La Cassazione, nell'ambito di un processo esecutivo, ha precisato che laddove sia stato quantificato in modo omnicomprensivo l'importo delle spese vive e dei compensi, quello del contributo unificato dovrà necessariamente ritenersi incluso nella suddetta quantificazione.
Svolgimento del processo
M.V. ha agito in via esecutiva nei confronti di Roma Capitale sulla base di un titolo esecutivo di formazione giudiziale (sentenza), pignorando le disponibilità dell’ente debitore presso il suo tesoriere, la banca M.S. S.p.A.. Dopo la dichiarazione di quantità resa da quest’ultima in senso positivo, il giudice dell’esecuzione ha assegnato i crediti pignorati in favore del creditore procedente, che ha proposto opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell’art. 617 c.p.c., avverso la relativa ordinanza, sostenendo che il proprio credito (per capitale e spese) non fosse stato correttamente liquidato. L’opposizione è stata rigettata dal Tribunale di Roma. Ricorre il V., sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso Roma Capitale. Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’altra società intimata. È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, 376 e 380 bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato inammissibile e/o manifestamente infondato. È stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della pro- posta. Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis, comma 2, c.p.c..
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia «Art. 360 I comma n. 3 cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 95, 510 e 553 c.p.c., e dell’art. 111 Cost.: Erroneità della sentenza in punto di riesame del calcolo matematico delle spese di lite liquidate con la sentenza posta in esecuzione ed oggetto di erronea enumerazione nell’ordinanza di assegnazione». Il ricorrente sostiene che l’importo liquidato in suo favore nell’ordinanza impugnata, a titolo di sorta capitale, sarebbe inferiore a quello dovuto: sarebbe, quindi, altresì erronea la sentenza impugnata, che ha ritenuto la suddetta liquidazione conforme a diritto. In particolare, premesso di aver posto in esecuzione un credito per spese processuali liquidate nel titolo esecutivo per «€ 250,00, oltre spese generali ed accessori di legge», sostiene che avrebbe errato il giudice dell’esecuzione a considerare l’importo del contributo unificato (spesa non imponibile, pacificamente pari ad € 43,00) compreso nella somma sopra indicata, dovendo invece essere riconosciuto in aggiunta alla stessa. Il motivo è in parte manifestamente infondato ed in parte inammissibile. Nel provvedimento giudiziale (sentenza) posto in esecuzione dal creditore (V.) è prevista la condanna della parte con- venuta (Roma Capitale), in suo favore, al pagamento delle spese di lite, liquidate nell’importo omnicomprensivo di € 250,00, oltre spese generali ed accessori di legge; lo stesso creditore afferma che l’importo sostenuto in quel giudizio per il pagamento del contributo unificato era pari ad € 43,00. Va premesso che, sebbene la liquidazione omnicomprensiva delle spese giudiziali civili (per compensi professionali e spese vive) non sia in realtà, in linea di principio, conforme a diritto (dovendosi infatti ritenere illegittima la mera indicazione dell’importo complessivo di esse, priva della distinta specificazione delle due voci, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, cui va data senz’altro continuità: cfr. Cass., Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 23919 del 29/10/2020, Rv. 659360 – 01; nel medesimo senso: Cass., Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 32394 del 11/12/2019, Rv. 656119 – 01; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 18905 del 28/07/2017, Rv. 645162 – 01; Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 19623 del 30/09/2016, Rv. 641242 – 01; Sez. L, Sentenza n. 24890 del 25/11/2011, Rv. 619783 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 16390 del 14/07/2009, Rv. 609257 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 6338 del 10/03/2008, Rv. 602401 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 5318 del 08/03/2007, Rv. 596694 – 01), il suddetto provvedimento non è stato impugnato: di conseguenza, in sede esecutiva il relativo credito doveva essere liquidato in conformità allo stesso. Correttamente, quindi, dapprima il giudice dell’esecuzione e poi il tribunale, in sede di opposizione, hanno ritenuto che, trattandosi di importo omnicomprensivo, dallo stesso dovesse “scorporarsi” quello del contributo unificato (quale spesa viva non imponibile pacificamente sostenuta dalla parte), ai fini della liquidazione degli accessori forfettari (spese generali), tributari (IVA) e previdenziali (C.P.A.). Diversamente da quanto sostiene il ricorrente, non