Nel caso di specie l'imputato era stato condannato per maltrattamenti nei confronti della moglie e delle figlie minori,...
Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 9 marzo 2021 la Corte di appello di Reggio Calabria, in riforma della sentenza in data 29 aprile 2020 del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Reggio Calabria, ha ridotto la pena inflitta all'imputato in anni 6 di reclusione per maltrattamenti alla moglie e alle figlie minori, lesioni personali e violenza sessuale ai danni della moglie.
2. Con il primo motivo di ricorso l'imputato deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in merito al reato di maltrattamenti. Osserva che, a differenza di quanto affermato dalla Corte territoriale, aveva puntualmente contestato l'attendibilità delle persone offese nell'atto di appello. Aggiunge che mancava l'abitualità dei maltrattamenti. Lamenta l'omesso esame delle dichiarazioni della teste a difesa che aveva riferito che solo negli ultimi tempi la moglie dell'imputato le aveva confidato che l'uomo era diventato violento. Ricorda che i Carabinieri avevano negato interventi negli anni dal 2015 al 2019 per problemi del nucleo familiare. Segnala le incongruenze del narrato di una delle figlie, la mancata audizione delle ragazze, l'omessa indicazione del dies a quo del reato. Contesta altresì l'applicazione dell'aggravante di cui all'art. 61 n. 11- quinquies cod. pen. Con il secondo denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione per omessa motivazione sui rapporti tra il reato di maltrattamenti e il reato di lesioni personali con riguardo al concorso apparente di norme. In subordine, ritiene inapplicabile l'aggravante dell'art. 61 n. 2 cod. pen. Con il terzo eccepisce la violazione di legge e il vizio di motivazione in merito alla valutazione dell'attendibilità della teste. Le denunciate violenze erano incompatibili con il fatto che le bambine dormivano nel letto con la madre mentre egli dormiva in cucina. Era verosimile che la teste avesse frainteso le confidenze della persona offesa. Con il quarto lamenta la violazione di legge e il vizio di motivazione in merito al diniego delle circostanze attenuanti generiche e al trattamento sanzionatorio nel suo complesso. Lamenta altresì che non era stata esaminata la produzione documentale del 9 marzo 2021.
Motivi della decisione
3. Il ricorso è manifestamente infondato. Il primo motivo consiste in generiche censure di fatto che non si confrontano con la sentenza impugnata. Il 16 luglio 2019 gli agenti erano intervenuti su chiamata dall'avvocato della persona offesa, che aveva dichiarato di essere fuggita di casa insieme alle figlie per la violenza del marito. Raggiunto l'uomo in casa, gli operanti avevano verificato che era in stato di agitazione nonché in possesso di stupefacenti che aveva consegnato spontaneamente e di cui aveva dichiarato di fare uso personale, che la casa era a soqquadro e i mobili sfasciati. Quindi la donna aveva sporto querela nei confronti del marito, denunciando i maltrattamenti, le lesioni personali refertate del 13 maggio e del 16 luglio 2019, le violenze sessuali. L'imputato era stato arrestato in flagranza del reato di maltrattamenti, arresto non convalidato, cui era tuttavia seguita l'applicazione della misura cautelare coercitiva. Il GUP è pervenuto all'accertamento di responsabilità del reato di maltrattamenti sulla base delle dichiarazioni della persona offesa, delle amiche e della figlia maggiore della coppia, la quale in particolare aveva riferito che il padre era stato lungamente detenuto e, quando era rientrato nel nucleo familiare, aveva iniziato vessazioni di ogni tipo, minacce, percosse, danneggiamenti alle cose, non lavorava e rubava i soldi alla moglie. Era emerso un quadro desolante in cui la donna e le figlie erano sottoposte a continue umiliazioni e prevaricazioni, vivendo in uno stato di disagio continuo e incompatibile con le normali condizioni di esistenza. A differenza di quanto dedotto dalla difesa, la Corte territoriale ha puntualmente risposto ai motivi di appello, osservando che