Il figlio naturale ha diritto, sin dal giorno della nascita, al risarcimento del danno patito per l'assenza della figura paterna. Lo status genitoriale, con annessi obblighi materiali e morali, si radica, infatti, nell'istante in cui il pargolo viene al mondo.
Svolgimento del processo
1. La Corte d'appello di Brescia - nel giudizio promosso da (omissis) (omissis) e (omissis) nei confronti di (omissis), avente ad oggetto la domanda di condanna di quest'ultimo, padre naturale del primo, al risarcimento del danno, patrimoniale e non, per violazione degli obblighi familiari di mantenimento ed assistenza del figlio, nonché la domanda di condanna alla restituzione in favore di (omissis) (omissis) delle somme dalla stessa anticipate per il mantenimento del figlio dalla nascita fino al compimento del diciottesimo anno di età - in parziale riforma della decisione di primo grado, che aveva respinto le domande di (omissis) e condannato (omissis) al pagamento, in favore di (omissis), della somma di euro 50.000,00, oltre interessi nella misura legale, ha condannato (omissis) (omissis) a pagare in favore di (omissis) la somma di euro 150.000,00, comprensiva degli interessi maturati, e a favore di (omissis) (omissis) l'ulteriore somma di euro 83.600,00 a titolo di rimborso delle spese anticipate dalla stessa per il mantenimento del figlio, oltre interessi dalla data della domanda, respingendo ogni altra domanda, oltre che al rimborso delle spese di lite del grado d'appello, da compensarsi nella misura di un quarto in ragione della parziale soccombenza.
2. In particolare, i giudici di secondo grado hanno affermato che il primo motivo di gravame, avente ad oggetto il capo della sentenza con il quale si respingeva la domanda risarcitoria svolta da (omissis) (omissis), non poteva essere accolto, «in assenza di rapporti familiari o comunque di concreta dimostrazione di danni specifici ulteriori, rispetto a quelli causati dall'appellato al figlio», ed hanno, invece, parzialmente accolto il secondo, il terzo ed il quarto motivo, riconoscendo che «l'assenza della figura paterna» aveva senza dubbio comportato un grave pregiudizio per il figlio, privato sin da bambino del sostegno morale e delle cure materiali necessarie ad una serena crescita, e che ciascun genitore era tenuto al mantenimento, all'educazione, all'istruzione ed all'assistenza morale dei figli, anche se uno solo dei genitori aveva riconosciuto il figlio alla nascita; con la ulteriore precisazione che il disinteresse mostrato dal genitore nei confronti del figlio, se da un lato integrava gli estremi di una grave violazione dei doveri di cura ed assistenza morale da parte del genitore stesso, dall'altro non poteva che provocare una profonda lesione di tutti i diritti del figlio nascenti dal rapporto di filiazione. Facendo ricorso alla valutazione equitativa di cui all'art. 1226 cod. civ., i giudici di appello hanno poi quantificato il danno subito dal figlio in euro 150.000,00, somma comprensiva degli interessi compensativi maturati, tenuto conto della durata dell'inadempimento e dell'assenza di qualsiasi giustificazione da parte dell'appellato, il quale, pur essendo a conoscenza della nascita del figlio, aveva mostrato totale disinteresse nei suoi confronti ed omesso di contribuire al suo mantenimento. Hanno, poi, accolto la domanda di rimborso delle spese di mantenimento del figlio, avanzata da (omissis), considerando esiguo l'importo di euro 50.000,00 liquidato con la sentenza di primo grado, in ragione delle condizioni economiche del padre descritte
dagli appellanti e non contestate dal (omissis), e «congrua e coerente con la quantificazione di un ordinario contributo di mantenimento al coniuge non convivente» la maggiore somma richiesta, maggiorata di interessi decorrenti dalla data di deposito della domanda giudiziale (ossia dal 1° ottobre 2012).
