Nonostante l'espressa previsione di sostituire quello precedente, il nuovo accordo si limita a modificarlo ed integrarlo in parte. Inoltre, quand'anche ricorrente, la novazione non avrebbe estinto le obbligazioni già venute in essere a meno di un accordo transattivo che avesse disposto diversamente.
Dopo il pagamento anticipato del canone annuale, la società conduttrice inviava una proposta di nuovo contratto di locazione commerciale il quale, denominato scrittura privata integrativa, veniva sottoscritto. Parte conduttrice effettuava un bonifico di un importo tale da cui si evinceva l'avvenuta detrazione dell'importo versato in forza del...
Svolgimento del processo
La società R.B. & C. SAS ricorre, articolando due motivi, per la cassazione della sentenza n. 200/2018 emessa dalla Corte d'Appello di Bologna, resa pubblica in data 5/02/2018. Resiste con controricorso W.. La società ricorrente rappresenta di essere proprietaria di un terreno di mq 20 in Cesenatico, concesso in locazione a W. Telecomunicazioni, a far data dal 19 febbraio 2011, per il canone annuale di euro 14.000,00 al netto di IVA. Nel marzo del 2014, dopo il pagamento anticipato del canone annuale, la conduttrice inviava una proposta di nuovo contratto di locazione che prevedeva: I) la durata di 9 anni rinnovabili; II) il canone annuale di euro 6.800,00 non rinegoziabile fino alla scadenza del contratto; III) il pagamento anticipato di cinque annualità; iv) la facoltà di sublocazione; v) la decorrenza dal 1° aprile 2014; VI) la sostituzione del nuovo accordo a quello precedente. Il nuovo contratto, denominato scrittura privata integrativa, veniva sottoscritto e registrato in data 30 maggio 2014. W. Telecomunicazioni, anziché corrispondere la somma di euro 41.480,00 (cinque mensilità più IVA), effettuava un bonifico dell'importo di euro 25.884,84 che giustificava, con missiva datata 20 ottobre 2014, sulla scorta di un sommario conteggio, da cui si evinceva l'avvenuta detrazione dell'importo versato nel febbraio 2014 in forza del precedente contratto. Fallito il tentativo di mediazione, l'odierna ricorrente otteneva dal Tribunale di Forlì il decreto n. 1691/2015, con cui ingiungeva a W. Telecomunicazioni il pagamento della somma di euro 15.595,15, al netto di interessi ed accessori, cioè la differenza tra quanto dovuto per l'anticipazione di cinque annualità di canoni locatizi comprensivi di IVA e quanto corrisposto. W. Telecomunicazioni notificava, in data 15 marzo 2014, ricorso per opposizione a decreto ingiuntivo, con cui sosteneva che il contratto di locazione e la scrittura privata integrativa disciplinavano lo stesso rapporto di locazione e che pertanto essa vantava un credito nei confronti della conduttrice per il canone versato per il periodo 1 aprile 2014-18 febbraio 2015 sulla scorta dell'originario contratto di locazione che chiedeva venisse compensato giudizialmente con quanto dovuto alla locatrice per effetto della scrittura privata integrativa. La società R.B. opponeva la ricorrenza di una novazione oggettiva, in considerazione dell'inequivoco tenore letterale dell'art. 12 della scrittura privata integrativa che prevedeva la sostituzione del nuovo accordo a quello precedente. Il Tribunale di Forlì, con la sentenza n. 195/2017, riteneva che la scrittura privata integrativa incidesse solo su alcune clausole del contratto di locazione, che essa non avesse sostituito il precedente accordo, ma si fosse limitata ad integrarlo e/o modificarlo in parte, pertanto, negava la ricorrenza di una novazione oggettiva, in difetto del mutamento dell'oggetto o del titolo della prestazione e della inequivoca volontà delle parti di estinguere il precedente contratto. La Corte d'Appello di Bologna, con la sentenza n. 200/2018, confermava la decisione di prime cure, ritenendo infondati i motivi di appello formulati dalla odierna ricorrente. In particolare, la Corte territoriale riteneva malposta la questione della novazione oggettiva, perché, quand'anche ricorrente, la novazione non avrebbe estinto le obbligazioni già venute in essere, a meno di un accordo transattivo che avesse disposto diversamente. Della sussistenza di un accordo riguardo alla sorte del canone di locazione già versato nella misura più che doppia rispetto a quello previsto dal nuovo accordo raggiunto tra le parti per l'annualità 2015 non era stata fornita prova; perciò il pagamento del canone di locazione per il 2015 risultava privo di titolo giustificativo, tant'è che la conduttrice lo aveva opposto in compensazione con il credito per il canone anticipatamente dovuto per un quinquennio in forza del nuovo accordo decorrente dall'aprile 2014. La trattazione del ricorso è stata fissata in Camera di Consiglio ai sensi dell'art. 380 bis 1 c.p.c. Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4, cod.proc.civ., la nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 c.p.c. - violazione del principio ultra petita, in assenza di specifica domanda, in relazione alla ritenuta presenza di indebito oggettivo. Mentre il Tribunale di Forlì aveva confermato l'unitarietà del rapporto di locazione, ritenendo che non era stata provata la ricorrenza della novazione oggettiva e che la scrittura privata del 2014 aveva carattere meramente integrativo e parzialmente modificativo del precedente contatto, la Corte d'Appello avrebbe reputato ricorrente la novazione oggettiva, ma le avrebbe negato efficacia estintiva delle obbligazioni già sorte per effetto del contratto novato, data l'assenza di una transazione relativa alle obbligazioni derivanti dal precedente contratto già adempiute. Di conseguenza, per la sentenza impugnata, il pagamento del canone annuale relativo al 2015 sarebbe risultato privo di titolo; la conclusione della ricorrente è che, essendo quella di indebito oggettivo un'eccezione in senso stretto, essa avrebbe dovuto essere sollevata dalla parte interessata nei termini di legge, e non avrebbe invece potuto essere sollevata d'ufficio, come, in effetti, era avvenuto. Il motivo va disatteso. In primo luogo, deve rilevarsi che - come osservato anche dalla controricorrente - il motivo non soddisfa le prescrizioni di cui all'art. 366 n. 6 c.p.c. Infatti, la ricorrente non si fa carico di dimostrare quale era stato il contenuto delle argomentazioni difensive di W. International allo scopo di supportare la propria tesi e cioè che la Corte territoriale abbia deciso ultra petitum. Vi si omette, infatti, di indicare, riproducendole direttamente o riproducendole indirettamente con precisazione della corrispondenza agli atti processuali, le detta argomentazioni e, dunque, non viene individuata la situazione processuale rispetto alla quale avrebbe violato l'art. 112 c.p.c. Pur essendo la violazione di cui all'art. 112 c.p.c. denunciabile ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., e, quindi, essendo, in merito allo scrutinio della relativa censura, questa Corte anche giudice del fatto processuale, detto vizio, non essendo rilevabile d'ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all'adempimento da parte del ricorrente - per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l'altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito - dell'onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere a una loro autonoma ricerca, ma solo a una verifica degli stessi (per tutte cfr. Cass. 28/10/2015, n. 21926). Va, comunque, osservato che la censura formulata muove da due assunti che non trovano riscontro nella sentenza impugnata: a) che la Corte territoriale abbia ritenuto ricorrente la novazione oggettiva; b) che la controparte non abbia mai eccepito la ricorrenza di un pagamento indebito. Ebbene, la sentenza impugnata non ha mai affermato che nel caso di specie ricorresse una novazione oggettiva, avendo, al contrario, sostenuto che la questione della natura novativa dell'accordo intercorso tra le parti il giorno 11 marzo 2014, sollevata con il primo motivo di appello, fosse "malposta", perché non avrebbe mutato i termini della questione, giacché l'accordo intervenuto tra le parti nel marzo 2014 aveva riguardato solo alcune pattuizioni del contratto di locazione stipulato in precedenza e nulla le contraenti avevano previsto «in merito al fatto che alla data della scrittura privata dell'll.3.2014 erano stati già pagati i canoni sino al 18.12.2015 (...). Infatti, la stipulazione del nuovo accordo (...) non ha riguardato l'obbligazione del locatore - che qui egli ritiene non inesistente, ma estinta in forza della novazione - di restituire i canoni che aveva già percepito, in via anticipata, per il periodo 1.4.2014/18.2.2015 in forza degli accordi originari». Proprio in ragione di ciò, la Corte territoriale, la cui ratio decidendi evidentemente non è stata messa bene a fuoco dalla ricorrente, ha ritenuto che, indipendentemente dalla natura novativa dell'accordo, la locatrice aveva a buon diritto chiesto, «con autonomo capo di domanda, di accertare il proprio credito derivante dall'eccedenza delle somme versate per canone di locazione versate in forza del contratto originario per il periodo l.4.2014/18.2.2015, trattandosi di indebito in ragione del fatto che con le concordate modifiche gli accordi originari avevano cessato gli effetti dal 1.4.2014 e, in secondo luogo, ha chiesto di disporre la compensazione giudiziale con quanto dovuto (...) in forza dei nuovi accordi». All'opposto di quanto affermato assertivamente dalla ricorrente, la locataria aveva fatto valere dunque la ricorrenza di un pagamento indebito; il che è sufficiente ad escludere il profilarsi di un vizio di ultra petizione: vizio che avrebbe richiesto la pronunzia su una domanda non proposta, con alterazione da parte del giudice degli elementi obiettivi dell'azione (petitum e causa petendi) e sostituzione dei fatti costitutivi della pretesa ovvero l'attribuzione di un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato). La stessa lettura delle conclusioni dell'atto di opposizione a decreto ingiuntivo, riprodotte alle pagg. 4 e 5 del ricorso, in sede di esposizione sommaria, palesa l'esattezza dell'apprezzamento svolto dalla Corte territoriale, atteso che la richiesta di accertamento del credito a titolo di rimborso dell'eccedenza del canone di locazione e quella di compensazione di esso con il dovuto all'attuale ricorrente, nient'altro sottintendevano se non una condictio indebiti dell'oggetto del rimborso. Le conclusioni in tal senso, stante l'esistenza del potere di qualificazione giudiziale in iure dei fatti posti a base della domanda, bene potevano essere dal primo giudice e, dunque, anche dal secondo, essere considerate espressione di una pretesa di restituzione di indebito, sicché appare priva di pregio la doglianza di violazione dell'art. 112 c.p.c. 1. Con il secondo motivo la ricorrente rimprovera alla Corte d'Appello, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, cod.proc.civ., la violazione o falsa applicazione degli artt. 1230 e 2033 c.c., dell'art. 116 c.p.c. per imprudente valutazione del materiale probatorio ed errata ricostruzione del fatto. La tesi rappresentata è che la sentenza impugnata, a p. 5, dopo aver riconosciuto la presenza di una novazione oggettiva, in forza delle regole generali abbia erroneamente ritenuto privo di titolo il pagamento del canone per il 2015, applicando non già una norma giuridica, bensì una elaborazione giurisprudenziale ed in particolare la decisione n. 11366/014 di questa Corte, peraltro, a giudizio della ricorrente, non pertinente. Avrebbe, invece, dovuto tener conto del fatto che la giurisprudenza di legittimità in tema di indebito oggettivo in presenza di un contratto di locazione nullo o simulato o di canone versato in eccesso non ha mai ravvisato alcun automatismo dell'obbligazione restitutoria. L'obbligo di pagamento del canone era corrispettivo al godimento dell'immobile da parte di W., il nuovo accordo non prevedeva alcuna restituzione o rimborso del canone già corrisposto, non ricorrevano i presupposti dell'indebito oggettivo, perché il pagamento non era stato effettuato nei confronti di un soggetto sbagliato né il debitore aveva effettuato un pagamento ritenendosi erroneamente creditore; inoltre, secondo la ricorrente, non era stato accertato se il pagamento si riferisse effettivamente all'anno solare 2015 né la sentenza aveva tenuto conto che le parti avevano concordato un canone annuale non frazionabili in mesi. Sulla scorta di tali argomenti, la ricorrente ritiene errato il ragionamento della