le dichiarazioni rese dalla persona offesa, dalle amiche e dalla figlia erano risultate attendibili e credibili, in quanto lineari, coerenti e disinteressate, oltre che convergenti tra di loro. Inoltre, ha evidenziato i seguenti significativi elementi di riscontro: a) le relazioni di servizio degli operanti intervenuti il 16 luglio, b) i certificati medici del 13 maggio e del 16 luglio 2019, c) le dichiarazioni delle amiche, le quali avevano riferito di fatti direttamente percepiti e appresi dalle figlie nonché delle confidenze della donna, d) dalle chat tra la donna e l'amica in ordine alle lesioni. Le contestazioni del ricorso per cassazione puntano a una rivalutazione delle prove acquisite nel giudizio abbreviato focalizzando l'attenzione su elementi di contorno anziché sul narrato in sé limpido e coerente delle vittime. Il tema dell'inizio della condotta illecita è stato del pari sviscerato con argomenti immuni da censure: il capo d'imputazione è coerente con la denuncia e riporta le ingiurie verbali dall'inizio del rapporto coniugale e le violenze vere e proprie dal 2018. Tanto basta ai fini dell'abitualità richiesta dall'art. 572 cod. pen., per cui la materialità del fatto deve consistere in una condotta che si estrinsechi in più atti che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, collegati da un nesso di abitualità ed avvinti nel loro svolgimento da un'unica intenzione criminosa di ledere l'integrità fisica o morale del soggetto passivo infliggendogli tali sofferenze. Correttamente la Corte territoriale ha disatteso la richiesta di audizione delle figlie, perché ritenuta un'attività non necessaria. È pacifico in giurisprudenza che, nel giudizio di appello a seguito della celebrazione del primo grado con il rito abbreviato, le parti non hanno un diritto all'assunzione di prove nuove, ma hanno solo il potere di sollecitare l'esercizio dei poteri istruttori di cui all'art. 603, comma 3, cod. proc. pen., essendo rimessa al giudice ogni valutazione in merito all'assoluta necessità d'integrazione probatoria (Cass., Sez. 6, n. 51901 del 19/09/2019, G., Rv. 278061-01 e Sez. 2, n. 5629 del 30/11/2021, dep. 2022, G., Rv. 282585-01). La difesa ha contestato l'applicazione dell'aggravante dell'art. 61 n. 11- quinquies cod. pen. Tuttavia, la Corte territoriale ha ben spiegato che i maltrattamenti erano stati compiuti nei confronti della moglie e delle due minori infraquattordicenni, che avevano personalmente subito violenza fisica e verbale, e alla presenza dell'altra figlia di circa quattro o cinque anni. Ha quindi considerato la madre e le prime due figlie persone offese dal reato, mentre la bambina piccola vittima di "violenza assistita". E' noto che la I. n. 69 del 19 luglio 2009, entrata in vigore il 9 agosto 2019, in data successiva alla cessazione della consumazione del reato di maltrattamenti, per un verso, ha modificato l'art. 61 n. 11-quinquies cod. pen., espungendo il riferimento all'art. 572 cod. pen., per altro verso, ha inserito nel reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi un quinto comma, che prevede che il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa del reato. Tale risistemazione normativa, tuttavia, non incide nel caso in esame per cui è corretta l'applicazione dell'aggravante vigente al momento dei fatti. In giurisprudenza è pacifico che il reato di maltrattamenti, aggravato dalla circostanza dell'essere stato commesso alla presenza di un minore, prevista dall'art. 61, n. 11-quinquies, cod. pen., si differenzia dal reato di maltrattamenti in famiglia in danno di minore, vittima di violenza cosiddetta assistita, perché, ai soli fini della configurabilità dell'aggravante, non è necessario che gli atti di sopraffazione posti in essere alla presenza del minore rivestano il carattere dell'abitualità (Cass., Sez. 6, n. 8323 del 09/02/2021, G., Rv. Rv. 281051 - 01). Inoltre, va considerato che l'aggravante. inerendo a un reato satellite. è stata considerata solo ai fini della modulazione della pena della continuazione, circostanza non specificamente censurata dall'imputato.
