L'azione del curatore fallimentare contro la società capogruppo si prescrive in 5 anni e il dies a quo del termine si individua al momento della costituzione in mora.
Il Giudice di seconde cure confermava la decisione del Tribunale, con la quale era stata respinta la domanda risarcitoria proposta dal Fallimento di una società ai sensi dell'
Svolgimento del processo
La Corte d'appello di Catanzaro con sentenza del 23 settembre 2016 ha confermato la decisione del Tribunale di Cosenza del 24 febbraio 2010, la quale, per quanto qui rileva, aveva respinto la domanda di risarcimento del danno proposta dal fallimento T. S.p.a. ex art. 2497 c.c. contro la F. S.p.a., proprio «socio di maggioranza nonché dominante», titolare dell'88,57% del capitale sociale nel periodo dal 13 marzo 2.003 al 26 novembre 2004, ritenendo l'azione prescritta. Avverso questa sentenza propone ricorso la procedura, affidato a due motivi, cui resiste con controricorso la F. S.p.a., la quale deposita altresì "note di udienza", in cui ha meramente ribadito la richiesta di rigetto del ricorso avverso. La ricorrente ha depositato la memoria.
Motivi della decisione
1. - La ricorrente propone avverso la sentenza impugnata due motivi di ricorso, che possono essere come di séguito riassunti: 1) violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2497, 2497- sexies e 2935 c.c., 112 c.p.c., in quanto F. S.p.a., nella veste di socia di maggioranza, non ha assunto le dovute deliberazioni a fronte della perdita del capitale sociale della controllata, in tal modo aggravando il dissesto della società, onde essa devi rispondere, ai sensi dell'art. 2497 c.c. per il danno cagionato ai creditori nell'esercizio dell'abusiva condotta di direzione e coordinamento della T. S.p.a.: se è vero che tale condotta non era fonte di risarcimento prima del 1° gennaio 2004, tuttavia la corte territoriale ha violato l'art. 112 c.p.c., omettendo considerare che la domanda non attiene ad un illecito istantaneo commesso da F. S.p.a. anteriormente a tale data, ma ad un illecito permanente, risultando quindi la prescrizione interrotta dall'atto di costituzione in mora, notificato dalla procedura il 18 ottobre 2008; 2) violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2497, 2497- sexies e 2935 c.c., 3 I. 3 aprile 1979, n. 95, in quanto, essendo stata introdotta dal legislatore, con la riforma del diritto societario, l'azione dei creditori contro la società controllante a decorrere dal 1° gennaio 2004, mediante il nuovo art. 2497 c.c., solo da tale momento avrebbe potuto decorrere il termine di prescrizione dell'azione, onde esso non era trascorso al momento della predetta costituzione in mora.
2. - I due motivi possono essere trattati congiuntamente, ponendo la medesima questione, e sono infondati.
2.1. - La corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha ritenuto - condividendo in toto le conclusioni del primo giudice - che l'azione proposta dalla procedura sia volta a far valere la responsabilità per il pregiudizio arrecato alla massa dei creditori, in forza dell'attività illegittima della capogruppo, azione che ha natura extracontrattuale ex art. 2043 c.c., con conseguente prescrizione quinquennale. Non ha accolto la tesi dell'esistenza di una simile azione solo dal 1° gennaio 2004, in quanto essa comunque scaturiva dall'art. 2043 c.c., per il generale principio di responsabilità da abuso di direzione unitaria. Ha, infine, ritenuto che non fosse stata esercitata dalla procedura l'azione di responsabilità per i danni cagionati alla stessa società eterodiretta (pag. 19).