3. Avverso la suddetta pronuncia, (omissis) propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui resistono (omissis) e (omissis) con controricorso. La trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell'art. 380-bis.1. cod. proc. civ.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso (omissis) lamenta la «violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., degli artt. 2043 e 1226 cod. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.: per carenza di prova del danno occorso al figlio (omissis), per carenza di enunciazione e/o adozione di validi criteri, ai fini della incrementata liquidazione del danno, sempre in via equitativa». Richiamando la sentenza di questa Corte n. 2084 del 30 gennaio 2014, sostiene che la motivazione della decisione impugnata sia meramente apparente, in quanto il riconosciuto danno patrimoniale è privo di qualsiasi giustificazione ed esprime l'esercizio di un potere che, seppure ancorato all'equità correttiva ed integrativa, risulta del tutto arbitrario e non suscettibile di verifica.
2. Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando la «violazione e falsa applicazione, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., dell'art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. per illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine all'avvenuta giudiziale rideterminazione dell'entità del rimborso statuito in favore di (omissis)», si duole che la Corte d'appello, in maniera contraddittoria, da un lato, abbia affermato che la domanda di rimborso di euro 86.400,00 «appare congrua ed in detto ammontare deve essere riconosciuto il contributo di mantenimento» e, dall'altro, statuisca la condanna al pagamento «dell'ulteriore somma di euro 83.600,00 a titolo di rimborso delle spese anticipate dalla madre per il mantenimento del figlio», non consentendo in tal modo di comprendere quale sia l'importo complessivamente liquidato. Evidenzia, sul punto, che la controricorrente in primo grado aveva avanzato domanda di restituzione della somma di euro 86.400,00, omettendo qualsiasi allegazione volta a giustificare l'importo richiesto, per poi riproporre la medesima domanda in appello; in assenza di qualsiasi elemento di prova atto a ricostruire la condizione economica dei genitori, i giudici di appello erano pervenuti alla pronuncia di condanna indicata in dispositivo, omettendo di illustrare le ragioni per le quali avevano riconosciuto un significativo incremento della somma già liquidata in primo grado e di chiarire come dovesse essere interpretata la pronuncia di condanna al pagamento «dell'ulteriore somma di euro 83.600,00», a fronte delle richieste formulate da (omissis) e dell'importo già versato (euro 50.000,00) in adempimento della sentenza di primo grado.
3. La prima censura è infondata.
3.1. Anche a scopo di completezza espositiva, è opportuno premettere che la Corte di appello ha accertato che l'odierno ricorrente, la cui paternità era stata accertata giudizialmente, non ha adempiuto al proprio obbligo di mantenere, istruire ed educare il figlio e che il disinteresse mostrato nei confronti di questo, oltre ad integrare una grave violazione dei doveri di cura e assistenza morale, ha inevitabilmente provocato una grave lesione dei diritti del figlio nascenti dal rapporto di filiazione, e ciò a prescindere dal fatto che l'altro genitore lo abbia riconosciuto alla nascita e provveduto in via esclusiva al suo mantenimento, restando fermo comunque il dovere dell'altro genitore, anche per il periodo che precede la sentenza dichiarativa della paternità, di ottemperare ai propri doveri (Cass., sez. 1, 22/11/2013, n. 26205, Cass., sez. 1, 10/04/2012, n. 5652).
3.2. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte l'obbligo del genitore naturale di concorrere al mantenimento del figlio nasce proprio al momento della sua nascita, anche se la procreazione sia stata successivamente accertata con sentenza (Cass., sez. 1, 22/11/2013, n. 26205, Cass., sez. 1, 10/04/2012, n. 5652; Cass., sez. 1, 20/12/2011, n. 27653; Cass., sez. 1, 3/11/2006, n. 23596), producendo la sentenza dichiarativa della filiazione naturale gli effetti del riconoscimento e comportando per il genitore, ai sensi dell'art. 261 cod. civ., tutti i doveri propri della procreazione legittima, incluso quello del mantenimento ai sensi dell'art. 148 cod. civ.