4. Il secondo motivo attiene ai rapporti tra il reato di maltrattamenti e quello di lesioni. Secondo la difesa ci sarebbe il concorso apparente di norme e non si giustificherebbe l'applicazione dell'aggravante teleologica. L'assunto non porta in conto l'orientamento giurisprudenziale maggioritario secondo cui i due reati sono da considerarsi autonomi, quando è possibile enucleare singoli episodi di lesioni, nell'ambito di un più ampio contesto maltrattante riferibile all'art. 572 cod. pen., mentre la circostanza aggravante del nesso teleologico, di cui all'art. 61, n. 2, cod. pen. non richiede un'alterità di condotte quanto piuttosto la specifica finalizzazione dell'un reato alla realizzazione dell'altro, com'è avvenuto nella specie (Cass., Sez. 6, n. 14168 del 22/01/2020, Z., Rv. 278844 - 01 e Sez. 5, n. 34504 del 12/10/2020, H., Rv. 280122-01). Si evidenzia, tuttavia, che la soluzione difforme, propugnata dall'orientamento minoritario, ha riguardato prevalentemente casi di lesioni lievi che sono state apprezzate dai Giudici di merito come frazioni della complessiva condotta di maltrattamenti (Cass. Sez. 6, n. 5738 del 19/01/2016, R., Rv. 266122 e n. 19700 del 03/05/2011, R., Rv. 249799).
5. Il terzo motivo inerisce al reato di violenza sessuale e consiste in generiche deduzioni di fatto in merito alla credibilità della persona offesa, alla verosimiglianza della dinamica riferita, al contrasto tra il narrato della donna e quanto riferito dall'amica. La Corte territoriale ha reso una motivazione diffusa sulla credibilità della vittima e ha spiegato le minime discrasie, grazie a una valutazione complessiva di tutti i fatti, ivi compresi quelli riferiti dalla figlia maggiore. Non è contestato che, negli ultimi tempi, la donna dormiva in camera da letto con le figlie, mentre l'uomo in cucina. Le violenze sessuali sono dunque compatibili con il racconto secondo cui l'imputato prendeva la moglie in camera da letto e la trascinava in cucina per consumare i rapporti non consensuali. La donna non aveva opposto resistenza per non svegliare le figlie, ma ne aveva parlato, prima della denuncia, con l'amica che aveva confermato i fatti, in particolare il numero degli episodi, anche se aveva frainteso alcuni particolari, quali a esempio i luoghi di consumazione delle violenze.
6. Infine, il quarto e ultimo motivo attiene al diniego delle attenuanti generiche e all'entità del trattamento sanzionatorio. In particolare, la difesa ha lamentato che la Corte non aveva tenuto conto della memoria difensiva con allegata relazione degli operatori del carcere in merito alla buona relazione dell'imputato con le figlie. Sul punto va ribadito il principio di diritto espresso da questa Sezione nella sentenza n. 36688 del 06/06/2019, R., Rv. 277667-01, secondo cui l'obbligo del giudice di appello di rispondere alla memoria sorge solo in correlazione al motivo svolto. Nel caso in esame, le circostanze attenuanti generiche erano state chieste nell'atto di appello in ragione dell'adesione dell'imputato a determink1'valori comunque indicativi di un'attitudine protettiva nei confronti della moglie e delle figlie femmine. Nonostante la puntuale risposta della Corte territoriale, che ha evidenziato che eventuali visioni culturali o concezioni religiose, che si pongono in assoluto contrasto con le norme che stanno alla base dei principi di uguaglianza e di pari dignità sociale 1non possono essere prese in considerazione, l'imputato ha insistito nella richiesta di applicazione delle circostanze attenuanti generiche introducendo un argomento del tutto nuovo non veicolato attraverso la redazione di motivi aggiunti, in violazione degli art. 582 e 591 cod. proc. pen.
7. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.