Una volta trasferitasi in Germania, l'interessata non aveva fornito alcun elemento utile al suo rintraccio, impedendo al Giudice ogni accertamento relativo alle sue attuali condizioni di vita nonché alla sua affidabilità.
Il Tribunale di Sorveglianza di Roma rigettava la richiesta di affidamento in prova al servizio sociale da svolgersi in Germania formulata dall'attuale ricorrente. Pur ritenendo in astratto ammissibile la richiesta, il Tribunale aveva infatti evidenziato come la richiedente, una volta trasferitasi in Germania, non aveva fornito alcun elemento utile al suo rintraccio,...
Svolgimento del processo
1. Con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato l'istanza di affidamento in prova al servizio sociale, anche nelle forme della detenzione domiciliare, da svolgersi nello Stato di residenza (Germania), formulata da S.G., in relazione alla pena di un anno e quindici giorni inflitta per i reati di cui agli artt. 594 e 610 cod. pen. Il Tribunale, pur ritenendo la domanda astrattamente ammissibile sulla scorta dell'indirizzo della Corte di legittimità secondo cui «a seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo 15 febbraio 2016, n. 38, è consentita l'ammissione all'affidamento in prova al servizio sociale la cui esecuzione debba svolgersi in uno Stato estero membro dell'Unione Europea dove il condannato abbia residenza legale e abituale, in conformità a quanto disposto dal menzionato decreto legislativo» (Sez. 1 n. 20977 del 15/06/2020, A., Rv. 279338), l'ha rigettata evidenziando come l'istante, trasferita in Germania in località sconosciuta, come segnalato dal locale Commissariato di P.S. in data 13 luglio 2021, non aveva fornito alcun elemento per il suo rintraccio, così rendendo impossibile ogni doveroso accertamento sulle sue attuali condizioni di vita e sulla sua affidabilità.
2. S.G. ricorre per cassazione, per il tramite del difensore di fiducia, deducendo - con un unico, articolato motivo - violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento agli artt. 125, comma 3, cod. proc. pen e 666, comma 5, cod. proc. pen. Il Tribunale ha trascurato di considerare quanto emergeva dagli atti e, segnatamente, che la ricorrente aveva costantemente fornito informazioni in ordine all'avvenuta fissazione della residenza dapprima a Ilford (Inghilterra), successivamente a Darmstadt (Germania); sicché - a fronte di tali indicazioni - il Tribunale avrebbe dovuto attivare i poteri ufficiosi di cui all'art. 666, comma 5, cod. proc. pen., acquisendo le informazioni al Ministero degli Affari Esteri per il tramite del Consolato Italiano in Germania, ai sensi dell'art. 37 d.lgs. n. 71 del 2011. L'inosservanza della norma del codice di rito si riflette inevitabilmente nella violazione dei principi comunitari dei diritti fondamentali dell'uomo. L'ordinanza sarebbe, per tali ragioni, meritevole di annullamento.
3. La difesa ha depositato memoria scritta con la quale, nel ribadire le superiori argomentazioni, ha allegato un documento, datato 21 settembre 2021, che attesta l'avvenuta "presa in carico" della ricorrente da parte dei competenti Uffici Territoriali della città di Darmstadt, in Germania.
Motivi della decisione
1. Il ricorso deve essere rigettato.
2. Non è superfluo premettere come il precedente orientamento della Corte secondo il quale la misura dell'affidamento in prova al servizio sociale debba svolgersi, in via continuativa, all'interno del territorio nazionale e non in un Paese estero - affermato sul presupposto che gli uffici di esecuzione penale esterna siano deputati a svolgere la loro attività soltanto in ambito nazionale e che, per la sua specifica natura, detta attività non sia ricompresa tra le funzioni statali esercitabili da parte di uffici consolari (tra le molte: Sez. 1, n. 45585 del 24/11/2010, S., Rv. 249172 e in senso conforme Sez. 7, n. 34747 dell'll/12/2014, dep. 2015, C., Rv. 264445; Sez. 1, n. 18862 del 27/3/2007, M., Rv. 237363; Sez. 1, n. 46022 del 29/10/2004, B., Rv. 230160; Sez.l, n. 3278 del 28/4/1999, D., Rv. 213724; Sez. 1, n. 5895 del 26/10/1999, C., Rv. 215027) - sia stato recentemente superato dalla giurisprudenza di legittimità, pervenuta all'opposta soluzione interpretativa sulla base della nuova disciplina introdotta dal decreto legislativo, 15 febbraio 2016, n. 38, che ha dato attuazione alla decisione quadro 2008/947/GAI del Consiglio, del 27 novembre 2008, relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze e alle decisioni di sospensione condizionale in vista della sorveglianza, delle misure di sospensione condizionale e delle sanzioni sostitutive. In seguito dell'entrata in vigore di tale decreto legislativo si