Svolgimento del processo
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Ancona confermava la decisione di primo grado, con la quale A.Z. era stato dichiarato colpevole della contravvenzione di cui all'art. 6, comma 3, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (T.U. imm.), per non avere ottemperato, senza giustificato motivo, all'ordine di esibizione di un documento di identità, e del permesso di soggiorno di cui era titolare, impartitogli da personale della Polizia di Stato nel corso di un intervento eseguito su un automezzo di pubblico trasporto. L'intervento era stato sollecitato dal conducente dell'automezzo, giacché l'imputato, in stato di ebbrezza e senza regolare titolo di viaggio, stava molestando altri viaggiatori.
2. L'imputato, assistito dal difensore di fiducia, ricorre per cassazione sulla base di due motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in ordine alla ritenuta insussistenza della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen., concernente la particolare tenuità del fatto. L'imputato avrebbe in realtà tenuto, all'atto del controllo, un comportamento collaborativo, avrebbe declinato le sue generalità e avrebbe contestualmente dichiarato di non avere con sé documenti di identificazione. Non si tratterebbe di condotta definibile come pervicace, né ad alta intensità dolosa, o rivelante radicata indifferenza al rispetto del precetto penale. Il diniego, ancorato a tali presupposti, sarebbe illegittimo e ingiustificato. Non sarebbe stata arrecata alcuna significativa offesa al bene tutelato, né la condotta dell'imputato sarebbe grave ad altro titolo, e non sarebbe neppure abituale, sicché conclusivamente la decisione censurata sarebbe sorretta da mere clausole di stile, che questa Corte sarebbe tenuta a censurare.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio della motivazione, in punto di mancato riconoscimento delle attenuanti generiche. I loro presupposti, inutilmente illustrati in apposita memoria difensiva prodotta in appello, sarebbero largamente sussistenti, alla luce degli elementi evidenziati nel motivo precedente e tenuto anche conto della giovane età dell'imputato, della sua incensuratezza, della regolarità del soggiorno in Italia, delle sue disagiate condizioni di vita, del percorso di disintossicazione dall'alcol successivamente intrapreso e specificamente valutabile ai fini in discorso.
3. Il giudizio di cassazione si è svolto a trattazione scritta, ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176.
Motivi della decisione
1. La ratio dell'incriminazione, sulla quale ha pronunciato il giudice a quo, è quella di consentire agli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza, nell'immediatezza dell'accertamento, l'esatta, compiuta e documentale identificazione dello straniero, che è tenuto a portare con sé il titolo che la comprovi, la cui accidentale dimenticanza non scrimina la condotta in esame (Sez. U, n. 45801 del 29/10/2003, M., Rv. 226102-01), salvo che la documentazione sia, di lì a poco, fornita (Sez. 1, n. 12511 del 11/3/2010, L., Rv. 246536-01; Sez. 1, n. 47512 del 29/11/2007, Z., Rv. 238374-01), come nella specie non risulta avvenuto. Il giudizio di particolare tenuità, ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen., deve essere rapportato all'oggettività giuridica del reato, in tali termini definita, a fronte della quale il giudice è tenuto a valutare l'eventuale scarsa pericolosità di contesto (cfr. Sez. 4, n. 46438 del 28/9/2018, M., Rv. 273933- 01). Nell'escludere quest'ultima, la sentenza impugnata non è manifestamente incorsa nelle illogicità denunciate, se è vero che la formale identificazione dell'imputato era. nel caso in esame, funzionale alla prevenzione e repressione di un più ampio comportamento illecito, sicché l'averla ostacolata esprime una marcata intensità dell'elemento soggettivo, ex art. 133, primo comma, n. 3), cod. pen., ineccepibilmente valorizzata in senso ostativo. Il giudizio sull'entità dell'offesa deve essere, del resto, effettuato con riferimento ai criteri di cui al menzionato art. 133, primo comma, ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione ivi previsti, essendo sufficiente l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti e pregnanti (Sez. 7, n. 10481 del 19/1/2022, D.; Sez. 6, n. 55107 del 8/11/2018, M., Rv. 274647- 01; Sez. 3, n. 34151 del 18/6/2018, F., Rv. 273678-01).
2. Del pari, in tema di attenuanti generiche, le svolte censure manifestamente non evidenziano criticità del ragionamento giudiziale, in questa sede rilevabili. Le circostanze attenuanti in parola hanno lo scopo di permettere il ridimensionamento della pena, anche al di sotto del minimo edittale, in considerazione di situazioni e circostanze che favorevolmente incidano sull'apprezzamento dell'entità del reato e della capacità a delinquere del reo, sicché il riconoscimento di esse richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo (da ultimo, Sez. 2, n. 9299 del 7/11/2018, dep. 2019, V., Rv. 275640-01). Il mero stato di incensuratezza non giova a tali fini (art. 62-bis, terzo comma, cod. pen.; Sez. 5, n. 4033 del 4/12/2013, M., Rv. 258747- 01) La sentenza impugnata si è attenuta a tali principi, avendo, in tale prospettiva, ineccepibilmente ritenuto non significative condotte resipiscenti palesemente tardive, nel quadro di comportamento già qualificato da ritenuta marcata antidoverosità colpevole. Più in generale, occorre ribadire che, al riguardo, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli pur sempre indicati nell'art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/4/2017, P., Rv. 271269; Sez. 2, n. 3896 del 20/1/2016, D., Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/3/2014, L., Rv. 259899), come nella specie, in negativo, avvenuto.
3. Il ricorso, in entrambi motivi in cui si articola, deve essere dichiarato pertanto inammissibile. A tale declaratoria consegue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e - per i profili di colpa correlati all'irritualità dell'impugnazione (Corte cast., sentenza n. 186 del 2000) - di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.