Corte, ammettendo in astratto solo la possibilità di valutare la ricorrenza di un arricchimento ingiustificato, precisando, però, che non era stato oggetto di domanda e che, comunque, sarebbe stato assoggettabile ad un differente regime giuridico. Ribadito che la Corte d'Appello non ha affatto accolto la tesi della novazione oggettiva e che ha negato che le pretese della odierna ricorrente avrebbero meritato accoglimento, quand'anche l'accordo intercorso tra le parti avesse avuto il preteso contenuto novativo, mette conto osservare che il vizio di violazione di legge consiste in un'erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge, implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa (Cass. 30/12/2015, n. 26110) e che il vizio della sentenza deve essere dedotto non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina; diversamente il motivo è inammissibile, in quanto non consente a questa Corte di adempiere al compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 16/01/2007, n. 828). Nel caso di specie, nello svolgimento del motivo la ricorrente contesta la pertinenza del principio di diritto pronunciato da Cass. n. 11366/2014 e osserva "incidentalmente" che la giurisprudenza di legittimità non consente di ritenere automatica la ricorrenza di un'obbligazione restitutoria. Tali argomentazioni difensive non sono messe a confronto con la sentenza impugnata, al fine di dimostrare che essa abbia violato o falsamente applicato gli artt. 1230 e 2033 c.c., e muovono, come si è già detto, da una convinzione erronea che trova smentita nella sentenza impugnata, il cui iter argomentativo si è svolto attorno all'idea che la tesi della novazione oggettiva, essendo malposta, non fosse di alcun rilievo al fine di affrontare la quaestio disputandi. Solo ad abundantiam, infatti, la sentenza ha precisato che, quand'anche accolta, la tesi della novazione oggettiva non avrebbe prodotto le conseguenze volute dalla odierna ricorrente, perché, essendo non integralmente sostitutivo del contratto precedente, l'accordo novativo non avrebbe potuto spiegare effetti nei confronti di un'obbligazione nascente dal contratto già in essere tra le parti, su cui la novazione non aveva inciso; per decidere della sorte di quell'obbligazione, rimasta estranea alla novazione, le parti avrebbero dovuto stipulare una transazione ad hoc. Un'argomentazione che non costituisce ratio decidendi della sentenza impugnata e che non ha inciso sul dispositivo della sentenza gravata non può essere oggetto di ricorso per cassazione per difetto di interesse (Cass. 3/09/2021, n. 23885). Anche la violazione dell'art. 116 c.p.c. risulta del tutto priva di collegamenti con la sentenza impugnata. Per dedurre la violazione del paradigma dell'art. 116 c.p.c. è necessario considerare che, poiché l'art. 116 cod. proc. civ. prescrive come regola di valutazione delle prove quella secondo cui il giudice deve valutarle secondo prudente apprezzamento, a meno che la legge non disponga altrimenti, la sua violazione e, quindi, la deduzione in sede di ricorso per cassazione ai sensi del n. 4 dell'art. 360 cod. proc. civ., è concepibile solo: a) se il giudice di merito valuta una determinata prova ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l'ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una diversa risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale); b) se il giudice di merito dichiara di valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola, così falsamente applicando e, quindi, violando la norma in discorso (oltre che quelle che presiedono alla valutazione secondo diverso criterio della prova di cui trattasi): così, tra le tante, Cass. 3/11/2021, n. 31510, che applica Cass., Sez. Un., 30/09/2020, n. 20867. Il motivo, pertanto, non può essere accolto. 2.In definitiva, il ricorso è inammissibile.
3. Le spese del presente giudizio di cassazione - liquidate nella misura indicata in dispositivo - seguono la soccombenza
4. Seguendo l'insegnamento di Cass., Sez. Un., 20/02/2020 n. 4315 si dà atto, ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in euro 5200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.