Nel caso di specie era accaduto che la Corte di appello avesse condannato...
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 27.2.2002 P.F. conveniva in giudizio B.F. innanzi il Tribunale di Sassari, esponendo di essere proprietario di un terreno in agro del Comune di Tissi, confinante con quello del convenuto, e chiedendo l’accertamento dei confini e l’apposizione dei termini, mediante edificazione di muro di confine a spese di ambo le parti. Si costituiva in giudizio il B., eccependo di essere solo comproprietario, e non proprietario esclusivo, del terreno, ed invocando comunque il rigetto della domanda attorea, sul presupposto che il confine tra i fondi fosse certo. In via riconvenzionale, chiedeva altresì la condanna dell’attore a riedificare il muro di confine tra i fondi, che – a detta del convenuto – era parzialmente crollato per effetto di alcune opere di scavo eseguite, sul proprio terreno, dal P.. Egualmente in via riconvenzionale, invocava l’accertamento dell’intervenuto acquisto a suo favore, per usucapione, della proprietà della porzione eventualmente occupata. Il contraddittorio veniva esteso nei confronti di B.S., sorella di B.F. e comproprietaria del terreno di quest’ultimo, la quale faceva proprie le difese del germano. Con sentenza non definitiva n. 1265/2012 il Tribunale accertava che il confine tra i fondi era quello risultante dalle mappe catastali e rimetteva la causa in istruttoria per l’apposizione dei termini. Con successiva sentenza n. 1689/2013, definitiva, il primo giudice ordinava l’edificazione di un muro a confine tra i fondi, ponendo le relative spese a carico delle parti in ragione di metà per ciascuna. Interponevano appello avverso detta decisione B.F. e S. e la Corte di Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con la sentenza impugnata, n. 383/2017, resa nella resistenza del P., rigettava il gravame, condannando gli appellanti ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c. Propongono ricorso per la cassazione di detta sentenza i germani B., affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso P.F..
Motivi della decisione
Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano la falsa applicazione degli artt. 88, 96 c.p.c. e 87 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente affermato che alcuni documenti (nella specie, l’ordinanza di sospensione dei lavori n. 23 del 2001 emessa dal Comune di Tissi nei confronti di P.F. ed alcune tavole allegate al progetto a firma dell’arch. B.) sarebbero stati prodotti dagli appellanti solo in seconde cure, ed avrebbe ravvisato, in tale condotta processuale, i presupposti per la loro condanna ex art. 96, terzo comma, c.p.c. La censura è fondata. La Corte di Appello dà atto che i due documenti di cui si discute erano stati allegati al fascicolo di appello, ed aggiunge che gli odierni ricorrenti avevano già tentato di introdurli in sede di osservazioni alla C.T.U., con produzione mai autorizzata dal Tribunale (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata). Afferma inoltre, sempre alla stessa pagina: “E’ inoltre significativo che non se ne faccia menzione in nessuno scritto difensivo dei B., neppure nelle comparse conclusionali del primo grado di giudizio, ciò a dimostrazione di un loro inserimento successivo (neppure siglato dal Cancelliere)”. E, su tali premesse, ravvisa la violazione del dovere di lealtà processuale. I ricorrenti, con il motivo in esame, affermano di aver depositato l’ordinanza di sospensione dei lavori con le memorie ex art. 184 c.p.c., come allegato n. 8 alle stesse, e le tavole insieme alle osservazioni alla C.T.U., redatte dal C.T. di parte e successivamente trasfuse nelle difese dell’avvocato. Anche a voler ravvisare, nel rinnovato deposito di detti documenti in appello, una condotta in violazione del dovere di lealtà e probità processuale, sancito dall’art. 88 c.p.c., essa potrebbe al massimo essere considerata ai fini della regolamentazione delle spese, in applicazione dell’art. 92, comma 1, ultima parte, c.p.c. (in termini, cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 5624 del 21/02/2022, Rv. 664033 e Cass. Sez. U, Sentenza n. 18810 del 20/08/2010, Rv. 614316), ma non potrebbe comunque giustificare una condanna della parte ex art. 96 c.p.c. Peraltro, l’eventuale violazione del dovere di lealtà processuale di cui all’art. 88 c.p.c., al quale si collega il dovere di probità, dignità e decoro sancito dal codice deontologico forense, è certamente riferibile all’avvocato, ma non necessariamente alla parte, tanto è vero che il giudice, ove ne ravvisi la violazione, è tenuto a riferirne all’autorità disciplinare (Cass. Sez. U, Sentenza n. 10090 del 18/05/2015, Rv.635274; cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11978 del 08/08/2003, Rv. 565802 e Cass. Sez. U, Sentenza n. 3306 del 06/04/1987, Rv. 452361). Nel caso di specie, la Corte di Appello ha configurato la responsabilità della parte ex art. 96 c.p.c. senza tener conto, da un lato, che la documentazione oggetto della censura era stata già prodotta nel corso del giudizio di primo grado, e senza distinguere opportunamente la condotta riferibile alla parte da quella eventualmente imputabile all’avvocato. Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 950, 2697, 2712, 2729 c.c., 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente attribuito rilievo, ai fini dell’individuazione del confine tra i due fondi, alle risultanze catastali, anziché valutare nel complesso le prove, documentali e testimoniali, che erano state allegate agli atti del giudizio di merito. La censura è inammissibile, poiché sollecita una rilettura del compendio istruttorio ed un riesame del fatto, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). La Corte di Appello, peraltro, ha fatto propria la motivazione del Tribunale, dando atto che nella specie la fonte primaria, rappresentata dai titoli di provenienza, non era sufficiente perché non conteneva una precisa individuazione del confine di cui è causa, e ricorrendo, quindi, legittimamente, alle mappe catastali, come elemento di prova residuale. La Corte distrettuale ha poi tenuto conto anche delle risultanze della CTU, che aveva escluso, in particolare, che il rudere di muro esistente in prossimità del confine potesse valere come elemento di delimitazione fisica tra i due fondi. Con il terzo motivo, i ricorrenti si dolgono della violazione e falsa applicazione degli artt. 1140, 1146, 1158, 2043, 887, 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe posto a base della propria decisione solo alcuni elementi istruttori, trascurandone altri. La censura è inammissibile, alla luce del principio secondo cui “L'esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595: conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330). In definitiva, va accolto il primo motivo, mentre vanno dichiarati inammissibili il secondo ed il terzo. La sentenza impugnata va di conseguenza cassata in relazione alla censura accolta e, non essendo necessario alcun ulteriore accertamento di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi e per gli effetti di quanto previsto dall’art. 384, secondo comma, c.p.c., con eliminazione della condanna al pagamento della somma di € 1.000 ex art. 96, terzo comma, c.p.c. In ragione dell’accoglimento solo parziale del ricorso, va confermato il governo delle spese del giudizio di merito, mentre va disposta la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
la Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara inammissibili gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e, decidendo la causa nel merito, ai sensi di quanto previsto dall’art. 384, secondo comma, c.p.c., elimina la statuizione relativa alla condanna ex art. 96 c.p.c. Conferma il governo delle spese del giudizio di merito e compensa per intero tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.