Principio della presunzione di innocenza, condizioni affinché possa dirsi esistente una pratica concordata tra imprese e processo di valutazione delle prove indiziarie: questi i temi oggetto della sentenza del Consiglio di Stato.
Con la sentenza n. 3570 del 9 maggio 2022, il Consiglio di Stato ha espresso importanti affermazioni in materia di concorrenza e di sanzioni aventi natura punitivo-afflittivo che di seguito si riportano:
- Il principio della presunzione d'innocenza, sancito dall'articolo 48, paragrafo 1, della CEDU, si applica alle procedure suscettibili di concludersi con sanzioni afflittive pesanti; tale presunzione implica che ove sussista un dubbio nella mente del giudice, esso deve andare a beneficio dell'impresa destinataria della decisione che constata un'infrazione. Il principio della presunzione di innocenza non osta però all'applicazione di presunzioni relative, le quali consentono di trarre una determinata conclusione in base a massime di esperienza. Il ricorso alle presunzioni si collega all'esigenza di assicurare l'effetto utile del diritto europeo della concorrenza, considerando che in assenza delle stesse la prova dell'infrazione potrebbe risultare difficile o impossibile. Per le stesse ragioni, la prova delle intese restrittive della concorrenza può fondarsi su un compendio probatorio di natura indiziaria, oppure su un complesso di prove esclusivamente indirette, purché esse possano essere significative come una prova rappresentativa;
- In materia di intese restrittive della concorrenza, la nozione di pratica concordata per «oggetto» necessita del soddisfacimento di tre condizioni: la prima è una concertazione tra le imprese interessate; la seconda, una condotta sul mercato che dia seguito a tale concertazione; la terza è costituita da un nesso causale tra concertazione e comportamento sul mercato, senza che tale comportamento si ripercuota in una restrizione della concorrenza. Alla luce di ciò: a) quando l'Autorità ha fornito la prova della sussistenza di un accordo dal carattere manifestamente anticoncorrenziale, spetta alle imprese partecipanti fornire la prova di essersene dissociate e portarla a conoscenza delle altre imprese; b) nel caso in cui l'Autorità fornisca solo la prova di un comportamento economico “anomalo” è consentito presumere l'esistenza di una concertazione ponendo a carico delle imprese l'onere di addurre una spiegazione alternativa e plausibile della condotta addebitata;
- Sempre in materia di intese restrittive, la valutazione circa la prova indiziaria va scomposta in due stadi: 1) apprezzare la valenza qualitativa del singolo indizio allo scopo di eliminare gli elementi che sembrano semplici illazioni ovvero supposizioni arbitrarie, così come vanno eliminate le presunzioni di secondo grado; 2) esaminare tutti gli indizi così raccolti per accertare se gli stessi, una volta integrati, siano tali da dissolvere la loro intrinseca ambiguità, utilizzando i canoni della gravità, precisione e concordanza. Terminata l'attività conoscitiva, l'ipotesi accusatoria può ritenersi avere attinto la “certezza processuale” solo quando risulti l'unica in grado di giustificare i diversi elementi probatori raccolti oppure la più attendibile rispetto alle altre astrattamente possibili.
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza (ud. 20 gennaio e 16 marzo 2022) 9 maggio 2022, n. 3570
Svolgimento del processo
1.¿ Con il bando pubblicato il 19 marzo 2014, la CONSIP s.p.a. (di seguito: ‘CONSIP’) ha indetto una procedura aperta per la stipula di convenzioni quadro per l’erogazione, su tutto il territorio nazionale, dei servizi di ‘facility management’ (di seguito: ‘gara FM4’) presso uffici pubblici e immobili di enti universitari e di ricerca, «per l’affidamento di servizi integrati, gestionali ed operativi, da eseguirsi negli immobili adibiti prevalentemente ad uso ufficio, in uso a qualsiasi titolo alle Pubbliche Amministrazioni, nonché negli immobili in uso a qualsiasi titolo alle istituzioni Universitarie Pubbliche ed ali Enti ed Istituzioni di Ricerca – ID1299», con termine di scadenza per la presentazione delle domande in data 7 luglio 2014.
L’affidamento riguardava non la diretta prestazione dei servizi, bensì l’obbligo di stipulare una convenzione quadro in base alla quale l’aggiudicatario di ciascun lotto si impegnava a prestare in favore delle amministrazioni pubbliche richiedenti i servizi, in forza di specifici ordinativi di fornitura, cui valore complessivo era pari a 2,7 miliardi di euro.
Il bando contemplava 18 lotti geografici (14 ordinari e 4 accessori: questi ultimi attivabili in caso di esaurimento dei massimali dei singoli lotti ordinari o di scadenza temporale della loro Convenzione di aggiudicazione), suddivisi su base provinciale, eccetto che per il caso della città di Roma, che ciascun concorrente poteva aggiudicarsi (con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa) entro un massimo di quattro, tre ordinari e uno accessorio.
Alla gara partecipavano circa 280 imprese, nella maggior parte dei casi raggruppate in associazioni temporanee di impresa (ATI) o consorzi, in modo da ridurre nella sostanza il numero di concorrenti a 23, confluiti infine in 6 macro-raggruppamenti, per l’assegnazione di un totale di 18 lotti geografici (14 ordinari e 4 accessori), e segnatamente:
- C.N.S. (di seguito: ‘CNS’), mandataria, in ATI con K. s.r.l. in liquidazione (di seguito: ‘K.’) ed E. s.p.a. del gruppo SS. s.p.a.;
- M.F.M. (di seguito: ‘M.) singolarmente;
- M.S.C. per i Servizi Integrati per Azioni, consorzio S. (di seguito: ‘M.), singolarmente;
- R.G. s.p.a. (di seguito ‘R.), mandataria in ATI con il C.S.R. 2010;
- E.S. s.p.a., già C. s.p.a. (di seguito ‘C.), mandataria in ATI con C.S.E. a r.l. (di seguito: ‘C.’) e quattro imprese di pulizia;
- D. (mandataria) in ATI con S..
1.1.¿ In ordine alla citata procedura, l’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato, (di seguito: «Autorità»), avviava un procedimento istruttorio (I/808) con la delibera del 27 marzo 2017, poi esteso soggettivamente con le delibere del 22 novembre 2017 e 18 aprile 2018.
Il termine del procedimento veniva prorogato prima al 31 dicembre 2018 e, successivamente, nelle date del 20 settembre 2018, 19 dicembre 2018 e 6 febbraio 2019, il termine veniva ulteriormente prorogato, rispettivamente, al 15 febbraio, al 31 marzo e al 20 aprile 2019.
In data 12 dicembre 2018, veniva notificata alle parti del procedimento la Comunicazione delle Risultanze Istruttorie (CRI).
1.2.¿ Nel marzo 2016, CNS (che nel luglio 2015 aveva completamente rIN.to il proprio management), prima dell’apertura delle buste contenenti le offerte economiche, si ritirava dalla gara e, in data 8 giugno 2017, presentava, ai sensi dell’articolo 15 della legge n. 287 del 1990, domanda di clemenza, con la quale ammetteva (ricevendo in cambio il beneficio di una riduzione della sanzione pari al 50%) l’esistenza di una intesa restrittiva della concorrenza in violazione dell’art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), avente ad oggetto il condizionamento, in senso anticompetitivo, della gara FM4, producendo, oltre alle dichiarazioni orali, documentazione a supporto dei fatti oggetto della domanda stessa.
Ai fini dell’accertamento dell’illecito, l’Autorità si avvaleva della documentazione acquisita agli atti del procedimento penale aperto presso la Procura della Repubblica di Roma, per ipotesi di reato connesse alla gara FM4.
1.3.¿ Al termine della istruttoria, l’Autorità, con provvedimento prot. n. 27646 del 17 aprile 2019, ha ritenuto comprovata, in relazione alla gara FM4, l’esistenza di una intesa orizzontale, restrittiva per oggetto e segreta, attuata principalmente nella forma di pratiche concordate tra i principali operatori nazionali nel settore del facility management, finalizzate a ridurre o eliminare ogni incertezza in merito alle strategie di partecipazione e di offerta per tale gara, con l’obiettivo di giungere ad una spartizione dei 18 lotti in cui essa era suddivisa.
La concertazione avrebbe riguardato la ripartizione dei lotti di gara tra cinque compagini.
In particolare, CNS (in ATI con E. e K.), MFM, M. e R., attraverso una partecipazione alla gara secondo una «modalità a scacchiera», si sarebbero aggiudicate i lotti di rispettivo interesse, nella migliore combinazione possibile tra lotti ordinari e lotti accessori consentita dalla disciplina di gara.
In questa intesa si sarebbe poi inserita l’ATI C.-C., le cui offerte, secondo l’Autorità, «pur uscendo dallo schema delle offerte a scacchiera sopra visto, si inseriscono appieno nel disegno collusivo. In particolare grazie al gruppo SS., l’ATI C.-C. nello sviluppo della intesa riesce ad arrivare prima in graduatoria nel lotto 10 di Roma Centro, in sostituzione di R., all’insaputa di quest’ultimo, e nel lotto 8. Si tratta, in quest’ultimo caso, dell’unico lotto in cui l’ATI C.-C. ha presentato offerta in sovrapposizione con l’altra ATI del gruppo SS. (l’ATI CNS-E.-K.) e del lotto di minore importo in assoluto, che l’ATI CNS avrebbe comunque dovuto cedere anche laddove fosse arrivata prima in graduatoria (per via delle previsioni della lex specialis)».
L’illecito si sarebbe realizzato anche attraverso un utilizzo distorto del raggruppamento temporaneo d’imprese, degli affidamenti in subappalto e dello strumento consortile.
Il quadro probatorio non avrebbe, invece, fornito sufficienti evidenze atte ad includere nel disegno collusivo anche le società D. e S. (e le rispettive imprese controllanti). Infatti, per i membri di tale ATI non sarebbero stati riscontrati significativi elementi probatori sotto il profilo esogeno. Essa, infatti, avrebbe presentato offerta per un numero elevato di lotti (undici), sovrapponendosi così in misura significativa con tutte le altre Parti, e avrebbe offerto ribassi che non presenterebbero particolari anomalie nel raffronto tra i vari lotti.
1.4.¿ L’Autorità ha ritenuto indici della sussistenza di una intesa, alcune anomalìe, quali:
(i) la partecipazione, di ognuna delle parti, ad un numero limitato di offerte;
(ii) la sostanziale assenza di sovrapposizioni tra le Parti nei vari lotti, con presentazione di offerte economiche estremamente aggressive;
(iii) un risultato finale che si sostanzia nella ripartizione di tutti i lotti tra tutti i principali operatori del facility management in Italia, in particolare mediante un “meccanismo a scacchiera” delineato tra i maggiori players dotati del maggior grado di incumbency, e cioè CNS, MFMF (ora R.), M. e R., oltre che dalla ATI C.-C..
L’esistenza della intesa sarebbe, inoltre, comprovata da alcuni elementi di natura “esogena”, in particolare:
a) un “bigliettino rosa”, consegnato dal CNS nell’ambito del programma di leniency, scritto il 12 giugno 2017 da colui che all’epoca era il Direttore commerciale del CNS, sul quale sarebbero stati vergati a mano i nominativi di persone fisiche che, in qualità di rappresentante di alcune delle Parti, avrebbero partecipato ad un incontro relativo alla gara FM4;
b) quattro mail, prodotte sempre dal CNS, che vedevano destinatari il CNS, R. (allora M.F.M.), M., R., C., S., E. e SS., tre delle quali comproverebbero che le Parti si sono incontrate nel 2013 per discutere dei bandi-tipo relativi alle gare di facility management;
c) uno scambio di mail del 30 giugno 2014, reperito in occasione di una ispezione presso la sede di R., in cui si allude ad una “riunione con i concorrenti”, nella quale le Parti avrebbero discusso dei ribassi medi da indicare nelle offerte economiche;
d) alcuni stralci di intercettazioni telefoniche, effettuate su ordine della Procura della Repubblica del Tribunale di Roma e ritualmente acquisite al fascicolo del procedimento penale.
1.5.¿ Venivano quindi irrogate le seguenti sanzioni: C. € 2.138.595,46; C. € 38.226.562,50; E. € 2.815.853,90; K. € 4.469.500,00; MFM € 91.612.653,90; M. € 33,396,928,71; R. € 21.917.673,35; CNS € 39.797.288,10; per un totale di € 234.375.055,91.
2.¿ Il provvedimento prot. n. 27646 del 17 aprile 2019 veniva impugnato per svariati motivi da tutte le parti della contestata intesa.
2.1.¿ Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio ¿ con sentenze n. 8774 del 2020, n. 8769 del 2020, n. 8777 del 2020, n. 8776 del 2020, n. 8775 del 2020, n. 8779 del 2020, n. 8778 del 2020¿ ha accolto i ricorsi promossi rispettivamente da K. s.r.l. in liquidazione, E. s.p.a., R. S.p.A., M. s.p.a., M. S.C.P.A., R. Partecipazioni s.p.a., R.G. s.p.a., limitatamente alla quantificazione della sanzione.
Il giudice di prime cure, in particolare, ha fissato i seguenti parametri per la rideterminazione della sanzione da irrogare: applicazione di una percentuale, ai sensi dell’art. 11 delle Linee guida, del coefficiente di gravità nella misura del 15%; sottrazione dell’“entry fee” del 15% dall’importo base della sanzione come sopra rideterminato.
2.2.¿ Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio ¿ con sentenze n. 8768 del 2020, n. 8767 del 2020, n. 8765 del 2020 ¿ ha invece accolto integralmente i ricorsi proposti rispettivamente da E.S. s.p.a., E.E.S. Sa, Consorzio C., annullando in parte qua il provvedimento sanzionatorio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato prot. n. 27646, del 17 aprile 2019.
3. – Le società K., E., M., R. e R. hanno impugnato le sentenze n. 8774 del 2020, n. 8769 del 2020, n. 8777 del 2020, n. 8776 del 2020, n. 8775 del 2020, n. 8779 del 2020, n. 8778 del 2020, che hanno confermato il quadro accusatorio dell’Autorità, sia pure riducendo l’importo delle sanzioni.
Le censure sollevate, in buona parte sovrapponibili, possono essere così sintetizzate.
3.1.¿ Le Società ripropongono, in primo luogo, il seguente vizio di carattere procedimentale. Il Collegio dell’Autorità che ha adottato l’atto impugnato sarebbe risultato illegittimamente composto da due soli componenti, uno dei quali facente funzioni del Presidente (vacante al momento in cui la sanzione è stata irrogata).
Le regole di composizione e funzionamento dell’organo che ha deliberato la sanzione e, in particolare, gli articoli 6 e 7, comma 1, del Regolamento concernente l’organizzazione e il funzionamento dell’Autorità, sarebbero illegittimi nella parte in cui, rispettivamente, prevedono il quorum costitutivo di due componenti anche ai fini della costituzione del Collegio, e non prevedono che la regola della prevalenza del voto presidenziale non si applichi al caso in cui il Collegio si trovi a deliberare con due soli componenti (dimodoché la regola del voto doppio equivarrebbe a trasformare organo da collegiale in monocratico), per contrasto con l’art. 23, comma 2, del decreto-legge n. 201 del 2011, come convertito dalla legge n. 214 del 2011. Tale disposizione, relativa a tutti gli organismi indipendenti, non prevedrebbe affatto che la regola del voto doppio si applichi anche nel caso di mancata regolare costituzione dell’organo, bensì si limiterebbe a stabilire un mero quorum deliberativo, peraltro applicabile solo nel caso in cui uno dei due votanti sia il Presidente effettivo e non il componente anziano facente funzioni.
In subordine, le appellanti sostengono che sia rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dello stesso art. 23, comma 2, del decreto-legge n. 201 del 2011, nella parte in cui (ovvero: se interpretato nel senso che) non prevede che la regola della prevalenza del voto presidenziale non si applichi ai casi in cui il collegio si trovi a deliberare con 2 componenti, per contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, nonché in riferimento agli artt. 117, comma 1, Cost., 298 del TFUE, e 4 della Direttiva 2019/1, 6 della CEDU.
Se del caso, chiedono la rimessione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea della questione di interpretazione pregiudiziale, ai sensi dell’art. 267 del TFUE, dell’art. 35 del Regolamento CE n. 1 del 2003 e dell’art. 298 TFUE, per conoscere se tali disposizioni ostino all’applicazione di normativa nazionale che attribuisca ad una Autorità indipendente, per legge connotata dal carattere di collegialità, il potere di pronunciare in difetto di costituzione del collegio a causa della mancata nomina del Presidente, per di più con attribuzione di voto doppio al componente anziano.
3.2.¿ Ulteriori censure sono incentrate sulla violazione del diritto di difesa.
a) Viene dedotta l’illegittimità del provvedimento impugnato per tardività della contestazione, in violazione dell’art. 14 della legge n. 689 del 1991, della disciplina recata dal d.P.R. n. 217 del 1998, degli artt. 6 della CEDU e 41 della Carta di Nizza. Il termine per la contestazione sarebbe stato palesemente violato, perché l’Autorità, pur avendo ricevuto da R. il 13 aprile 2016 un esposto in cui era stata fornita una dettagliata descrizione del presunto schema collusivo, avrebbe atteso circa un anno per avviare l’istruttoria (avviata solo il successivo 21 marzo 17). L’esposto di R., infatti, concerneva anche la gara FM4 ed evidenziava già i principali elementi poi contenuti nell’avvio, ed in particolare: l’esistenza di un “cartello permanente” riguardante pressoché tutte le Parti; l’assenza di sovrapposizioni tra i vari player nei diversi lotti; il ruolo centrale del gruppo SS., presente in svariate compagini (circostanza poi particolarmente valorizzata nel Provvedimento). In questo quadro, le informazioni trasmesse da CONSIP a seguito della richiesta dell’Autorità (in data 20 gennaio 2017), pur avendo ampliato il corredo informativo a disposizione dell’Autorità, non sarebbero essenziali per l’avvio, che è largamente incentrato sull’assenza di sovrapposizioni e sui legami esistenti tra le Parti, ovverosia sugli stessi fatti già denunciati da R. nel 2016.
b) Sotto altro profilo, lamentano il difetto di istruttoria e la lesione del diritto alla difesa a causa delle continue modifiche, operate dall’Autorità nel corso del procedimento, del perimetro oggettivo dell’istruttoria. In particolare, vi sarebbe stata una continua ed incerta riparametrazione dell’estensione dell’istruttoria, dapprima circoscritta alla sola gara CONSIP FM4, poi ampliata anche alle gare CONSIP MIES2 e SIE3 e, quindi, ricondotta nuovamente alla sola gara FM4 nella CRI, in cui tuttavia sarebbero restati i riferimenti ad ulteriori e distinte gare, idonei a fornire «elementi di contesto», in quanto – a parere dell’Autorità – utilizzate dalle Parti del procedimento per presunte e mai dimostrate compensazioni. Se fossero stati ritenuti idonei dall’Autorità a supportare l’esistenza di presunti accordi di compensazione connessi agli esiti della gara FM4, ciascuna di tali gare avrebbe dovuto formare oggetto di specifiche contestazioni nella CRI e in esito al procedimento. La mancata estensione dell’oggetto delle contestazioni anche a tali gare determinerebbe l’inutilizzabilità assoluta di suddetti elementi a supporto delle conclusioni cui perviene l’Autorità, pena la violazione dei principi in materia di diritto di difesa, giusto procedimento e contraddittorio.
c) L’Autorità avrebbe selezionato all’interno del fascicolo penale i soli elementi che, a suo avviso, fornivano evidenze a carico delle Parti, omettendo di includere altresì gli elementi a discarico, pure presenti nel medesimo fascicolo. Un simile modus procedendi da un lato, sarebbe contrario all’art. 6 CEDU, applicabile al procedimento antitrust, che imporrebbe «all’autorità procedente di rendere accessibili alla difesa tutti gli elementi di prova raccolti, che siano essi a favore o contro di essa» (citano a tal fine, la sentenza Rowe and Davis v. the United Kingdom, 28901/95 § 60).