è, infatti, ritenuto che il condannato possa essere affidato in prova ai servizi sociali in uno degli Stati che ha dato attuazione a tale decisione quadro (Sez. 1, n. 15091 del 16/5/2018, dep. 2019, L., Rv. 275807; Sez. 1, n. 169542 del 25/05/2020, M., Rv. 279144; Sez. 1, n. 20977 del 15/06/2020, A., Rv. 279338). Ciò in quanto l'affidamento in prova, quale misura alternativa alla detenzione, deve ritenersi assimilabile, al di là del dato letterale, a una "sanzione sostitutiva" come descritta dall'art. 2, lett. e), d.lgs. n. 38 del 2016, ovvero a una sanzione (misura) che impone obblighi e impartisce prescrizioni compatibili con quelli elencati nel successivo art. 4 e che costituiscono di norma il contenuto del «trattamento alternativo al carcere». Obblighi e prescrizioni diretti, da un lato, a promuovere la risocializzazione del condannato attraverso l'imposizione di regole di condotta e del mantenimento di rapporti con il Servizio sociale, nonché di prescrizioni di solidarietà e, dall'altro lato, a neutralizzare fattori di recidiva attraverso la sottoposizione a obblighi e divieti concernenti la fissazione di una stabile dimora, la libertà di movimento, lo svolgimento di attività, la frequentazione di determinati soggetti che possono favorire l'occasione di commissione di altri reati, la frequentazione di locali, la detenzione di armi, ecc. In questa prospettiva, la richiesta della condannata di eseguire la misura alternativa in Germania, ove assume di risiede stabilmente con il suo nucleo familiare, non trova alcun impedimento sul piano normativo, come del resto affermato nello stesso provvedimento impugnato. Tuttavia, la disciplina dettata dal d.lgs. n. 38 del 2016 prevede che, in ogni caso, la decisione da eseguire all'estero sia assunta dagli Organi dello Stato italiano, con successiva trasmissione del provvedimento applicativo a quelli dello Stato straniero in cui la misura deve essere eseguita, cui è demandato - tra gli altri - il compito di verificare se l'interessato abbia prestato la necessaria collaborazione per dare corso al relativo procedimento. È stato correttamente posto in risalto come, per un verso, «la comune adesione all'Unione Europea e al suo ordinamento assicura la reciproca adeguatezza, fra gli Stati, nell'adempimento dei compiti che derivano dal principio di collaborazione»; per altro verso, «il controllo sull'osservanza del contenuto prescrittivo della misura attiene all'esecuzione della stessa e costituisce, dunque, l'oggetto dell'attribuzione allo Stato di esecuzione», chiarendosi altresì che «permane l'obbligo, a pena di inammissibilità della istanza, per il condannato libero, di elezione di domicilio sul territorio nazionale (art. 677, comma 2 -bis, cod. proc. pen.)» e che «l'eventuale mancata collaborazione, anche conseguente alla assenza dal territorio nazionale, da parte del condannato istante all'indagine dell'Ufficio esecuzione penale esterna potrà concorrere a giustificare il rigetto, nel merito, della richiesta» (così in Sez. 1, n. 20977 del 15/06/2020, A., Rv. 279338). Ebbene, nel caso che ci occupa, il Tribunale di sorveglianza ha spiegato, in maniera puntuale e argomentata, di non poter formulare la doppia prognosi richiesta dall'art. 47 Orci. pen., in ragione del comportamento assolutamente non collaborativo tenuto dalla condannata, che si è trasferita all'estero, in località ignota. Né, in questo caso, vi è spazio per lamentare l'omessa attivazione del Tribunale ex art. 666, comma 5, cod. proc. pen., in relazione all'art. 37 d.lgs. n. 71 del 2011. Come emerge dagli atti del fascicolo del Tribunale di sorveglianza, la cui consultazione è consentita alla Corte per la natura del vizio dedotto, diversamente da quanto insistito nel ricorso e nella memoria - escluso ogni rilievo del documento a quest'ultima allegato, avente data 21 settembre 2021 (la stessa del provvedimento impugnato e, dunque, ignoto al Tribunale) - la condannata, dopo una prima comunicazione inerente la propria residenza nel Regno Unito, non ha dato più alcuna notizia di sé e, soprattutto, non ha mai comunicato la doverosa elezione di domicilio di Germania. Sicché il Tribunale di Sorveglianza ha giudicato sulla base del materiale documentale acquisito nel contraddittorio delle parti e a sua disposizione (nella specie la nota del Commissariato di P.S.), ha preso atto della mancata cooperazione dell'istante e, con motivazione congrua e logica, ha inferito una scarsa motivazione a portare proficuamente avanti il percorso risocializzante in regime di affidamento.
4. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente alle spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.