L'art. 142 l.f. richiede quale requisito per accedere al beneficio la parziale soddisfazione dei creditori concorsuali. Con l'ordinanza in commento, la Cassazione afferma un principio di diritto proprio su tale tema, precisando quando il soddisfacimento può dirsi irrisorio.
L'odierno ricorrente chiedeva di essere ammesso al beneficio della esdebitazione dai debiti residui di due procedure fallimentari che lo avevano visto coinvolto nelle vesti di socio illimitatamente responsabile.
Il Tribunale di Mantova respingeva la richiesta, così come la Corte d'Appello, dunque il medesimo si rivolge alla Corte di Cassazione lamentando, tra i diversi motivi, il...
Svolgimento del processo
A.L. ha chiesto di essere ammesso al beneficio della esdebitazione dai debiti residui di due procedure fallimentari (la n. 67/2005 e la n. 69/2005), che lo hanno coinvolto quale socio illimitatamente responsabile di altrettante società di persone, la E. L.P. di L.A. s.n.c. e la G. di L.A. & c. s.n.c. L’adito tribunale di Mantova ha respinto la sua domanda, motivando la decisione col fatto che la prima procedura (n. 67/2005) era stata chiusa l’11-2-2016, e che rispetto a tale termine l’istanza era stata proposta oltre l’anno. Il reclamo del L. è stato a sua volta respinto dalla corte d’appello di Brescia e avverso la relativa decisione è ora proposto ricorso per cassazione in tre motivi. Gli intimati non hanno svolto difese.
Motivi della decisione
I. - Col primo mezzo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 118, n. 4, 142 e 143 legge fall., per non avere la corte d’appello considerato, nel confermare la tardività della domanda di esdebitazione, che per il fallimento quale socio della E. L. non era stato adottato un formale provvedimento di chiusura. Il motivo è inammissibile. Secondo l’art. 118 legge fall. la chiusura della procedura di fallimento della società nei casi di cui ai numeri 1) e 2) determina anche la chiusura della procedura estesa ai soci ai sensi dell’art. 147, salvo che nei confronti del socio non sia stata aperta una procedura di fallimento come imprenditore individuale. Rispetto alla procedura che interessa ai fini dell’odierna prima censura (la n. 67 del 2005) non risulta, in prospettiva di autosufficienza, a quale tra i casi stabiliti dall’art. 118 sia conseguita la chiusura del fallimento sociale. Non rileva l’affermazione resa dalla corte d’appello implicitamente allusiva della chiusura per ripartizione finale dell’attivo (art. 118, n. 3, legge fall.), perché svolta a proposito dell’altra procedura fallimentare, la n. 69/2005. Il punto è, invece, che dal decreto impugnato emerge che già il tribunale aveva affermato che la domanda di esdebitazione, relativamente alla procedura n. 67/2005, era tardiva perché il fallimento era stato chiuso in data 11-2- 2016. E ciò a fronte dell’istanza proposta da L. il 22-9- 2017. Avverso la specifica indicazione della data di chiusura del fallimento non risulta che siano state prospettate censure dinanzi alla corte d’appello; il che è sintomo inequivoco dell’essere stata, quella indicazione, intesa dallo stesso reclamante come coinvolgente pure il fallimento individuale. Difatti dal decreto si evince che l’istante aveva affidato le sue doglianze al ben diverso assunto per cui la domanda, proposta il 22-9-2017, avrebbe dovuto considerarsi tempestiva in ragione (semplicemente) della perdurante sua condizione di fallito nella seconda procedura (la n. 69/2015), così da doversi computare il termine solo a far data dalla chiusura del fallimento della diversa società G.. Insomma, il primo motivo di ricorso prospetta una questione di fatto che per un verso è nuova, poiché non specificamente dedotta in sede di reclamo, e che per altro verso è comunque indimostrata nel presupposto, relativo alla effettiva ragione di chiusura del fallimento sociale. A fronte di tanto, è dirimente che il termine annuale per la presentazione della domanda di esdebitazione, ex art. 143 l.fall., va pacificamente considerato come previsto a pena di decadenza (v. Cass. n. 1070-21).
II. – Col secondo mezzo è dedotta la violazione o falsa applicazione delle suddette medesime norme per la ritenuta (dalla corte d’appello) incompatibilità delle due domande esdebitatorie per difetto del requisito della concessione del beneficio nel decennio antecedente la domanda, con conseguente ammissibilità della domanda esdebitatoria del socio anche in pendenza di altra procedura fallimentare. Il motivo è per le ragioni che seguono in parte inammissibile e in parte infondato.
III. - Nella prima parte esso allude a quanto dalla corte territoriale sostenuto mediante l’affermazione che “la tesi della reclamante è volta, sostanzialmente, a superare la condizione prevista dall’art. 142 primo comma n. 4 l.f.”, perché tale norma “prevede quale condizione perché venga concessa la esdebitazione che il fallito non abbia beneficiato di altra esdebitazione dei dieci anni precedenti la richiesta”. Per questa parte il motivo è inammissibile, perché la riportata affermazione non integra una ratio decidendi, quanto piuttosto un semplice argomento speso dalla corte del merito per rafforzare la tesi unicamente manifestata, che attiene alla intempestività della domanda decorso l’anno dalla chiusura della prima procedura. Nella seconda parte il motivo assume, invece, che il termine in ogni caso non doveva decorre, non essendo ancora avvenuta la chiusura del secondo fallimento, nel quale egli stesso era stato ulteriormente coinvolto sempre quale socio illimitatamente responsabile. Per questa parte il motivo è infondato.