3.3.¿ Nel merito, le Società appellanti ¿ ciascuno in relazione alla propria specifica posizione ¿ contestano l’impianto accusatorio dell’Autorità, argomentando diffusamente l’inesistenza delle condotte ad essa ascritte e rimarcandone plurime incongruenze, lacune e contraddizioni.
Quanto agli elementi ‘esogeni’: le dichiarazioni e la documentazione fornita dal CNS sarebbero in realtà del tutto inattendibili ed inidonei a provare un comportamento collusivo delle parti e dagli stessi non emergerebbero affatto contatti tra la Società e altre Parti finalizzati al coordinamento della gara.
Quanto agli elementi ‘endogeni’: le sentenze di primo grado avrebbero omesso qualsivoglia analisi delle spiegazioni alternative per cui le Società avrebbero ha deciso di partecipare alla gara con le modalità in concreto riscontrate, limitandosi a contrapporre alle stesse gli assiomi dell’Autorità. Le condotte tenute non presenterebbero alcuna anomalia, ma anzi si connoterebbero in termini analoghi a quelle tenute nelle precedenti edizioni della gara FM (che la stessa AGCM avrebbe ritenuto prive di qualsiasi carattere di anomalia).
Il quadro probatorio sarebbe tanto inconsistente da aver indotto lo stesso Tribunale Amministrativo ad accogliere, con la coeva sentenza del 27 luglio 2020 n. 8768, i motivi fatti valere in autonomo ricorso da una delle parti (ENGY), concernenti sia le prove esogene (con particolare riguardo a quelle asseritamente fornite dal CNS con la domanda di clemenza) sia quelle endogene.
3.4.¿ Un altro gruppo di censure ¿ sollevate da M.I. e R. Partecipazioni ¿ sono relative alla c.d. parental liability.
M.I. ¿ premesso di essere una delle consorziate indicate dal Consorzio M. per l’esecuzione in caso di aggiudicazione ¿ deduce di non avere svolto alcun ruolo, né nella scelta dei lotti per i quali presentare offerta, né per quanto concerne le scelte “strategiche” ed imprenditoriali, attività, anche statutariamente, riservate al Consorzio S.. Il Consorzio M. sarebbe infatti un consorzio S. che – anche a mente degli articoli 34 e 36 del d.lgs. n. 163 del 2006, applicabili ratione temporis – partecipa alle gare in proprio, ed è titolare dei contratti ad esso affidati, esegue le prestazioni in proprio, con la comune struttura d’impresa ovvero utilizzando le consorziate all’uopo indicate. Queste ultime, pertanto, non assumerebbero il ruolo di concorrenti né di titolari del contratto d’appalto, essendo coinvolte nella sola fase esecutiva successiva alla procedura di gara (nell’ambito della quale si collocherebbe la presunta intesa anticoncorrenziale). Su queste basi, sarebbe del tutto irrilevante la circostanza che M.I. detenga il 97% delle quote del Consorzio. Infatti anche ai sensi del regolamento consortile, la Consorziata non potrebbe determinare le scelte imprenditoriali e commerciali del consorzio che resterebbero invece riservate agli organi amministrativi del consorzio medesimo. Nessun rilievo potrebbe quindi avere il principio giurisprudenziale della cd. “Parental liability” erroneamente invocato dall’Autorità, in quanto riferito esclusivamente ai gruppi societari nei quali è possibile individuare una “società madre” ed una “società figlia”, non estensibile alla diversa fattispecie del consorzio S..
Anche R. Partecipazioni lamenta che il giudice di prime cure non avrebbe apprezzato i numerosi elementi e le evidenze rappresentate dall’appellante per dimostrare la sua totale estraneità all’intesa e la circostanza che non sussisterebbero profili di coordinamento tali per cui possa essere ad essa imputata la responsabilità solidale per l’infrazione asseritamente commessa dalla sua controllata R.G.. Alla luce della giurisprudenza europea, l’Autorità, avallata dai giudici di primo grado, non avrebbe potuto esimersi dall’esaminare gli elementi del caso di specie che dimostrino l’autonomia della controllata nella definizione delle proprie strategie ed il mancato esercizio di una influenza determinante da parte della controllante. In particolare, sarebbero state ignorate le seguenti specifiche controdeduzioni: - la circostanza che vi sia una condivisione di locali fisici non potrebbe di per sé rappresentare un elemento idoneo e sufficiente a dimostrare forme di commistione o ingerenza di R. PARTECIPAZIONI nella gestione e nelle scelte strategiche di R.G.; - l’affermazione che l’amministratore di R. PARTECIPAZIONI fosse la stessa persona fisica cui è riconducibile il gruppo R. è del tutto generica, in quanto l’Autorità avrebbe dovuto verificare in concreto se, ed in che misura, tale persona fisica aveva incarichi strategici nella R.G., o ancora se la stessa persona era concretamente in grado di impartire istruzioni relativamente alle scelte gestionali di R.G.; - alla data di presentazione delle offerte per la gara FM4 la controllante e la controllata erano state amministrate da persone fisiche differenti a riprova della non interferenza della R. Partecipazioni sulla controllata; - come comprovato dalla perizia depositata nel corso del procedimento istruttorio, tra le due società, al momento della presentazione delle offerte non sussisteva alcun effettivo esercizio di attività di direzione e coordinamento ai sensi dell’articolo 2497 e ss. c.c.; - il consulente incaricato (sulla scorta dell’esame dettagliato dei verbali e delle delibere dei consigli di amministrazione) ha ritenuto di poter ragionevolmente sostenere che, la R. Partecipazioni, per tutto il periodo temporale esaminato (ivi incluso il periodo della presentazione delle offerte per la gara FM4), non avrebbe posto in essere atti di indirizzo idonei ad incidere sulle scelte strategiche ed operative di carattere finanziario, industriale, commerciale che attengono alla conduzione degli affari sociali di R.G.. L’Autorità non avrebbe altresì considerato che R. Partecipazioni: - è una società finanziaria priva di struttura operativa, la cui attività principale è la gestione della partecipazione in R.G. e della rendita finanziaria che da essa deriva e le uniche altre partecipazioni detenute da R. Partecipazioni sono in società attive nei settori alberghiero e immobiliare; - non ha interessi diretti nel settore del facility management se non appunto per il tramite della partecipazione del 90% detenuta in R.G.; - non ha alcuna conoscenza dello specifico settore di riferimento; - pur detenendo rilevante partecipazione del capitale sociale della R.G., non controlla affatto le scelte strategiche della controllata, che sono assunte in piena autonomia da quest’ultima, né vi ha mai partecipato direttamente e/o indirettamente; - non riceve informazioni e non fornisce alcuna forma di istruzioni in merito ai prezzi e alle strategie di gara, né tantomeno vanta diritti di veto sulle decisioni commerciali strategiche assunte dalla R.G.; - le uniche informazioni assunte dalla R. Partecipazioni, infatti, avrebbero carattere meramente informativo e sono comunicate successivamente all’adozione della strategia di gara.
3.5.¿ Nel proprio appello E. insiste nell’affermare che i provvedimenti impugnati sarebbero illegittimi per essere stati adottati in violazione del principio di continuità economica a fronte: (i) dell’assenza dell’intento elusivo della normativa antitrust; (ii) dell’assenza di legami strutturali e funzionali tra E. e K. e sulla mancanza di etero-determinazione della prima sulla seconda; (iii) della violazione del principio di responsabilità personale, oltre che per difetto d’istruttoria e di motivazione.
3.6.¿ Un altro gruppo di censure riguarda invece la determinazione delle sanzioni, con riguardo a profili ulteriori rispetto a quelli già accolti dal giudice di prime cure (relativi, come si è detto, al coefficiente di gravità fissato dall’Autorità e alla c.d. entry fee).
i) L’interpretazione del limite edittale del 10% del fatturato come una ‘soglia di contenimento’ della sanzione, cui quest’ultima viene ricondotta solo al termine del processo di quantificazione, sarebbe illegittima, in quanto contrastante con i principi di proporzionalità e individualità. Tale approccio avrebbe determinato infatti l’irrogazione di sanzioni pari al 10% del fatturato per tutte le Parti, senza possibilità di commisurare la sanzione irrogata alla specifica condotta imputata nonché di modularla in funzione della minore o maggiore gravità e durata dell’illecito. Su queste basi, si dovrebbe interpretare l’art. 15 della legge n. 287 del 1990 in modo coerente con i summenzionati principi e conseguentemente annullare in parte qua le Linee Guida, oppure andrebbe rimessa alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale della stessa previsione di legge, affinché ne valuti la compatibilità con gli artt. 3 e 25 Cost, nonché con l’art. 97 Cost.
ii) Sarebbe poi illogico far coincidere il valore delle vendite per la quantificazione dell’importo base della sanzione, ai sensi del punto 18 delle Linee Guida, con l’importo dei lotti a base di gara, per i seguenti motivi.
Nella presente fattispecie si era in presenza di un’unica gara centralizzata in cui l’aggiudicatario sarebbe divenuto fornitore, non di una sola, ma di un numero potenzialmente indeterminato di amministrazioni. Posto che tale tetto di valore avrebbe potuto non essere raggiunto durante il periodo di convenzione, sarebbe del tutto sproporzionato assumere che questo valore possa rispecchiare in maniera certa e fedele il reale valore della gara. Ciò a maggior ragione con riguardo ai lotti accessori, atteso che il plafond di tali lotti poteva essere attivato solo nel caso di esaurimento del lotto principale.
Occorrerebbe anche considerare che l’appalto non era stato aggiudicato a nessuna delle Parti (M., in particolare, era stato definitivamente escluso dalla gara in quanto, secondo CONSIP, la consorziata P.P. s.r.l. non possedeva il requisito di regolarità fiscale), cosicché le stesse non avrebbero “realizzato” – né avrebbero potuto realizzare – alcuna “vendita”.
L’Autorità avrebbe dovuto utilizzare un criterio alternativo, maggiormente conforme agli stessi principi delle stesse Linee Guida, secondo cui il valore delle vendite deve essere commisurato “ai vantaggi che l’impresa si attende di ricavare dalla violazione”, ad esempio facendo riferimento al “vantaggio economico” che essa avrebbe potuto trarre dall’aggiudicazione e dunque all’utile di offerta.
iii) Viene poi contestata la qualifica di particolare gravità dell’intesa in ragione della ritenuta natura “segreta” dell’intesa, non supportata, tuttavia, da alcun elemento idoneo a comprovare la precisa e determinata volontà delle parti di occultare ogni contatto avvenuto in relazione alla gara. Gli unici due documenti espressamente richiamati dall’Autorità per suffragare la tesi della “segretezza” (il bigliettino rosa e il “riepilogo accordi commerciali” tra SS.C./C.) sarebbero stati ritenuti privi di rilevanza probatoria dallo stesso Tribunale di primo grado in relazione all’ATI C./C.. Risulterebbe confermato, anche sotto questo profilo, dunque, il carattere assolutamente sproporzionato del coefficiente di gravità applicato per determinare l’importo base dell’ammenda, anche nella misura del 15% rideterminata dal giudice di prime cure.
Il giudice di prime cure non avrebbe poi tenuto conto della totale assenza di alcun impatto economico, di cui al punto 14 delle Linee Guida. Essendo la gara stata sospesa, non si sarebbe prodotto alcun effetto pregiudizievole riconducibile all’asserita intesa. Non sarebbe neppure stata apprezzata la circostanza che l’intesa non ha coinvolto tutti i partecipanti della gara, sebbene vi abbiano preso parte operatori di significative dimensioni e rilevanza, quali D., COP., G. e Consorzio L..
iv) R. lamenta l’erronea individuazione del fatturato rilevante, avendo l’Autorità preso in considerazione il fatturato del 2017 e non quello, più recente e ben più ridotto, risultante dal progetto di bilancio approvato dal Consiglio di Amministrazione al 31 dicembre del 2018.
Sotto altro profilo, l’Autorità avrebbe tenuto conto del fatturato totale di R.G. e R. Partecipazioni, e non quello specificamente ascrivibile alla vendita di beni e servizi oggetto dell’infrazione (c.d. facility management, rilevante ai fini del calcolo della sanzione).
Lo stesso R. ripropone le censure in merito al mancato riconoscimento dell’attenuante della piena cooperazione offerta nel corso dell’intero procedimento: gli elementi apportati con l’esposto presentato nell’aprile 2016 avrebbero significativamente contribuito a procurare all’Autorità un importante corredo informativo per il completamento dell’istruttoria.
vi) M. lamenta la mancata applicazione della circostanza attenuante connessa al ruolo marginale da essa svolto nell’intesa, nonché l’omessa considerazione delle circostanze che avrebbero facilitato la commissione dell’infrazione, connesse alle previsioni della lex specialis con riferimento al numero dei lotti e al massimo di lotti aggiudicabili
3.6.¿ K. eccepisce l’inammissibilità dell’intervento ad opponendum spiegato (in primo grado) da AN. (in quanto depositato tardivamente), nonché il tardivo deposito dello Statuto dello stesso AN., la cui consultazione sarebbe stata quindi radicalmente preclusa anche ai fini dell’accertamento della legittimazione.
3.7.¿ L’Autorità ha proposto appello incidentale avverso le medesime sentenze (n. 8774 del 2020, n. 8769 del 2020, n. 8777 del 2020, n. 8776 del 2020, n. 8775 del 2020, n. 8779 del 2020, n. 8778 del 2020) relativamente ai capi di ciascuna sentenza che ha disposto la ri-quantificazione delle sanzioni.
4.¿ Il Consorzio IN. società cooperativa (di seguito: ‘IN.) ¿ aggiudicatario per scorrimento del lotto 8 e interveniente ad opponendum nel giudizio di primo grado ¿ ha invece chiesto la riforma delle sentenze del T.a.r. Lazio che hanno accolto i ricorsi proposti da E. (sentenza n. 8767 del 2020) e C. (sentenza n. 8765 del 2020).
L’appellante assume, in via preliminare, che il proprio interesse all’impugnazione si radicherebbe nella necessità di “conservare l’aggiudicazione” e di “difendere il provvedimento adottato dall’AGCM”, in quanto ispirato “da evidenti finalità di tutela del mercato e della correttezza della condotta degli operatori economici che partecipano alle procedure di evidenza pubblica”.
Nel merito, IN. conclude per l’integrale riforma della pronuncia impugnata e per il conseguente rigetto dei ricorsi di primo grado.
Entrambi gli appelli, in buona sostanza, ripropongono le tesi sostenute dall’Autorità: il raggruppamento E.-C. sarebbe stato “sovrabbondante” e la strategia spartitoria tra le Parti dell'intesa principale, che avevano presentato offerte d'appoggio e a scacchiera (CNS, M., MC.), sarebbe stata condivisa anche dal RTI E.-C. cui, all'insaputa di R., sarebbe spettato il lotto.
IN. sostiene un contrasto logico tra la sentenza qui impugnata e le pronunce che hanno confermato la sanzione antitrust nei confronti delle altre parti.
4.1.¿ L’Autorità ha invece proposto appello incidentale avverso le sentenze appellante in via principale da IN., censurando anch’essa l’erronea valutazione dei fatti da parte del giudice di prime cure.
Contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale di primo grado, l’Autorità con il proprio provvedimento avrebbe ampiamente motivato e documentato le ragioni per cui ha ritenuto che anche l’ATI C.-C. fosse coinvolta nel più complessivo disegno spartitorio che aveva visto i principali player del settore, coordinare la propria partecipazione alla gara indetta per l’affidamento del servizio di facility management.
4.3.¿ L’Autorità appella in via principale la sentenza n. 8767 del 2020, che ha accolto il ricorso proposto da E.E.S.S.A.
4.3.¿ C., oltre a costituirsi in giudizio nell’appello promosso da IN., ha impugnato i capi della sentenza nei quali era rimasta, pur solo formalmente, soccombente.
A questi fini, ripropone, tra le eccezioni, il difetto di legittimazione all’intervento di IN., già sollevata in primo grado, e il difetto di legittimazione a proporre appello principale.
Tra i motivi di censura, ripropone: la tardiva contestazione dell’addebito, la composizione del Collegio; la sostanziale modificazione, nel provvedimento finale, dell’impianto accusatorio; l’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche; la quantificazione delle sanzioni.
4.4.¿ E. eccepisce l’inammissibilità dell’appello principale per difetto di legittimazione e per carenza di interesse. Ripropone, ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.a., ripropone i motivi di diritto e le eccezioni formulate in primo grado e non esaminate o dichiarate assorbite, e segnatamente: l’inammissibilità dell’intervento ad opponendum del Consorzio IN.; l’Autorità non ha provato la sussistenza della pretesa intesa anticoncorrenziale unica, complessa e articolata; l’erronea quantificazione della sanzione.
5.¿ Sono intervenuti ad opponendum D. Service s.r.l. nonché l’Associazione Nazionale Imprese di Pulizie e Servizi Integrati (AN.), per sostenere le ragioni dell’Autorità.
Per gli stessi motivi, D. Service s.r.l. è intervenuto ad adiuvandum negli appelli proposti da IN..
5.1.¿ Le società Ambiente s.r.l., ES. s.r.l., A.Me.F. MU. s.r.l., PU. s.r.l., So.En. s.r.l., la VS. s.p.a., SI. s.p.a., Con. FS. s.r.l., ES. s.r.l. ¿ tutte facenti parte del Consorzio M. ¿ sono intervenute ad adiuvandum nell’appello M., deducendo di avere un proprio interesse “riflesso” ad intervenire in giudizio in quanto consorziate di M. S.c.p.a., ricorrente principale.
5.2.¿ CONSIP S.P.A. si è costituita nel giudizio di appello introdotto da IN., al solo fine di rappresentare il proprio interesse alla sollecita definizione dei giudizi di gravame avverso con cui è stato annullato il provvedimento sanzionatorio dell’Autorità nei confronti di E. e di C..
5.4.¿ TSC. è intervenuta ad adiuvandum per chiedere l’accoglimento degli appelli proposti dall’Autorità e dal Consorzio IN..
5.5.¿ Si è costituita anche S. s.p.a. negli appelli di IN..
