Con la sentenza in commento, la Cassazione ha precisato che il lodo è impugnabile per errores in iudicando qualora l'arbitro, autorizzato dalla clausola compromissoria inserita nello statuto a pronunciare secondo equità, abbia deciso secondo diritto.
Svolgimento del processo
1. - Con sentenza pubblicata il 16 febbraio 2018, la Corte di appello di Catanzaro ha rigettato l'impugnazione proposta da M. L. e T. s.r.l. avverso il lodo arbitrale pronunciato tra detti soggetti, A. L. e R. R..
Per quanto qui rileva, la Corte di merito ha richiamato il principio per cui, pur in mancanza di una espressa enunciazione, da parte della pronuncia arbitrale, della sua conformità all'equità, nell'ipotesi in cui gli arbitri debbano decidere in base a tale criterio è sufficiente che una valutazione equitativa sia evincibile anche implicitamente dal complessivo contenuto del lodo; nella fattispecie, è stato sottolineato, gli arbitri avevano richiamato più volte, nella decisione impugnata, la clausola compromissoria, «così mostrando di essere consapevoli del fatto che la decisione veniva effettuata secondo equità». Il Giudice dell'impugnazione ha poi escluso potesse avere ingresso il sindacato quanto alla violazione di norme di diritto, avendo specificamente riguardo al disposto dell'art. 829, comma 3, c.p.c.; ha inoltre negato che la decisione impugnata si ponesse in contrasto con norme di ordine pubblico, visto che le disposizioni di cui era lamentata la violazione non erano dettate a tutela di interessi generali; ha infine escluso sussistessero profili di nullità ai sensi dell'art. 829, n. 12 c.p.c., dal momento che, contrariamente a quanto sostenuto dagli attori, il lodo aveva pronunciato sulla questione relativa alla tutela dei terzi in buona fede ex art. 2388, ult. co., c.c..
2. - La sentenza è stata impugnata per cassazione da M. L. e T. con un ricorso articolato in tre motivi. Resiste con controricorso A. L..
Motivi della decisione
1. - Il primo motivo oppone la violazione e falsa applicazione dell'art. 829, comma 1, n. 4, c.p.c., la nullità del lodo e la violazione dell'art. 36 dello statuto sociale. Si assume che gli arbitri, neanche implicitamente, avevano inteso affermare l'equivalenza tra regole di diritto e criterio equitativo: contrariamente a quanto affermato dalla Corte distrettuale, non sarebbe dato di affermare che gli arbitri avevano ritenuto che la decisione da loro resa fosse conforme ad equità.
Il secondo mezzo denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 829, comma 3, c.p.c. e dell'art. 36 d.lgs. n. 5/2003, nonché la nullità del lodo. Ad avviso degli istanti, una volta escluso che il giudizio degli arbitri era stato condotto secondo equità, era certamente possibile scrutinare le violazioni di legge nelle quali era incorso il lodo. È spiegato che la clausola compromissoria risultava infatti inserita nello statuto della società T., la cui costituzione risultava essere anteriore all'entrata in vigore del d.lgs. n. 40 del 2006: in conseguenza, avrebbe dovuto trovare applicazione l'art. 829, comma 2, c.p.c. il quale, nella precedente versione, ammetteva l'impugnazione del lodo per violazione di regole di diritto, salvo diversa volontà contenuta nella clausola compromissoria.
Col terzo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 829, comma 3, c.p.c. e la nullità del lodo. Si espone che la Corte territoriale avrebbe erroneamente escluso di poter procedere allo scrutinio dei motivi di nullità del lodo che configuravano errores in iudicando, in quanto le denunciate violazioni di legge non erano dettate a tutela di interessi generali concernendo, piuttosto, diritti patrimoniali disponibili. Il Giudice dell'impugnazione avrebbe impropriamente ritenuto che la violazione delle norme in tema di decadenza dall'impugnazione della deliberazione adottata dal consiglio di amministrazione di T. il giorno 18 gennaio 2014 configurasse una lesione di diritti patrimoniali disponibili, e non già una violazione di norme di carattere generale a tutela dell'ordine pubblico. È ricordato, in proposito, che la stessa parte ricorrente aveva dedotto una decadenza dal diritto di impugnare la delibera per il decorso del termine di 90 giorni di cui al combinato disposto degli artt. 2388, 2377 e 2378 c.c..
2. - Il ricorso merita accoglimento avendo riguardo al secondo motivo.
La Corte di appello ha reputato, come si è visto, che gli arbitri avessero deciso secondo equità; ha affermato non essere decisivo, al riguardo, che essi avessero motivato secondo diritto: a tal fine ha conferito centralità al richiamo, nel lodo, alla clausola compromissoria di cui all'art. 36 dello statuto sociale; tale rinvio dovrebbe credersi espressivo - secondo il Giudice distrettuale - della consapevolezza, in capo agli arbitri stessi, del fatto che la decisione fosse da intendersi assunta secondo equità (come appunto imposto dalla detta disposizione), e non secondo diritto.
Ora, gli arbitri rituali, autorizzati a pronunciare secondo equità, ben possono decidere secondo diritto allorché essi ritengano che diritto ed equità coincidano, senza che sia per essi necessario affermare e spiegare tale coincidenza, che può desumersi anche implicitamente dal complesso delle argomentazioni svolte a sostegno della decisione, potendosi configurare l'esistenza di un vizio riconducibile alla violazione dei limiti del compromesso solo quando gli arbitri stessi neghino a priori la possibilità di avvalersi dei poteri equitativi loro conferiti (Cass. 8 settembre 2011, n. 18452; Cass. 7 maggio 2003, n. 6933).
