Doverosa la motivazione del giudice qualora aumenti o diminuisca ulteriormente gli importi da riconoscere all'avvocato per le prestazioni professionali svolte in favore della società fallita. Tuttavia, qualora il giudice vi abbia adempiuto, l'onere della prova passerà in capo al professionista.
Il Tribunale di Ancona accoglieva parzialmente l'opposizione allo stato passivo di una società in liquidazione proposta dall'avvocato per un credito derivante da prestazioni professionali, quantificando lo stesso sulla base del DM n. 140/2012 in considerazione della natura dei giudizi oggetto dell'attività difensiva.
L'avvocato impugna la decisione mediante ricorso per cassazione...
Svolgimento del processo
L'avv. (omissis) ha proposto opposizione allo stato passivo del fallimento di s.p.a. in liquidazione, per un credito derivante da prestazioni professionali. L'opposizione è stata accolta solo in parte dal tribunale di Ancona, per importi relativi all'attività di difesa giudiziaria svolta in vari procedimenti. In particolare, e per la quanto ancora di interesse, il tribunale ha ritenuto non superata dall'opponente l'eccezione di inadempimento avanzata dalla curatela, e ne ha tratto la necessità, non dell'esclusione dell'intero compenso, ma della rideterminazione del medesimo tenuto conto dei risultati conseguiti in base all'attività prestata. Cosicché ha quantificato il credito secondo il d.m. n. 140 del 2012, tenuto conto della natura dei giudizi (per lo più di opposizione a decreto ingiuntivo) oggetto dell'attività difensiva, e ha ammesso l'opponente al passivo per la somma di 98.696,27 EUR in privilegio (art. 2751-bis, n. 2, cod. civ.) e per la somma di 26.529,55 (corrispondente a Iva e cpa) al chirografo. L'avv. (omissis) ha proposto ricorso per cassazione. La curatela ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
I. - Il primo motivo assume la violazione o falsa applicazione degli artt. 2697, 1218 e 2230 cod. civ. in tema di onere della prova dell'avvenuto adempimento dei contratti di patrocinio stipulato con la fallita, nonché degli artt. 115 e 116 cod proc. civ. in ordine alla valutazione della documentazione prodotta in giudizio. Il motivo è inammissibile.
II. - Nella prima parte non è in vero centrata la ratio decidendi del decreto impugnato, il quale ha sì evocato l'istituto della eccezione di inadempimento, e quello correlato dell'onere della prova, ma nel contesto di una distinta e complessiva valutazione (di pieno merito) involgente la rilevanza effettuale dei risultati conseguiti dall'attività prestata. In questo senso il tribunale ha fatto esplicita applicazione del d.m. n. 140 del 2012 che (art. 4) presuppone, nella liquidazione del compenso per attività giudiziale, di considerare il pregio dell'opera prestata dall'avvocato, i risultati del giudizio e i vantaggi conseguiti dal cliente. Resta quindi superata in via di fatto la questione relativa all'andamento dell'onere della prova alla quale ha alluso il ricorrente.
III. - Nella seconda parte il motivo è altrettanto inammissibile perché del tutto generico. Per dedurre la violazione dell'art. 115 cod. proc. civ. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall'art. 116 stesso codice (Cass. Sez. U n. 20867-20). A sua volta, ove il giudice abbia dichiarato di valutare le prove (documentali o meno) secondo il suo prudente apprezzamento, non è consentito dedurre, in cassazione, come violazione dell'art. 116 cit., che abbia male esercitato il suddetto prudente apprezzamento; tanto si può fare solo in base all'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., e peraltro nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (così ancora Cass. Sez. U n. 20867-20). Di tali oramai consolidati principi il ricorrente non tiene conto, risolvendo la censura in un vano tentativo di sovvertimento della valutazione in fatto.