6.¿ Con ordinanza del 9 aprile 2021, n. 2880, la Sezione ¿ «Rilevato che: per l’accertamento dell’illecito in contestazione, l’Autorità si è avvalsa della cooperazione prestata dal C.N.S. (CNS) che ha presentato domanda di clemenza in data 8 giugno 2017, con la quale è stata ammessa l’esistenza dell’intesa, producendo, oltre alle dichiarazioni orali, documentazione a supporto dei fatti oggetto della domanda stessa (cfr. § 26 del provvedimento impugnato); Ritenuto che: sia necessario, ai fini del decidere, stante l’attinenza di tale documentazione, richiamata nel provvedimento e depositata in forma omissata, ai fatti costitutivi posti a base del provvedimento sanzionatorio, acquisire dall’Autorità – perché siano sottoposte alla cognizione del Collegio ed al contraddittorio delle parti – le dichiarazioni integrali del collaborante (leniency applicant) da depositarsi nel PAT entro il termine processuale per la produzione dei documenti (di venti giorni liberi prima della data dell’udienza) non potendosi ammettere una sottrazione del predetto materiale istruttorio al giudice ed alle parti del giudizio; sia opportuno, in vista della prossima udienza pubblica, onerare le parti di attivarsi al fine di informare il Collegio dello stato in cui versa il procedimento penale in corso sugli stessi fatti oggetto del presente giudizio; sia necessario, per ogni altra acquisizione istruttoria, rimettersi alle parti tenute all’onus probandi fermi i limiti che incontra l’istruttoria in appello» ¿ ha invitato l’Autorità a depositare le dichiarazioni integrali del collaborante (leniency applicant), onerando le parti di informare il Collegio dello stato in cui versa il procedimento penale in corso sugli stessi fatti oggetto del presente giudizio, rinviando all’udienza del 23 settembre 2021.
6.1.¿ Con ordinanza 27 settembre 2021, n. 6499, la Sezione ¿ «Rilevato che: la richiesta dell’Autorità di non depositare in giudizio le dichiarazioni dalla stessa ritenute non utili ai fini dell’accertamento dell’illecito – oltre che priva di fondamento normativo, dal momento che il diritto europeo prospetta soltanto una limitazione dei diritto dei ‘terzi’ alla divulgazione delle prove incluse nel fascicolo dell’Autorità garante della concorrenza (cfr. l’art. 6 del direttiva 2014/104/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 novembre 2014), nell’ambito cioè dei giudizi di private enforcement, ma non certo del diritto di difesa delle ‘parti’ del procedimento di accertamento dell’illecito antitrust (cfr. l’art. 31 della Direttiva 2019/1 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2018) – appare del tutto incompatibile con l’esigenza di ‘full jurisdiction’ in materia di sanzioni amministrative antitrust, in virtù della quale deve consentirsi al giudice un pieno riesame, in ogni punto di fatto e di diritto, della misura afflittiva, senza che possa rimettersi a chi accusa la decisione di ciò che è rilevante per la difesa; Ritenuto che: va dunque ribadito quanto statuito con l’ordinanza n. 2880 del 2021, in ordine alla necessità, ai fini del decidere, di acquisire dall’Autorità – perché siano sottoposte alla cognizione del Collegio ed al contraddittorio delle parti – le dichiarazioni integrali del collaborante (leniency applicant), non potendosi ammettere una sottrazione, neppure parziale, del predetto materiale istruttorio al giudice ed alle parti del giudizio; resta fermo che le parti potranno utilizzare le informazioni desunte dalle dichiarazioni legate al programma di trattamento favorevole solo in quanto necessario per l’esercizio dei diritti di difesa nel presente procedimento e con l’obbligo di non divulgarle a terzi estranei; Considerato che: tutte le parti dei giudizi in epigrafe hanno dichiarato a verbale di rinunciare ai termini a difesa, in vista della prossima udienza pubblica» ¿ ha disposto di consentire alle parti indicate in epigrafe l’accesso alle dichiarazioni integrali del collaborante (leniency applicant), già depositate in formato DVD per la visione da parte del Collegio, con l’obbligo di non divulgarle a terzi, rinviando all’udienza del 28 ottobre 2021, concedendo alle parti termine sino a dieci giorni liberi prima per il deposito di memorie, e cinque giorni liberi prima per il deposito di repliche.
6.2.¿ Con ordinanza 8 novembre 2021, n. 7412 ¿ «Ritenuto necessario, ai fini del decidere, che: i) l’Autorità depositi la documentazione prodotta dal leniency applicant a supporto delle dichiarazioni rese, in accoglimento delle istanze istruttorie formulate dagli appellanti R. Partecipazioni s.p.a., R.G. s.p.a., R. s.p.a., E. s.p.a., SS. s.p.a., Finanziaria Bigotti s.p.a., Gestione Integrata s.r.l.; ii) la stessa Autorità integri il file del verbale che ha raccolto le dichiarazioni leniency applicant con la pagina n. 3 del file di cui all’Allegato 2, che risulta allo stato mancante nel supporto DVD in atti; iii) i difensori di R. Partecipazioni s.p.a. e R.G. s.p.a. producano i provvedimenti giudiziari che ¿ alla luce di quanto si è appreso nel corso dell’odierna udienza pubblica ¿ avrebbero disposto l’inutilizzabilità di alcune delle intercettazioni telefoniche poste a fondamento dell’atto impugnato; le parti adempiano al deposito dei documenti indicati entro 30 giorni dalla comunicazione o, se anteriore, notificazione della presente ordinanza; Rilevato altresì necessario che: a cura della parte più diligente, vengano depositate ¿ appena disponibili ¿ le motivazioni della sentenza penale del Tribunale ordinario di Roma nel frattempo pronunciata in data 7 settembre 2021 nei confronti del signor -omissis-; Considerato inoltre che: la prossima udienza pubblica va fissata celermente, sul presupposto che la discussione ¿ già ampiamente svoltasi, sulle principali questioni di fatto e di diritto, nella udienza del 28 ottobre 2021 ¿ possa essere circoscritta alle novità istruttorie, a ciò invitando le parti in ossequio ai noti doveri di sintesi che possono considerarsi espressivi di un principio generale del processo» ¿ dispone gli incombenti istruttori di cui in motivazione e rinvia all’udienza pubblica del 20 gennaio 2022.
7.¿ All’udienza del 20 gennaio 2022 gli appelli sono stati discussi e riservati in decisione. I medesimi ricorsi – a scioglimento della riserva ¿ sono stati esaminati nuovamente dal Collegio e decisi nella camera di consiglio del giorno 16 marzo 2022.
Motivi della decisione
1.¿ Stante la sussistenza di evidenti ragioni di connessione oggettiva e parzialmente soggettiva, deve disporsi la riunione degli appelli in epigrafe, aventi contenuto in gran parte analogo, tenuto conto dell’analogia della situazione azionata in prime cure dalle parti appellanti, destinatarie dello stesso atto sanzionatorio e tenuto altresì conto che la sanzione è stata posta a carico delle società appellanti in via solidale.
1.1.¿ Il “principio della ragione più liquida”, corollario del principio di economia processuale, consente di derogare all’ordine logico di esame delle questioni, e quindi di tralasciare ogni valutazione pregiudiziale sulle eccezioni processuali non rilevanti ai fini del decidere.
2.¿ Con un primo ordine di censure comuni a tutte le Società appellanti viene riproposto il motivo di censura secondo cui il provvedimento sarebbe stato assunto, in violazione del principio di collegialità posto dall’art. 10, comma 2, della legge n. 287 del 1990 (come modificato dall’art. 23, comma 1, del decreto-legge n. 201 del 2011), da un organo invalidamente costituito, essendo lo stesso stato deliberato da soli due componenti del Collegio in assenza del Presidente, la cui carica era rimasta vacante per circa tre mesi, nonostante ai fini della validità della deliberazione dell’organo collegiale sia invece richiesto che esso operi con il plenum dei suoi componenti.
La mancanza del terzo componente, unitamente alla prevalenza del voto presidenziale, avrebbe comportato una indebita trasformazione dell’organo collegiale in organo monocratico.
Vengono impugnate anche le disposizioni del Regolamento sul funzionamento dell’Autorità di cui alla Delibera n. 26614 del 2017 che prevedono il quorum costitutivo di due soli componenti (art. 6, comma 1, e art. 7, comma 1), sotto il profilo del loro contrasto con le richiamate norme di legge e con la ratio del funzionamento “fisiologico” del Collegio di cui compone l’Autorità.
In subordine, viene prospettato il dubbio di illegittimità costituzionale e di contrasto con il diritto europeo delle norme primarie, ove interpretate nel senso di dare ‘copertura’ alle predette disposizioni di fonte secondaria.
2.1.¿ La censura è infondata.
Preliminarmente, giova richiamare i principi espressi dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, secondo cui «la strutturazione di un organo collegiale di natura amministrativa quale collegio perfetto, sebbene integri opzione a più riprese prescelta dal Legislatore, non risponde ad un interesse di carattere assoluto: la giurisprudenza amministrativa è consolidata nello statuire che il collegio perfetto non è un modello indispensabile per gli organi collegiali amministrativi, dovendosi avere riguardo alle peculiarità della relativa disciplina (Consiglio di Stato sez. IV,14 maggio 2014, n. 2500, Consiglio di Stato sez. VI, 6 giugno 2011 n. 3363); anche la giurisprudenza costituzionale e quella di legittimità civile (cfr. Corte costituzionale 12 marzo 1998 n. 52; Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 24 agosto 1999, n. 603; Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 5 febbraio 1999, n. 39, Corte di Cassazione, Sezione lavoro, 26 aprile 2016, n. 8245) non hanno mai ritenuto necessario, a fini di rispetto dell’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che organi con attribuzioni amministrative fossero collegi perfetti. Riveste inalterata attualità sul punto, l’insegnamento della giurisprudenza amministrativa secondo il quale “il collegio perfetto è un modello necessario soltanto per gli organi collegiali giurisdizionali, mentre per quelli amministrativi ben può essere previsto un quorum strutturale inferiore al plenum del collegio in relazione alla peculiarità della disciplina da dettare” (Consiglio di Stato, Sez. V, 11 aprile 1991, n. 539)» (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 17 del 2018).
La giurisprudenza di questo Consiglio ha ulteriormente evidenziato come la qualificazione dell’organo collegiale in termini di collegio perfetto richieda una previsione di legge che, espressamente o implicitamente, preveda la presenza di tutti i componenti per le attività deliberative e valutative che il collegio medesimo deve operare (sentenze n. 6033 del 2018 e n. 5990 del 2020).
L’indice più sicuro per individuare un collegio perfetto – quando la legge non offra elementi univoci in tal senso – è costituito dalla previsione, accanto ai componenti effettivi, anche di componenti supplenti, essendo lo scopo della supplenza garantire che il collegio possa operare con il plenum anziché con la sola maggioranza, in caso di impedimento di taluno dei membri effettivi, senza che il suo agire sia impedito o ritardato dall’assenza di taluno dei suoi componenti (Sez. VI, n. 3363 del 2011).
2.2.¿ Su queste basi, il provvedimento adottato è immune dal vizio censurato.
La fonte primaria non qualifica espressamente l’organo decidente come un collegio perfetto, né prevede la nomina di supplenti o l’invalidità delle deliberazioni dell’organo collegiale assunte in assenza di uno dei componenti. L’art. 10 della legge n. 287 del 1990 prevede, infatti, che l’Autorità è un organo collegiale, costituito da tre membri compreso il presidente ¿ come modificato dall’art. 23, comma 1, lettera d), del decreto-legge n. 201 del 2011, come convertito dalla legge n. 214 del 2011 ¿, ma nulla aggiunge sul numero minimo di componenti per assumere una decisione.
L’art. 23, comma 2, ultimo periodo, del decreto-legge n. 201 del 2011, come convertito dalla legge n. 214 del 2011, prevede poi che «[o]ve il numero dei componenti, incluso il Presidente, risulti pari, ai fini delle deliberazioni, in caso di parità, il voto del Presidente vale doppio».
Il combinato disposto ¿ per cui il numero dei componenti l’organo è stato ridotto a tre (art. 23, comma 1), e la regola del voto doppio in caso di parità (art. 23, comma 2) ¿ conferma l’intenzione legislativa di qualificare il Collegio dell’Autorità come imperfetto, come tale autorizzato a decidere anche in assenza di un suo componente.
Conformemente alle predette diposizioni legislative, il Regolamento sul funzionamento dell’Autorità (delibera n. 26614 del 24 maggio 2017) prevede: a) all’art. 3, che in caso di assenza o di impedimento del Presidente, le sue funzioni sono assunte temporaneamente dal Componente con maggiore anzianità nell’ufficio o, in caso di pari anzianità, dal più anziano di età; b) all’art. 6, che per la validità delle riunioni dell’Autorità è necessaria la presenza del presidente e di un componente, ovvero di due componenti; c) all’art. 7, che le deliberazioni dell’Autorità sono adottate a maggioranza dei votanti e in caso di parità prevale il voto del presidente ovvero, in sua assenza, del componente che ne assume temporaneamente le funzioni ai sensi dell’art. 3, comma 2.
In definitiva, come già statuito da questa Sezione, con le sentenze n. 652 del 2011, n. 4936 del 2016, n. 5058 del 2021, deve ribadirsi che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato non costituisce un collegio perfetto ed è demandato ad essa stessa la definizione del suo assetto organizzativo.
Va anche rilevato che, tendenzialmente, tutti i collegi posti al vertice delle autorità indipendenti sono stati portati a tre componenti, sicché risulta assai probabile il verificarsi di situazioni di ‘impasse’ conseguenti all’astensione o all’impedimento di uno dei componenti del collegio, con conseguente necessità di evitare che in ragione di tale impedimento o assenza, l’attività dell’autorità risulti di fatto paralizzata, con chiaro vulnus al principio costituzionale di continuità e di buon andamento dell’amministrazione.
In ragione di tali esigenze, che trovano un diretto aggancio nei principi costituzionali di cui all’art. 97 Cost., questo Consiglio, anche in relazione a commissioni aventi natura tecnica, ha escluso la qualificazione dell’organo collegiale come collegio perfetto, ove ciò sia incompatibile con le esigenze di speditezza del procedimento amministrativo (la sentenza n. 6518 del 2018, in relazione alle sottocommissioni di valutazione del concorso per magistrato ordinario, ha rilevato che «l’interpretazione volta ad escludere il carattere perfetto del Collegio (oltre che dagli elementi testuali appena richiamati) è confortata dalle esigenze di ragionevole speditezza del procedimento valutativo che discendono dall'articolo 97 Cost. e in esso trovano garanzia»).
2.3.¿ La prospettata illegittimità delle disposizioni regolamentari innanzi citate – ed in particolare dell’art. 7, in base al quale in caso di parità prevale il voto del presidente, ovvero, in sua assenza, del componente che ne assume temporaneamente le funzioni – risulta comunque irrilevante alla luce dell’approfondimento istruttorio disposto dal Collegio.
Risulta, invero, che il provvedimento è stato adottato con il voto unanime dei due componenti del Collegio, privando di ogni consistenza i rilievi facenti sull’assunta illegittimità della disposizione (art. 7), che prevede un valore risolutivo al voto del Presidente o del Presidente facente funzioni.
Risulta destituita di ogni fondamento la supposta necessità della presenza del Presidente titolare, in quanto figura individuata attraverso meccanismi di nomina diversi rispetto a quelli previsti per i componenti, non trovando tale discrimine alcun riferimento nelle disposizioni che regolano la modalità di formazione della volontà all’interno del collegio decidente, dove il voto di ogni soggetto (presidente e componenti) ha il medesimo peso e dove la deroga (nel senso della prevalenza del voto del Presidente titolare o facente funzione) è dettata all’unico fine di scongiurare situazioni di paralisi, incompatibili con il principio costituzionale di buon andamento e con la necessità di non ostacolare l’efficace perseguimento degli obiettivi del Trattato in materia antitrust.
I differenti criteri per la nomina a Presidente si giustificano in ragione delle ulteriori funzioni (in base all’art. 3 del Regolamento il Presidente ha la rappresentanza esterna dell’Autorità ed è responsabile dei rapporti con le istituzioni dell’Unione Europea, le organizzazioni internazionali e le Amministrazioni nazionali), oltre a quella strettamente decisoria attribuita al Presidente unitamente agli altri membri del Collegio, nell’esercizio della quale, come detto, il valore di ogni membro è il medesimo (ben potendo in ipotesi essere assunta una decisione anche con il voto contrario del Presidente).
2.4.¿ Per le ragioni sopra esposte, appare manifestamente infondata ¿ oltre che priva del requisito della rilevanza ¿ la prospettata questione di legittimità costituzionale e di contrasto con il diritto europeo, atteso che le disposizioni normative sopra citate rispondono all’esigenza di scongiurare la paralisi dell’attività dell’Autorità, essendo pertanto espressione dei principi (costituzionale ed europeo) di «buon andamento» (97 Cost.) e «buona amministrazione» (art. 41 della Carta europea dei diritti fondamentali dell’Unione Europea).
Nello stesso Regolamento (CE) n. 1 del 2003 non vi è alcuna disposizione che impone la necessaria collegialità, non solo per la validità delle deliberazioni, ma anche dal punto di vista della struttura organizzativa delle autorità nazionali di concorrenza (alla luce della recente sentenza della Corte di giustizia UE, grande sezione, 6 ottobre 2021, C-561/19, non sussiste obbligo di rinvio pregiudiziale quanto la questione «non è rilevante» e «la corretta interpretazione del diritto dell’Unione s’impone con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi»).
3 – Vanno poi esaminate le censure incentrate sulla violazione del diritto di difesa.
4.¿ Viene censurata l’illegittimità del provvedimento in ragione della tardiva contestazione dell’illecito rispetto ai termini stabiliti dell’art. 14 della legge n. 689 del 1981. A questo riguardo, il giudice di primo grado ha statuito la non applicabilità diretta dell’art. 14 della legge n. 689 del 1981 nei procedimenti antitrust tanto in relazione alla durata della fase istruttoria quanto in relazione alla fase preistruttoria, per quest’ultima non essendo normativamente individuato nemmeno nel Regolamento dell’Autorità un termine massimo di durata.
4.1.¿ La censura non può trovare accoglimento, sia pure per la seguente diversa motivazione.
La norma invocata dispone che, ove non si proceda alla contestazione immediata dell’addebito, «gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni e a quelli residenti all’estero entro il termine di trecentosessanta giorni dall’accertamento».
Va premesso che le norme principio contenute nel Capo I, l. 24 novembre 1981 n. 689, sono dotate di applicazione generale dal momento che, in base all’art. 12, le stesse devono essere osservate con riguardo a tutte le violazioni aventi natura amministrativa per le quali è comminata la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di danaro. L’intento del Legislatore è stato quello di assoggettare ad un statuto unico ed esaustivo (e con un medesimo livello di prerogative e garanzie procedimentali per il soggetto inciso) tutte le ipotesi di sanzioni amministrative, sia che siano attinenti a reati depenalizzati, sia che conseguano ad illeciti qualificati ‘ab origine’ come amministrativi, con la sola eccezione delle violazioni disciplinari e di quelle comportanti sanzioni non pecuniarie. La preventiva comunicazione e descrizione sommaria del fatto contestato con l’indicazione delle circostanze di tempo e di luogo (idonee ad assicurare, già nella fase del procedimento amministrativo anteriore all’emissione dell’ordinanza-ingiunzione, la tempestiva difesa dell'interessato), attiene ai principi del contraddittorio ed è garantito dalla legge 689 del 1981. Attraverso la prescrizione di una tempestiva contestazione la cui l’osservanza è assicurata mediante la previsione espressa dell’inapplicabilità della sanzione. Il termine per la contestazione delle violazioni amministrative ha infatti pacificamente natura perentoria avendo la precisa funzione di garanzia di consentire un tempestivo esercizio del diritto di difesa.
La preventiva comunicazione e descrizione sommaria del fatto contestato con l’indicazione delle circostanze di tempo e di luogo (idonee ad assicurare, già nella fase del procedimento amministrativo anteriore all’emissione dell’ordinanza-ingiunzione, la tempestiva difesa dell’interessato), attiene ai principi del contraddittorio ed è garantito dalla legge n. 689 del 1981 attraverso la prescrizione di una tempestiva contestazione la cui l’osservanza è assicurata mediante la previsione espressa dell’inapplicabilità della sanzione (ai sensi dell’art. 14, ove non si proceda alla contestazione immediata dell’addebito, «gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni e a quelli residenti all’estero entro il termine di trecentosessanta giorni dall’accertamento»).
