Qualora il credito originariamente vantato si riduca per effetto di versamenti effettuati in corso di causa, gli interessi vanno comunque calcolati sul credito originario sino alla data del pagamento parziale, decorrendo successivamente sul residuo.
Riconoscendo in capo ad un avvocato il diritto al compenso professionale per l'attività giudiziale svolta, il Tribunale di Udine accoglieva il ricorso e condannava i ricorrenti al pagamento del residuo saldo con gli interessi
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
Il Tribunale di Udine con ordinanza del 10 marzo 2020, decidendo sul ricorso ex art. 702 bis c.p.c. proposto dall’avv. C.O. nei confronti di C.L. e C.G. per il pagamento dei compensi professionali per attività giudiziale svolta nell’interesse dei convenuti, condannava questi ultimi al pagamento del residuo saldo di € 1.465,96 con gli interessi ex art. 1284 c.c. dalla domanda al saldo, compensando per un terzo le spese di lite, e ponendo la residua parte, come liquidata in dispositivo a carico dei C.. Il Tribunale rilevato che la domanda dell’attore concerneva i compensi dovuti per una procedura monitoria e per il successivo giudizio di opposizione, nonché per la procedura esecutiva immobiliare intrapresa al fine di dare esecuzione alla condanna emessa in favore dei C. all’esito del giudizio di opposizione, riteneva effettivamente dovuto il compenso per la fase monitoria in misura corrispondente a quanto liquidato dal giudice del monitorio. Quanto alla fase di opposizione, ritenuto che la liquidazione dovesse avvenire sulla base della somma richiesta in via monitoria, riconosceva i compensi per la fase di studio, introduttiva e decisoria, ma senza maggiorazioni, in quanto la causa non presentava una particolare complessità. Quanto alla procedura esecutiva immobiliare, riteneva dovuti i compensi per la sola fase introduttiva, in quanto la revoca del mandato era intervenuta prima dell’inizio della fase di trattazione. Pertanto, tenuto conto degli acconti versati dai resistenti, risultava un credito residuo del ricorrente pari ad € 11.707,35, e che a fronte della procedura esecutiva immobiliare il credito residuo era di € 1.649,44, mentre le spese imponibili non contestate, e comunque non documentate nei pagamenti, ammontavano ad € 804,60. Da tale complessivo importo andava quindi detratto l’acconto di € 2.454,04, riconosciuto dallo stesso ricorrente, sicché il credito non soddisfatto era pari ad € 10.521,02 occorrendo infine tenere conto anche del pagamento avvenuto in corso di causa, pari ad € 9.055,06, residuando quindi la somma per la quale era stata emessa condanna in dispositivo. Per la cassazione di tale ordinanza propone ricorso O. C. sulla base di due motivi. C.L. e G. resistono con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza. Il primo motivo di ricorso denuncia la nullità del provvedimento impugnato per la violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo statuito anche sulla richiesta di pagamento dei compensi relativi al giudizio di esecuzione. Nella parte in fatto del ricorso si ricostruisce la totalità dei vari rapporti intercorsi con i resistenti, evidenziando che, essendo stato soddisfatto il ricorrente delle competenze maturate per un giudizio intrapreso per conto dei convenuti ex art. 447 bis c.p.c., sempre su incarico dei medesimi aveva dapprima avanzato una richiesta di decreto ingiuntivo per il pagamento dei canoni di affitto di un bene di proprietà dei C., difendendo questi anche nel successivo giudizio di opposizione, conclusosi con la revoca del decreto e con la condanna dell’opponente alla diversa somma di € 39.729,90. Si aggiunge che, avendo ricevuto una somma a titolo di acconto per la fase monitoria, aveva intrapreso nei confronti dell’affittuario un giudizio di esecuzione immobiliare per il recupero delle somme oggetto della condanna, giudizio che aveva poi abbandonato attesa la revoca dell’incarico. Alla luce di tali premesse, sostiene il ricorrente che con il ricorso ex art. 702 bis aveva inteso richiedere la condanna dei convenuti al pagamento dei compensi per il solo procedimento monitorio e per il successivo giudizio di opposizione, senza avanzare alcuna pretesa per i compensi di cui al giudizio esecutivo, atteso che i C., prima ancora della proposizione della domanda oggetto di causa, avevano versato l’importo richiesto per la fase esecutiva e per spese non imponibili. La circoscrizione della domanda ai soli compensi per il procedimento monitorio e per il successivo giudizio di opposizione, non