Svolgimento del processo
4. Va premesso che la sig.ra B. aveva dovuto liberare l’immobile adibito a casa familiare in Imola a seguito di controlli dell’AUSL che l’avevano dichiarato antigienico e cosi’ che si era trasferita nell’immobile di pertinenza familiare posto in (omissis), portando con sé la prole a lei affidata dal Tribunale di Bologna che aveva disposto che la sig.ra B. poteva fissare, anche in futuro, la propria residenza ove ritenesse più opportuno. Il sig. G. C. nel 2010 promuoveva giudizio dinanzi al Tribunale di Agrigento nei confronti dell'ex moglie al fine di sentire dichiarare la comproprietà tra le parti dell'immobile di edilizia residenziale pubblica sito nella (omissis) di (omissis) e, conseguentemente, disporre lo scioglimento della comunione del predetto immobile, acquistato dalla convenuta in regime di comunione legale dei beni; domandava, altresì, la condanna dell'ex coniuge al pagamento in proprio favore di un corrispettivo a fronte del suo godimento esclusivo del bene. Costituitasi, la convenuta chiedeva il rigetto della domanda; in subordine, in via riconvenzionale, la dichiarazione di simulazione relativa dell'atto pubblico di acquisto dell'immobile, ovvero, in ulteriore subordine, l'intervenuto acquisto di esso in favore della stessa a titolo di usucapione. In caso di riconoscimento della comunione legale del predetto appartamento, chiedeva dichiararsi il proprio diritto al rimborso di tutte le somme prelevate dal proprio patrimonio personale ed impiegate a favore di quello comune, ex art. 192 c.c., nonché, in via ulteriormente subordinata, chiedeva che fosse dichiarato il suo diritto alla costituzione dell'usufrutto, tenuto conto delle necessità della prole e dell'affidamento di essa presso di lei.
Dalla espletata CTU emergeva l'illegittimità sotto il profilo edilizio/urbanistico dell'immobile e la insanabilità delle difformità riscontrate.
Il Tribunale di Agrigento, in data 6 aprile 2016 depositava sentenza, con la quale dichiarava che l’appartamento di edilizia residenziale pubblica sito a Porto Empedocle, in (omissis), era in regime di comunione legale dei beni. Inoltre, statuiva non potersi dichiarare lo scioglimento della comunione sul predetto bene, non essendo lo stesso in regola dal punto di vista urbanistico e che nessun corrispettivo potesse essere riconosciuto al Signor C. a fronte del godimento esclusivo dell'appartamento in (omissis) da parte dell'ex moglie, poiché i beni immobili non regolari dal punto di vista urbanistico-edilizio ed incommerciabili non possono essere oggetto di locazione, dovendo considerarsi nullo per illiceità della causa un simile contratto. Avverso la predetta sentenza il Sig. C. proponeva appello, dinanzi la Corte di Appello di Palermo affinché gli venisse attribuita un'indennità di occupazione pari al 50%, da determinarsi sulla scorta del corrispettivo indicato dal CTU nella misura di € 4.520,80 annui, da moltiplicarsi per tutti gli anni di esclusiva occupazione dell'appartamento da parte della convenuta, quantomeno a far data dal 20 febbraio 2010, oltre rivalutazione monetaria. Contestava, altresì, la compensazione integrale delle spese.
Si costituiva la sig.ra B., esponendo che, in rito, il gravame era da ritenersi inammissibile per violazione dell'art. 342 c.p.c., nonché, nel merito, l'appello era infondato, poiché nessun indennizzo spettava all'ex marito in quanto l'immobile sito in (omissis), (omissis), era la casa coniugale.
Con sentenza n. 1467/2017, la Corte di Appello di Palermo, ritenuto, in diritto, che il conduttore di un immobile abusivo è obbligato al pagamento del canone, perché l'oggetto del contratto è da riferire alla prestazione, ovvero al contenuto del negozio, non al bene in sé, né è illecita la causa, perché locare un immobile costruito senza licenza, né condonato, non è in contrasto con l'ordine pubblico, annullava la sentenza del Tribunale di Agrigento, secondo la quale nessun corrispettivo poteva essere riconosciuto all'attore a seguito del godimento esclusivo dell'immobile in (omissis) da parte della B. in conseguenza della sua abusività..