L’ampia portata precettiva è esclusa soltanto alla presenza di una diversa regolamentazione da parte di fonte normativa, pari ordinata, che per il suo carattere di specialità si configuri idonea ad introdurre deroga alla norma generale e di principio. Lo stesso art. 31 della legge n. 287 del 1990 prevede infatti l’applicazione delle norme generali di cui alla legge n. 689 del 1981 «in quanto applicabili».
Ebbene, con specifico riferimento alla disciplina della potestà sanzionatoria dell’Autorità non emergono le condizioni per derogare al sistema di repressione degli illeciti amministrativi per mezzo di sanzione pecuniaria ivi delineato. Il d.P.R. 30 aprile 1998, n. 217 (Regolamento in materia di procedure istruttorie di competenza dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato) non reca indicazione di alcun termine per la contestazione degli addebiti, e quindi non può far ritenere «diversamente stabilita» la scansione procedimentale e, quindi, inapplicabile il termine di cui si discute. Tale interpretazione è preferibile anche orientata dalla sicura ascendenza costituzionale del principio di tempestività della contestazione, posto a tutela del diritto di difesa.
La soluzione proposta ¿ oltre che rispondente al canone ermeneutico di tipo sistematico ¿ si impone anche alla luce dell’obbligo di interpretazione conforme, quale logico corollario della natura sostanzialmente ‘penale’ delle sanzioni antitrust e della conseguente applicabilità ad esse dei principi fondamentali del diritto punitivo.
Il principio di immediatezza della contestazione costituisce infatti un corollario del «giusto procedimento» sanzionatorio. Come osservato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 151 del 2021, sia pure con riguardo al termine di conclusione del procedimento sanzionatorio), in materia di sanzioni amministrative, il principio di legalità non solo «impone la predeterminazione ex lege di rigorosi criteri di esercizio del potere, della configurazione della norma di condotta la cui inosservanza è soggetta a sanzione, della tipologia e della misura della sanzione stessa e della struttura di eventuali cause esimenti (sentenza n. 5 del 2021), ma deve necessariamente modellare anche la formazione procedimentale del provvedimento afflittivo con specifico riguardo alla scansione cronologica dell’esercizio del potere».
4.2.¿ I canoni di civiltà giuridica del diritto punitivo trovano sì applicazione nei procedimenti sanzionatori di carattere punitivo-afflittivo, ma non necessariamente con le stesse medesime modalità con le quali sono tutelati nei processi penali, dovendo la loro realizzazione adattarsi alle caratteristiche tecniche dell’azione amministrativa ed essere bilanciata con altri interessi di pari rango.
Per questi motivi, il decorso dei novanta giorni è collegato dall’art. 14 della legge n. 689 del 1981, non già alla data di commissione della violazione, bensì al tempo di accertamento dell’infrazione. Si fa riferimento non alla mera notizia del fatto ipoteticamente sanzionabile nella sua materialità, ma all’acquisizione della piena conoscenza della condotta illecita implicante il riscontro (allo scopo di una corretta formulazione della contestazione) della sussistenza e della consistenza dell’infrazione e dei suoi effetti. Ne discende la non computabilità del periodo ragionevolmente occorso, in relazione alla complessità delle singole fattispecie, ai fini dell’acquisizione e della delibazione degli elementi necessari per una matura e legittima formulazione della contestazione.
4.3.¿ Nel caso di specie, deve ritenersi che un parte consistente del lasso temporale successivo alla acquisizione della notizia è stata impiegata per il completamento, da parte dell’Autorità, delle indagini intese a riscontrare la sussistenza di tutti gli elementi (oggettivi e soggettivi) della fattispecie.
Avuto riguardo alla particolare complessità dello specifico illecito oggetto di causa ed alla conseguente difficoltà investigativa che il suo accertamento comporta (l’accordo illecito per la ripartizione dei lotti di una gara pubblica non viene manifestato esternamente dalle parti, che hanno tutto l’interesse a mantenerlo segreto), la fase pre-istruttoria non si è protratta per un tempo eccessivamente lungo ed irragionevole, non potendosi far coincidere la piena conoscenza dell’illecito a far data dall’esposto di R. del 13 aprile 2016 (che conteneva solo limitate informazioni e non era incentrato sulla gara FM4), dovendosi riconoscere, in base alla giurisprudenza citata, un adeguato lasso temporale per la pre-istruttoria degli elementi acquisiti e per la loro valutazione. L’avvio formale dell’istruttoria, in data 21 marzo 2017 è stato, del resto, preceduto dalla documentazione ricevuta dalla stazione appaltante in data 30 gennaio e 9 febbraio 2017. Per gli stessi motivi, anche l’estensione soggettiva del procedimento (disposta in date 22 novembre 2017 e 18 aprile 2018), in quanto occasionata dagli sviluppi istruttori successivi, non si pone oltre il termine di accertamento dell’illecito, né appare inutilmente pregiudizievole per il diritto di difesa della parte.
5.¿ Le Società lamentano la lesione del diritto alla difesa a causa delle modifiche intervenute nel corso del procedimento del perimetro oggettivo dell’istruttoria (dapprima circoscritta alla sola gara CONSIP FM4, poi ampliata anche alle gare CONSIP MIES2 e SIE3 e, quindi, ricondotta nuovamente alla sola gara FM4 nella CRI).
Il motivo è infondato.
5.1.¿ In termini generali, la violazione della regola legale della previa contestazione dell’illecito per il quale sia stata emessa una sanzione amministrativa è di per sé lesiva del diritto di difesa, determinando l’illegittimità del provvedimento sanzionatorio per violazione di legge.
Il principio di necessaria corrispondenza tra addebito contestato e addebito posto a fondamento della sanzione, può ritenersi violato soltanto qualora l’Autorità deduca circostanze nuove, non preventivamente sottoposte a contraddittorio, implicanti una diversa valutazione dei fatti addebitati, salvo si tratti di deduzioni del tutto secondarie che non modifichino in alcun modo il quadro generale della contestazione.
Nel caso di specie, è dirimente considerare che vi è piena corrispondenza tra le contestazioni mosse all’esito dell’istruttoria ed i fatti posti a fondamento delle sanzioni applicate dall’Autorità.
Il riferimento alle altre gare è del tutto ancillare e non figura tra gli elementi che supportano le conclusioni cui è pervenuta l’Autorità.
6.¿ Sotto altro profilo, le Società lamentano che l’Autorità avrebbe selezionato all’interno del fascicolo penale i soli elementi che, a suo avviso, fornivano evidenze a carico delle Parti, omettendo di includere altresì gli elementi a discarico, pure presenti nel medesimo fascicolo.
Il motivo è infondato.
6.1.¿ Non è ravvisabile alcuna lesione concreta ed effettiva del diritto di difesa che possa dirsi specificamente conculcato o compresso.
Va premesso che, né la legge generale sul procedimento amministrativo (ispirato al principio di atipicità dei mezzi istruttori, con il solo limite della loro pertinenza e credibilità), né la specifica disciplina antitrust, contemplano preclusioni in ordine all’utilizzo ai fini istruttori di prove raccolte in un processo penale, a patto che:
a) le prove siano state ritualmente acquisite in conformità con le regole di rito che presiedono alla loro acquisizione ed utilizzo;
b) sia salvaguardato il diritto di difesa;
c) il materiale probatorio formatosi aliunde sia stato oggetto di autonoma attività valutativa (in tal senso la giurisprudenza del Consiglio di Stato, a partire dalle sentenze n. 3197 del 2018 e n. 4211 del 2018).
Quanto alle intercettazioni, deve precisarsi che «il citato art. 270, comma 1, riguarda specificamente il processo penale, deputato all’accertamento delle responsabilità appunto penali che pongono a rischio la libertà personale dell’imputato (o dell’indagato), cosa questa che giustifica l’adozione di limitazioni più stringenti in ordine all’acquisizione della prova, in deroga al principio fondamentale della ricerca della verità materiale. In ragione di tanto, è solo con riferimento ai procedimenti penali che una ipotetica, piena utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni nell’ambito di procedimenti penali diversi da quello per cui le stesse intercettazioni erano state validamente autorizzate contrasterebbe con le garanzie poste dall’art. 15 Cost., a tutela della libertà e segretezza delle comunicazioni. In relazione poi al profilo della utilizzabilità in concreto, è stato precisato che presupposto per l’utilizzo esterno delle intercettazioni è la legittimità delle stesse nell’ambito del procedimento in cui sono state disposte» (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 23 dicembre 2009 n. 27292; 12 febbraio 2013, n. 3271). Sul punto, va anche rimarcato che la prova della conversazione telefonica e del suo contenuto può ben desumersi dalla lettura dei brogliacci di cui all’art. 268, comma 2, del c.p.p. (cfr. ex plurimis Corte di Cassazione penale n. 49462 del 2015).
Le condizioni richieste, in base al richiamato orientamento del giudice amministrativo, risultano soddisfatte nel caso di specie.
Secondo quanto dedotto dall’Autorità (e non specificatamente contestato da controparte), la trasmissione della documentazione di cui si discute è stata specificatamente autorizzata dalla competente Procura della Repubblica.
Le imprese coinvolte hanno avuto ampio accesso e possibilità di controprova in merito a tutti gli elementi probatori sulla cui base sono stati mossi gli addebiti.
Da ultimo, in ragione dei riscontri effettuati, è evidente che l’accertamento del meccanismo di funzionamento dell’intesa è stata il frutto di una attività valutativa autonoma dall’Autorità, non limitata alla mera acquisizione della documentazione presente nel fascicolo dell’indagine penale.
Come affermato dal giudice di prime cure, la Società non ha dimostrato che gli stralci delle intercettazioni telefoniche riportati nel provvedimento impugnato siano stati impropriamente interpretati dall’Autorità: in particolare, essa non ha dedotto di aver chiesto l’accesso al fascicolo del procedimento penale onde verificare se le intercettazioni acquisite dall’Autorità potessero essere differentemente interpretate, ove inserite nel contesto della originaria conversazione telefonica. Se ne deduce che la ricorrente non ha esercitato l’accesso al fascicolo del procedimento penale, non ha verificato la sussistenza di altre, differenti, intercettazioni telefoniche in grado di gettare una diversa luce su quelle acquisite dall’AGCM, ed in definitiva ha articolato una censura di rilevanza meramente astratta.
6.2.¿ L’utilizzabilità, al fine di accertare violazioni del diritto antitrust, delle fonti di prova provenienti dal procedimento penale, non si pone in contrasto con il diritto convenzionale.
Secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, le comunicazioni telefoniche e ambientali fanno parte della nozione di «vita privata» e di «corrispondenza» nel senso dell’articolo 8 della Convenzione. La loro intercettazione, la memorizzazione dei dati così ottenuti e la loro eventuale utilizzazione nell’ambito dei procedimenti penali costituisce una «ingerenza da parte di un’autorità pubblica» nel godimento del diritto garantito dalla citata disposizione convenzionale. Tuttavia, tale ingerenza non viola l’articolo 8 quando sia «prevista dalla legge», persegua scopi legittimi, e sia «necessaria in una società democratica» per raggiungerli (Malone c. Regno Unito, 2 agosto 1984, § 64, serie A n. 82; Valenzuela Contreras c. Spagna, 30 luglio 1998, § 47, Recueil des arrêts et décisions 1998-V).
Nel caso che ci occupa, ricorrono tutti i presupposti citati, dal momento che le intercettazioni: sono previste dalla legge (segnatamente: dal Libro III, Titolo III, Capo III, del codice di procedura penale); vengono disposte da un’autorità giudiziaria indipendente; sono previste garanzie processuali adeguate e sufficienti contro gli abusi; costituiscono uno dei principali mezzi di indagine per la repressione degli illeciti anticoncorrenziali.
Del resto, anche sul versante costituzionale interno, la «libertà» e la «segretezza» della «corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione», oggetto del diritto «inviolabile» tutelato dall’art. 15 Cost., può subire limitazioni o restrizioni «in ragione dell’inderogabile soddisfacimento di un interesse pubblico primario costituzionalmente rilevante», sempreché l’intervento limitativo posto in essere sia strettamente necessario alla tutela di quell’interesse e sia rispettata la duplice garanzia della riserva assoluta di legge e della riserva di giurisdizione (ex plurimis, Corte Costituzionale, sentenza n. 20 del 2017).
6.2.¿ In definitiva, sia nel corso del procedimento, sia nel corso del processo, le Parti hanno avuto modo di difendersi ampiamente su ogni punto di fatto e di diritto. Gli elementi dei fascicoli penali, ed in particolare i contenuti delle intercettazioni, sono stati attentamente vivisezionati nel pieno rispetto del contraddittorio.
7.¿ Vanno a questo punto scrutinate le censure di merito, con le quali le Società contestano la stessa sussistenza dell’illecito e la sua configurazione giuridica.
In ragione della estrema complessità della materia controversa, è necessaria una previa digressione sulla ‘fattispecie’ normativa delle intese vietate e, soprattutto, sullo standard probatorio che deve essere osservato nello scrutinio delle sanzioni amministrative ‘punitive’.
7.1.¿ A sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno.
Secondo la consolidata giurisprudenza europea, «accordi» e «pratiche concordate» sono forme collusive che condividono la medesima natura e si distinguono solo per la loro intensità e per le forme in cui esse si manifestano, e possono coesistere anche nell’ambito di una stessa intesa (Corte di Giustizia UE, 5 dicembre 2013, C-449/11P).
Mentre la fattispecie dell’accordo ricorre qualora le imprese abbiano espresso la loro comune volontà di comportarsi sul mercato in un determinato modo (Corte di Giustizia UE, 15 luglio 1970, C-41/69, punto 112), la pratica concordata corrisponde ad una forma di coordinamento che, senza essersi spinta fino alla stipulazione di un vero e proprio accordo, sostituisce, in modo consapevole, un’espressa collaborazione fra le stesse per sottrarsi ai rischi della concorrenza (Corte di Giustizia UE, sentenza 26 gennaio 2017, C-609/13 P, punto 70).
Il testo normativo europeo ¿ così come il corrispondente testo nazionale, di cui all’art. 2 della legge n. 287 del 1990, con espressioni linguistiche sovrapponibili ¿ contempla alcune fattispecie tipiche aventi tuttavia valenza non tassativa. Viene esemplificato che sono vietati gli accordi e le pratiche consistenti nel: «a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione; b) limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti; c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento; d) applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza; e) subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l'oggetto dei contratti stessi».
L’individuazione delle condotte illecite ‘atipiche’ deve partire dalla concezione sottesa alle norme del TFUE in materia di concorrenza, secondo cui ogni operatore economico deve determinare autonomamente la condotta che intende seguire nel mercato interno, cosicché devono ritenersi vietati i contatti diretti o indiretti di qualsiasi genere che possano influenzare il comportamento sul mercato di un concorrente, attuale o potenziale, o rivelare a tale concorrente la condotta che essi hanno deciso o intendono seguire sul mercato quando tali contatti abbiano quale scopo o effetto una restrizione della concorrenza (cfr. ancora la sentenza 26 gennaio 2017, C-609/13 P, punto 72).
7.2.¿ La definizione normativa distingue tra intese restrittive per «oggetto» ¿ ovvero quello che, tenuto conto del tenore delle disposizioni collusive, degli obiettivi perseguiti, del contesto economico e giuridico nel quale si inseriscono, hanno ‘contenuto’ anticoncorrenziale ¿ e intese restrittive per «effetto», la cui dannosità può essere apprezzata soltanto sul terreno delle ripercussioni negative registratesi sulla struttura del mercato.
Tale distinzione ¿ che rileva già sul piano degli elementi costitutivi dell’illecito ¿ comporta un regime probatorio diverso.
Per le pratiche qualificate come restrizioni per «oggetto», non occorre dimostrarne gli effetti sulla concorrenza al fine di qualificarle come «restrizione della concorrenza», ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, in quanto ¿ secondo la valutazione prognostica del legislatore ¿ siffatti comportamenti sono di per sé dannosi per il buon funzionamento del normale gioco della concorrenza, in quanto determinano riduzioni della produzione e aumenti dei prezzi, dando luogo ad una cattiva allocazione delle risorse a detrimento, in particolare, dei consumatori (Corte di Giustizia UE, sentenze 19 marzo 2015, C-286/13 P, punto 115; 26 novembre 2015, C-345/14, punto 20, e del 23 gennaio 2018, C-179/16, punti 78 e 79).
Per contro, qualora non sia dimostrato l’oggetto anticoncorrenziale di un accordo o di una pratica concordata, occorre esaminare i suoi effetti al fine di fornire elementi comprovanti che il gioco della concorrenza è stato, di fatto, impedito, ristretto o falsato in modo sensibile (Corte di Giustizia UE, sentenza del 26 novembre 2015, C-345/14, punto 17).
8.¿ Veniamo ora allo standard probatorio.
8.1.¿ Secondo la constante giurisprudenza europea, il principio della presunzione d’innocenza, sancito dall’articolo 48, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, si applica alle procedure che possono concludersi con pesanti sanzioni afflittive (Corte di Giustizia UE, 10 novembre 2017, T-180/15).
La presunzione di innocenza risulta, del resto, anche dall’articolo 6, paragrafo 2, della CEDU che, come noto, costituiscono principi generali del diritto dell’Unione. La natura «penale» in senso convenzionale delle sanzioni irrogate dall’Autorità antitrust è indubbia, tenuto conto delle finalità repressive e preventive perseguite e del fatto che l’accertamento di antitrust infringement determina, oltre all’irrogazione di pesanti sanzioni amministrative pecuniarie e alla condanna al risarcimento del danno eventualmente cagionato, anche un significativo danno reputazionale (sulla natura sostanzialmente penale delle responsabilità per violazioni delle norme sulla concorrenza, Corte EDU, sentenza 27 settembre 2011, caso M.-Diagnostics s.r.l. c. Italia; in generale sulla nozione di pena in senso convenzionale: Corte EDU, Engel e altri contro Paesi Bassi, caso n. 5100/71, Grande Stevens e altri contro Italia, Casi 18640/10, 18647/10, 18663/10, 18668/10 e 18698/10).
In coerenza con l’anzidetto quadro ‘costituzionale’ (del Trattato e della CEDU), l’art. 2 del Regolamento n. 1 del 2003 precisa che, in tutti i procedimenti nazionali o comunitari relativi all’applicazione all’art. 101 del TFUE, l’onere della prova dell’infrazione incombe alla parte o all’autorità che asserisce tale infrazione. Spetta dunque all’Autorità fornire la prova delle infrazioni che essa constata e produrre gli elementi idonei a dimostrare l’esistenza degli elementi costituitivi che integrano l’infrazione (Corte di Giustizia 8 luglio 1999, causa C 49/92 P, punto 86), ivi compresa la sua durata (Tribunale 29 novembre 2005, causa T-62/02, punto 36).
La presunzione comporta che «qualora sussista un dubbio nella mente del giudice, esso deve andare a beneficio dell’impresa destinataria della decisione che constata un’infrazione» (Corte di Giustizia, sentenza 22 novembre 2012, C-89/11 P, punto 72).
8.2.¿ Il principio della presunzione di innocenza non osta tuttavia all’applicazione di presunzioni relative, le quali consentono di trarre una determinata conclusione in base a massime di esperienza.