induce a diversa conclusione (anzi, rafforza quella appena esposta) l’indirizzo di questa Corte secondo il quale «in tema di spese processuali, qualora il provvedimento giudiziale rechi la condanna alle spese e, nell’ambito di essa, non contenga alcun riferimento alla somma pagata dalla parte vittoriosa a titolo di contributo unificato, la decisione di condanna deve intendersi estesa implicitamente anche alla restituzione di tale somma, in quanto il contributo unificato, previsto dall’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, costituisce un’obbligazione “ex lege” di importo predeterminato, che grava sulla parte soccombente per effetto della stessa condanna alle spese, la cui statuizione può conseguentemente essere azionata, quale titolo esecutivo, per ottenere la ripetizione di quanto versato in adempimento di quell’obbligazione» (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 18529 del 10/07/2019, Rv. 654658 – 01; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 18828 del 23/09/2015, Rv. 637147 – 01; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 15320 del 20/06/2017, Rv. 644738 – 01). In base a tale indirizzo, infatti, l’esborso sostenuto dalla parte per il pagamento del contributo unificato ai fini dell’iscrizione a ruolo deve ritenersi implicitamente compreso nella somma liquidata dal giudice a titolo di spese processuali in favore della stessa: ciò comporta che effettivamente, laddove sia stato quantificato esclusivamente l’importo dei compensi professionali e non quello delle spese vive, ovvero anche laddove sia stato quantificato espressamente l’importo delle spese vive ma senza tener conto del suddetto contributo unificato, il relativo importo va aggiunto (senza necessità di impugnazione e/o di correzione del provvedimento) alla somma liquidata. Al contrario, però, laddove sia stato quantificato in modo omnicomprensivo l’importo complessivo delle spese vive e dei compensi, quello del contributo unificato dovrà necessariamente ritenersi già incluso nella suddetta quantificazione omnicomprensiva, con tutte le conseguenze del caso. Quest’ultima ipotesi è quella che si è verificata nella fattispecie in esame, in quanto il giudice che ha definito il processo all’esito del quale si è formato il titolo esecutivo ha operato la liquidazione delle spese processuali, che comprendono di regola tanto i compensi professionali che le spese vive, in modo omnicomprensivo (per € 250,00), indicando distintamente e, quindi, escludendo da tale ultimo importo, esclusivamente le spese generali forfettarie nonché gli accessori di legge (cioè quelli tributari e previdenziali), ma non le spese vive (tra cui quella per il contributo unificato). D’altra parte, nel ricorso non è richiamato un eventuale ulteriore e diverso contenuto dell’indicato titolo esecutivo (in violazione, quindi, dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c.), che possa consentirne una diversa interpretazione. Deve, in definitiva, ritenersi che la liquidazione del credito fatto valere in via esecutiva quale sorta capitale, come operata nell’ordinanza del giudice dell’esecuzione e nella sentenza impugnata, sia conforme ai principi di diritto enunciati in materia da questa Corte.
2. Con il secondo motivo si denunzia «Art. 360 I comma n.3 cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 95, 100 e 553 c.p.c. Erroneità della sentenza per non avere il Giudice dell’opposizione emendato l’ordinanza di assegnazione nella parte in cui non ha dichiarato il provvedimento di assegnazione come solo parzialmente satisfattivo della sorte creditizia azionata». Il ricorrente sostiene che, in considerazione dell’importo sul quale si era perfezionato il pignoramento (€ 969,97, a suo di- re) e delle spese successive all’ordinanza che avrebbero dovuto sostenersi (di cui almeno € 200,00 a titolo di imposta di registro), l’assegnazione non poteva ritenersi integralmente satisfattiva, come indicato dal giudice dell’esecuzione. Il motivo è in parte manifestamente infondato ed in parte inammissibile. È sufficiente, in proposito, rilevare che, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., non è specificamente richiamato nel ricorso il contenuto degli atti e dei documenti sui quali è fondata la censura e, in particolare, il contenuto dell’atto di pignoramento e quello della dichiarazione di quantità resa dal terzo (necessari per verificare l’entità dell’importo sul quale effettivamente si è perfezionato il pignoramento), il che impedisce in radice a questa Corte di accedere al merito del motivo di impugnazione. Il rilievo che precede è già di per sé sufficiente per ritenere inammissibili le censure in esame. D’altronde, deve ritenersi senz’altro conforme a diritto la decisione impugnata, nella parte in cui il