Svolgimento del processo
1. L. C. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Firenze, P. C. e l'U. Assicurazioni s.p.a., chiedendo che fossero condannate in solido al risarcimento dei danni da lui subiti in un sinistro stradale.
A sostegno della domanda espose che in data 5 settembre 2013, mentre si trovava fermo, a cavalcioni, a bordo del ciclomotore di sua proprietà, era stato urtato dalla vettura condotta dalla C. in fase di esecuzione di una manovra di retromarcia; a seguito di ciò, egli era finito a terra con una gamba schiacciata tra la sua moto e un'altra autovettura parcheggiata, riportando danni personali.
Si costituirono in giudizio entrambe le parti convenute, contestando la ricostruzione dei fatti compiuta dall'attore e chiedendo il rigetto della domanda.
Espletata l'istruttoria con prova per interrogatorio e per testi e disposto l'espletamento di una c.t.u. medico-legale, il Tribunale rigettò la domanda e condannò l'attore al pagamento delle spese di lite.
2. La pronuncia è stata impugnata dall'attore soccombente e la Corte d'appello di Firenze, con sentenza del 24 ottobre 2019, ha rigettato il gravame, condannando l'appellante alla rifusione delle ulteriori spese del grado.
3. Contro la sentenza della Corte d'appello di Firenze ricorre L. C. con atto affidato a cinque motivi.
Resiste l'U. Assicurazioni s.p.a. con controricorso. P. C. non ha svolto attività difensiva in questa sede.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis cod. proc. civ., e non sono state depositate memorie.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 143, comma 2, del codice delle assicurazioni e dell'art. 2728 cod. civ., sul rilievo che l'assicuratore non avrebbe fornito la prova contraria in ordine all'effettiva dinamica dell'incidente.
Il ricorrente premette che in base all'art. 143, comma 2, cit., il modello CAI, se firmato congiuntamente dai due conducenti, costituisce una presunzione secondo cui i fatti si sono svolti con le circostanze e le modalità riportate nello stesso. Nella specie la Corte d'appello, ritenendo che la società di assicurazione avesse fornito la prova contraria e avesse perciò dimostrato la colpa esclusiva del C. nella determinazione del sinistro, avrebbe violato le norme richiamate. Non vi sarebbe, secondo il ricorrente, alcuna contraddittorietà tra le versioni dell'accaduto fornite nelle varie sedi e le deposizioni testimoniali confermerebbero l'investimento da parte della vettura condotta dalla C. nell'esecuzione di una manovra in retromarcia.
2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3) e n. 4), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 112 cod. proc. civ., per avere la Corte d'appello ritenuto che il giudice di primo grado potesse respingere la domanda affermando l'insussistenza del fatto secondo un libero e prudente apprezzamento dei fatti. Ciò in quanto, secondo il ricorrente, nel corso del giudizio di primo grado non era stata mai messa in dubbio la veridicità dell'evento storico.
3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 2730 cod. civ., per non aver ritenuto dimostrata la dinamica dell'incidente così come descritto nel modello CAI, e dell'art. 2732 cod. civ., per aver ritenuto dimostrate le circostanze favorevoli contenute nell'interrogatorio formale della C..
Sostiene il ricorrente che il contenuto del modello CAI dovrebbe essere considerato come una sorta di confessione stragiudiziale e che le dichiarazioni successivamente rese dalla C. m sede di interrogatorio formale non potevano essere valutate per mutare la ricostruzione degli venti, tanto più in considerazione della citata disposizione dell'art. 143, comma 2, del codice delle assicurazioni.
4. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3) e n. 4), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 116 cod. proc. civ. in relazione agli artt. 228-230 cod. proc. civ. ed all'art. 2733 cod. civ., richiamando il valore delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale ed deposizioni dei testimoni.
La censura, in qualche misura ripetitiva delle precedenti, ribadisce che le dichiarazioni rese dalla C. in sede di interrogatorio formale non potevano essere utilizzate ai fini della ricostruzione della dinamica del sinistro. Aggiunge il ricorrente, poi, che la teste Anelli non era presente al momento del fatto e che la teste D'Amato aveva confermato che il modello CAI era stato firmato dal C. e dalla C. nella serata dell'incidente, quando la C. aveva terminato il lavoro.
5. Con il quinto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 2054, secondo comma, cod. civ., per non avere la Corte d'appello fatto applicazione della presunzione di pari responsabilità ivi prevista.
6. I motivi di ricorso, benché tra loro differenti, ruotano tutti intorno alle medesime questioni e possono, pertanto, essere trattati congiuntamente.
Essi sono, quando non inammissibili, comunque privi di fondamento.
