Ottiene un prestito dall'INPS, volto all'acquisto della prima casa, ma non paga due rate di ammortamento. È inapplicabile la disciplina prevista dal TUB in tema di mutui fondiari e di inadempimento degli obblighi di restituzione rateale gravanti sul mutuatario.
Svolgimento del processo
1.- L’Inps ha chiesto, con ricorso ex art. 702-bis c.p.c., al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere di dichiarare l’avvenuta risoluzione del contratto di mutuo in essere con M.L., erogato nel 2005 per l’acquisto di un immobile in Mondragone, in forza della clausola di cui all’art. 5 del contratto di mutuo, a tenore della quale il mancato pagamento di due rate di ammortamento nel termine di novanta giorni dalla relativa scadenza facoltizza l’Istituto mutuante ad avvalersi dell’apposita clausola risolutiva espressa ivi prevista.
2.- Il Tribunale ha accertato l’avvenuta risoluzione del mutuo e condannato la mutuataria all'immediata restituzione dell’intera linea capitale erogata, oltre interessi.
3.- Il gravame della L. è stato rigettato dalla Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 13 settembre 2018.
3.1.- La Corte ha rilevato come «nella gravata ordinanza risulti ben evidenziata (pag. 2) la natura e l’efficacia della clausola risolutiva espressa di cui all’art. 5 del contratto di mutuo in oggetto e prodotto in atti, in forza del quale l’Inps ha chiesto e ottenuto la condanna della L. al pagamento dell’importo di C 185.984,91. Invero tale rilievo, che appare assorbente di ogni altra diversa valutazione espressa sulla questione oggetto di causa, trova conforto ulteriore nella giurisprudenza richiamata […] nella impugnata ordinanza e consolidatasi ancora in seguito» e «comunque – ha aggiunto la Corte – le considerazioni contenute nell’atto di appello riguardo all’applicabilità di normative diverse alla specie restano prive di pregio a fronte della chiarezza e precettività della clausola risolutiva richiamata, anche a mente dell’art. 1455 c.c.».
4.- Avverso questo provvedimento M.L. propone ricorso per cassazione, affidato a un motivo, resistito dall’Inps con controricorso e memoria.
5.- Il ricorso è stato ritenuto privo di evidenza decisoria dalla Sesta Sezione che, con ordinanza interlocutoria n. 13077 del 2021, lo ha avviato alla discussione in pubblica udienza della Sezione ordinaria.
Motivi della decisione
1.- Il motivo di ricorso lamenta la «violazione dell’art. 40, comma 2, t.u.b. (d. lgs. n. 385 del 1° settembre 1993), in relazione agli artt. 1453, 1456, 1819, 1820 e 1845 c.c.». Ad avviso del ricorrente, il rapporto contrattuale di cui si discute «va qualificato come mutuo fondiario, perché è stato concesso per l’acquisto della prima casa di abitazione, ha durata trentennale ed è garantito dalla sola ipoteca». A ciò consegue che nel rapporto in questione trova applicazione la disciplina dettata dal t.u.b. per questo genere di operazioni e, in particolare, dall’art. 40, comma 2, per cui «La banca può invocare come causa di risoluzione del contratto il ritardato pagamento quando lo stesso si sia verificato almeno sette volte, anche non consecutive. A tale fine costituisce ritardato pagamento quello effettuato tra il trentesimo e il centottantesimo giorno dalla scadenza della rata». Quest’ultima disposizione, ad avviso della ricorrente, è «imperativa e non derogabile dalle parti», con la conseguenza che «non poteva essere dichiarata la risoluzione del contratto, essendo insolute al momento dell’introduzione del giudizio per la risoluzione contrattuale solo cinque rate».
2.- La questione che nel concreto viene in discussione riguarda la disciplina, di legge e di contratto, applicabile nel caso di inadempimento (o di significativo ritardo nell’adempimento) degli obblighi di restituzione rateale gravanti sul mutuatario che sia dipendente pubblico, quale è M.L., obbligatoriamente iscritta al «Fondo della gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali» gestito dall’Inps (cd. Gestione ex Inpdap). Nel contestare la soluzione adottata dalla Corte napoletana, secondo la quale l’eventualità di altre e «diverse normative» cede in ogni caso di fronte al testo della clausola risolutiva espressa contenuta nel contratto di mutuo (che consente all’Inps di avvalersi d’effetto risolutivo in caso di mancato pagamento di due rate di ammortamento nel termine di novanta giorni dalla relativa scadenza), la ricorrente richiama la disciplina che il t.u.b. prevede, nel caso di ritardato pagamento del mutuatario, per la fattispecie tipo del mutuo fondiario, sottolineandone il carattere imperativo. Nella stessa direzione, l’ordinanza interlocutoria evidenzia «come la versione attuale del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia tenga in conto particolare – laddove il finanziamento risulti garantito da ipoteca – la posizione del mutuatario: in modo significativo preservandola, pur in presenza del mancato pagamento di più rate, di fronte all’incombente eventualità di doversi addivenire a un’immediata restituzione dell’intero capitale erogato (ex risoluzione del mutuo o decadenza dal beneficio del termine)». In questa prospettiva, l’art. 40, comma 2, t.u.b. – che definisce come inadempimento rilevante ai fini risolutori solo quello consistente nel ritardato pagamento verificatosi «almeno sette volte, anche non consecutive» «tra il trentesimo e il centottantesimo giorno dalla scadenza della rata» – sarebbe norma non limitata alla fattispecie del mutuo fondiario, ma avente una «vocazione più ampia e di tensione, anzi, generalizzante», ravvisandosi punti di contatto o coesistenza delle regole specifiche del mutuo fondiario con quelle proprie del cd. «credito ipotecario» concesso dall’Inps ai propri iscritti (dipendenti pubblici e pensionati). A tal fine sono richiamate alcune disposizioni del t.u.b. testualmente applicabili all’attività creditizia svolta («a fianco a quella previdenziale») dagli enti di previdenza obbligatoria (cfr. artt. 40-bis, comma 6, in tema di cancellazione delle ipoteche; 120-ter, comma 2, in tema di estinzione anticipata dei mutui immobiliari; 120- quater, comma 9, lett. a), di surrogazione nei contratti di finanziamento), oltre al richiamo («Fermo restando quanto previsto ai sensi dell’articolo 40, comma 2…») contenuto nell’art. 120- quinquiesdecies, comma 1, in tema di inadempimento del consumatore (con riferimento al «Credito immobiliare ai consumatori»).