IV. - Il secondo motivo deduce l'omesso esame di fatto decisivo, sempre in relazione agli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., costituito dalla documentazione comprovante l'esecuzione dell'attività giudiziale. Il motivo è inammissibile, sia perché generico, sia perché nuovamente non calibrato sulla ratio del provvedimento. Il quale difatti ha esplicitamente ritenuto certa l'attività giudiziale espletata e documentata, ma si è determinato sulla base della carente rilevanza dei risultati effettivamente conseguiti in vantaggio della società.
V. - Il terzo motivo denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 99 legge fall., 115, 116, 244 e 245 cod. proc. civ., per avere il tribunale omesso di motivare in ordine alla mancata ammissione delle prove orali. Il motivo è inammissibile per identica ragione, non essendo specificato in qual senso dall'ammissione della prova orale (così come articolata) si sarebbe dovuto dedurre un effetto sulla rilevanza del risultato conseguito per la società.
VI. - Il quarto motivo denunzia la violazione o falsa applicazione della l. n. 27 del 2012 (art. 9) e dei d.m. n. 140 del 2012 e 127 del 2004, nonché del d.m. n. 248 del 2006, a proposito della inderogabilità dei limiti tariffari. Anche il quarto motivo è inammissibile.
VII. - Lo è innanzi tutto per difetto di specificità, a misura della doglianza relativa alla avvenuta applicazione del d.m. n. 140 del 2012 a prestazioni in parte anteriori alla sua entrata in vigore, dal momento che non sono indicate nel ricorso, col dovuto rispetto del principio di autosufficienza, quale fossero le prestazioni non soggette al d.m. medesimo alle quali applicare l'antecedente sistema tariffario. Lo è poi in ogni caso nel riferimento alla pretesa illegittimità della liquidazione rispetto alla tariffa inderogabile.
VIII. - Da questo punto di vista deve essere sottolineato che il tribunale si è determinato sul presupposto della possibilità di derogare agli importi tariffari minimi e massimi dopo il d.l. n. 223 del 2006, conv. con modificazioni in l. n. 248 del 2006. Ha quindi fissato l'ammontare del credito tenuto conto della natura dei giudizi e dei risultati in concreto conseguiti. Questa Corte ha affermato che la disciplina, secondo cui i parametri specifici per la determinazione del compenso sono, "di regola", quelli di cui alla allegata tabella A dell'attuale tariffa, contiene tre importi pari, rispettivamente, ai valori minimi, medi e massimi liquidabili, con possibilità per il giudice di diminuire o aumentare "ulteriormente" il compenso in considerazione delle circostanze concrete. Sicché la regola va intesa nel senso che l'esercizio del potere discrezionale del giudice contenuto tra i valori minimi e massimi non è soggetto a sindacato in sede di legittimità, attenendo pur sempre a parametri fissati dalla tabella, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice medesimo decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo necessario, in tal caso, che siano controllabili sia le ragioni dello scostamento dalla "forcella" di tariffa, sia le ragioni che ne giustifichino la misura (v. Cass. n. 12537-19, Cass. n. 19989-21).
IX. - Il principio, per quanto dettato esplicitamente in tema di liquidazione delle spese giudiziali, è chiaramente estendibile ai casi in cui si discuta dell'insinuazione al passivo del credito professionale dell'avvocato, che il tribunale qualifichi come soggetta al d.m. n. 140 del 2012.
X. - Ora, avendo il tribunale motivato la ragione dello scostamento, era onere del ricorrente indicare specificamente - per consentire alla Corte di controllare poi l'esattezza e la pertinenza delle ragioni evocate - in qual senso e in qual modo la motivazione fosse da reputare non pertinente o illegittima in rapporto alla necessità di tener conto dei minimi tariffari. Cosa che non è stata fatta, così come non è stato specificato in qual modo e in qual senso quei minimi dessero conto di un credito superiore. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile per tutti i motivi svolti, e le spese poste a carico del soccombente.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in 3.200,00 EUR, di cui 200,00 EUR per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella massima percentuale di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.