2.2. - Mentre quest'ultima affermazione non è dal ricorso censurata, la ricorrente si duole, invece, dell'individuazione nel sistema di un'azione per conto della massa, che il curatore avrebbe potuto esercitare contro la capogruppo, in forza della clausola generale dell'art. 2043 c.c., prima dell'entrata in vigore degli artt. 2497 ss. c.c., introdotti dalla riforma del diritto societario di cui al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6. Tuttavia, è corretta la ritenuta esistenza, in capo alla capogruppo che abusi dei diritti del socio e verso il ceto creditorio, di una responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società, che il curato1·e aveva facoltà di esercitare per conto della massa. Da un lato, con l'art. 146 l.f., il curatore esercita sia l'azione sociale di responsabilità che sarebbe stata esperibile dalla medesima società, se ancora in bonis, nei confronti del proprio amministratore ai sensi dell'art. 2393 c.c., sia l'azione che, ai sensi dell'art. 2394 c.c., sarebbe spettata contro gli amministratori ai creditori sociali, danneggiati dall'incapienza del patrimonio della società debitrice. E, anche se la norma riguarda le azioni nei confronti degli amministratori e sindaci della società fallita, la sua funzione di tutela dell'interesse della massa dei creditori sociali all21 integrità del patrimonio sociale avrebbe legittimato il curatore anche al promovimento della generale azione di responsabilità extracontrattuale, della quale quella prevista dall'art. 2394 c.c. non è che una specificazione. Del pari, anche prima dell'introduzione nell'ordinamento degli artt. 2497 ss. c.c., la tutela del ceto creditorio della società eterodiretta, che avesse visto diminuito il patrimonio di questa a cagione dell'attività di abuso di direzione e coordinamento della capogruppo, avrebbe potuto passare per la clausola generale del neminem laedere. La nozione di controllo societario era, dal suo canto, nota (art. 2359 c.c.). Come nell'azione ex artt. 2394-bis c.c. e 146 l.f. contro gli amministratori, così nell'azione ex art. 2043 c.c. contro la capogruppo il curatore non avrebbe fatto valere, invero, il danno subìto dai creditori nella propria sfera individuale, quale conseguenza immediata e diretta del comportamento denunciato, ma i danni che avessero colpito il ceto creditorio nel suo insieme. In tal senso, questa Corte ha chiarito, in diversa vicenda concreta, che il curatore fallimentare, in caso di illecita nuova finanza o di mantenimento dei contratti in corso, è legittimato ad agire contro la banca per la concessione abusiva del credito che abbia cagionato una diminuzione del patrimonio del soggetto fallito, sia per il danno diretto all'impresa conseguito al finanziamento, sia per il pregiudizio all'intero ceto creditorio a causa della perdita della garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c. (cfr. Cass. 30 giugno 2021, n. 18610). Il pregiudizio ai creditori, ai sensi dell'art. 2497, comma 1, c.c., è quello all'interesse, che loro pertiene, strumentale alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale della propria debitrice, quale presupposto per favorire il buon esito del proprio credito. In tal senso, "danno" per i creditori è il non poter essere pagati, a cagione del pregiudizio all'integrità del patrimonio sociale, causato dalla capogruppo. All'art. 2497 c.c., laddove menziona il necessario rispetto, ad opera della capogruppo, dei «principi di corretta gestione societaria e imprenditoria/e delle società», può ricondursi il principio onde è imposto ad essa di preservare l'equilibrio finanziario dell'impresa e l'integrità del suo patrimonio, a tutela del ceto dei creditori, volontari ed involontari, dell'impresa stessa, e quello che impone di gestire l'impresa in maniera tale da salvaguardarne la capacità di esistenza autonoma in un contesto di mercato concorrenziale. Ma, appunto, simili condotte illecite ben avrebbero potuto essere ricondotte alla clausola generale dell'illecito aquiliano, da parte del terzo creditore, che avesse visto pregiudicata la possibilità di adempimento del suo debitore. Ne deriva che, nella specie, il dies a quo del termine prescrizionale è stato correttamente individuato dal giudice del merito, con conseguente suo decorso al momento della costituzione in mora.
2.3. - Quanto all'azione da parte della società eterodiretta, la T. S.p.a., ed al suo esperimento da parte del fallimento, al riguardo il ricorso, come detto, non svolge censure.
3. - Le spese di lite seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrenti: al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente, liquidate in € 5.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15% sui compensi ed agli accessori, come per legge; compensa per intero le spese tra i ricorrenti principali ed incidentali. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.