3.3. L'obbligazione, come si è chiarito (Cass., sez. 6-3, 16/02/2015, n. 3079), trova la sua ragione giustificatrice nello status di genitore, la cui efficacia retroattiva è datata appunto al momento della nascita del figlio (fra le molte conformi, Cass., sez. 1, 6/11/2009 n. 23630), per cui l'obbligo dei genitori di mantenere i figli (artt. 147 e 148 cod. civ.) sussiste per il solo fatto di averli generati e prescinde da qualsiasi domanda giudiziale. Con la ulteriore conseguenza che, anche nell'ipotesi in cui al momento della nascita il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, tenuto perciò a provvedere per intero al suo mantenimento, per ciò stesso non viene meno l'obbligo dell'altro genitore per il periodo anteriore alla pronuncia della dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, proprio perché il diritto del figlio naturale ad essere mantenuto, istruito ed educato, nei confronti di entrambi i genitori, è sorto fin dalla sua nascita (Cass., sez. 1, 22/11/2013, n. 26205; Cass., sez. 1, 10/4/2012, n. 5652; Cass., sez. 1, 14/05/2003, n. 7386).
3.4. La decisione impugnata si pone, dunque, in linea con la giurisprudenza di legittimità che, enucleando la nozione di illecito endofamiliare, ritiene che la violazione dei relativi doveri non trovi la sua sanzione, necessariamente e soltanto, nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, ma comporta che la relativa violazione, nell'ipotesi in cui provochi la lesione di diritti costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi dell'illecito civile e dare luogo ad un'autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali, ai sensi dell'art. 2059 c.c., come reinterpretato alla luce dei principi recentemente e ripetutamente affermati da questa stessa Corte in tema di danni alla persona (Cass., sez. 3, 17/01/2018, n. 901; Cass., sez. 3, 27/03/2018, n. 7513; Cass., sez. 3, 31/01/2019, n. 2788; Cass., sez. 3, 11/11/2019, n. 28989; Cass., sez. 3, 29/09/2021, n. 26301) all'indomani della modifica degli artt. 138 e 139 C.d.A. ad opera della legge 4 agosto 2017, n. 124 (cd. «legge di stabilità»). Difatti, all'esito dell'esame del materiale probatorio acquisito, accertato che il (omissis)1 aveva omesso di onorare i propri doveri di genitore, la Corte di merito ha correttamente ritenuto sussistente il danno lamentato da (omissis) e risarcibile il relativo pregiudizio, in conseguenza della lesione di diritti inviolabili (o fondamentali) della persona, oggetto di tutela costituzionale (artt. 2 e 30 Cost.).
3.5. Ai fini della quantificazione del danno patrimoniale e non patrimoniale subito dal figlio per la totale assenza della figura paterna, i giudici di merito hanno legittimamente fatto ricorso al criterio equitativo per determinarne l'importo, non altrimenti quantificabile nel suo preciso ammontare. Al riguardo, va rammentato che «l'esercizio, in concreto, del potere discrezionale conferito al giudice di liquidare il danno in via equitativa non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità», ma solo a condizione che «la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell'uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito» (Cass., sez. 3, 13/10/2017, n. 24070; in senso conforme, Cass., sez. 1, 15/03/2016, n. 5090). Si è, in particolare, precisato che, al fine di evitare che la relativa decisione si presenti come arbitraria e sottratta ad ogni controllo, è necessario che il giudice indichi, almeno sommariamente e nell'ambito dell'ampio potere discrezionale che gli è proprio, i criteri seguiti per determinare l'entità del danno e gli elementi su cui ha basato la sua decisone in ordine al quantum (Cass., sez. L, 31/01/2018, n. 2327), dovendosi ritenere censurabili le liquidazioni basate su criteri «manifestamente incongrui rispetto al caso concreto, o radicalmente contraddittori, o macroscopicamente contrari a dati di comune esperienza» (Cass., sez. 3, 25/05/2017, n. 13153; Cass., sez. 2, 22/02/2018, n. 4310). Difatti, la «liquidazione equitativa, anche nella sua forma cd. "pura", consiste pur sempre in un giudizio di prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno, e cioè in un giudizio di mediazione tra le probabilità positive e le probabilità negative del danno effettivo nel caso concreto. Pur giocandovi un ruolo rilevante il potere discrezionale del giudice, essa non può tradursi, pertanto, in una valutazione arbitraria, in quanto il giudice è chiamato a compiere un ragionevole apprezzamento di tutte le circostanze che nel caso concreto abbiano potuto avere incidenza positiva o negativa sull'ammontare del pregiudizio e a dare conto, in motivazione, del peso specifico attribuito a ciascuna di esse, in modo da rendere evidente il percorso logico seguito nella propria determinazione e consentire il sindacato del rispetto dei principi del danno effettivo e dell'integralità del risarcimento» (Cass., sez. 3, 13/09/2018, n. 22272).