Una tale evenienza non implica, di regola, l'ammissibilità dell'impugnazione del lodo arbitrale per inosservanza di regole di diritto: come è stato osservato da questa Corte, tale ammissibilità è esclusa nel caso in cui le parti abbiano autorizzato gli arbitri a decidere secondo equità, ancorché questi ultimi abbiano in concreto applicato norme di legge, ritenendole corrispondenti alla soluzione equitativa della controversia: infatti detta evenienza non trasforma l'arbitrato di equità in arbitrato di diritto (Cass. 31 luglio 2020, n. 16553; Cass. 16 ottobre 2013, n. 23544; Cass. 20 gennaio 2006, n. 1183). E' da aggiungere che a seguito della modifica legislativa attuatasi col d.lgs. n. 40/2006, con cui è stato modificato l'art. 829 c.p.c., l'impugnazione del lodo per violazione di norme diritto sostanziale è, sul piano generale, a maggior ragione esclusa, visto che in base al secondo comma di detto articolo, per come novellato, la deduzione di errores in iudicando è consentita solo se essa sia espressamente disposta dalle parti, dalla legge, o qualora ricorra una ipotesi di contrarietà della decisione all'ordine pubblico (come è noto, poi, per stabilire se sia ammissibile l'impugnazione per violazione delle regole di diritto sul merito della controversia, la legge - cui l'art. 829, comma 3, c.p.c., rinvia - va identificata in quella vigente al momento della stipulazione della convenzione di arbitrato: Cass. Sez. U. 9 maggio 2016, n. 9285).
Deve tuttavia osservarsi che nella fattispecie che qui interessa gli arbitri erano pacificamente investiti dell'impugnazione di una deliberazione del consiglio di amministrazione della società T. (cfr. ricorso e sentenza impugnata, ove è riprodotta la statuizione del lodo con cui è stata annullata la deliberazione del consiglio di amministrazione della detta controricorrente, assunta il 14 gennaio 2013; cfr. pure controricorso, in cui è menzione della domanda arbitrale di annullamento della detta deliberazione).
Ebbene, a norma dell'art. 36, comma 1, d.lgs. n. 5/2003, «anche se la clausola compromissoria autorizza gli arbitri a decidere secondo equità ovvero con lodo non impugnabile, gli arbitri debbono decidere secondo diritto, con lodo impugnabile anche a norma dell'articolo 829, secondo comma, del codice di procedura civile quando per decidere abbiano conosciuto di questioni non compromettibili ovvero quando l'oggetto del giudizio sia costituito dalla validità di delibere assembleari». La norma, dunque, ammette l'arbitrabilità dei c.d. diritti superindividuali, ma esige, al riguardo, che il giudizio degli arbitri sia presieduto dall'osservanza della legge.
Mette conto anzitutto di ricordare che, in base alla giurisprudenza di questa Corte, l'art. 36 del d.lgs. n. 5 del 2003 deve essere interpretato in maniera estensiva, così da ricomprendere non solo le delibere dell'assemblea dei soci, di cui all'art. 2377 c.c., ma anche le delibere del consiglio di amministrazione, di cui all'art. 2388 c.c., dal momento che entrambe le tipologie di delibere sono impugnabili dal socio davanti all'autorità giudiziaria, in assenza di clausola compromissoria, dovendo ritenersi una diversa e restrittiva interpretazione lesiva dei diritti del socio (Cass. 3 gennaio 2013, n. 28): è certo, pertanto, che il lodo avrebbe dovuto far riferimento, ratione materiae, alla detta disciplina.
Né appaiono fondate le diverse riserve espresse dalla parte controricorrente quanto all'obbligo, da parte degli arbitri, di fare applicazione dell'art. 36 cit.. A. L. sostiene, in sintesi, che detta norma risulterebbe inoperante nella fattispecie, prevalendo, al riguardo, il disposto dell'art. 829, comma 3, il quale limita, secondo quanto si è detto, l'impugnazione del lodo per violazione di norme di diritto sostanziale. E tuttavia: ove lo statuto in cui è inserita la clausola compromissoria sia venuto ad esistenza prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 40 del 2006, l'impugnazione del lodo per errores in iudicando è certamente ammessa, così espressamente disponendo la legge di rinvio, da identificarsi con l'art. 36 del d.lgs. n. 5 del 2003 (Cass. Sez. U. 9 maggio 2016, n. 9285 cit.); alla stessa conclusione deve poi pervenirsi nella diversa ipotesi segnata da uno statuto risalente a un momento successivo: l'art. 36 non è difatti inciso dalla disciplina introdotta dal d.lgs. n. 40/2006, e ciò in quanto si è al cospetto di una norma speciale (sicché opera il principio per cui lex posterior generalis non derogat priori speciali).
3. L’accoglimento del secondo motivo determina l’assorbimento del primo e del terzo.
4. - La sentenza impugnata è cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Catanzaro che, in diversa composizione, dovrà verificare la conformità al diritto della decisione assunta dagli arbitri, che aveva ad oggetto la nominata impugnativa societaria. Il Giudice del rinvio provvederà a regolare le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo e dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione statuirà pure sulle spese del giudizio di cassazione.