6.1. Giova premettere che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza 5 maggio 2006, n. 10311, hanno stabilito che nel giudizio promosso dal danneggiato nei confronti dell'assicuratore della responsabilità civile da circolazione stradale, il responsabile del danno,
che deve essere chiamato nel giudizio sin dall'inizio, assume la veste di litisconsorte necessario, poiché la controversia deve svolgersi in
maniera unitaria tra i tre soggetti del rapporto processuale. Ne consegue che la dichiarazione confessoria, contenuta nel modulo di constatazione amichevole del sinistro (cosiddetto C.I.D.), resa dal responsabile del danno proprietario del veicolo assicurato e, come detto, litisconsorte necessario, non ha valore di piena prova nemmeno nei confronti del solo confitente, ma deve essere liberamente apprezzata dal giudice, dovendo trovare applicazione la norma di cui all'art. 2733, terzo comma, cod. civ., secondo la quale, in caso di litisconsorzio necessario, la confessione resa da alcuni soltanto dei litisconsorti è liberamente apprezzata dal giudice.
Sulla scia di quest'insegnamento, la giurisprudenza ha anche affermato che la sottoscrizione del modello CAI, come già previsto dall'art. 5 della legge n. 39 del 1977 e oggi confermato dall'art. 143, comma 2, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, determina una presunzione, valida fino a prova contraria, del fatto che il sinistro si sia verificato con le modalità ivi indicate. Ciò significa che ogni valutazione sulla portata confessoria di tale modulo deve ritenersi preclusa dall'esistenza di un'accertata incompatibilità oggettiva tra il fatto come descritto in tale documento e le conseguenze del sinistro come accertate in giudizio (così, tra le altre, le sentenze 25 giugno 2013, n. 15881, e 27 marzo 2019, n. 8451).
Come ogni presunzione iuris tantum, quindi, anche quella contenuta nel modello CAI è superabile tramite apposita prova contraria, che la legge pone a carico della società di assicurazione.
La giurisprudenza di questa Corte, poi, ha in più occasioni ribadito che in materia di responsabilità da sinistri derivanti dalla circolazione stradale, la ricostruzione delle modalità del fatto generatore del danno, la valutazione della condotta dei singoli soggetti che vi sono coinvolti, l'accertamento e la graduazione della colpa, l'esistenza o l'esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l'evento dannoso, integrano altrettanti giudizi di merito, come tali sottratti al sindacato di legittimità se il ragionamento posto a base delle conclusioni sia caratterizzato da completezza, correttezza e coerenza dal punto di vista logico-giuridico (v., tra le altre, le sentenze 23 febbraio 2006, n. 4009, 25 gennaio 2012, n. 1028, e l'ordinanza 5 giugno 2018, n. 14358).
6.2. Nella specie la Corte d'appello, con un accertamento motivato in modo congruo e privo di vizi logici, ha rilevato che la dinamica del sinistro come descritta dall'attore non aveva trovato conferma nell'espletata istruttoria, per una serie di ragioni.
La sentenza, infatti, ha specificato che l'odierno ricorrente aveva descritto la vicenda con tre diverse versioni, di cui la prima nell'atto introduttivo del giudizio, la seconda nella richiesta stragiudiziale di risarcimento dei danni e la terza dinanzi al c.t.u. nominato nel giudizio di primo grado. Oltre a ciò, la Corte d'appello ha mostrato di condividere quanto già affermato dal Tribunale e cioè che, mentre rimanevano alcuni dubbi (addirittura) sull'esistenza in sé dell'incidente così come prospettato dal C., la dinamica del sinistro era da ritenere ben diversa, dovendosi attribuire tutta la responsabilità dell'accaduto al danneggiato. A tanto la Corte d'appello è giunta richiamando le deposizioni testimoniali e l'interrogatorio formale della C.; la sentenza ha poi supportato la propria versione rilevando, tra l'altro, che l'attore, pur avendo collocato temporalmente l'incidente intorno alle ore 8 del mattino, si era recato al Pronto Soccorso solo alcune ore dopo (intorno alle 11 o alle 12), mentre il modello CAI era stato sottoscritto addirittura nella serata dello stesso giorno.
6.3. A fronte di questa ricostruzione il ricorrente, nonostante l'apparente prospettazione di censure di violazione di legge, non fa che riproporre, in sostanza, la sua diversa ricostruzione dell'accaduto. Oltre tutto, il ricorso riporta alcuni stralci delle deposizioni dei testimoni, non specifica quale fosse il reale contenuto del modello CAI e non riporta quanto dichiarato dalla C. nel suo interrogatorio formale, per cui le contestazioni di cui ai motivi dal primo al quarto s1 presentano, in sostanza, anche contraddistinte da profili evidenti di inammissibilità.
Né miglior sorte può avere il quinto motivo, posto che la sentenza impugnata ha positivamente attribuito le responsabilità, per cui non vi sono ragioni per invocare la presunzione dell'art. 2054 cit., che ha carattere residuale.
Si tratta, in definitiva, di un complesso di censure - formulate anche con una tecnica non sempre rispettosa dell'art. 366, primo comma, n. 6), cod. proc. civ. - le quali tendono a riproporre il vizio di motivazione secondo una formulazione ormai non più vigente e che sollecitano questa Corte ad un diverso e non consentito esame del merito.
7. Il ricorso, pertanto, è rigettato.
A tale esito segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del d.m. 10 marzo 2014, n. 55.
Sussistono, inoltre, le condizioni di cui all'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro 4.500, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.