consentiva quindi al Tribunale di poter procedere alla rideterminazione dei compensi dovuti per la procedura esecutiva (compensi che aveva limitato alla sola fase introduttiva, con una riduzione rispetto a quanto invece richiesto in via stragiudiziale) né avrebbe permesso di poter imputare il pagamento avvenuto prima della presentazione del ricorso da parte dei convenuti al credito effettivamente oggetto della domanda, trattandosi di un pagamento invece riferito dagli stessi C. ai soli compensi dovuti per la procedura esecutiva. Ciò aveva quindi determinato un’indebita riduzione del credito ancora insoddisfatto, quale conseguenza della decisione su di una domanda in realtà non proposta. Il motivo è infondato. Dalla lettura del ricorso ex art. 702 bis c.p.c., che ha dato vita al presente procedimento, si ricava che se in relazione ai compensi dovuti per la procedura ex art. 447 bis c.p.c., a pag. 5, vi è un esplicito riferimento del ricorrente al fatto che i compensi dovuti per tale procedura sono stati effettivamente pagati, viceversa, per quanto concerne le altre procedure patrocinate per conto dei controricorrenti, nella parte narrativa del ricorso si provvede ad una analitica ricostruzione delle vicende processuali che le accomuna in un unico paragrafo riportato sub n. 2, al cui interno sono altrettanto analiticamente esplicate le vicende delle tre procedure, riportate dalla lett. a) alla lett. c). Quindi, nel paragrafo 3. del ricorso, intitolato alla male fede dei debitori, a pag. 17, si indica l’importo finale della nota pro forma che accomuna i compensi, anche in questo caso, per le tre procedure, riferendosi poi alla successiva pag. 18 che l’importo finale ancora dovuto dai convenuti, al netto dell’importo versato, indicato come relativo alla sola fase esecutiva ed a parte delle spese non imponibili, era pari ad € 16.473,95, detraendosi quindi dall’ammontare della citata nota pro forma l’importo dell’acconto ricevuto. Ritiene il Collegio che la scelta dello stesso ricorrente di accomunare in un unico paragrafo l’illustrazione delle vicende relative alle tre procedure, ivi inclusa quella esecutiva intrapresa su incarico dei convenuti, e la mancanza di una chiara esplicitazione in ricorso della volontà di limitare la richiesta di condanna ai soli compensi dovuti per la procedura monitoria e quella di opposizione, non permette di affermare che il Tribunale abbia deciso violando il precetto di cui all’art. 112 c.p.c., e ciò anche alla luce del fatto che l’acconto versato dai C. era sì riferito alla fase esecutiva, ma anche a spese non imponibili (mancando una netta distinzione ad esempio nel bonifico effettuato da C.L.). La doglianza proposta, ad avviso del Collegio, lungi dal denotare un’evidente violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, si risolve piuttosto nella non consentita contestazione del potere di interpretazione della domanda, potere riservato al giudice di merito, atteso che è lo stesso tenore dell’atto introduttivo del giudizio che, lungi dall’avallare una scelta limitativa del ricorrente quanto ai compensi richiesti, esplicita piuttosto una sollecitazione al giudice di primo grado a procedere ad una liquidazione dei compensi maturati per l’attività professionale complessivamente svolta nell’interesse dei convenuti, come esplicitata nel paragrafo 2 del ricorso, e comprensiva quindi anche dell’attività professionale concernente la procedura esecutiva. Una volta quindi ritenuta incensurabile l’individuazione della materia del contendere come operata dal giudice di merito, questi ben poteva, anzi era tenuto a, verificare la congruità delle somme richieste alla luce dell’effettivo contenuto dell’attività professionale prestata, ed era quindi legittimo intervenire anche sulla determinazione dei compensi per la procedura esecutiva, senza che potesse rilevare la circostanza che fosse intervenuto un versamento in acconto da parte dei convenuti, sebbene riferito a tale procedura. D’altronde, lo stesso ricorrente pur riferendo in ricorso di aver ricevuto prima dell’introduzione del giudizio un acconto espressamente riferito ai compensi per la procedura monitoria, di ammontare corrispondente alla maggiore richiesta inizialmente vantata dall’O. (€ 2.135,00 oltre accessori, anziché € 2,000,00 - cfr. pag. 42 e 43 del ricorso), non ha ritenuto che tale versamento proprio perché satisfattivo del credito vantato per tale fase, avesse posto la richiesta di pagamento dei compensi per la fase monitoria al di fuori del petitum di cui al ricorso ex art. 