Al riguardo, la Corte di giustizia ha avuto più volte modo di osservare che «di norma le attività derivanti da tali pratiche e accordi si svolgono in modo clandestino, le riunioni sono segrete, spesso in un paese terzo, e la documentazione ad esse relativa è ridotta al minimo. Anche se la Commissione scoprisse documenti attestanti in modo esplicito un contatto illegittimo tra operatori, come i resoconti di una riunione, questi sarebbero di regola solo frammentari e sporadici, di modo che si rivela spesso necessario ricostituire taluni dettagli per via di deduzioni. Nella maggior parte dei casi, l’esistenza di una pratica o di un accordo anticoncorrenziale dev’essere dedotta da un certo numero di coincidenze e di indizi i quali, considerati nel loro insieme, possono rappresentare, in mancanza di un’altra spiegazione coerente, la prova di una violazione delle regole sulla concorrenza» (cfr. sentenze 1 luglio 2010, in C-407/08, punto 49; sentenza 7 gennaio 2004, cause riunite C-204/00 P, C-205/00 P, C-211/00 P, C-213/00 P, C-217/00 P e C-219/00 P, punti 55-57).
Il ricorso alle presunzioni si coniuga con l’esigenza di garantire l’effetto utile del diritto europeo della concorrenza, dato che, senza di esse, la prova dell’infrazione potrebbe risultare estremamente difficile o praticamente impossibile.
Per gli stessi motivi, la prova delle intese restrittive della concorrenza può essere sostenuta da un compendio probatorio di natura indiziaria, ovvero un complesso di prove esclusivamente indirette, purché queste possano essere significative al pari della prova rappresentativa (anche il processo penale consente il ricorso alla prova indiziaria ed ai principi fondati sull’esperienza).
8.3.¿ La nozione di pratica concordata per «oggetto» esige il soddisfacimento di tre condizioni: in primo luogo, una concertazione tra le imprese interessate; in secondo luogo, un comportamento sul mercato da parte di tali imprese che dia seguito a tale concertazione; in terzo luogo, un nesso causale tra concertazione e comportamento sul mercato, senza che tuttavia tale comportamento debba ripercuotersi in quanto tale in una concreta restrizione della concorrenza.
Alla luce di quanto sopra esposto:
i) quando l’Autorità ha fornito la prova dell’esistenza di un accordo avente carattere manifestamente anticoncorrenziale, spetta alle imprese che vi hanno partecipato fornire la prova di essersene dissociate, prova che deve dimostrare una volontà inequivocabile, e portata a conoscenza delle altre imprese partecipanti, di sottrarsi a tale accordo (Tribunale 27 settembre 2006, causa T-168/01, punto 86; Corte di Giustizia UE, 6 gennaio 2004, cause riunite C-2/01 P e C-3/01 P, punto 63);
ii) qualora invece l’Autorità fornisca soltanto la dimostrazione di un comportamento economico ‘anomalo’ (quali l’uniformità ed il parallelismo dei comportamenti), è consentito presumere l’esistenza di una concertazione, ponendo a carico delle imprese l’onere di fornire una spiegazione alternativa e plausibile della condotta contestata.
8.4.¿ Tra le semplificazioni probatorie, va richiamata, per le sue implicazioni nel presente giudizio, la nozione d’«infrazione unica e continuata», pure elaborata dalla giurisprudenza della Corte europea.
Una violazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE può risultare non soltanto da un atto isolato, ma anche da una serie di atti o persino da un comportamento continuato, anche quando uno o più elementi di questa serie di atti o di questo comportamento continuato potrebbero altresì costituire, di per sé e considerati isolatamente, una violazione di detta disposizione. Qualora le diverse azioni facciano parte di un «piano d’insieme», a causa del loro identico oggetto di distorsione del gioco della concorrenza all’interno del mercato comune, la Commissione può imputare la responsabilità di tali azioni in funzione della partecipazione all’infrazione considerata nel suo insieme (v. la sentenza della Corte di Giustizia UE 24 giugno 2015, C-293/13 P e C-294/13 P, punto 156).
La dottrina dell’«infrazione unica e continuata» intende ridurre l’onere che l’Autorità di enforcement nell’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, del TFUE, dovrebbe altrimenti affrontare per stabilire il fatto della collusione, quando un cartello è durato per un lungo periodo, durante il quale la natura della collusione può essere variata tra diverse parti o in momenti diversi.
In particolare, una volta dimostrata l’esistenza di un piano di insieme e di un comune obiettivo anticoncorrenziale, l’Autorità non è tenuta a dimostrare l’illiceità di ogni singola condotta. Sotto altro profilo, un’impresa che abbia partecipato a una tale infrazione unica e complessa può essere ritenuta responsabile anche dei comportamenti attuati da altre imprese nell’ambito della medesima infrazione per tutto il periodo della sua partecipazione alla stessa (sentenza della Corte di Giustizia UE 6 dicembre 2012, C-441/11 P, punto 42).
8.5.¿ Va ora rimarcato che ¿ rispettato lo standard probatorio minimo sopra descritto ¿ il grado di ‘intensità’ della prova richiesto nei procedimenti nazionali è invece rimesso invece ai giudici nazionali (il quinto considerando del regolamento n. 1 del 2003 prevede espressamente che esso «non incide né sulle norme nazionali in materia di grado di intensità della prova né sugli obblighi delle autorità garanti della concorrenza e delle giurisdizioni nazionali degli Stati membri inerenti all'accertamento dei fatti pertinenti di un caso, purché dette norme e detti obblighi siano compatibili con i principi generali del diritto comunitario»).
Il predetto assunto ¿ coerente con l’architettura normativa che ha disegnato, per le regole in materia di concorrenza, un sistema di tutela ‘decentrato’, dipendente dalla collaborazione delle autorità e dei giudici nazionali ¿ deve ovviamente rispettare il limite per cui i principi nazionali in materia di grado di intensità della prova non possono rendere impossibile o eccessivamente difficile l’attuazione delle disposizioni in materia di concorrenza previste dal Trattato.
Il corredo probatorio posto a base del provvedimento oggetto della presente controversia rende opportuna una breve ricognizione della struttura del ragionamento indiziario (a partire dalla migliore elaborazione scientifica e giurisprudenza penale: cfr., ex plurimis, Sezioni Unite, n. 42979 del 2014, n. 33748 del 2005; n. 6682 del 1992).
L’indizio ¿ ovvero il fatto noto da cui si parte per argomentare l’esistenza di un altro fatto ignoto ¿ fornisce, a differenza della prova diretta, solo una probabilità della sussistenza del fatto da provare. Il livello di conoscenza scaturente dalla sola valutazione del fatto noto indiziante è variabile, potendo risultare, a seconda dei casi, assai cospicuo ovvero trascurabile.
La valutazione della prova indiziaria va scomposta in due stadi.
Il primo è diretto ad apprezzare la valenza qualitativa del singolo indizio, ovvero la forza di necessità logica con la quale esso è in grado di dimostrare il fatto rilevante, al fine di eliminare gli elementi che appaiono semplici illazioni o supposizioni arbitrarie, stante l’estrema varietà e molteplicità degli accadimenti che se ne possono desumere secondo le regole di esperienza, così vanno espunte le presunzioni di secondo grado (non è consentito trarre da una presunzione una ulteriore presunzione).
Il secondo è costituito dall’esame globale degli indizi così raccolti, al fine di accertare se gli stessi, una volta integrati gli uni con gli altri, siano in grado di dissolvere la loro intrinseca ambiguità. In questa fase, vanno utilizzati i canoni (codificati all’art. 2729 del c.c.) della gravità (la capacità dimostrativa e di resistenza agli argomenti contrapposti), precisione (l’univocità che rende assai inverosimili le interpretazioni alternativi) e concordanza (la coerenza narrativa, dovuta alla circostanza che gli elementi raccolti non si pongono in contraddizione tra loro).
All’esito della predetta attività conoscitiva, l’ipotesi accusatoria, attentamente verificata nel contraddittorio delle parti, può ritenersi avere attinto la ‘certezza processuale’ soltanto quando essa risulti l’unica in grado di giustificare i vari elementi probatori raccolti, ovvero la più attendibile rispetto alle altre ipotesi alternative, pure astrattamente prospettabili, ma la cui realizzazione storica, in quanto priva di riscontri significativi nelle emergenze istruttorie, appaia soltanto una eventualità remota.
8.6.¿ Da ultimo, in punto di intensità del sindacato giurisdizionale, va ricordato che, anche quando la fattispecie punitiva contempla concetti giuridici indeterminati, il giudice non deve limitarsi a verificare se siffatta risposta rientri o meno nella ristretta gamma di risposte plausibili, ragionevoli e proporzionate, che possono essere date a quel problema alla luce della tecnica, delle scienze rilevanti e di tutti gli elementi di fatto, in quanto la sussunzione delle circostanze di fatto nel perimetro di estensione logica e semantica dei concetti giuridici indeterminati (ad esempio, quella del “mercato rilevante”) è una attività intellettiva ricompresa nell’interpretazione dei presupposti della fattispecie normativa. Ne consegue che la tutela giurisdizionale, per essere effettiva e rispettosa della garanzia della parità delle armi, deve consentire al giudice un controllo penetrante attraverso la piena e diretta verifica della quaestio facti sotto il profilo della sua intrinseca verità, per quanto, in senso epistemologico, controvertibile (Consiglio di Stato, Sez. VI, 15 luglio 2019, n. 4990).
9.¿ Tutto ciò premesso, il Collegio ritiene che ¿ pur non essendo stata fornita la prova diretta di una intesa restrittiva della concorrenza ¿ l’Autorità abbia comunque raccolto indizi gravi, precisi e concordanti di un coordinamento illecito tra alcune delle imprese partecipanti alla gara CONSIP FM4.
9.1.¿ In primo luogo, viene in rilievo l’andamento fortemente anomalo delle gare, di cui va di seguito offerta una schematica rappresentazione.
- CNS, in ATI con K. e E. (quest’ultima facente capo al Gruppo SS.), ha presentato offerta per 7 lotti, ma si è poi ritirato dalla gara nel marzo 2016; in base alle offerte presentate, confrontate con quelle delle altre Parti, si sarebbe aggiudicata 4 dei lotti ordinari (4, 6, 9, e 12) , ed uno dei lotti “accessori” (lotto 17); nessuna delle altre Parti risulta aver presentato domanda per tali lotti; il CNS, inoltre, si sarebbe classificato 2° per il lotto 8, vinto dall’ATI C.-C., e 4° nel lotto 3, aggiudicato a R.; l’offerta economica presentata dell’ATI CNS alla gara per il lotto 3, secondo Autorità, non sarebbe stata competitiva su tre voci molto “pesanti” in termini di punteggio, laddove la percentuale di ribasso offerta era in media inferiore di circa il 10% rispetto a tutte le altre offerte economiche presentate da CNS.
- MC. (ora R.) ha partecipato alla gara singolarmente benché aderente al Consorzio CNS, si è aggiudicata 3 lotti ordinari (i lotti 1, 5 e 7) ed uno dei lotti accessori (il 15); ha inoltre partecipato alla gara per il lotto 11, aggiudicato al Consorzio M., classificandosi al 4° posto in graduatoria; quest’ultima offerta, secondo l’Autorità, sarebbe fittizia, come si desumerebbe dal fatto che l’offerta economica non sarebbe stata competitiva su tre voci importanti, in relazione alle quali il ribasso offerto era inferiore del 14%, del 13% e del 28% rispetto ai ribassi offerti da M.F.M., per analoghe voci, nelle offerte economica presentate per i lotti in cui è risultata aggiudicataria; con riferimento a lotti aggiudicati, vi è stata sovrapposizione solo da parte dell’ATI C.-C., che si è collocata al 2° posto sia nella gara per il lotto 5, sia nella gara per il lotto accessorio n. 15.
- M., che poi è stato escluso dalla gara, si sarebbe aggiudicato i lotti “ordinari” 2, 11, e 14, nonché il lotto “accessorio” 16; escludendo, secondo l’Autorità, l’offerta fittizia di MC. per il lotto 11, il Consorzio M. avrebbe avuto concorrenza solo dall’ATI C.-C., che ha partecipato alla gara per i lotti 11e 16, collocandosi al 2° posto.
- R. si è aggiudicata il lotto 3 ed il lotto 13, oltre al lotto accessorio n. 15; eccetto l’offerta “fittizia” di CSN sul lotto 3, R. ha avuto concorrenza solo sul lotto 10, nel quale si è classificata al 2° posto, dopo l’ATI C.-C.;
- C.-C., ha partecipato alla gara per sei lotti, cioè i lotti ordinari 5, 8, 10 e 11, nonché i lotti accessori n. 15 e n. 16; si è aggiudicata il lotto 8 (per il quale CNS aveva concorso con offerta che si sarebbe collocata al 2° posto) ed il lotto 10 (con R. al 2° posto), mentre i tutti gli altri casi si è collocata al 2° posto.
Da tali dati emerge un andamento a scacchiera per cui:
i) le imprese (con esclusione dell’ATI C.-CSE) hanno tendenzialmente limitato le proprie offerte a un numero circoscritto di lotti ¿ pari addirittura al numero massimo di lotti aggiudicabili nel caso di M., R. e, di fatto, MFM ¿ e, in relazione a ciascun lotto, hanno evitato di sovrapporsi;
ii) in ciascuno dei diciotto lotti posti a gara ha presentato offerta, di fatto, una sola delle quattro compagini composte dalle ATI di CNS, MFM, M. e R.;
iii) le uniche sovrapposizioni di cui ai lotti 3 (CNS per il lotto 3) e 11 (MFM per il lotto 11) sono ‘anomale’ (sotto il profilo della reale competitività dell’offerta economica);
iv) il risultato oggettivo della gara è stato che le compagini sanzionate, con una perfetta distribuzione, sono risultate prime in graduatoria ciascuna per la migliore combinazione possibile di lotti: tre ordinari e uno accessorio;
v) anche i quattro lotti accessori sono esattamente suddivisi tra i predetti quattro offerenti, e ciò senza alcuna sovrapposizione.
Secondo le regole di esperienza, è estremamente difficile che un simile risultato possa realizzarsi senza un previo coordinamento tra gli operatori professionali interessati.
9.2.¿ Il comportamento fortemente anomalo delle condotte di gara trova un riscontro nelle dichiarazioni confessorie del CNS, che ha deciso di collaborare con l’Autorità, ammettendo la sussistenza dell’intesa nell’ambito del programma di clemenza. Pur non potendosi ritenere che le dichiarazioni del denunciante possano costituire di per sé prova piena dell’esistenza dell’accordo collusivo, nondimeno a tali dichiarazioni deve essere riconosciuto un valore probatorio non trascurabile (in tal senso, si veda la sentenza del Tribunale di primo grado CE, sentenza 13 luglio 2011 in causa T-59/07, Polimeri Europa, richiamata dal Consiglio di Stato, sentenze 24 ottobre 2014, n. 5274, n. 5275, n. 5276, n. 5277 e n. 5278). L’attendibilità delle dichiarazioni del leniency applicant, come riscontrate dalla documentazione reperita e da ulteriori riscontri oggettivi, è stata confermata da questa Sezione del Consiglio di Stato con decisione assunta in pari data sul ricorso proposto dal CNS.
La chiamata in correità (come possono considerarsi le dichiarazioni del leniency applicant), comportando un rischio personale per il dichiarante, in quanto contiene, oltre all’accusa nei confronti del correo, anche la confessione del fatto proprio, presenta elevato un grado di attendibilità intrinseca, soprattutto quando, a conforto di tali dichiarazioni, esistono riscontri estrinseci.
9.3.¿ Al parallelismo anomalo delle condotte e alle dichiarazioni del correo si aggiungono altri elementi indiziari (email e stralci di intercettazione) che ¿ per quanto dotati, in una prospettiva atomistica, di una valenza dimostrativa intrinsecamente minore, perché meno univoci ¿, una volta associati agli altri elementi raccolti, concorrono a corroborare la prova logica del fatto.
9.4.¿ Gli elementi raccolti, globalmente e unitariamente considerati ¿ in ragione della loro contiguità logica con il fatto ignoto (dichiarazioni CNS), della loro consistenza dimostrativa (il risultato di gara) e della loro convergenza argomentativa (email e stralci di intercettazione) ¿ sono dotati di una inferenza probatoria tale da obbligare le imprese a fornire una spiegazione o una giustificazione, in mancanza della quale è razionale ritenere che l’onere della prova sia stato soddisfatto.
9.5.¿ Prima di verificare le spiegazioni alternative fornite dai singoli operatori professionali, va precisato che, per quanto il provvedimento parli di «concertazione anticompetitiva unica e complessa», non possono ritenersi integrati gli elementi che compongono la nozione di «infrazione unica e continuata». Quest’ultima presuppone, come si è visto, l’esistenza di un «piano d’insieme», nel quale si iscrivono diversi atti, mentre la contestazione in esame riguarda un unico episodio concertativo. Non può dunque riconoscersi all’Autorità alcun alleggerimento probatorio ulteriore (rispetto alle presunzioni sopra indicate), in relazione a periodi ed episodi specifici.
10.¿ In ordine alla posizione dell’ATI C.-C., ritiene il Collegio che deve confermarsi la sentenza di annullamento di primo grado, in quanto gli elementi raccolti sul suo comportamento economico non consentono neppure di formulare una presunzione di concertazione.
10.1.¿ Nel dettaglio, risulta infatti che l’ATI C.-C.:
- si è aggiudicata il lotto 8 (per il quale CNS aveva concorso con offerta che si sarebbe collocata al II posto) ed il lotto 10 (con R. al II posto), mentre i tutti gli altri casi (lotti 5, 11, 15 e 16) si è collocata al II posto;
- ha presentato offerte per sei lotti, quindi per un numero maggiore di quelli aggiudicabili;
- con le sue offerte si è sempre sovrapposta alle altre Parti dell’intesa principale, e segnatamente: nel lotto 5, con MC., arrivando seconda; nel lotto 8, con CNS, vincendo; nel lotto 10, con R., vincendo; nel lotto 11, con M. e MC., arrivando seconda; nel lotto n. 15, con MC., arrivando seconda; nel lotto 16, con M., arrivando seconda;
- per dimostrare il grado di competitività delle offerte, sul piano tecnico ed economico, ha prodotto una consulenza economica a cura del professor -OMISSIS-, nel corso del procedimento e del professor -OMISSIS-, nel giudizio di primo grado, rispetto al quale l’Autorità non ha mosso significative controdeduzioni;
- laddove ha vinto, ha raggiunto tale risultato grazie al punteggio dell’offerta tecnica e non del ribasso economico (sul lotto 10, l’offerta economica di R. era più aggressiva; anche sul lotto n. 8, il punteggio economico riportato dal CNS era superiore);
- laddove non ha vinto (lotti 5, 11, 15 e 16), si è classificata al secondo posto in graduatoria, con scarti minimi, dunque con la presentazione di offerte aggressive (sul lotto 11, vinto da M., come si vedrà, C.–C. ha presentato un’offerta economica risultata migliore;
- in ogni caso, tenuto conto dei limiti di fatturato, sarebbe stato possibile presentare offerta al più per un solo lotto ulteriore.
10.2.¿ In assenza di qualunque anomalia di comportamento economico, i restanti indizi, isolatamente considerati, appaiono privi di gravità e di precisione, alcuni non sono neppure pertinenti rispetto al thema probandum.