Tuttavia, la Corte d'Appello palermitana individuava il titolo dell'occupazione esclusiva del predetto immobile da parte dell'ex moglie nel provvedimento del Tribunale di Bologna del 18 luglio 2000, che aveva omologato la separazione personale dei coniugi, e affidato la prole a entrambi i genitori in modo condiviso, disponendo che la stessa continuasse a vivere con la madre ove la stessa avesse fissato, anche in futuro, la propria residenza.
Motivi della decisione
5. Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente, lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt.144 c.c., 540, comma 2, c.c., 155 quater c.c., 337 sexies c.c. e dell’art. 6, comma 6, l. div. nonché della nozione di casa familiare pacificamente elaborata fin dagli anni Novanta dalla giurisprudenza della S. Corte; la Corte di Appello di Palermo avrebbe ritenuto l’immobile in questione non destinato a casa di villeggiatura, ma “casa familiare”, venendo meno alla consolidata interpretazione della nozione di casa familiare quale habitat domestico in cui si esprimono la vita e la quotidianità familiare al fine di preservare la localizzazione della comunità domestica; evidenziava, inoltre che il provvedimento del Tribunale di Bologna in sede di divorzio che aveva consentito alla B. di fissare la propria residenza ove ritenesse più opportuno, a causa della inagibilità della casa familiare in Imola, fosse generico e non opponibile a terzi ex art. 2643 c.c.
Reiterava la richiesta dell’indennità di occupazione così come determinata nella CTU.
6. Il motivo è inammissibile. Va ricordato che la B. aveva avuto l’affidamento dei figli con l’assegnazione della casa familiare locata, dichiarata poi non igienicamente idonea, ma era stata autorizzata la convivenza della prole con la madre “ove la stessa fisserà la propria residenza” (sentenza del Tribunale di Bologna del 28 maggio 2007). Il provvedimento non era stato mai contestato dal ricorrente; né questi aveva mai sollevato l’eccezione della non opponibilità della statuizione nei suoi confronti. Tantomeno si era mai lamentato che la collocataria avesse posto l’abitazione in comproprietà di (omissis) come casa familiare. Anche nel merito si può osservare che nel C. del giudizio era stato pacificamente accertato che la resistente, di fatto, viveva stabilmente sin dal 2003 con i propri figli nell’immobile di (omissis) che era divenuta la dimora sua e dei figli e che non esiste una indicazione normativa od urbanistica di destinazione degli immobili a “casa di villeggiatura”. La natura della casa, tra l’altro è accertamento in fatto non censurabile in sede di legittimità. la Corte (p. 6)ha accertato che il giudice di I grado aveva adottato un doppio provvedimento: a) uno esplicito; b) uno implicito di assegnazione della casa ove la medesima madre avrebbe voluto alloggiare (ossia se nella casa d’affitto di (omissis) o in quella in proprietà di (omissis)) sostanzialmente dandole un titolo astrattamente idoneo a meglio individuare la sede familiare (con i figli affidatile), in considerazione dei carichi economici da sopportare e un tale tipo di provvedimento non è vietato dalla legge, quando giustificato da serie ragioni.
La richiesta reiterata della fissazione di una indennità di occupazione è infondata. Riguardo alla casa familiare, assegnata al coniuge affidatario, deve escludersi qualsiasi obbligo di pagamento di un canone di locazione da parte dell'assegnatario per il godimento della stessa, poiché qualunque forma di corrispettivo snaturerebbe la funzione dell'istituto di cui si tratta, in quanto incompatibile con la sua finalità esclusiva di tutela della prole, ed inciderebbe direttamente sull'assetto dei rapporti patrimoniali tra i coniugi dettato dal giudice della separazione (Cass., n. 4188/2006;Cass., n.18074/2014); e poi, ancora, è stato ribadito che in presenza di un provvedimento che disponga l'assegnazione della casa familiare, il diritto del comproprietario non assegnatario a ricevere un corrispettivo per il godimento esclusivo necessiti della preventiva revoca del provvedimento giudiziale che abbia disposto in ordine al godimento (cfr. in tal senso, quanto meno per implicito, Cass., n. 5156/2012).
Alla inammissibilità del ricorso segue la soccombenza del ricorrente nelle spese processuali, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in € 3.200,00, oltre spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30.5.2002, n.115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, l. 24.12. 2012, n.228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.