702 bis c.p.c., ma ha addirittura ritenuto di dover operare la compensazione tra quanto versato in eccedenza per la fase monitoria con il residuo credito vantato per il giudizio di opposizione. Ad analoghe conclusioni è peraltro pervenuto il Tribunale, che, una volta reputato, in maniera incensurabile che la domanda concernesse i compensi per tutte e tre le procedure di cui al paragrafo 2. del ricorso ex art. 702 bis, ha rideterminato il credito vantato per la procedura esecutiva rispetto alle richieste del ricorrente, imputando la parte di acconto che eccedeva tale somma, al maggior credito ancora insoddisfatto del giudizio di opposizione. Il motivo deve quindi essere rigettato. Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 1282 c.c. e dell’art. 1284 c.c., quanto al riconoscimento degli interessi legali sulle somme delle quali è stato riconosciuto creditore. Si deduce che sebbene in dispositivo la condanna al pagamento del saldo residuo preveda la decorrenza degli interessi legali a far data dalla domanda fino al pagamento, il capitale sul quale calcolare gli interessi sia quello frutto della riduzione anche in conseguenza dei versamenti effettuati in corso di causa. Invece gli interessi andavano riconosciuti sul capitale originariamente richiesto, sebbene ridotto a seguito delle decurtazioni compiute dal Tribunale. Il motivo, in difformità della proposta del Consigliere Relatore, ad avviso del Collegio è fondato. Non ignora, la Corte come in passato sia stato affermato che ( cfr. Cass. n. 17655/2018) in tema di liquidazione di diritti ed onorari di avvocato e procuratore a carico del cliente, la disposizione (comune alle tre tariffe forensi) contenuta nel d.m. n. 238 del 1992, applicabile "ratione temporis", per la quale gli interessi di mora decorrono dal terzo mese successivo all'invio della parcella, non si applica in ipotesi di controversia avente ad oggetto il compenso tra avvocato e cliente, non potendo quest'ultimo essere ritenuto in mora prima della liquidazione delle somme dovute con l'ordinanza che conclude il procedimento ex articolo 28 della legge n. 794 del 1942 (oggi art. 14 del D. Lgs. n. 150/2011; conf. Cass. n. 2954/2016 che ribadisce che è dalla data dell’adozione dell’ordinanza di liquidazione dei compensi che decorrono sugli importi riconosciuti; Cass. n. 2431/2011; Cass. n. 5240/1999; Cass. n. 3995/1988). In ragione di tale principio doveva quindi escludersi che sulla somma vantata al momento della proposizione del ricorso potessero essere riconosciuti gli interessi, la cui data di maturazione andava individuata in quella dell’adozione del provvedimento di liquidazione. Tuttavia, la più recente giurisprudenza di questa Corte, nel rimeditare la questione, ha invece affermato il principio di diritto secondo cui: nel caso di richiesta avente ad oggetto il pagamento di compensi per prestazioni professionali rese dall’esercente la professione forense, gli interessi di cui all’art. 1224 c.c. competono a far data dalla messa in mora (coincidente con la data della proposizione della domanda giudiziale ovvero con la richiesta stragiudiziale di adempimento), e non anche dalla successiva data in cui intervenga la liquidazione da parte del giudice, eventualmente all’esito del procedimento sommario di cui all’art. 14 del D. Lgs. n. 150/2011, non potendosi escludere la mora sol perché la liquidazione sia stata effettuata dal giudice in misura inferiore rispetto a quanto richiesto dal creditore., sicché è priva di fondamento la deduzione del ricorrente secondo cui l’attribuzione degli interessi sulla somma liquidata all’esito del processo sommario, ma a far data dalla domanda sarebbe per lui pregiudizievole (Cass. n. 8611/2022). Ritiene il Collegio di dover dare continuità a tale ultimo orientamento e ne consegue che, ove per effetto di versamenti effettuati in corso di causa il credito originariamente vantato si riduca, gli interessi vanno tuttavia calcolati sul credito originario sino alla data del pagamento parziale, decorrendo successivamente sul credito residuo, palesandosi quindi erronea la soluzione cui è pervenuto il giudice di merito. Il provvedimento impugnato deve quindi essere cassato in parte qua, con rinvio per nuovo esame, al Tribunale di Udine in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie nei limiti di cui in motivazione il secondo motivo di ricorso e, rigettato il primo, cassa l’ordinanza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio al Tribunale di Udine, in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.