tribunale ha affermato che non può considerarsi illegittima l’ordinanza di assegnazione opposta per avere liquidato il credito relativo alle spese del processo esecutivo esclusivamente sulla base degli esborsi effettivamente documentati e (già) sostenuti dal creditore (e, di conseguenza, ha valutato su tale base anche la satisfattività dell’assegnazione, valutazione che peraltro, come correttamente rilevato nella decisione impugnata, ha valore indicativo e non determina effetti di giudicato). Né può condividersi la tesi del ricorrente, secondo la quale anche le spese successive sarebbero necessarie ed inevitabili, e di esse dovrebbe, quindi, tenersi obbligatoriamente conto in sede di assegnazione: in senso contrario, è sufficiente osservare che l’importo dovuto per la registrazione dell’ordinanza di assegnazione potrebbe essere anche (almeno in astratto) pagato al fisco dal debitore (certamente obbligato alla sua corresponsione) e le stesse spese di copia e notificazione dell’ordinanza di assegnazione potrebbero rivelarsi non necessarie, laddove il terzo (o addirittura lo stesso debitore) provvedesse a pagare l’importo assegnato prima ed a prescindere dalla suddetta notificazione (come è certamente possibile che avvenga, ancora una volta almeno in astratto). Si tratta, in altri termini, di spese eventuali e non certo necessarie, di cui è certamente da escludere che il giudice dell’esecuzione – prima che siano sostenute – possa tener conto ai fini della valutazione della satisfattività dell’assegnazione.
D’altra parte (lo si osserva per completezza di esposizione), la prova dei relativi esborsi non risulta fornita neanche in sede di opposizione.
3. Con il terzo motivo si denunzia «Art. 360 I comma nn. 3 e 5 cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 95 c.p.c., dei parametri introdotti dal D.M. 55/2014, per come successivamente aggiornati dal D.M. 37/2018, dell’art. 2233 c.c., degli artt. 75 e 111 Cost., dell’art. 1175 c.c. e degli artt. 88 e 92 c.p.c. ed omesso esame di un fatto decisivo per la controversia». Il ricorrente sostiene che sarebbero stati liquidati a titolo di spese del processo esecutivo importi inferiori ai valori medi della tariffa, in mancanza di adeguata motivazione. Anche questo motivo è in parte manifestamente infondato e in parte inammissibile. È in primo luogo inammissibile, per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., nella parte in cui il ricorrente procede alla determinazione dell’importo effettivamente liquidato a titolo di compensi in suo favore sull’assunto per cui le spese vive sostenute sarebbero pari ad una somma superiore a quella indicata dal giudice dell’esecuzione, senza peraltro richiamare i documenti sui quali è fondato tale assunto (né direttamente, allegandoli al ricorso e richiamando il loro contenuto, né indi- rettamente, mediante indicazione della loro allocazione nel fascicolo processuale e della parte testuale rilevante). In ogni caso, poiché in realtà il tribunale ha osservato che la liquidazione delle spese di esecuzione, nell’ordinanza oggetto di opposizione, era avvenuta in misura superiore ai valori minimi della tariffa (sebbene inferiore a quelli medi) e lo stesso ricorrente non mette in discussione tale accertamento di fatto, limitandosi a sostenere che non sarebbe legittima la liquidazione inferiore ai valori medi senza adeguata motivazione, la censura risulta manifestamente infondata anche in diritto, dal momento che, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte (che il ricorso non offre ragioni per rimeditare), «in tema di liquidazione delle spese processuali successiva al d.m. n. 55 del 2014, non trova fondamento normativo un vincolo alla determinazione secondo i valori medi ivi indicati, dovendo il giudice solo quantificare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe, a loro volta derogabili con apposita motivazione, la quale è doverosa allorquando si decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi affinché siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di questo» (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 89 del 07/01/2021, Rv. 660050 – 02; nel medesimo senso: Cass., Sez. L, Ordinanza n. 12537 del 10/05/2019, Rv. 653760 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 19989 del 13/07/2021, Rv. 661839 – 03).
4. Il ricorso è rigettato. Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo. Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, co. 17, della legge 24 dicembre 2012 n. 228.
P.Q.M.
La Corte: - rigetta il ricorso; - condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dell’ente controricorrente, liquidandole in complessivi € 750,00, oltre € 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012 n. 228, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.