IV. - L’art. 143 legge fall. prevede che l’esdebitazione possa essere accordata “con il decreto di chiusura del fallimento o su ricorso del debitore presentato entro l’anno successivo”. In tal modo rende palese che la domanda di esdebitazione deve essere temporalmente parametrata alla sola circostanza della avvenuta chiusura dello specifico fallimento in relazione al quale la persona fisica intende invocare il beneficio. E questo è ovvio perché l’esdebitazione consiste nel beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti in quel fallimento. Il principio di diritto che governa la fattispecie va dunque affermato nel senso appena esposto. E in base a tale principio è esatto il rilievo della corte bresciana secondo il quale nessuna incidenza sul termine decadenziale poteva discendere dalla eventuale pendenza di altra procedura fallimentare coinvolgente la medesima persona fisica.
V. – Col terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 142 legge fall. in ordine alla condizione di soddisfacimento, almeno parziale, dei creditori concorsuali relativi al fallimento della G. di L.A. & c. s.n.c., desunto dalla irrisorietà della percentuale relativa ai crediti privilegiati, soddisfatti al 13,89 %. Il motivo è fondato.
VI. - La corte d’appello di Brescia ha ritenuto dirimente, onde disattendere la domanda di esdebitazione relativa al fallimento n. 69/2005, che in questo la valutazione ponderata della percentuale di pagamento in concreto realizzata (13,89 % dei privilegiati) fosse tale da non integrare il requisito della “parziale soddisfazione” dei creditori concorsuali. Ha spiegato le sue ragioni semplicemente osservando che il totale dei creditori insinuati ammontava a 2.954.494,25 EUR in privilegio e 5.826.698,27 EUR in chirografo, per un totale insinuato pari a 8.781.102,62 EUR, e che la misura del 13,89 %, entro la quale avevano trovato soddisfacimento i soli privilegiati, era dunque irrisoria rispetto al passivo nel suo complesso.
VII. – L’affermazione non soddisfa l’onere motivazionale e non si armonizza con la giurisprudenza di questa Corte. In tema di esdebitazione, il beneficio della inesigibilità verso il fallito persona fisica dei debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti richiede, ai sensi dell'art. 142, comma secondo, legge fall., che vi sia stato il soddisfacimento, almeno parziale, dei creditori concorsuali. Tale condizione si intende realizzata, in un'interpretazione costituzionalmente orientata e coerente con il favor per l'istituto già formulato dalla legge delegante (art. 1, comma 6, lett. a), n. 13 della legge 14 maggio 2005, n. 80), anche quando taluni di essi non siano stati pagati affatto. E’ invero sufficiente che, con i riparti almeno per una parte dei debiti esistenti, oggettivamente intesi, sia consentita al giudice del merito, secondo il suo prudente apprezzamento, una valutazione comparativa di tale consistenza rispetto a quanto complessivamente dovuto (Cass. Sez. U n. 24214-11). Tale generale principio va portato a compimento nel senso che la valutazione del presupposto (per il quale tale beneficio non può essere concesso "qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali"), pur rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, deve essere operata tuttavia secondo un'interpretazione coerente con il favor debitoris che ispira la norma: cosicché, ove ricorrano i presupposti di cui al primo comma dell’art. 142, il beneficio dell'esdebitazione deve essere concesso a meno che i creditori siano rimasti totalmente insoddisfatti o siano stati soddisfatti in percentuale “affatto irrisoria” (cfr. già Cass. n. 7550-18).
VIII. - Ora, considerato che dalle stesse Sezioni unite viene il principio (d’altronde condiviso dalla corte d’appello bresciana) che reputa irrilevante la circostanza che il soddisfacimento parziale attenga solo a una delle categorie di creditori (i privilegiati), non può affermarsi – così genericamente, come fatto dalla corte territoriale – che sia irrisoria, in rapporto al passivo nel suo complesso, la percentuale di soddisfacimento del 13,89 % a essa categoria riferibile. A una simile percentuale non è difatti pertinente associare in sé e per sé il concetto di completa irrisorietà, neppure in base alla presa a parametro dell’intero passivo. Per contro va affermato il principio secondo cui, in tema di esdebitazione, la definizione di soddisfacimento irrisorio resta parametrata a percentuali minime e in effetti tali da considerarsi irrilevanti, per modo da poter esser ritenuta dal giudice del merito solo ove il concreto soddisfacimento, tenuto conto di tutte le risultanze della procedura, non sia tale da rappresentare il concetto neppure parzialmente.
IX. – In conclusione, il ricorso va accolto in relazione al terzo motivo. Il decreto va cassato con rinvio alla corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, affinché rinnovi l’esame uniformandosi al principio sopra indicato. La corte d’appello provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il primo e rigetta il secondo; cassa il provvedimento impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia alla corte d’appello di Brescia anche per le spese del giudizio di cassazione.