Quanto ai rapporti con STI, è emerso che Gestione Integrata, oltre a detenere una partecipazione minima (lo 0,1%) nel consorzio C., non era stata neppure indicata quale consorziata esecutrice di C., né ha mai avuto subappalti o lavori assegnati da parte di C.. A riprova del suo ruolo marginale, va richiamata anche la mail interna, depositata in primo grado (doc. 15), dove si legge: “[Gestione Integrata] Non ha nessun organo esecutivo all'interno del consorzio C. e non è una società che farà alcunché per FM4”).
Va pure rimarcato che, come pure rilevato dalle difese di C., l’Autorità non spiega perché Gestione Integrata avrebbe agevolato un’interazione tra C. e SS., mentre ciò non sarebbe accaduto con riferimento ad altra società che ne deteneva invece le quote societarie (D., ad esempio, ritenuta estranea alla vicenda).
Il documento inviato nel febbraio del 2017 ad un consulente esterno di C. da un dirigente SS. ¿peraltro, 3 anni dopo l’indizione della Gara FM4, dopo che la gara si era conclusa e dopo che il CNS non aveva confermato le offerte ¿ appare privo di incidenza probatoria.
Oltre ad apparire, come nota il giudice di primo grado, come «una sorta di griglia con alcuni spazi compilati, di assai difficile decifrazione, per giunta non sottoscritto da nessuna delle due parti, idoneo a dare adito a nulla di più che a mere congetture», il punto è che il significato di tale documento appare del tutto equivoco. L’annotazione ivi contenuta ¿ secondo cui «in caso di aggiudicazione del lotto 10 la quota C. sarebbe salita al 50%» ¿ ha un oggetto giuridicamente impossibile, stante il contrasto con la nota regola imperativa di immodificabilità dell’offerta, che si fatica a pensare non fosse conosciuto da esperti operatori del settore.
10.3.¿ Il preteso carattere sovrabbondante del raggruppamento C.-C. è smentito dalle esaustive spiegazioni fornite in giudizio per cui nessuno dei partecipanti al raggruppamento possedeva i requisiti per poter partecipare alla gara singolarmente. E. aveva necessità di associarsi ad imprese di pulizia, le quali a loro volta avevano l’esigenza di associarsi a imprese con fatturato in manutenzione degli impianti (il disciplinare prevedeva un fatturato superiore ai 200 milioni di euro in servizi pulizia e di oltre 100.000 di euro in servizi di manutenzione degli impianti).
10.4.¿ Un ultima notazione riguardo al «bigliettino rosa» in cui veniva indicato, fra i nomi di esponenti delle imprese colluse, quello dell’ingegnere -omissis-, direttore commerciale di C. fino a marzo 2014, dimessosi peraltro al tempo della preparazione delle offerte di gara.
Ebbene, proprio con riguardo all’ex direttore commerciale di C. (indagato dalla Procura romana per i reati di cui agli artt. 110 e 353 c.p., perché, in concorso con altri, avrebbe in ipotesi turbato la gara FM4 mediante collusioni consistite in accordi preordinati alla ripartizione dell’oggetto dei lavori banditi), il GIP presso il Tribunale Ordinario di Roma, con provvedimento emesso in data 29 maggio 2020, ha disposto l’archiviazione, motivando che «del bigliettino di cui ha parlato - omissis -, l’indagato - omissis - […] ha ammesso la paternità ma ha smentito il senso del contesto riferito dal - omissis -, con il quale ha precisato di essere in pessimi rapporti»; aggiungendo che «non è vero quello che dice - omissis - con riguardo a possibili accordi di FM4 e al contenuto dei biglietti prodotti. – omissis- mi disse (chiese) chi fosse il titolare del potere decisionale delle più grandi società che operano nel settore FM4 nel corso di un colloquio, io scrissi il bigliettino in cui indicai quelli che a mia conoscenza erano titolari del potere decisionale di quelle società. Esclusi di conoscere accordi tra costoro».
Va rimarcato che il predetto ridimensionamento del significato dell’annotazione dei nomi sul c.d. bigliettino rosa (in ragione dell’esito delle indagini penali nei confronti dell’ingegnere - omissis -) ¿ mentre non esclude affatto la significatività dell’apporto conoscitivo dell’impresa collaborante nel procedimento amministrativo, in ragione della riconosciuta attendibilità della chiamata in correità ¿ non può che inficiare l’incidenza probatoria della menzionata evidenza rispetto all’ATI C.-C. (su questo elemento di prova si tornerà successivamente al punto 12.2 della motivazione).
10.5.¿ Gli appelli di IN. vanno quindi respinti, così come va respinto l’appello dell’Autorità promosso avverso la sentenza di primo grado (n. 8767 del 2020) che ha accolto il ricorso proposto da E.E.S.S.A.
11.¿ Rispetto alla posizione di K. (in ATI con CNS), il provvedimento sanzionatorio va annullato, stante la mancanza di elementi di prova individualizzanti.
11.1.¿ Va premesso che, avendo la sanzione pecuniaria di cui si discute ha natura «penale», la sua irrogazione non è consentita quando la responsabilità di chi la subisce non sia stata individualmente accertata, richiedendosi nei confronti dell’incolpato un legame intellettuale, in termini di coscienza e volontà, con i fatti. L’applicazione del principio di colpevolezza in tutti i suoi contenuti, comporta l’esclusione di ogni forma di responsabilità oggettiva o di ‘posizione’.
Ogni decisione di applicazione del divieto di intesa restrittiva della concorrenza deve contenere una motivazione sufficiente nei confronti di ciascuno dei suoi destinatari.
11.2.¿ Ala base della sanzione inflitta a K., l’Autorità ha posto le seguenti circostanze:
a) la “consistente” quota di partecipazione di K. nell’ATI con CNS e l’assenza di “razionali spiegazioni alternative” alla decisione relativa all’istituzione dell’ATI con CNS (ciò in quanto CNS non aveva bisogno della società di pulizie K., sia in termini di fatturato per soddisfare i requisiti di partecipazione, sia in termine di risorse interne che avrebbero potuto essere azione in alternativa);
b) la previsione, da parte di K., dell’affidamento di subappalti in relazione alle frazioni di commessa di FM4 di propria pertinenza «a società indicate dal CNS» (in particolare consorziate dello stesso);
c) la partecipazione attiva di K. alla stesura e all’affinamento delle versioni del Regolamento interno di ATI;
d) l’avversione manifestata dalla società rispetto alla decisione della mandataria CNS di ritirare l’offerta dalla gara FM4;
e) la scelta posta in essere dal CNS di redigere con largo anticipo l’atto notarile di costituzione dell’Associazione temporanea di imprese, all’asserito fine di veicolare in favore degli altri concorrenti informazioni e dati sensibili relativamente al numero e all’identità dei lotti per i quali l’ATI avrebbe concorso.
11.3.¿ Gli elementi raccolti, anche considerati globalmente, sono connotati da una intrinseca ambiguità (per nulla emendata dalle controdeduzioni dell’Autorità), ove si consideri che K.:
a) non risulta avere partecipato ad alcuna delle riunioni presso la sede TEROTEC, che, stando alla ricostruzione della stessa Autorità, sarebbero state «finalizzate a preordinare l’esito della gara FM4»;
b) non figura tra i nominativi delle società risultanti dal c.d. “biglietto rosa” (il documento consegnato dal leniency applicant nell’ambito del programma di clemenza);
c) ha partecipato all’ATI con CNS per una percentuale del 15 % e con il ruolo di semplice mandante;
d) non è stata interessata da contestazioni circa un comportamento attivo nella scelta dei lotti cui concorrere e nella determinazione del contenuto delle offerte: nello stesso provvedimento si legge che E. aveva predisposto le offerte tecniche nonché svolto attività di supporto allo sviluppo di quelle economiche.
Va poi aggiunto che:
i) nella prospettiva di K., l’ATI con CNS era senza dubbio necessaria (il fatturato di K. dimostra che la stessa non aveva i requisiti richiesti, come risulta dalle tabelle allegate);
ii) non è stato fornito alcun elemento (anche indiziario) che abbia dimostrato che K. fosse (o potesse essere) al corrente dell’esistenza di una intesa anticoncorrenziale;
iii) la reazione negativa che K. avrebbe avuto una volta appresa la volontà di CNS di ritirare l’offerta dalla gara FM4, può essere letta anche in senso antitetico a quanto prospettato dall’Autorità, ovvero in termini di frustrazione per avere così perso la possibilità di concorrere ad un appalto di notevole importo economico (2,7 miliardi di euro); peraltro è in atto una mail con la quale K. stigmatizzava la mancata conferma dell’offerta da parte di CNS con le seguenti parole: «allora è vero che c’era l’accordo e dando il diniego della offerta economica lo si conferma»;
iv) la redazione dell’atto notarile di costituzione dell’ATI non risulta essere stata fatta con largo anticipo, ove si ponga mente al fatto che: il termine di presentazione delle offerte, inizialmente fissato al 19 maggio 2014, era stato posticipato dapprima al 19 giugno 2014 e poi al 7 luglio 2014; sennonché la proroga del termine al 19 giugno 2014 è stata disposta solo in data 13 giugno 2014, in un momento in cui l’ATI era già stata costituita (in data 4 giugno, con registrato il successivo 10 giugno) e dunque soltanto 9 giorni prima della scadenza dell’originario termine di scadenza delle offerte.
11.4. Le considerazioni svolte comportano, in via derivata, anche l’accoglimento dell’appello di E., che era stata condannata in solido in quanto società controllante.
12.¿ M. ha tenuto una condotta di gara apparentemente rientrante nel sopra descritto «schema a scacchiera». Il Consorzio, come si è visto sopra, si sarebbe aggiudicato (ove non fosse stato escluso dalla gara) i lotti “ordinari” 2, 11, e 14, nonché il lotto “accessorio” 16.
12.1.¿ Sennonché, M. ha offerto in giudizio una spiegazione alternativa attendibile, corroborata da elementi di priva, idonea a superare la presunzione di concertazione.
In particolare:
- il Consorzio S. poteva utilizzare, per ottemperare ai requisiti di partecipazione, esclusivamente i fatturati specifici conseguiti dalle tredici consorziate indicate in gara (cfr. l’art. 47 del d.lgs. n. 50 del 2016, che riprende l’art. 35 del d.lgs. n. 163 del 2006), non potendo fare riferimento al fatturato complessivo, comprensivo anche dei fatturati conseguiti dalle consorziate non indicate nella gara FM4;
- tenuto conto del predetto limite di fatturato delle consorziate indicate, il Consorzio, pur volendolo, non avrebbe posseduto il requisito per partecipare ad un ulteriore lotto;
- i lotti ordinari prescelti per presentare le offerte erano quelli rispetto ai quali M. era gestore uscente, dove quindi aveva un’organizzazione imprenditoriale attiva, e tale opzione si lasciava preferire in quanto il disciplinare di gara premiava (con l’attribuzione di punteggi 20 su 60) le offerte che avrebbero garantito il maggior “convenzionamento” da parte delle Amministrazioni aventi sede nell’area geografica del lotto (valorizzando quindi, indirettamente, la pregressa esperienza maturata nello specifico territorio);
- M. è risultato aggiudicatario dei lotti in ragione dei punteggi ottenuti per l’offerta tecnica, non in forza di offerte economiche «di appoggio» che non potevano affatto determinare il diverso esito della gara;
- quest’ultima circostanza svuota la forza logica dell’argomento accusatorio incentrato sulla divergenza di valore tra le offerte presentate da MFM negli altri lotti e quella formulata nel contesto del lotto 11 aggiudicato a M. (lotto nel quale MFM avrebbe ottenuto un punteggio economico “atipico” pari a 21,710 a fronte di una media relativa agli altri lotti di 36,447 e di un minimo e massimo rispettivamente pari a 36,172 e 36,912), in quanto è assai più arduo ipotizzare (e comunque l’Autorità non ha offerto alcuna prova a riguardo) un coordinamento sull’offerta tecnica.
Da tutto quanto esposto risulta che il quadro probatorio nei confronti di M., pur in presenza di un comportamento di gara astrattamente riconducibile al comportamento anomalo contestato dall’Autorità, è stato infirmato da evidenze contrarie che impongono di concludere, nel dubbio, a favore dell’impresa.
12.2.¿ Nel delineato contesto probatorio, la circostanza che nel c.d. bigliettino rosa fossero riportati la dicitura M. e il nominativo dell’ex rappresentante legale, isolatamente considerata, appare priva di valenza probatoria univoca.
Va peraltro dato atto del contrasto tra testimone diretto e testimoni de relato.
Nel corso dell’interrogatorio, reso in data 11 luglio 2017 presso gli Uffici della Procura della Repubblica di Roma, nell’ambito del procedimento penale RGN 57688117, acquisito al fascicolo istruttorio dell’Autorità, il signor - omissis - - omissis - ha dichiarato di essersi limitato a riportare, nel bigliettino, esclusivamente i nominativi dei titolari «del potere decisionale delle più grandi società che operano nel settore FM» e non già di coloro che avrebbero partecipato, quattro anni prima, a presunti incontri partecipativi, negando di «conoscere accordi tra costoro».
Nell’ambito del procedimento penale, anche il signor - omissis - ha dichiarato di «non avere contezza di accordi tra le società partecipanti alla gara FM4 intesi a turbare l’andamento della medesima».
I testimoni de relato hanno dunque assunto una posizione divergente rispetto a quanto riferito dal dichiarante, dottor. - omissis -, Risk Manager del CNS, che non era a conoscenza diretta dei fatti ma che in ogni caso riferisce circostanze che possono essere apprezzate nel procedimento amministrativo nell’autonomia che lo caratterizza.
Vale la pena ricordare che, in tema di testimonianza indiretta, in caso di contrasto tra le dichiarazioni rese dal teste de relato e quelle rese dal teste di riferimento, il giudice ben può ritenere attendibili le prime anziché le seconde, in quanto, nel procedimento e nel processo amministrativo (così come in quello penale, ai sensi dell’art. 195 del c.p.p.) non si prevede alcuna gerarchia tra le dichiarazioni. Una diversa soluzione contrasterebbe poi con il principio del libero convincimento del giudice, cui compete in via esclusiva la scelta critica e motivata della versione dei fatti da privilegiare. Resta fermo che il giudice ha un obbligo di valutazione improntato ad una speciale cautela, atteso il carattere ‘mediato’ che ha la rappresentazione del fatto da provare.
Sennonché, ciò che conta rilevare nel caso di specie è che lo stesso manager, proprio per quanto concerne M., non ha fornito né riscontri documentali (infatti la documentazione allegata alla domanda di clemenza si riferisce ad altre imprese), né riferito fatti specifici a sua conoscenza.
Anche l’email di R., relativo ai ribassi da concordare con le imprese «concorrenti», non cita espressamente M..
12.3.¿ Le considerazioni svolte comportano, in via derivata, anche l’accoglimento dell’appello di M.I., che era stata condannata in solido in quanto società controllante.
13.¿ R. (ex MC.) si è aggiudicata 3 lotti ordinari (i lotti 1, 5 e 7) ed uno dei lotti accessori (il 15). Ha inoltre partecipato alla gara per il lotto 11, aggiudicato al Consorzio M., classificandosi al IV posto in graduatoria. Anche la sua condotta di gara rientra nel c.d. schema «a scacchiera».
13.1.¿ R., nel tentativo di fornire una spiegazione alternativa, afferma che la sua scelta di concentrare i propri sforzi su cinque lotti sarebbe pienamente autonoma e razionale, alla luce di una serie di elementi di contesto, del tutto ignorati dall’Autorità, e segnatamente:
i) limiti previsti dalla lex specialis, che consentiva l’aggiudicazione di massimo 4 lotti, di cui uno accessorio;
ii) la propria elevata esposizione finanziaria: alla data del bando, la Società aveva un’esposizione finanziaria per cauzioni pari ad oltre 12 mln Euro, ed aveva già esaurito la corrispondente linea di credito (il cd. “castelletto”) con diverse compagnie assicurative, e dunque avrebbe avuto difficoltà ad ottenere la disponibilità delle compagnie assicurative a rilasciare le cauzioni (provvisorie e definitive) per un numero maggiore di lotti;
iii) la limitazione dei lotti d’offerta sarebbe coerente con le decisioni assunte nelle altre edizioni della Gara (la Società avrebbe concorso per 3 lotti nelle edizioni FM0 e FM1, 4 nell’edizione FM2 e 5 nelle edizioni FM3 e FM4);
iv) R. avrebbe al più potuto presentare “offerta per un lotto ulteriore” alla luce del suo fatturato certificato.
v) la scelta dei lotti cui concorrere sia stata effettuata in maniera del tutto razionale, selezionando 1 lotto in ciascuna delle 4 aree operative in cui la Società suddivide il territorio nazionale (area Nord Ovest; area Nord Est e area Emilia, area Centro; area Sud);
vi) l’offerta differenziata nel lotto 11 si giustificherebbe in quanto tale lotto si caratterizzava per un margine di guadagno minore rispetto ai lotti ubicati nel Centro-Nord, una maggiore richiesta di manutenzione straordinaria (a causa del cattivo stato degli edifici), un maggior costo del personale (dovuto alla vigenza di accordi integrativi territoriali più sfavorevoli per i datori di lavoro).
13.2.¿ Sennonché, le spiegazioni così fornite non appaiono sufficienti.
La contestazione mossa a R. non è quella di avere formulato offerte meno competitive, in termini di sconti, rispetto a quelle dei suoi concorrenti, bensì di avere limitato le offerte a pochi lotti evitando di sovrapporsi ai lotti sui quali formulavano offerte i suoi concorrenti.
La legge di gara prevedeva un numero massimo per le sole aggiudicazioni, non anche per le offerte.
La stessa Società ammette che le sue dimensioni di fatturato le avrebbero consentito di formulare offerte su un numero maggiore di lotti.
A tal riguardo, l’esposizione finanziaria legata alle cauzioni non costituiva un vincolo preclusivo, anche in considerazione dell’importanza dell’appalto.
Va pure rimarcato che anche sui lotti accessori, per i quali la legge di gara non poneva limiti di aggiudicazione, si riscontra la stessa apparente spartizione.
In relazione al lotto 11, MFM-R. ha proposto uno sconto oggettivamente insolito ed anomalo rispetto al proprio standard di ribassi. Tale rilievo non si pone in contraddizione rispetto a quanto sopra riferito (al punto 12.1): il fatto che M. abbia fornito delle spiegazioni alternative razionali sulla sua condotta, tali da non dare certezza sulla sua riconducibilità all’accordo o pratica concordata, imponendo un dubbio che tale condotta potrebbe avere ragioni economiche specifiche, non toglie evidenza anche a questo profilo della condotta anomala di R. da valutarsi nel complesso degli ulteriori elementi acquisiti sul comportamento di questa impresa.
È del resto ipotizzabile che, in un contesto di relazioni ambiguo e non improntato ad una sana concorrenza sul «merito», una impresa (MFM) possa essere stata indotta a «non dare fastidio» ad un altro player (M.), confidando (erroneamente) nella sua complicità.
