Svolgimento del processo
il Ministero della Difesa - Direzione Generale del Commissariato e dei Servizi Generali propose opposizione avverso il d.i. emesso dal Tribunale di Milano, ad istanza della D. Service s.r.l., per il pagamento della somma di 3.126.170, 18 euro dovuta a titolo di interessi legali per ritardato pagamento di fatture relative a servizi di ristorazione; il Tribunale emise sentenza non definitiva e, previo espletamento di c.t.u., sentenza definitiva, con le quali accertò che il tasso di interesse applicabile era quello previsto dall'art. 5 D.Lgs n. 231/2002 e stabilì che, ai fini del computo degli interessi moratori, doveva tenersi conto della data di incasso delle fatture; liquidò il dovuto in 1.303.466,23 euro e, detratti gli importi già versati, condannò l'Amministrazione al pagamento di 1.113.370,35 euro; pronunciando sul gravame del Ministero (che aveva censurato il Tribunale sostenendo che il debito della P.A. doveva ritenersi estinto già a seguito dell'emissione dell'ordine di pagamento), la Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado; la Corte ha affermato che, in difetto di qualsiasi patto specifico su decorrenza e saggio degli interessi, valgono anche per le transazioni commerciali in cui sia parte una pubblica amministrazione le disposizioni normative vigenti in corso di rapporto negoziale; che, dovendo applicarsi nello specifico il D. Lgs. n. 231/2002, avente carattere di norma imperativa inderogabile, risultava operante anche per la P.A. la regola comune per cui gli interessi legali decorrono fino al saldo, così come individuato dal c.t.u.; ha proposto ricorso per cassazione il Ministero della Difesa, affidandosi a due motivi; ad esso ha resistito la D. Service con controricorso; la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell'art. 380 bis.1. c.p.c.. Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha depositato conclusioni e le parti non hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
col primo motivo, il ricorrente denuncia «violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2, 3, 4 e 5 D. Lgs. n. 231/02, 278, comma 1, lett. d), R.D. 827/1924, degli artt. 1, commi 2 e 3, 5, commi 4 e 5, 6, comma 1, D.P.R. 367/1994, degli artt. 1182 c.c., 1224 e 1218 c.c., degli artt. 278 lett. d) e 287 del R.D. 23 maggio 1924, n. 827, dell'art. 651 RD 827/1924, degli artt. 2, 5 e 6 D.P.R. 367/94, dell'art. 1 Legge 28 marzo 1991, n. 104, dell'art. 6 del decreto legislativo 5 dicembre 1997, n. 430, dell'art. 43 Decreto ministeriale del 14/4/2000, n. 200»; censura la sentenza impugnata «per aver erroneamente [...] ritenuto che, ai fini della determinazione del termine finale di decorrenza degli interessi moratori, qualora il debitore sia un'Amministrazione statale (non titolare di disponibilità di denaro, detenute ape legis presso la Banca d'Italia in qualità di tesoriere dello Stato), debba aversi riguardo alla data di effettivo incasso delle somme di denaro (attività sottratte alla competenza del debitore pubblico) anziché alla data di ordinazione della spesa (ultima fase del procedimento contabile rientrante nelle attribuzioni dell'Amministrazione debitrice)»; col secondo motivo (che deduce la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 2, 3, 4, 5 e 7 del D. Lgs. n. 231/2002 e dell'art. 43 D.M. n. 200/2000), dedotto in subordine, il ricorrente impugna la sentenza «nella parte in cui ha ritenuto inderogabili le previsioni riguardanti il termine di pagamento»; rileva che le previsioni sul termine di pagamento risultano derogabili dalle parti ai sensi dell'art. 7 D. Lgs. n. 231/2002 ratione temporis applicabile, salva la violazione del principio di equità, ed evidenzia che l'art. 43 D.M. n. 200/2000 prevede, per il caso di ritardo nei pagamenti, che possa essere richiesto l'interesse legale "fino alla data di emissione del mandato"; i motivi -esaminati congiuntamente- risultano fondati nei termini che seguono, in conformità all'orientamento espresso da Cass. n. 29776/2020, cui il Collegio intende dare continuità; più specificamente, deve considerarsi che: mentre il privato, dopo aver assunto un impegno e aver liquidato e quindi determinato l'ammontare del debito maturato, provvede al diretto pagamento in favore del creditore, rendendo disponibili le somme