
Per la Cassazione, l'accettazione non può essere desunta dal mero silenzio serbato su una proposta anche quando fa seguito a precedenti trattative.
Un avvocato chiedeva la condanna di una società al pagamento dei compensi professionali per l'attività giudiziale svolta in tre processi dinanzi al Tribunale di Padova, quantificando il proprio credito. La società convenuta si costituiva, non contestando l'esecuzione della prestazione ma deducendo l'esistenza di un accordo per...
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. Con ricorso ex art. 14 del d. lgs. n. 150/2011, l'avv. C.M. domandava la condanna della Federazione Italiana dei Consorzi Agrari al pagamento dei compensi professionali per l’attività giudiziale svolta in tre processi dinanzi al Tribunale di Padova, quantificando il proprio credito - sulla base del d. m. n. 55/2014 - in complessivi € 122.919,14. Si costituiva l’ente convenuto, non contestando l’esecuzione della prestazione ma deducendo l’esistenza di un accordo per l’applicazione dei minimi tariffari (con ulteriore decurtazione), oltre che la necessità di dimezzare il corrispettivo, in considerazione dello svolgimento della prestazione congiuntamente con altro professionista (l’avv. R.). Il Tribunale di Padova, con riguardo al giudizio r.g. n. 1355/2012, ravvisava l’esistenza di un accordo tra le parti che fissava il compenso in € 7.000,00 (somma già ricevuta dall’avv. M.), giudicando irrilevante, nel rapporto tra l’avvocato e la sua cliente, l’ammontare (pari a € 22.930,78) delle spese legali al cui pagamento la controparte era stata condannata dal giudice della causa in questione. Relativamente al giudizio r.g. n. 2009/2013 (nel quale il ricorrente aveva ottenuto la distrazione delle spese ex art. 93 c.p.c.), il Tribunale, dopo aver ricostruito il contenuto delle comunicazioni scambiatesi dalle parti in merito alla quantificazione del compenso, liquidava quest’ultimo - sulla base dei parametri di cui al d. m. n. 55/2014 - in € 13.267,71 (somma riconosciuta come dovuta dalla stessa Federazione nella propria comparsa di risposta), ritenendo che l’avv. M. avesse già ricevuto, in forza del provvedimento di distrazione, una somma di poco superiore (tenuto conto degli € 10.000,00, da lui corrisposti al co-difensore avv. R.). Infine, per quanto concerne il giudizio r.g. n. 557/2013, il corrispettivo spettante al professionista ricorrente veniva quantificato - sempre sulla base degli accordi intercorsi con la cliente - in € 10.125,00. Calcolato in € 20.760,00 il totale corrisposto al ricorrente dalla Federazione, il collegio patavino condannava, pertanto, quest’ultima al pagamento della residua somma di € 9.802,00 (oltre accessori), oltre agli interessi legali dal deposito dell’ordinanza conclusiva del procedimento. Avverso la pronuncia del Tribunale di Padova ricorre per cassazione l’avv. M., sulla base di tre motivi. Propone ricorso incidentale, sulla base di un motivo, la Federazione Italiana dei Consorzi Agrari. Il ricorrente ha depositato controricorso al ricorso incidentale ex art. 371, comma 4, c.p.c. Ambedue le parti hanno depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.
2. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione di plurime disposizioni di legge, in primis degli artt. 1321 e 1326 c.c. e 1 d. m.n. 55/2014, sul presupposto che nessun contratto fosse stato concluso tra l’avvocato e la propria cliente relativamente al procedimento n. 557/2013 r.g., per non essere stata seguita la propria proposta dall’accettazione da parte di Federconsorzi. Il giudice di merito avrebbe violato anche gli artt. 2233 c.c., 13 della l. n. 247/2012 e 1 del d. m. n. 55/2014, ritenendo non necessaria la forma scritta per l’accordo avente ad oggetto la determinazione del compenso dell’avvocato (prevista, invece, ad substantiam dal terzo comma della norma citata). L’affermazione circa l’avvenuta conclusione dell’accordo è ritenuta, dal ricorrente, contraria anche agli artt. 2697 e 1328 c.c., 115 e 116 c.p.c. e 1 e 8 del d. m. n. 55/2014, non avendo il Tribunale preso in considerazione le evidenze dell’intervenuta revoca della originaria proposta dell’avvocato del 20.1.2014, nonché del rifiuto alla stessa opposto da Federconsorzi, emergente da una missiva del 31.3.2015, con la quale quest’ultima invitava l’odierno ricorrente a “predisporre una nota integralmente satisfattiva delle attività, spese e competenze come indicate nella nota del 18 giugno 2014”. Sotto altro profilo, il giudice di merito avrebbe violato l’art. 8, comma 1, d. m. n. 55/2014, per aver dimezzato l’importo spettante all’avv. M., nonostante la prova che la prestazione per l’intero giudizio fosse stata svolta esclusivamente da lui, senza alcun apporto dell’avv. R. (con il quale la Federconsorzi aveva dedotto essere intervenuta una separata transazione in ordine alle relative spettanze). In definitiva, secondo l’avv. M., il proprio credito per la prestazione in discorso sarebbe dovuto essere quantificato (sulla base dei parametri di cui al d.m. citato, e tenuto conto del valore della causa pari a € 13.314.739,02) in € 61.684,64 (oltre a iva e cassa).
3. Con il secondo motivo di ricorso, l’avv. M. ripropone la censura relativa alla violazione degli artt. 1321, 1326, 1362, 1364, 2233, 2697 c.c.; 93, 112 c.p.c.; 13 della l. n. 247/2012 e 1 e 6 del d. m. n. 55/2014, con riguardo alla statuizione della sentenza impugnata, afferente al procedimento n. 2009/2013 r.g. Sostiene il ricorrente che, anche in questo caso, il Tribunale di Padova abbia errato nel ritenere concluso un accordo sul compenso, sulla base dei fax scambiati tra le parti in data 28 marzo e 2 aprile 2012. Ciò perché la prima comunicazione di Federconsorzi - nel quantificare gli onorari per la procedura esecutiva in € 7.000,00, e quelli per l’eventuale procedimento di opposizione all’esecuzione nella somma (decurtata del 10%) indicata nel “decreto Marvasi” - invitava l’avv. M. a “restituire la presente entro 3 giorni per accettazione”; mentre il successivo fax del professionista (inviato oltre il termine indicato e senza specifica accettazione della proposta), richiamava, per la fase di opposizione all’esecuzione, il valore “minimo tariffario con la decurtazione del 25%”. Il riferimento al “decreto Marvasi” avrebbe, inoltre, reso di per sé indeterminabile il corrispettivo, non essendo tale provvedimento allegato alla proposta, e contenendo comunque due diversi prospetti di liquidazione, con diverse aliquote di riduzione degli importi tariffari (aliquote, in ogni caso, diverse da quella del 25% menzionata nella missiva dell’avvocato del 2.4.2012). Più in generale, le comunicazioni scambiate tra le parti non conterrebbero alcun accordo sul compenso relativo al procedimento ordinario di cognizione n. 2009/2013, facendo riferimento unicamente al procedimento di esecuzione forzata (e dunque, al più, al sub-procedimento ex artt. 618, comma 1, e 624 c.p.c., introdotto dall’opposizione). Infine, nel liquidare il compenso, il Tribunale di Padova avrebbe violato l’art. 6 del d.m. n. 55/2014, dal momento che, coprendo il valore della controversia (pari a € 20.694.255,56), per intero, i primi cinque scaglioni di cui alla tariffa in discorso (fino a € 16.000.000,00), l’importo medio per ciascuna fase sarebbe dovuto essere amentato della percentuale massima prevista dalla disposizione citata (30%), e non già di quella discrezionalmente determinata dal giudicante nel 15%. In via subordinata, il ricorrente denunzia violazione degli artt. 93 e 112 c.p.c., e 111, comma 6, Cost., per avere il giudice di merito indebitamente sottratto, dall’importo dovutogli in relazione al giudizio n. 557/2013, la somma di € 323,00, parte della più ampia somma di € 13.760,00, oggetto del provvedimento di distrazione di cui alla sentenza conclusiva del procedimento n. 2009/2013, così operando - in difetto di domanda di Federconsorzi - un’impropria compensazione.
