarazione dello stato di detenzione del ricorrente, il Collegio non può che osservare come la dichiarazione rilevante ai sensi dell'art. 76, comma 4-bis, D.P.R. n. 115 del 2002 attiene alla presenza nel certificato penale di una condanna definitiva per uno dei reati di per sé capaci di produrre presuntivamente reddito (illecito) superiore a quello previsto come "tetto" per l'ammissione (come appunto l'associazione mafiosa, delitto in relazione al quale l'imputato è stato condannato) e per questo forieri di una presunzione normativa, di ostacolo all'ammissione al gratuito patrocinio e bisognevole di superamento attraverso un onere di prova in concreto circa le proprie condizioni di reddito da parte del ricorrente. Tale dichiarazione non è coincidente, quindi, con quella riferita allo stato di detenzione, pur eventualmente evocato dal dichiarante nella istanza oggetto del reato di falso, e la valenza di quest'ultima come "indicatore" di una mera "svista" del ricorrente nella compilazione del modulo è solo un'ipotesi benevola proposta dalla difesa. Quanto all'obiezione relativa al fatto che, nella disposizione dell'art. 79 del D.P.R. n. 115 del 2002, non sarebbe contemplata, tra i requisiti di contenuto dell'istanza di ammissione al gratuito patrocinio, la dichiarazione relativa all'assenza di precedenti penali che danno luogo alla presunzione di reddito ostativo all'ammissione al gratuito patrocinio, si evidenzia che la stessa disposizione dell'art. 79 richiama direttamente l'art. 76 del citato testo normativo, ai fini della corretta compilazione della dichiarazione sostitutiva attestante la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l'ammissione stessa. Le censure del ricorrente, quindi, sono infondate e non colgono il senso della disciplina normativa complessiva relativa al patrocinio a spese dello Stato, né incidono sulla presenza degli elementi che compongono il coefficiente soggettivo del reato di falso ideologico previsto dall'art. 483 cod. pen.
2.1. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato e, pertanto, inammissibile. La sentenza impugnata ha risposto al motivo d'appello, limitato alla sola questione relativa alla grossolanità del falso, nonché alla sua inoffensività perché non si è prodotto l'esito di ammissione del ricorrente al gratuito patrocinio. La risposta è stata fornita in termini soprattutto di decisa affermazione della gravità della condotta di reato complessivamente intesa rispetto anche alla finalità, giudicata evidentemente di specifica, negativa valenza, della falsa dichiarazione, funzionale a rendere inoperante la presunzione di legge sul superamento dei limiti di reddito e ad esonerare l'istante dall'onere probatorio derivante da tale presunzione.
3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.