3.6. Nella vicenda in esame, non è ravvisabile né assenza di motivazione sui criteri seguiti per la quantificazione del danno, né violazione dell'art. 1226 cod. civ. Infatti, la Corte di merito, dopo avere posto in evidenza che, in conformità all'orientamento di questa Corte (Cass. n. 26205 del 2013), il danno subito dal figlio deve essere liquidato in misura proporzionale «...alla maggiore incidenza dell'assenza della figura paterna durante il periodo cruciale degli anni di sviluppo e crescita... (0-18 anni) e poi in misura decrescente per il periodo successivo... quando ormai la situazione abbandonica può ritenersi, almeno parzialmente, stabilizzata ed ormai, presumibilmente, quasi metabolizzata o in fase di progressiva compensazione...», acclarato che il (omissis) ben sapeva della esistenza del figlio, ha liquidato il complessivo importo di euro 150.000,00, somma comprensiva anche del danno non patrimoniale e degli interessi maturati, tenuto conto della durata dell'inadempimento e della assenza di qualsiasi ragionevole motivazione che potesse giustificare il comportamento del ricorrente che aveva omesso di prestare qualsiasi assistenza morale e di contribuire, anche in minima parte, al mantenimento del figlio, in tal modo riconoscendo la gravità del fatto e della sofferenza procurata al figlio. La sentenza impugnata non si pone, quindi, al di fuori dei limiti di cui all'art. 1226 cod. civ.
4. Neppure merita accoglimento la seconda censura.
4.1. Il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111, sesto comma, Cost.), e dell'art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l'iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta a ligata et probata. La sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico o quelle che presentino un «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili», ovvero una «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile» (cfr. Cass., sez. U, 7/04/2014, n. 8053; Cass., sez. U, 3/11/2016, n. 22232), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perché dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire «di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l'iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato» (Cass., sez. U, n. 22232 del 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata).
4.2. La motivazione della sentenza impugnata non rientra in alcuna delle fattispecie patologiche individuate dagli arresti giurisprudenziali richiamati. La Corte di merito, infatti, pronunciandosi sulla distinta domanda avanzata da (omissis), che aveva reiterato in grado di appello la iniziale richiesta di maggior rimborso quantificato in euro 86.400,00, ha spiegato che «le condizioni economiche del padre», descritte dagli appellati e non contestate nel merito dal (omissis), non consentivano di ritenere giustificato il rimborso nella misura riconosciuta dai giudici di primo grado, «corrispondente ad un contributo di mantenimento di circa 231 euro mensili», ed ha conseguentemente considerato la domanda di rimborso della (omissis) «congrua e coerente con la quantificazione di un ordinario contributo di mantenimento al coniuge non convivente», riconoscendo in suo favore, in dispositivo, l'importo di euro 83.600,00, oltre interessi dalla data della domanda. Il percorso argomentativo seguito dai giudici di appello, condivisibile o non, esplicita le ragioni poste a fondamento del decisum, escludendo al contempo la configurabilità di un vizio di ultrapetizione, dal momento che l'importo liquidato risulta inferiore a quello di euro 86.400,00 complessivamente richiesto da (omissis) (omissis) e sostitutivo del minor importo di euro 50.000,00, già liquidato in primo grado.
5. Il ricorso deve, quindi, essere rigettato. Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo. Deve, infine, darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012 n. 228.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.