3.- Il motivo è infondato. L’ordinanza interlocutoria non nega (o implicitamente ammette) che l’art. 40 del t.u.b. riguarda i mutui fondiari, trattandosi di una disposizione inserita nella Sezione I del Capo VI dedicata al «Credito fondiario e alle opere pubbliche», il cui comma 2, ancor più chiaramente, è riferito esclusivamente alle banche («La banca può invocare come causa di risoluzione del contratto…»), cioè soggetti che esercitano in forma imprenditoriale l’attività bancaria e, quindi, la raccolta di risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito, diversamente dall’Inps. E tuttavia, l’ordinanza suggerisce una opzione ermeneutica che renda applicabile il citato comma 2 dell’art. 40 ai mutui erogati dagli enti previdenziali ai loro iscritti, facendo leva, a tal fine, sulla estensione ai predetti enti di disposizioni (quelle sopra richiamate) che, tuttavia, non costituiscono «punti di emersione» di una sottostante e generalizzata estensione della disciplina del t.u.b. in materia di mutuo fondiario ai mutui ipotecari degli enti previdenziali. L’art. 40 del t.u.b. è disposizione specifica che non è possibile estendere, in via interpretativa, alle prestazioni creditizie rese dall’Inps tramite il «Fondo della gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali» nei confronti di coloro che vi sono obbligatoriamente iscritti, i quali lo alimentano tramite apposite trattenute stipendiali mensili, nell’ambito di un sistema non privo di connotazioni normative di socialità e previdenziali e, anche per questo, non assimilabile a quello propriamente bancario. La ricorrente suggerisce una interpretazione analogica dell’art. 40, comma 2, del t.u.b. senza, tuttavia, considerare che il ricorso alla analogia è consentito dall’art. 12 delle preleggi solo quando manchi nell’ordinamento una specifica norma regolante la concreta fattispecie e si renda, quindi, necessario porre rimedio ad un vuoto normativo altrimenti incolmabile in sede giudiziaria (cfr. Cass. n. 2656 del 2015, n. 9852 del 2002), vuoto non configurabile nella specie, tanto più che, nella specie, non si tratta di ritardato pagamento ex art. 40, comma 2 citato, ma – come rilevato dall’Inps nella memoria – di mancato pagamento di rate di ammortamento. Né si può sostenere che la diversa interpretazione sarebbe imposta dalla necessità di una esegesi costituzionalmente orientata, la quale è praticabile dinanzi a un’alternativa che veda il risultato di quella difforme in contrasto con norme o principi costituzionali (cfr. Cass. n. 6383 del 2022), esito quest’ultimo non configurabile nella specie, non soccorrendo l’astratto richiamo alla tutela della concorrenzialità del mercato (art. 41, comma 1, Cost.) e alla parità di trattamento tra situazioni (quelle dei diversi mutuatari) che si assumono non oggettivamente diverse tra loro (art. 3, comma 2, Cost.). Ed infatti, le parti hanno liberamente pattuito una clausola risolutiva espressa, ai sensi dell’art. 1456 c.c., e predeterminato l’inadempimento dell’obbligazione di pagamento delle rate di ammortamento quale causa di risoluzione del contratto, in tal modo esercitando la libertà negoziale che è un valore anch’esso di rilievo costituzionale e tutelato nella Carta dei diritti fondamentale della UE (art. 16). Infine, come rilevato dal Procuratore Generale, il comportamento inadempiente del beneficiario, stante la limitatezza delle risorse annualmente destinate al Fondo gestito dall’Inps, reca un evidente pregiudizio agli altri aventi diritto alle prestazioni della gestione previdenziale, in primis ai soggetti rimasti esclusi, mettendo a rischio l’uguaglianza nell’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione che è favorito dalla Costituzione (art. 47, comma 2).
4.- In conclusione, il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, liquidate in € 5200,00, di cui € 200,00 per esborsi. Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del dPR n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.