4. Con il terzo motivo di ricorso, si censura la statuizione relativa alla decorrenza e alla misura degli interessi sul credito riconosciuto in capo all’avv. M.. Quanto alla prima, essi sarebbero dovuti, infatti, non già dalla data di pubblicazione della sentenza, bensì da quella (anteriore) di costituzione in mora (28.9.2016); quanto alla seconda, dovrebbe essere applicato l’art. 1284, comma 4, c.c., a partire dalla domanda giudiziale.
5. Con l’unico motivo di ricorso incidentale, la Federconsorzi censura l’ordinanza del Tribunale di Padova per violazione degli artt. 1195 e 2702 c.c. e 116 c.p.c., per avere erroneamente escluso che la fattura n. 7 del 12.7.2013, emessa dall’avv. M., attenesse ai compensi relativi ai procedimenti oggetto di causa, nonostante lo stesso creditore ne avesse imputato l’importo, ai sensi dell’art. 1195 c.c., al pagamento degli onorari per il giudizio n. 1355/2012.
6. Nel controricorso ex art. 371, comma 4, c.p.c., l’avv. M. ha eccepito l’inammissibilità del controricorso avversario (contenente ricorso incidentale) siccome sottoscritto con firma digitale invalida, posto che il relativo “rapporto di verifica” recita: “Firma non valida. Il documento potrebbe essere stato alterato” e “Il certificato non è attendibile. Il certificato è sospeso: data di sospensione 22/06/2015 14:35:37 UTC” (si vedano i docc. 8 e 9 allegati al controricorso notificato il 17.11.2017).
7. Iniziando dall’esame del primo motivo di ricorso, la questione dallo stesso involta è se l’accordo sulla quantificazione del compenso possa dirsi concluso per effetto della proposta dell’avvocato (contenuta nella mail del 20.1.2014), seguita dalla “prosecuzione dell’incarico professionale da parte sia di Federconsorzi che del difensore M.” (così l’ordinanza impugnata, a pag. 12). Il ricorrente lo nega, richiamando il disposto dell’art. 2233, comma 3, c.c. (come risultante dalla modifica introdotta dall’art. 2, comma 2-bis, del d.l. n. 223/2006, conv. con modif. nella l. n. 248/2006), secondo cui “sono nulli, se non redatti in forma scritta, i patti conclusi tra gli avvocati ed i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali”. Per quanto riguarda, invece, l’art. 13, comma 2, l. n. 247/2012 (alla cui stregua “il compenso spettante al professionista è pattuito di regola per iscritto all'atto del conferimento dell'incarico professionale”), a dire del ricorrente esso sarebbe inapplicabile ratione temporis, essendo stato conferito l’incarico professionale relativo al procedimento n. 557/2013 con la procura a margine dell’atto di precetto del dicembre 2012 (prima, dunque, della entrata in vigore della norma suddetta, pubblicata nella G.U. n. 15 del 18.1.2013). Sul punto, si deve dare continuità a un recente precedente di questa Corte, nella cui motivazione si legge che l'art.2233 c.c. “non può ritenersi implicitamente abrogato dall’art. 13, comma 2, della 1. n. 247 del 2012: tale norma stabilisce che il compenso spettante al professionista sia pattuito di regola per iscritto. Infatti, secondo l'interpretazione preferibile, la novità legislativa ha lasciato impregiudicata la prescrizione contenuta nel terzo comma dell'art. 2233 c.c. In base a questa interpretazione, la norma sopravvenuta non si riferisce alla forma del patto, ma al momento in cui stipularlo: essa, cioè, stabilisce che il patto deve essere stipulato all'atto del conferimento dell'incarico (cfr. Cass. n. 11597/2015). Si osserva che se il legislatore avesse realmente voluto far venir meno il requisito della forma scritta per simili pattuizioni, è ragionevole ritenere che avrebbe provveduto ad abrogare esplicitamente la previsione contenuta nel terzo comma dell'art. 2233 c.c., il quale commina espressamente la sanzione della nullità per quei patti che siano privi del requisito formale ivi prescritto” (Cass., n. 24213/2021). Pertanto, anche a voler ritenere (come fa il Tribunale di Padova nel provvedimento in questa sede impugnato) che la proposta sia da identificarsi nella e-mail dell’avv. M. datata 20.1.2014 (e sia dotata, quindi, della forma scritta), mancherebbe l’accettazione nella medesima forma, posto che - come esattamente nota il ricorrente - dal successivo carteggio intercorso tra le parti non è dato evincere la formazione del consenso sul preventivo di cui alla menzionata proposta. Nelle comunicazioni del 10.6.2014 e 12.8.2014, infatti, l’avv. M. tornava, infatti, a richiedere i propri compensi sulla base del d.m. n. 55/2014, mentre la Fedeconsorzi, da parte sua, ancora in data 18.6.2014 lo sollecitava al deposito di una “dettagliata nota spese per ciascun giudizio da [lui] patrocinato”, “al fine di quantificare le sue spettanze” (missiva di analogo tenore sarà successivamente inviata all’avvocato in data 31.3.2015). Anche a voler trascurare il profilo della forma scritta, il contenuto di tali dichiarazioni è, all’evidenza, di per sé idoneo ad escludere la possibilità di conferire al silenzio serbato da Federconsorzi sulla proposta del 20.1.2014 valenza di comportamento concludente nel senso della relativa accettazione (si veda Cass., n. 10533/2014, secondo cui, “in tema di formazione del contratto, l'accettazione non può essere desunta dal mero silenzio serbato su una proposta, pur quando questa faccia seguito a precedenti trattative intercorse tra le parti, delle quali mostri di aver tenuto conto, assumendo il silenzio valore negoziale soltanto se, in date circostanze, il comune modo di agire o la buona fede, nei rapporti instauratisi tra le parti, impongano l'onere o il dovere di parlare, ovvero se, in un dato momento storico e sociale, avuto riguardo alla qualità dei contraenti e alle loro relazioni di affari, il tacere di uno possa intendersi come adesione alla volontà dell'altro”). D’altra parte, si è fuori dal campo di applicazione dell’art. 1327 c.c., atteso che l’esecuzione della prestazione era già iniziata, e comunque era riferibile allo stesso proponente, e non già all’accettante. È, pertanto, da ritenersi fondato il primo motivo in relazione al profilo sopra indicato, che assorbe l’ulteriore doglianza relativa all’asserita violazione dell’art. 8, comma 1, del d.m. n. 55/2014.
8. È fondato anche il secondo motivo del ricorso, relativo alla quantificazione dei compensi professionali per l’attività svolta nel procedimento n. 2009/2013 del Tribunale di Padova. Afferma l’ordinanza impugnata che, con l’espressione “confermo il calcolo delle mie competenze” (contenuta nel fax del 2.4.2012), l’avv. M. avrebbe fatto riferimento “alla precedente proposta della Federconsorzi” (alla quale era allegato il “decreto Marvasi”), specificando altresì “di tenere in considerazione lo scaglione di valore e la decurtazione indicate nel “nuovo prospetto di scaglione di valori e delle relative percentuali di riduzione del compenso professionale calcolato al minimo tariffario autorizzato dal giudice delegato nella riunione del 23 giugno 2010””. In realtà, nel testo della risposta dell’avv. M. del 2.4.2012 (riportato a pag. 17 del ricorso per cassazione) non compare alcuna menzione espressa del “decreto Marvasi”. Il ricorrente contesta, peraltro, che al fax proveniente dalla cliente fosse allegato tale “decreto”, e sottolinea che, in ogni caso, lo stesso (separatamente prodotto in causa da Federconsorzi) recava due diversi prospetti per la quantificazione dei compensi, sicché “la proposta di Federconsorzi risulterebbe ulteriormente indeterminata ed insuscettibile di accettazione per l’ambiguità del riferimento” (pag. 19 del ricorso per cassazione). Per la migliore comprensione del motivo, occorre premettere che il “decreto Marvasi” è un provvedimento del giudice delegato del Tribunale di Roma (dr. Tommaso Marvasi), che “autorizza il liquidatore giudiziale ad adottare in sede di determinazione e pattuizione del compenso con i professionisti che saranno incaricati di assumere la difesa della Liquidazione Giudiziale (..) gli schemi di contratto allegati, integrandoli ove necessario mediante l’allegato prospetto - che a tal fine espressamente si omologa - degli scaglioni di valore e delle relative percentuali di riduzione del compenso professionale”. A tale provvedimento risultano allegati due prospetti, l’uno intestato come “Allegato del provvedimento del 5.12.2006”, l’altro come “Nuovo prospetto di scaglione di valore e delle relative percentuali di riduzione del compenso professionale calcolato al minimo tariffario autorizzato dal giudice delegato nella riunione del 23 giugno 2010”. Per le cause (quale quella in discorso) di valore compreso tra 15 e 50 milioni di euro, il primo prospetto prevede un compenso calcolato al minimo tariffario, con decurtazione del 10%; il secondo un compenso calcolato sempre ai minimi tariffari, ma con la decurtazione del 25%. Il fax di Federconsorzi del 28.3.2012 fa riferimento - come detto - agli importi previsti dal “decreto Marvasi (che si allega) decurtat[i] del 10%”. Ora, premesso che non è chiaro quale versione del “decreto Marvasi” fosse stata effettivamente allegata alla comunicazione in discorso (si è detto che il ricorrente ha negato financo che il fax recasse qualsivoglia allegato), l’espressione utilizzata non è univoca nell’indirizzare verso la tabella più risalente, dal momento che la decurtazione del 10%, ivi prevista, non è riferita ai minimi tariffari, ma - per l’appunto - ai valori del “decreto Marvasi”, sicché conforme alla lettera della dichiarazione si mostra una interpretazione che applichi un’ulteriore decurtazione del 10% rispetto al complessivo importo risultante dal “decreto Marvasi” (sia esso, a sua volta, calcolato all’esito dell’abbattimento del 10% - in accordo con la prima versione della tabella - ovvero del 25% - in accordo con la seconda versione della tabella - dei minimi tariffari). A fronte di tale proposta, non si riscontra un’obiettiva conformità nella dichiarazione dell’avv. M., contenuta nel fax di risposta del 2.4.2012, la quale fa riferimento alla decurtazione del 25% rispetto ai “minimi tariffari”. Anche a voler ritenere, infatti, che il riferimento (implicito) sia al (pur non menzionato) “decreto Marvasi”, un duplice profilo di difformità rispetto alla proposta è dato dall’allusione alla versione aggiornata della relativa tabella (recante la percentuale del 25% in luogo del 10%), e all’applicazione dell’unica riduzione percentuale ai minimi tariffari (e non ai valori finali risultanti dal “decreto Marvasi”, già inglobanti - come detto - una prima decurtazione percentuale). Va osservato, peraltro, che abbattere del 10% la somma risultante dalla riduzione dei minimi tariffari del 10% non equivale matematicamente alla riduzione secca del 25% dei minimi suddetti (prendendo come valore di partenza, per esempio, 100, nel primo caso si ottiene 81, nel secondo 75). Non sussiste, pertanto, conformità tra proposta e accettazione.
9. L’accoglimento dei primi due motivi di ricorso determina l’assorbimento del terzo (afferente alla decorrenza e alla misura degli interessi moratori), nonché del ricorso incidentale (relativo al computo dei versamenti effettuati da Federconsorzi in favore dell’avv. M., e alla relativa imputazione ai crediti via via maturati da quest’ultimo), imponendo la cassazione della sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Padova, per una nuova determinazione dei compensi professionali ancora dovuti al ricorrente in relazione all’attività svolta nei giudizi n. 557/2013 e n. 2009/2013, sulla scorta delle tariffe professionali ratione temporis applicabili.
P.Q.M.
Accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, nei termini indicati in motivazione, assorbiti gli altri ed assorbito altresì il ricorso incidentale; cassa la pronuncia impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia al Tribunale di Padova, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.