12.2.¿ Il comportamento economico anomalo di R. è suffragato da ulteriori evidenze indiziarie relative alla preparazione coordinata dei ribassi da offrire in sede di gara, e segnatamente:
- la mail del 30 giugno 2014, dunque pochi giorni prima della data di scadenza per la presentazione delle offerte, nel quale si prospetta un incontro di R. «con i concorrenti» nel quale si discuteranno i valori «consigliabili» per una serie di ribassi; l’obiezione per cui tale email sarebbe stata scambiata lo stesso giorno in cui il CNS aveva presentato la sua offerta, oltre a riguardare soltanto quest’ultima società (e non MFM), è stata contradetta dalla difesa erariale secondo cu tale offerta è stata presentata il 4 luglio del 2014;
- il documento 37 n. XI.1325 del fascicolo istruttorio, il quale riporta l’analisi interna dell’impresa sui “costi fideiussori”: in esso i 4 lotti per i quali l’impresa doveva in quel momento ancora presentare l’offerta erano già chiamati “lotti MFM” ed il lotto 11 non compare;
- il documento 26 n. XVII.1860 del fascicolo istruttorio, riporta un dialogo interno tra esponenti del CNS avvenuto dopo la decisione di quest’ultima di uscire dalla gara, in cui il tenore della conversazione ¿ «FM4 avremmo vinto 4 lotti!!!!!; Si però dopo si sarebbe scatenato l'inferno….o forse no!!!!!; La vediamo, il riscontro lo abbiamo con MFM (4 lotti). Se a loro fanno la bua, avevamo ragione, altrimenti….;”» ¿ sembra presupporre l’esistenza di un piano spartitorio coinvolgente quantomeno MFN e CNS;
¿ altri elementi di riscontro di colgono dalla trascrizione delle intercettazioni telefoniche di R., acquisite agli atti dal procedimento penale, che saranno esaminate di seguito.
13.¿ R., come si è visto, si è aggiudicata il lotto 3 ed il lotto 13, oltre al lotto accessorio n. 15; eccetto l’offerta fittizia di CSN sul lotto 3, R. ha avuto concorrenza solo sul lotto 10, nel quale si è classificata al 2° posto, dopo l’ATI C.-C..
13.1.¿ R., al fine di fornire la spiegazione alternativa della propria condotta di gara, deduce di avere presentato offerte su quattro lotti: tre lotti ordinari rispetto ai quali la società risultava aggiudicatario uscente (Lotto 3 Lombardia, foriero di buone prospettive commerciali; Lotto 10 Roma Municipio I, strategico per dimensione, qualità delle Amministrazioni, e prospettiva commerciale); Lotto 13 Campania e parte della Basilicata, centrale per la strategia del Gruppo che ivi in tale territorio ha sede), ed un lotto accessorio (n. 18 Sud Campania, Puglia, Sicilia).
L’anzidetto numero di lotti:
- sarebbe coerente con il numero massimo di lotti aggiudicabili ai sensi del regime di gara;
- in termini di numero complessivo, sarebbe del tutto in linea con, e anche superiore alle offerte formulate nelle precedenti tornate di gara CONSIP FM, in quanto analogo a quello di FM3 (4 lotti), superiore a quello di FM2 (3 lotti) e FM1 (3 lotti), e doppio rispetto a FM0.
Anche in questo caso, spiegazioni fornite non sono idonee a superare la presunzione di concertazione. Si tratta infatti di argomenti che ¿ richiamando generiche ragioni imprenditoriali (come quella per nulla necessitata di avvalersi solo del fatturato proprio della R.G.) ¿ non riescono a dimostrare come sia stato possibile, in relazione ad una commessa di siffatta importanza, la realizzazione spontanea dell’esito spartitorio descritto in premessa. Il Consorzio mandante, peraltro, possedeva autonomamente requisiti quantomeno per consentire al RTI di concorrere ad un quinto lotto.
13.2.¿ Un riscontro del coinvolgimento di R. emerge anche:
- dalle dichiarazioni del leniency applicant, il quale ha confermato la natura anomala della propria offerta, in quanto volta ad agevolare R. ad aggiudicarsi il lotto 3 (come sottolineato dalla difesa erariale, il CNS, formulando un ribasso modesto, ha senza dubbio facilitato il predetto obiettivo);
- dalla richiamata e-mail di R. del 10 giugno 2014, il cui tenore, come si è detto, costituisce una traccia ulteriore della concertazione avvenuta prima della gara.
13.3.¿ Anche il testo delle intercettazioni di R. acquisite dal procedimento penale, rivestono una evidente portata auto-indiziante. Si considerino, in particolare, i seguenti stralci:
- RIT 4238/15: «C. non doveva venire su Roma perché io su Roma non dovevo avere concorrenti perché questo non è mestiere di C.. C. fa il calore FM4 è facility puro, hai capito e per ciò si è portato cinquanta pulitori appriesso»;
- RIT 572/15, relativa al lotto n. 12 Puglia: «alla fine io avevo quattro negozi, mò ne ho tre perché ho rinunciato al negozio che tenevamo a Bari»;
- l’intercettazione di cui al paragrafo 394 del provvedimento: «e io ho detto ragazzi ho letto bene la sentenza … pesante io ho detto non sono interessato a dare fastidio agli altri MC. …CNS … eccetera … perché questo è un mercato dobbiamo camminare dobbiamo andare avanti … Perché come vedete io non vado a strafare perché non vado a partecipare a tutti i lotti».
In relazione alle eccezioni mosse dalla Società in relazione alla valida acquisizione dei citati stralci di conversazoine, la difesa erariale, nella memoria del 28 dicembre 2021, ha passato in rassegna gli atti processuali da cui si evince che, in sede penale, non è stata dichiarata l’inutilizzabilità delle intercettazioni poste alla base del provvedimento impugnato (vengono, in particolare, richiamate le pronunce dei giudici di merito che, applicando i principi dettati dalla Corte di Cassazione evocate dal R., hanno dichiarato utilizzabili tutte le intercettazioni di cui si è avvalsa l’Autorità).
13.4.¿ Nel delineato quadro probatorio, il fatto che R. abbia presentato un esposto all’Autorità ¿per quanto possa apparire una circostanza alquanto contraddittoria ¿ non esclude affatto che la società abbia preso parte al disegno collusivo. L’esposto è infatti spiegabile come una sorta di iniziativa ‘ritorsiva’ assunta nei confronti dei concorrenti, a fronte della perdita del lotto 10 (che lo stesso riteneva, come si evince dalla intercettazione sopra richiamata, essere il frutto di una congiura ai suoi danni).
14.¿ La prova dell’intesa è dunque stata raggiunta per CNS, E. (come da sentenza assunta dal Collegio in pari data), R. e R..
La Sezione (cfr. sentenze n. 1197 del 2021 e n. 362 del 2016) ha già avuto modo di precisare che il provvedimento sanzionatorio non è un atto inscindibile, bensì un atto plurimo a contenuto scindibile, tanto è vero che ogni soggetto coinvolto usualmente fa valere autonomamente la propria specifica situazione. Anche secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione «oggetto del provvedimento restano le sole condotte delle singole imprese, ciascuna destinataria di ordine d'inibizione e sanzioni amministrative distintamente irrogate. Perciò non si è in presenza di un atto indivisibile, concernente più soggetti unitariamente considerati (come l'atto collettivo), bensì di un atto plurimo, che riguarda una pluralità di soggetti, ciascuno titolare di situazione giuridica autonoma» (Corte di Cassazione n. 8882 del 2005).
L’esito di accertamento del coordinamento illecito soltanto tra una parte delle imprese sanzionate non trova incontra ostacoli di ordine logico e giuridico, fintantoché (come accade nel caso di specie) il novero e le caratteristiche, finanziarie ed operative, dei soggetti per cui i quali è raggiunta la soglia della certezza processuale possa ritenersi in grado di avere progetto ed attuato la turbativa della gara pubblica che viene contestata dall’Autorità.
15.¿ Va ora affrontata la censura, sollevata da R. Partecipazioni, relativa all’applicazione della ‘parental liability presumption’.
15.1¿ È noto che giurisprudenza della Corte di giustizia ha elaborato una nozione autonoma (rispetto al diritto civile e commerciale in vigore nei singoli Stati membri) e funzionale di «impresa», rilevante ai fini dell’applicazione del diritto europeo della concorrenza e antitrust, allo scopo di garantire la massima applicazione utile delle norme che sanzionano i comportamenti contrari alla realizzazione del mercato unico e di aumentarne l’efficacia deterrente.
In particolare, secondo la Corte di Giustizia, ai fini dell’imputazione delle sanzioni antitrust, non deve farsi necessariamente ed esclusivamente riferimento alla persona giuridica che materialmente ha posto in essere la condotta, in quanto la nozione di impresa deve essere intesa nel senso che essa designa «un’unità economica ancorché, dal punto di vista giuridico, tale unità sia costituita da più persone fisiche o giuridiche» (10 aprile 2014, in cause riunite da C-231/11 P a C-233/11 P; 12 luglio 1984, causa 170/83, punto 11; 14 luglio 1972, causa 48/69, punto 140).
La formale separazione tra due imprese conseguente alla loro distinta personalità giuridica non è decisiva, giacché sul piano esterno è decisiva invece l’unità o meno del loro comportamento sul mercato, e quindi la nozione economica di agente economico (11 luglio 2013, in causa C-440/11, punto 37).
Le condizioni in presenza delle quali si può affermare l’esistenza di un unico centro decisionale a fronte della sussistenza di una pluralità di persone fisiche e giuridiche sono state precisate dalle sentenze della Corte di giustizia soprattutto con riguardo al fenomeno dei gruppi di impresa.
La giurisprudenza europea ritiene che il comportamento di una controllata possa essere imputato alla società controllante quando, «pur avendo personalità giuridica distinta, tale controllata non determini in modo autonomo la sua linea di condotta sul mercato, ma si attenga, in sostanza, alle istruzioni che le vengono impartite dalla società controllante, in considerazione, segnatamente, dei vincoli economici, organizzativi e giuridici che intercorro-no tra le due entità giuridiche» (10 aprile 2014, in cause riunite C-247/11 P e C-253/11, punto 30; 18 luglio 2013, in causa C-501/11, punto 101).
Affinché possa dirsi che un gruppo corrisponde ad un’unica entità economica e affinché si possa così imputare alla capogruppo il comportamento concorrenziale della controllata è necessario che vengano soddisfatte due condizioni cumulative: la società madre deve avere la capacità di esercitare una influenza determinante sulla controllata e, soprattutto, essa deve aver esercitato in concreto questo potere (Corte, 26-9-2013, causa C-179/12P, punto 55). La seconda condizione comporta la necessità di provare, in concreto, l’esercizio effettivo dell’influenza determinante della società madre sulla propria controllata, ossia l’intensità e l’impatto di tale influenza, può essere oggetto di presunzione. A tal fine, occorre guardare ai legami organizzativi, economici e giuridici intercorrenti tra l’impresa controllante e controllata, tenendo conto di tutte le circostanze specifiche del caso.
Secondo la costante giurisprudenza della Corte di Giustizia, nel caso particolare in cui una controllante detenga, direttamente o indirettamente, il 100% ¿ oppure la quasi totalità ¿ del capitale sociale della propria controllata, responsabile di un’infrazione alle norme in materia di concorrenza, esiste una presunzione relativa secondo cui detta controllante esercita effettivamente un’influenza di questo tipo, a meno che la controllante stessa non dimostri il contrario. Una presunzione del genere implica, salvo la sua inversione, che l’esercizio effettivo di un’influenza determinante da parte della società controllante sulla propria controllata sia considerato accertato senza dover fornire prove supplementari (cfr. Corte di giustizia, sentenza del 27 aprile 2017, nella causa C-516/15 P; sentenza del 26 novembre 2013, C-58/12 P, punto 38; sentenza del 20 gennaio 2011, nella causa C-90/09 P).
In tale ipotesi, alla controllante incombe l’onere di confutare detta presunzione, fornendo sufficienti elementi di prova che dimostrino che tali società si sono comportate in maniera autonoma sul mercato.
La Corte ha parimenti dichiarato che la circostanza che un ente sia una «holding finanziaria», priva della qualità di impresa, non potrebbe influire sull’applicazione nei suoi confronti di tale presunzione (sentenza del 15 aprile 2021, C 694/19 P, punto 41). Ha pure chiarito che «la possibilità di esercitare un’influenza determinante sulla politica commerciale di un’impresa comune non esige la dimostrazione di un’interferenza nella gestione quotidiana delle attività di detta impresa, né di un’influenza sulla politica commerciale in senso stretto di quest’ultima, come la sua strategia di distribuzione o dei prezzi, bensì piuttosto sulla strategia generale che definisce gli orientamenti dell’impresa. In particolare, una società controllante può esercitare un’influenza determinante sulle sue controllate anche quando non si avvalga di alcuna concreta prerogativa codecisoria e si astenga dall’impartire istruzioni o direttive concrete in merito a singoli aspetti della politica commerciale. Siffatte istruzioni costituiscono solamente un indizio particolarmente evidente dell’esistenza di un’influenza determinante della società madre sulla politica commerciale della propria controllata. La loro assenza non impone affatto di concludere nel senso di un’autonomia della filiale. Una politica commerciale unitaria all’interno di un gruppo può essere desunta anche indirettamente dall’insieme dei vincoli economici e giuridici intercorrenti fra la controllante e le proprie controllate» (Cfr. Tribunale UE, sentenza del 9 settembre 2015, nella causa T-104/13, confermata in appello dalla Corte di Giustizia, sentenza del 18 gennaio 2017, nella causa C-623/15, Toshiba Corp. C. Commissione).
15.2.¿ L’impostazione appena esposta, riferita ai rapporti di controllo societario, presenta alcuni punti di contatto con le disposizioni del diritto commerciale italiano, secondo cui una situazione di controllo azionario di diritto o di fatto (art. 2359, comma 1, c.c.), fa presumere ex lege (art. 2497-sexies, c.c.) una attività di direzione e coordinamento esercitata dalla società controllante (attività che costituisce un quid pluris rispetto al mero esercizio del controllo). All’attività di direzione e coordinamento, l’ordinamento riconduce particolari esigenze di disciplina, sia sotto il profilo organizzativo, sia (soprattutto) sotto il profilo della tutela dei soci di minoranza e dei creditori della società dipendente (attraverso la previsione di regole di responsabilità delle società o degli enti per abuso di direzione unitaria).
Al di fuori delle ipotesi di controllo societario, l’attività di direzione e coordinamento di società basato di un contratto con le società medesime o di clausole dei loro statuti, deve invece essere dimostrata in concreto (art. 2497-septies, c.c.).
15.3.¿ L’Autorità ove ritenga una società controllante responsabile del comportamento illecito della sua controllata, deve offrire un’esposizione esauriente dei motivi atti a giustificare l’imputabilità dell’infrazione a tale società. Le autorità garanti della concorrenza possono ovviamente supportare tale presunzione sulla base di altri elementi fattuali.
Qualora una siffatta decisione si fondi in maniera esclusiva sulla presunzione di influenza determinante, un’autorità garante della concorrenza è tenuta – se non si vuole rendere tale presunzione de facto assoluta – ad esporre in maniera adeguata le ragioni per le quali gli elementi di fatto e di diritto invocati dall’impresa non siano stati sufficienti per confutare la presunzione suddetta.
Va ricordato che la presunzione di influenza mira a raggiungere un equilibrio tra l’importanza, da un lato, dell’obiettivo consistente nel reprimere i comportamenti contrari alle regole di concorrenza e prevenirne la ripetizione e, dall’altro, delle esigenze poste da taluni principi generali del diritto dell’Unione come, in particolare, i principi della presunzione di innocenza, della personalità delle pene e della certezza del diritto nonché i diritti della difesa, ivi compreso il principio della parità delle armi.
15.4.¿ Nel caso di specie, l’Autorità ha fondato l’addebito su: la quota di partecipazione al 90%; la circostanza che all’epoca dei fatti risultava amministratore unico e socio di maggioranza della stessa società la persona fisica a cui è riconducibile il gruppo R.; la condivisione di R. Partecipazioni e R.G. della stessa sede operativa; R.G., all’epoca dei fatti oggetto di istruttoria, sarebbe stata soggetta ad attività di direzione e coordinamento da parte di R. Partecipazioni, ai sensi degli articoli 2497 c.c., attività risulta cessata solo a partire dal luglio del 2017; nessun rilievo potrebbe assumere la circostanza per cui la R. Partecipazioni sia una società finanziaria priva di struttura operativa, senza alcuna esperienza diretta nel settore del facility management.
Ritiene il Collegio che R. Partecipazioni non abbia apportato elementi idonei a superare la «presunzione di influenza determinante».
All’affermazione secondo cui l’amministratore della controllante era la stessa persona fisica cui era riconducibile il gruppo R., l’odierna controllante ha replicato che, alla data di presentazione delle offerte per la gara FM4, la controllante e la controllata erano state amministrate da persone fisiche differenti, depositando a tal fine le visure storiche delle due società (cfr. doc. 11 e doc. 12 in primo grado).
Sennonché, dalle medesime visure, si apprende che ¿ dal 28 giugno 2013 almeno fino al 30 novembre 2015, quindi anche durante il termine per la presentazione delle offerte per la gara FM4 ¿ l’amministratore unico (e socio di maggioranza) della R. PARTECIPAZIONI era il signor - omissis -, ovvero la stessa persona fisica protagonista delle intercettazioni sopra riportate e che appare inequivocabilmente il ‘dominus’ della società operativa.
Un indice ulteriore della compenetrazione aziendale tra l’ente operativo e quello finanziario è dato dalla condivisione della medesima sede legale.
I due elementi implicano necessariamente una forma intensa di commistione e ingerenza della controllante nella gestione e nelle scelte strategiche della controllata, corroborando (unitamente alla partecipazione quasi totalitaria del capitale sociale) la prova dell’unicità del centro decisionale.
La perizia depositata nel corso dell’istruttoria innanzi all’Autorità (cfr. documento 13 allegato in primo grado) ¿ volta a dimostrare che, tra le due società, non era ravvisabile alcun indice di un effettivo esercizio di attività di direzione e coordinamento (ai sensi dell’art. 2497 c.c.) ¿ non può superare la pregnanza dei dati appena indicati, in quanto il consulente ha tratto le sue conseguente sulla scorta dell’esame dei verbali e delle delibere dei consigli di amministrazione, e dunque basandosi su di una rappresentazione prettamente ‘formale’ della vita societaria, la quale con pochi accorgimenti può essere mAN.olata per occultare i veri rapporti di forza e gerarchie.
16.¿ Non resta che scrutinare le censure relative alla determinazione delle sanzioni.
16.1.¿ Giova ricordare che l’Autorità ha:
- dapprima individuato il valore delle vendite, avendo riguardo agli importi oggetto di aggiudicazione o posti a base d’asta in caso di assenza di aggiudicazione;
- quindi, l’Autorità ha calcolato l’importo base della sanzione, applicando a tale valore un coefficiente percentuale determinato in relazione alla gravità dell’infrazione;
- all’importo così determinato ha poi aggiunto l’ammontare relativo alla cd. entry fee pari al 15% del valore delle vendite;
- infine, ha proceduto, in applicazione dell’art. 15 della legge n. 287 del 1990, alla riduzione dell’importo entro il limite del 10% del fatturato totale realizzato a livello mondiale.
Il Tribunale Amministrativo regionale, accogliendo in parte i ricorsi di primo grado, ha disposto che l’Autorità proceda a quantificare nuovamente l’importo delle sanzioni, conformandosi alle seguenti indicazioni: i) applicazione di una percentuale, ex art. 11 delle Linee guida, del coefficiente di gravità che si ritiene congruo indicare nella misura del 15%; ii) sottrazione dell’“entry fee” del 15% dall’importo base della sanzione come sopra rideterminato”.
In particolare, i giudici di prime cure hanno ritento che, non essendo stata fornita prova degli effetti, il coefficiente di gravità da applicare debba essere ridotto dal 22,5% al 15%.