dovute presso il domicilio di costui, l'Amministrazione statale, dopo aver assunto l'impegno di spesa e aver liquidato l'importo dovuto, completa le proprie incombenze con l'ordinazione della spesa e l'emissione dell'ordine di pagamento, rendendo disponibili le somme presso la Tesoreria di Stato, che è il focus destinatae solutionis; a quel punto è il creditore a doversi attivare presso la Banca d'Italia per chiedere il versamento delle somme presso il proprio conto corrente; non può pertanto essere condivisa la tesi della totale e completa equiparazione del momento di liberazione del debitore fra i pagamenti della pubblica amministrazione e quelli dei privati, in ragione delle peculiarità della disciplina della contabilità pubblica; d'altro canto, non si può neppure accedere alla tesi, ispirata alla dottrina della efficacia esterna della normativa in tema di contabilità statuale e contraddetta dalla natura meramente regolamentare delle norme che la disciplinano, secondo la quale la liberazione dell'amministrazione debitrice consegue sic et simpliciter all'emissione dell'ordinativo in difetto di comunicazione al creditore, normativamente prevista come adempimento demandato all'ufficio pagatore ex art.651, comma 5, del r.d. 827 del 1924, atto recettizio che pone il creditore in condizione di esigere il pagamento con la presentazione del mandato all'ufficio competente; se, dunque, le peculiarità che connotano il procedimento di pagamento dei debiti delle Amministrazioni statali con l'emissione dell'ordinativo e il coinvolgimento degli uffici della Tesoreria consentono di anticipare il momento di liberazione rispetto a quello di incasso della somma dovuta da parte del creditore, non è possibile però ritenere che l'effetto liberatorio consegua nell'inconsapevolezza del creditore, non debitamente informato e non posto quindi in condizione di riscuotere il credito, tenuto conto delle ripercussioni di tali circostanze sia sulla debenza degli interessi, sia sul diritto di azione e difesa in giudizio del creditore, che deve poter controllare l'attualità della propria posizione creditoria al momento in cui decide di agire in giudizio a tutela dei propri diritti; va pertanto attribuito rilievo alla data della comunicazione dell'emissione dell'ordinativo di pagamento effettuata dalla Tesoreria di Stato, a cui compete l'incombente; la semplice emissione del mandato o dell'ordine di pagamento non è di per sé sufficiente a rendere la somma ivi indicata disponibile per il creditore, in quanto quest'ultimo può esigere il pagamento solo con la presentazione del mandato all'ufficio deputato al pagamento dello stesso; pertanto, perché la somma dovuta dalla pubblica amministrazione non sia più produttiva di interessi, occorre che del mandato di pagamento sia data notizia al creditore perché questi possa riscuoterlo, dopo di che eventuali ritardi nella riscossione, con conseguente perdita degli interessi, sono solo ad esso imputabili; deve pertanto ribadirsi che, «in tema di debiti delle amministrazioni statali soggetti alla speciale disciplina del r.d. 23/05/1924 n. 827, regolamento per l'amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato, e del d.p.r. 20/04/1994 n. 367, regolamento recante semplificazione e accelerazione delle procedure di spesa e contabili, la liberazione dell'amministrazione debitrice non consegue alla semplice emissione del mandato o dell'ordine di pagamento, di per sé insufficiente a rendere la somma ivi indicata disponibile per il creditore, ma esige altresì la comunicazione dell'emissione dell'ordinativo di pagamento effettuata dalla Tesoreria di Stato, a cui compete l'incombente ai sensi del comma quinto dell'art.651 del r.d. 827 del 1924, atto recettizio che pone il creditore in condizione di esigere il pagamento con la presentazione del mandato all'ufficio competente» (Cass. n. 29776/2020 cit.); la sentenza impugnata va pertanto cassata, con rinvio alla Corte territoriale che, in diversa composizione, procederà a nuovo esame della vicenda alla luce del principio di diritto sopra richiamato; la Corte di rinvio provvederà anche sulle spese di lite;
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa e rinvia, anche per le spese di lite, alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione.