Svolgimento del processo
1.D. M. propone ricorso, notificato 18 novembre 2019, articolato in quattro motivi ed illustrato da memoria, per la cassazione della sentenza della Corte d'appello di Bologna n. 2469 del 9.9.2019, notificata il 30.9.2019, nei confronti di Z. Insurance company s.a., e di G. M., G. G., M. Ass.ni s.p.a. e di G. C. Service s.r.l.
2. Resiste Z. Insurance PLC con controricorso mentre gli altri soggetti, regolarmente intimati, non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
3. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale.
4. Questa la vicenda giudiziaria, per quanto ancora di interesse: nel 2009 il M. conveniva in giudizio M. C., G. G. e la Z. Insurance Company SA per sentirli condannare al risarcimento dei danni da lui riportati a seguito del sinistro stradale verificatosi sulla strada E45 allorchè la autovettura Alfa Romeo di sua proprietà, da lui condotta con direzione di marcia (omissis), veniva violentemente urtata dalla BMV di proprietà del M., locata alla G., che, mentre percorreva la medesima strada con opposta direzione di marcia, si immetteva improvvisamente nella corsia di percorrenza del ricorrente oltrepassando il varco del guard rail centrale e andando violentemente a cozzare contro la vettura del ricorrente. A seguito dell'impatto il ricorrente subiva gravi danni alla persona, nonchè danni patrimoniali.
5. Il Tribunale di Ravenna dapprima accertava l'esclusiva responsabilità del M. in solido con la G. nella causazione del sinistro, con sentenza non definitiva; quindi, con sentenza definitiva, nel 2014 provvedeva alla liquidazione del danno, condannando i convenuti in solido al risarcimento dei danni in favore del M., che quantificava nella misura complessiva di 264.000 € circa, oltre rivalutazione monetaria dalla data del sinistro alla pubblicazione della sentenza ed interessi, e previa la detrazione dell'acconto già versato dalla Z.. In particolare, il tribunale riconosceva un danno non patrimoniale pari al 35% di invalidità permanente escludendo che esso avesse una incidenza sulla capacità lavorativa specifica dell'attore, nonché 90 giorni di inabilità temporanea totale, 90 giorni di inabilità temporanea parziale al 75% e 180 giorni di invalidità temporanea parziale al 50%; applicava la personalizzazione del danno non patrimoniale temporaneo in considerazione dei dolori e dei disagi patiti dall'infortunato e una personalizzazione della invalidità permanente nella misura del 20%, in ragione della particolarità della vicenda e delle sue ripercussioni sugli aspetti anatomo- funzionali e relazionali. Riconosceva altresì in favore del danneggiato, oltre alle spese sostenute, un danno patrimoniale per perdita di retribuzione determinato in via equitativa in 10.000 €, in considerazione del fatto che l'assenza dal lavoro conseguente all'incidente non aveva consentito all'attore, all'epoca impiegato come dirigente d'azienda, di percepire un premio annuo che avrebbe potuto raggiungere I' importo massimo lordo di 20.000 €.
6. Il M. proponeva appello, lamentando che il danno fosse stato quantificato in misura inferiore al dovuto, e che fosse stato anche erroneamente calcolato sotto ogni profilo, sia quanto al calcolo della somma C.e, sia al calcolo di interessi e rivalutazione, e ritenendo che anche le spese legali non fossero state idoneamente riconosciute.
7. L'appello del M. veniva rigettato dalla Corte d'appello di Bologna con la sentenza qui impugnata.
La corte d'appello ritiene, quanto al danno non patrimoniale, che attraverso la personalizzazione il danno effettuata dal giudice di prime cure, con un aumento del 20% del valore di base, siano state tenute già adeguatamente in conto le circostanze del caso concreto, quali il pregiudizio emotivo subito dal danneggiato, conseguente alla impossibilità di insediarsi nella carica di amministratore della società dove prestava da anni attività lavorativa, in ragione dell'incidente, e i condizionamenti subiti nella sua vita privata avendo il M. dovuto rinunciare alle attività sportive praticate prima dell'evento. Conferma la pronuncia di primo grado laddove ha effettuato la liquidazione unitaria del danno non patrimoniale, ritenendola rispettosa dell'insegnamento di legittimità che impone una liquidazione unitaria del danno non patrimoniale, che tenga necessariamente conto di tutte le sue molteplici sfaccettature.
Rigetta l'appello anche quanto al danno patrimoniale ritenendo che il mancato guadagno di 18.000 € l'anno allegato dal M. non fosse stato idoneamente provato ed anche che il M. non avesse fornito prova della connessione causale tra le spese di vitto e alloggio a Ravenna sostenute dal coniuge in coincidenza con il suo periodo di degenza in ospedale e il sinistro.
Ugualmente, rigetta l'appello in ordine al mancato riconoscimento di spese legali per attività stragiudiziale nella misura di euro 14.000 ritenendo che le stesse non fossero documentate, non reputando idonea allo scopo la lettera della compagnia di assicurazioni che dava la propria disponibilità a riconoscere l'importo a titolo di spese stragiudiziali, in quanto tale disponibilità era circoscritta al caso di accettazione della proposta della compagnia stessa a saldo e stralcio delle pretese dell'appellante e al caso di definizione bonaria della vertenza nella fase stragiudiziale.
Rigetta il quinto motivo di appello, col quale si censurava il criterio di calcolo degli interessi legali e della rivalutazione monetaria, ed infine, rigetta l'appello anche quanto al criterio seguito per la liquidazione delle spese di lite, indicando che esso risultasse correttamente ancorato al solo parziale accoglimento della domanda.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione degli articoli 111, 116 e 132 numero 4 c.p.c. nonché dell'articolo 2697 c.c. ed una sostanziale mancanza di motivazione.
Lamenta che la Corte d'appello, in relazione alla liquidazione del danno non patrimoniale, non avrebbe tenuto conto né del fatto che il M., appena nominato amministratore della società per la quale già lavorava, non aveva potuto effettivamente ricoprire l'incarico di amministratore, avendo dovuto rinunciare a seguito del lungo periodo di invalidità temporanea e dei postumi invalidanti; lamenta poi che non gli sia stato risarcito il danno da pericolo alla propria vita, che ritiene avrebbe dovuto essere liquidato come una voce autonoma di danno, e che non sia stato risarcito in maniera adeguata il danno per i postumi permanenti, in particolar modo per la perdita della mobilità della caviglia sinistra che gli comportava difficoltà di deambulazione, l'impossibilità di fatto di svolgere gli sport che precedentemente praticava e difficoltà anche nello svolgimento della vita di tutti i giorni.
Il motivo è inammissibile.
Esso non evidenzia una effettiva violazione di legge, non si confronta neppure con gli specifici passi del provvedimento impugnato che ricostruiscono e motivano come si arrivi alla quantificazione degli importi liquidati ma ne contesta l'esito, che ritiene - riproducendo sostanzialmente le stesse censure svolte in appello - non sia stato adeguatamente personalizzato in relazione alle circostanze del caso concreto: pur avendo il giudice d'appello dato atto delle difficoltà posturali e deambulatorie e dell'impedimento allo svolgimento delle attività ludico-sportive precedentemente praticate nonchè degli aspetti relazionali derivanti dal sinistro, non ne avrebbe poi tratto le dovute conseguenze in sede di quantificazione del danno appiattendosi sulla quantificazione operata dal primo giudice.
In generale si contesta alla Corte d'appello di aver confermato la quantificazione complessiva effettuata in primo grado, ritenuta dal ricorrente inidonea a dare una piena riparazione del danno subito, ed in tal modo si contesta, inammissibilmente, la valutazione in fatto del giudice d'appello e non i parametri tenuti in conto ai fini della decisione.
Con il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione degli articoli 111, 116 e 132 numero 4 c.p.c. nonché il mancato esame di fatti controversi e decisivi della controversia, ovvero l'insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate in modo indecifrabile in relazione al mancato riconoscimento di alcune voci di danni patrimoniale.
In particolare il ricorrente lamenta che il giudice di appello gli avrebbe negato una quantificazione del danno patrimoniale rispondente al pregiudizio effettivamente subito (sottostimato in 10.000,00 euro annui dal giudice di prime cure) pur avendo lui precisato di avere depositato in primo grado documenti dai quali risultava il compenso che avrebbe percepito per la carica di amministratore di società, per la quale era stata appena nominato, incarico che aveva dovuto declinare a causa dell'incidente. Lamenta anche che altre spese da lui allegate, quali quelle sostenute per il vitto e l'alloggio della moglie in albergo durante la sua degenza in ospedale non contestate nell'ammontare, non fossero state riconosciute sulla base dell'affermazione che la richiesta di ammissione delle prove testimoniali non erano state riproposte in sede di conclusioni.
Il motivo è fondato.
A fronte di una specifica censura atta ad evidenziare l'avvenuta produzione, in primo grado, di documenti atta a comprovare gli emolumenti annui previsti per l'incarico di amministratore appena ricevuto e l'avvenuta riproposizione delle istanze per l'ammissione delle prove orali, ove il giudice di primo grado avesse ritenuto non decisiva la documentazione prodotta, anche in sede di precisazione delle conclusioni, il giudice d'appello avrebbe dovuto rinnovare il giudizio di merito sul punto e andare a verificare se effettivamente i documenti erano stati prodotti in primo grado, se essi erano idonei a comprovare la domanda e se le istanze istruttorie erano state effettivamente riproposte, e non limitarsi ad affermare che la regola decisoria utilizzata dal giudice di prime cure era astrattamente corretta, perché la correttezza della regola applicata va verificata, nell'ambito del giudizio di merito, previo accertamento in fatto se essa sia effettivamente coerente con la situazione di fatto sottostante, senza recepire supinamente l'accertamento in fatto compiuto dal giudice di primo grado.
Il motivo va accolto e la sentenza va cassata sul punto, con rinvio al giudice d'appello il quale dovrà verificare, quanto al danno patrimoniale, se effettivamente la documentazione prodotta dall'attore in primo grado non contenesse riferimenti al compenso per la carica di amministratore e, ove non ritenesse la documentazione prodotta sufficientemente probante, se effettivamente l'attore non ha riproposto le istanze istruttorie in sede di precisazione delle conclusioni.
Nell'ambito della rinnovazione del giudizio di appello in relazione al danno patrimoniale, il giudice di appello dovrà riesaminare anche il profilo delle c.d. spese collaterali sostenute dal ricorrente per il vitto e l'alloggio della moglie in albergo, nella città nel cui ospedale egli era ricoverato, in periodi corrispondenti alla sua degenza, dovendo ritenersi l'affermazione "correttamente il tribunale ha affermato che tali spese non siano riferibili con certezza al sinistro e che le stesse non possano ritenersi in rapporto causale col sinistro" tautologica ed inidonea ad integrare una motivazione atta a giustificare il rigetto della domanda sul punto.
Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del DPR n. 254 del 2006, della legge n. 990 del 69, del decreto legislativo n. 209 del 2005 nonchè del DM n. 127 del 2004, per avere la Corte d'appello disconosciuto il suo diritto alla refusione delle spese legali per l'attività svolta dal suo legale in via stragiudiziale. Afferma che l'assicurazione gli aveva messo a disposizione, con comunicazione scritta, 238.000 €, di cui 14.000 per spese legali stragiudiziali, ove lui le avesse accettate a saldo e stralcio prima dell'inizio della causa, ma che il tribunale e poi la Corte d'appello gli abbiano illegittimamente negato il diritto alle spese stragiudiziali perché ritenute non provate. Sostiene che l'importo delle spese legali stragiudiziali sostenute si possa evincere dall'importo riconosciutogli a tale titolo dalla assicurazione.
Il motivo di ricorso è infondato.
La motivazione della Corte d'appello sul punto è la seguente: "correttamente il tribunale ha infatti ritenuto che l'appellante non abbia provato di aver sostenuto spese legali per attività stragiudiziale spese che dunque non sono documentate".
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il rimborso delle spese di assistenza stragiudiziale ha natura di danno emergente, consistente nel costo sostenuto per l'attività svolta da un legale in detta fase precontenziosa. L'utilità di tale esborso, ai fini della possibilità di porlo a carico del danneggiante, deve essere valutata ex ante, cioè in vista di quello che poteva ragionevolmente presumersi essere l'esito futuro del giudizio. Da ciò consegue il rilievo che l'attività stragiudiziale, anche se svolta da un avvocato, è comunque qualcosa d'intrinsecamente diverso rispetto alle spese processuali vere e proprie. Ne deriva che, se la liquidazione deve avvenire necessariamente secondo le tariffe forensi, essa resta soggetta ai normali oneri di domanda, allegazione e prova secondo l'ordinaria scansione processuale, al pari delle altre voci di danno emergente (Cass. S.U. n. 16990 del 2017; Cass. S.U. n. 24481 del 2020). Il che comporta che la corrispondente spesa sostenuta non è configurabile come danno emergente e non può, pertanto, essere riversata sul danneggiante quando sia, ad esempio, superflua ai fini di una più pronta definizione del contenzioso, non avendo avuto in concreto utilità per evitare il giudizio o per assicurare una tutela più rapida risolvendo problemi tecnici di qualche complessità (Cass. n. 9548 del 2017).
Ne consegue che le spese sostenute per attività legale stragiudiziale, diversamente dalle spese legali, vanno liquidate come una componente del danno emergente e sono soggette agli stessi oneri di allegazione e prova. Così ricostruiti gli oneri gravanti sulla parte danneggiata la fine del riconoscimento e della liquidazione, all'interno del danno emergente, delle spese stragiudiziali sostenute, ne consegue che la mera esistenza di una proposta di accordo stragiudiziale, non sottoscritta dal danneggiato, in cui la compagnia assicuratrice del danneggiante si impegnava a riconoscere in favore del danneggiato, tra le varie voci, un congruo importo a titolo di spese stragiudiziali nel caso di accordo idoneo ad evitare la causa, non equivale, in sede di accertamento giudiziale, alla piena prova di aver subito un danno emergente corrispondente all'aver sostenuto, a cagione del sinistro, un esborso patrimoniale corrispondente.
Il riconoscimento da parte dell'assicurazione, in favore del danneggiato, di un importo per spese legali stragiudiziali nel tentativo di chiudere bonariamente la controversia evitando il giudizio non è un fatto irrilevante, perché comprova l'esistenza di un impegno nell'attività stragiudiziale di entrambe le parti, per evitare appunto la causa. In mancanza di una precisa allegazione sulla consistenza di tale impegno, ed in mancanza di alcuna documentazione in ordine alla sua avvenuta retribuzione (che il ricorrente non allega sia stata prodotta e non considerata), appare corretta la decisione di merito laddove le ha negato valore di prova che sia stata svolta un'attività extragiudiziale a suo favore per un impegno corrispondente ad un controvalore di euro 14.000 e laddove ha ritenuto, soprattutto, che manchi la prova da parte del ricorrente di aver sostenuto un effettivo esborso corrispondente all'importo del quale chiede la rifusione ai danneggianti a titolo di danno emergente.
Infine, con il quarto motivo di ricorso denuncia un vizio della motivazione e la violazione degli articoli 91 e seguenti c.p.c. in quanto la liquidazione delle spese legali sarebbe stata giustificata sulla base dell'accoglimento parziale, ma andando sotto i minimi, cosa non consentita.
Il quarto motivo, in sé generico, è assorbito dall'accoglimento del secondo, in quanto la cassazione della sentenza porterà ad una nuova liquidazione delle spese del giudizio di appello in fase di rinvio.
Conclusivamente, il primo motivo è inammissibile, il secondo è accolto, il terzo è rigettato, il quarto rimane assorbito.
La sentenza impugnata è cassata e la causa è rinviata alla Corte d'Appello di Bologna in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il primo motivo, rigetta il terzo, dichiara assorbito il quarto, accoglie il secondo, cassa e rinvia anche per le spese alla Corte d'Appello di Bologna in diversa composizione.