Sotto altro profilo, il Tribunale ha statuito che l’Autorità avrebbe omesso di fornire una motivazione che faccia comprendere per quale ragione la ricorrente debba essere oggetto di un “effetto deterrenza” rinforzato.
17.¿ L’Autorità ha impugnato i predetti capi di sentenza, lamentando che la motivazione in relazione ai profili considerati non sarebbe corretta.
In relazione al coefficiente di gravità, il giudice non avrebbe considerato adeguatamente le ragioni (ampiamente formulate nel provvedimento) che hanno condotto l’Autorità a ritenere tale intesa come molto grave. Le intese aventi ad oggetto il coordinamento del comportamento competitivo delle imprese interessate in occasione della partecipazione a procedure di gara sarebbero, per loro stessa natura, tra le restrizioni più gravi della concorrenza, come univocamente e costantemente riconosciuto anche dalla giurisprudenza. Per valutare la gravità dell’infrazione l’Autorità avrebbe tenuto conto di una serie di fattori quali: la natura dell’intesa sanzionata, il ruolo e la rappresentatività delle imprese coinvolte la circostanza che le società sanzionate comprendono i maggiori operatori del settore e, infine, l’intervenuta attuazione dell’intesa, avendo questa avuto l’effetto di eliminare il livello di concorrenza in ciascun lotto posto a gara. Infine, si rammenta che le ammende dovrebbero avere un effetto sufficientemente deterrente e dissuasivo, sia specifico, per le imprese coinvolte, che generale per dissuadere altre imprese dall’assumere o dal continuare in comportamenti illeciti.
In relazione alla c.d. «entry fee», l’unico presupposto applicativo sarebbe da rinvenirsi nel carattere di gravità della condotta sanzionata, con la conseguenza che non sarebbe dovuta una motivazione che faccia comprendere per quale ragione la ricorrente debba essere oggetto di un “effetto deterrenza” rinforzato. Infatti, la necessità che la sanzione svolga un effetto di deterrenza rinforzato risiederebbe nella stessa valutazione dell’intesa come molto grave.
17.1.¿ Occorre preliminarmente ricostruire il quadro normativo di riferimento.
L’art. 15, primo comma, della legge n. 287 del 1990 prevede che l’Autorità: «[n]ei casi di infrazioni gravi, tenuto conto della gravità e della durata dell’infrazione, dispone inoltre l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria fino al dieci per cento del fatturato realizzato in ciascuna impresa o ente nell’ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della diffida, determinando i termini entro i quali l'impresa deve procedere al pagamento della sanzione». Il secondo comma dello stesso articolo aggiunge che: «[i]n caso di inottemperanza alla diffida di cui al comma 1, l’Autorità applica la sanzione amministrativa pecuniaria fino al dieci per cento del fatturato ovvero, nei casi in cui sia stata applicata la sanzione di cui al comma 1, di importo minimo non inferiore al doppio della sanzione già applicata con un limite massimo del dieci per cento del fatturato come individuato al comma 1, determinando altresì il termine entro il quale il pagamento della sanzione deve essere effettuato. Nei casi di reiterata inottemperanza l’Autorità può disporre la sospensione dell’attività d’impresa fino a trenta giorni».
L’art. 31 della legge n. 287 del 1990 precisa poi che: «Per le sanzioni amministrative pecuniarie conseguenti alla violazione della presente legge si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni contenute nel capo I, sezioni I e II, della legge 24 novembre 1981, n. 689». L’articolo 11 della legge 24 novembre 1981, n. 689, detta i criteri per l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie nei seguenti termini: «Nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo e nell’applicazione delle sanzioni accessorie facoltative, si ha riguardo alla gravità della violazione, all’opera svolta dall’agente per la eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche».
Secondo una prassi più volte avallata dal Consiglio di Stato (ex plurimis: Consiglio di Stato, Sez. VI, 23 giugno 2006, n. 4017; Consiglio di Stato, Sez. VI, 16 marzo 2006, n. 1397), l’Autorità tiene conto, quale canone orientativo per il dosaggio oggettivo e trasparente delle sanzioni in ambito nazionale, degli Orientamenti della Commissione per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento (CE) n. 1/2003 (in Gazzetta ufficiale C 210 dell’1 settembre 2006).
Posto che l’ammontare di un’ammenda deve essere sufficientemente elevato sia per sanzionare le imprese in causa che per dissuadere altre imprese dall’assumere comportamenti che violano le regole di concorrenza, i suddetti orientamenti prevedono quanto segue:
- occorre calcolare un importo di base per aver semplicemente commesso l’infrazione, calcolato come percentuale del valore delle vendite cui si riferisce l’infrazione, moltiplicato per il numero di anni dell’infrazione;
- la percentuale del valore delle vendite è determinata in funzione della gravità dell’infrazione e può raggiungere il 30%;
- a questo calcolo iniziale va applicato un ulteriore importo (tutti i casi di cartello e, a discrezione, con riguardo agli altri tipi di infrazione) compreso tra il 15% e il 25% del valore delle vendite annuali, a prescindere dalla durata dell’infrazione, precipuamente al fine di dissuadere ulteriormente le imprese dall'intraprendere pratiche illegali;
- l’importo di base, calcolato secondo il metodo sopra descritto, può quindi essere adeguato verso il basso, se ci sono circostanze attenuanti, o verso l’alto, in caso di circostanze aggravanti;
- le imprese che commettono nuovamente violazioni simili vanno sanzionate più severamente (le imprese recidive potrebbero ora subire un aumento del 100 % della loro ammenda per ogni infrazione successiva);
- l’ammenda massima per ogni impresa non deve superare il 10% del suo fatturato totale realizzato nel corso dell’esercizio sociale precedente (limite previsto dal regolamento CE n. 1 del 2003).
Su queste basi, i rilievi dell’Autorità non possono essere accolti.
17.2.¿ Con riguardo al primo motivo dell’appello incidentale, è dirimente considerare che non è in discussione il fatto che l’alterazione del funzionamento di una gara pubblica rientri tra le più gravi restrizioni della concorrenza già per il suo «oggetto», senza bisogno che ne sia provato l’effetto.
Ma tale assunto ¿ che il Collegio non può che condividere ¿ attiene al perfezionamento della fattispecie, come si è già esposto in precedenza.
Con riguardo invece alla dosimetria della ‘pena’, la Sezione ha più volte rimarcato come debbano prendersi in considerazione le concrete ripercussioni che l’intesa accertata abbia arrecato alla struttura del mercato. In questa fase, attinente al quantum, l’Autorità non deve tralasciare gli elementi che, nel singolo caso, possano connotare l’illecito in termini di maggiore o minore disvalore (la natura dell’infrazione, la quota di mercato aggregata di tutte le imprese interessate, l’estensione geografica dell’infrazione e se sia stata data attuazione o meno alle stesse).
In un caso come quello in esame, in cui nessuna delle parti dell’intesa è mai stata neppure dichiarata aggiudicataria, correttamente il giudice di primo grado ha ritenuto di fissare il coefficiente di gravità nella misura mediana del 15%.
17.3.¿ Con riguardo al secondo motivo di appello incidentale, va premesso che la motivazione del giudice di prime cure effettivamente non è corretta, in quanto l’applicazione della c.d. entry fee ¿ ovvero l’ammontare supplementare «al fine di dissuadere ulteriormente le imprese dal prendere parte ad accordi orizzontali di fissazione dei prezzi, di ripartizione dei mercati e di limitazione della produzione» (Orientamenti della Commissione, punto 25) ¿ rientra nell’apprezzamento unitario dell’adeguatezza della sanzione, sia pure sotto lo specifico profilo dell’esigenza di deterrenza, senza quindi la necessità di una motivazione additiva rispetto alla disamina della gravità della condotta illecita.
Su queste basi, a parere del Collegio, l’importo rideterminato dal giudice di primo grado appare già proporzionato (sull’applicazione del principio di proporzionalità anche alle sanzioni amministrative punitive, cfr. la sentenza della Corte costituzionale n. 112 del 2019) ed adeguato ai fini di prevenzione generale, in relazione alle specifiche circostanze del caso concreto. Del resto, le stesse disposizione delle Linee Giuda non prevedono affatto la necessaria applicazione dell’entry fee, esprimendosi nel senso della sua facoltà di applicazione.
18.¿ Anche le ulteriori censure sollevate dalle Società appellanti, in ordine alla quantificazione delle sanzioni, vanno respinte.
18.1.¿ La questione giuridica se il tetto del 10% ¿ operando ex post come soglia di contenimento e non come un massimo edittale vero e proprio ¿ impedirebbe di commisurare la sanzione irrogata alla specifica condotta in funzione della minore o maggiore gravità e durata dell’illecito, in asserito contrasto con i principi di uguaglianza, legalità e buon andamento, è stata già affrontata da questa Sezione (sentenza n. 4506 del 2014), con argomenti che il Collegio condivide e da cui lo stesso non ritiene di doversi discostare.
Appare al riguardo dirimente la considerazione che, nel procedimento di quantificazione delle sanzioni irrogate dall’Autorità per le infrazioni alla concorrenza, in conformità con gli «orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 23, paragrafo 2, lettera a) del regolamento CE n. 1/2003», elaborati dalla Commissione nella Comunicazione 2006/C 210/02, il limite del 10% del fatturato non rappresenta propriamente il “massimo edittale” di una cornice sanzionatoria al cui interno deve essere concretamente calibrata la sanzione da irrogare in proporzione con la gravità del fatto, ma costituisce soltanto una “soglia legale massima”, ovvero un “correttivo” che opera dall’esterno al solo fine di evitare, comunque, l’applicazione di sanzioni di importo ritenuto in astratto eccessivamente elevato quale che sia la gravità dell’infrazione.
L’unico limite edittale che l’Autorità incontra nella determinazione dell’importo base della sanzione è rappresentato dalla percentuale del 30% riferita al valore delle vendite.
Una volta fissata nell’ambito di questa cornice edittale, in funzione della gravità dell’infrazione (tenendo conto di un certo numero di elementi, quali la natura dell’infrazione, la quota di mercato aggregata di tutte le imprese interessate, l’estensione geografica della infrazione, se sia stata data o meno attuazione all’intesa), la percentuale da applicare al valore delle vendite (e una volta moltiplicato tale importo per il numero di anni di partecipazione all’infrazione di ciascuna impresa), si applicano su questo importo gli adeguamenti in aumento o in diminuzione dipendenti dal riconoscimento di eventuali circostanze aggravanti o attenuanti e si determina, quindi, l’importo finale della sanzione, che poi viene ridotta, in un’ottica di favor per il soggetto sanzionato, entro il limite esterno del 10% del fatturato.
La percentuale del 10% del fatturato rappresenta, dunque, un tetto esterno, una “soglia di contenimento”, che non svolge alcuna funzione all’interno del procedimento che porta alla determinazione dell’importo base e non condiziona il potere dell’Autorità, che rimane, nell’ambito della sua discrezionalità, certamente libera di fissare una percentuale, rapportata alla ritenuta gravità della violazione, tale da determinare un importo base sensibilmente superiore rispetto al limite esterno.
Il fatto, pertanto, che, in conseguenza dell’operatività di questo tetto esterno, potrebbe verificarsi un livellamento tra sanzioni relative a fatti di diversa gravità (e possa essere in parte alterata la proporzionalità tra gravità dell’infrazione e sanzione irrogata) non pone problemi di legittimità costituzionale o comunitaria, atteso che si tratta, comunque, di una rimodulazione della sanzione che avviene in un’ottica di favor per il soggetto sanzionato, al fine di porre dall’esterno un limite alla discrezionalità dell’AGCM, che in mancanza di tale tetto sarebbe (data anche l’ampiezza del limite edittale interno) eccessivamente ampia.
Le conclusioni appena esposte sono in linea con la giurisprudenza comunitaria. Il Tribunale UE ha evidenziato come il massimale del 10% rappresenta una “semplice soglia di contenimento” che applicata dopo un’eventuale riduzione dell’ammenda in forza di circostanze attenuanti o del principio di proporzionalità. Tuttavia, ha sottolineato il giudice comunitario, «la moltiplicazione dell’importo determinato in funzione del valore delle vendite per il numero di anni di partecipazione all’infrazione può implicare che, nel quadro degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 23, paragrafo 2, lettera a) del regolamento CE 1/2003, l’applicazione del massimale del 10% previsto da detto art. 23, n. 3, sia ormai la regola piuttosto che l’eccezione per ogni impresa che operi principalmente su un unico mercato e che abbia partecipato ad una intesa per più di un anno. In tale ipotesi, ogni differenziazione in funzione della gravità o di circostanze attenuanti non sarà più di norma idonea a ripercuotersi su un’ammenda che è già stata contenuta per essere mantenuta entro il 10%». (sentenza 16 giugno 2011, Putters Internationale/Commissione, Causa T-211/08).
In ogni caso la questione neppure appare rilevante, in quanto il Collegio ¿ come si è sopra riferito ¿ ritiene la sanzione concretamente irrogata proporzionata ed adeguata rispetto all’illecito accertato.
Su queste basi, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 15 della legge n. 287 del 1990, con riferimento agli artt. 3, 25 e 97 Cost, appare quindi manifestamente infondata, oltre che priva del requisito della rilevanza.
18.2¿ Sotto altro profilo, non è affatto illogico far coincidere il valore delle vendite per la quantificazione dell’importo base della sanzione, con l’importo dei lotti a base di gara.
Anche in presenza di un’unica gara centralizzata ¿ in cui il valore del plafond relativo ai diversi lotti rivestiva per sua stessa natura può essere variabile ¿ è corretto assumere come ‘valore delle vendite’ l’importo di aggiudicazione nel valore massimo convenzionabile previsto per ciascun lotto aggiudicato all’impresa e non l’importo corrispondente al fatturato effettivamente realizzato in esito alla gara in esecuzione degli ordinativi effettivi.
Il punto 18 delle Linee Guida prevede che «[i]n generale, anche nei casi di collusione nell’ambito di procedure di gare di appalti pubblici, l’Autorità prenderà in considerazione il valore delle vendite direttamente o indirettamente interessate dall’illecito. In linea di principio, tale valore corrisponde, per ciascuna impresa partecipante alla pratica concertativa, agli importi oggetto di aggiudicazione o posti a base d’asta in caso di assenza di aggiudicazione o comunque affidati ad esito di trattativa privata nelle procedure interessate dall’infrazione, senza necessità di introdurre aggiustamenti per la durata dell’infrazione ai sensi dei paragrafi precedenti. Resta fermo che laddove il mercato rilevante risulti più ampio della/e gara/e considerata/e, l’Autorità potrà prendere in considerazione il valore complessivo delle vendite relative all’intero mercato del prodotto/servizio interessato dall’infrazione (comprensivo dunque di tutte le vendite realizzate dall’impresa nel mercato rilevante e non solo di quelle oggetto della gara d’appalto interessata) nell’ultimo anno intero di partecipazione all'infrazione, se del caso modulato in funzione della sua durata ai sensi dei paragrafi precedenti».
Tale previsione si giustifica in quanto l’importo dell’appalto aggiudicato, da un lato, è il valore preso a riferimento dalle parti al momento di determinarsi per l’illecito, dall’altro, è un indice espressivo delle potenziali conseguenze dannose per la struttura del mercato.
Ove dovesse tenersi in considerazione, non il valore massimo convenzionabile, ma un importo inferiore, in ragione della circostanza che il vero valore del lotto dipenderà dagli ordini di fornitura, si renderebbe l’impianto edittale del tutto indeterminato, a detrimento della funzione dissuasiva della sanzione.
18.3¿ Viene poi contestata la qualifica di particolare gravità dell’intesa in ragione della ritenuta natura “segreta” dell’intesa, non supportata da elementi idonei a comprovare la volontà delle parti di occultare ogni contatto avvenuto in relazione alla gara. Si lamenta altresì il carattere assolutamente sproporzionato del coefficiente di gravità applicato per determinare l’importo base dell’ammenda, anche nella misura del 15% rideterminata dal giudice di prime cure, atteso che non vi sarebbe traccia dell’impatto economico effettivo derivato dall’intesa.
La deduzione è infondata per gli stessi motivi sopra esposti.
È giusto ritenere che l’analisi degli effetti possa influire sulla quantificazione della sanzione. Ma la percentuale del 15%, così ridotta dal giudice di primo grado, è proporzionata e congrua, alla luce dell’incidenza dell’illecito su di una procedura di gara pubblica, dell’intervenuta attuazione dell’intesa, e del suo carattere occulto (del resto, senza la segretezza dei contatti e del coordinamento tra le parti del cartello, queste ultime sarebbero irrimediabilmente escluse dalla gara).
18.4.¿ Alcune appellanti, tra cui R., contestano la mancata applicazione dell’attenuante riconducibile alla piena collaborazione offerta all’Autorità.
Secondo la consolidata giurisprudenza della Sezione, «la mancata concessione della circostanza attenuante della collaborazione, si giustifica in quanto il riconoscimento della stessa (che pure rientra nell’ambito di valutazioni ampiamente discrezionali dell’Autorità) presuppone un contributo particolarmente qualificato, nel senso di essere idoneo ad agevolare concretamente l’accertamento e la repressione della condotta illecita. Non è integrata, invece, dalla collaborazione informativa e documentale dovuta per legge» (Consiglio di Stato, 3 giugno 2014, n. 2838; sez. VI, n. 2328 del 2016)” (cfr. ex multis Consiglio di Stato, 10 luglio 2018, n. 4211, I759).
Nel procedimento per cui è causa, nessuna delle parti – con l’eccezione del CNS la cui posizione viene vagliata separatamente – ha efficacemente collaborato con l’Autorità nel corso del procedimento.
Lo stesso esposto di R., per le ragioni sopra esposte, si inserisce nel quadro di una strategia di reazione interna alla intesa concertativa, senza mai sfociare in una condotta di vera e propria dissociazione in grado di agevolare l’Autorità nella raccolta di elementi conoscitivi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’attribuzione delle relative responsabilità.
18.5.¿ Ancora R. eccepisce l’erronea scelta dell’Autorità che avrebbe determinato il limite edittale del 10% avendo riguardo al bilancio del 2017 e non a quello del 2018.
L’Autorità ha correttamente fatto applicazione dell’art. 15 della legge n. 287 del 1990 secondo cui l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria va applicata nel limite del 10% del fatturato realizzato da ciascuna impresa od ente nell’ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della diffida.
L’ultimo bilancio approvato era quello relativo all’anno 2017. Il fatturato relativo all’anno 2018, invocato da R., non era estrapolato dal relativo bilancio ma dal progetto di bilancio approvato dal Consiglio di Amministrazione il 15 aprile 2019.
19.¿ In definitiva:
- gli appelli dell’Autorità nonché di R., R. e IN. vanno respinti;
- vanno invece accolti gli appelli di M., M.I., K., E..
19.1.¿ Le spese di lite del secondo grado di lite (per gli appelli respinti) e del doppio grado di lite (per gli appelli accolti) vanno compensate tra tutte le parti in considerazione della significativa difficoltà della materia controversa e della reciproca parziale soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando:
- accoglie gli appelli di K. s.r.l., E. s.p.a., M. s.c.p.a., M.I. s.p.a. e, per l’effetto, in riforma delle sentenze di primo grado, annulla parzialmente il provvedimento sanzionatorio impugnato nei termini di cui in motivazione;
- respinge tutti gli altri appelli principali e incidentali;
- compensa interamente le spese di lite tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone fisiche citate.