
Al fine di stabilirlo, assume rilevanza la forma adottata dal giudice in base alla qualificazione che egli abbia dato, implicitamente o esplicitamente, all'azione esercitata in giudizio.
Il Tribunale di Roma condannava l'attuale ricorrente al pagamento delle competenze professionali di alcuni avvocati che l'avevano rappresentata e difesa in un procedimento civile.
La controversia giunge in Cassazione, la quale dichiara il ricorso inammissibile con l'ordinanza n. 17029 del 26 maggio 2022 in quanto errato...
Svolgimento del processo
Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., gli avv.ti A. L., S. C. e G. G. P. adirono il Tribunale di Roma per chiedere il pagamento di € 38.064,00, oltre spese generali, C.P.A. e IVA, a saldo delle competenza professionali per la rappresentanza e difesa della C. G. s.r.l. in un procedimento civile svoltosi innanzi al medesimo Tribunale.
I ricorrenti agirono in via principale nei confronti della C. G. s.r.l. in concordato preventivo e in via subordinata nei confronti della C. G. s.r.l. in bonis di proprietà di P. S.r.l. quale assuntore di concordato preventivo.
Il Tribunale di Roma, con ordinanza del 29.7.2017 - resa in composizione monocratica - dichiarò improcedibile la domanda proposta nei confronti di C. G. s.r.l. in concordato preventivo mentre accolse la domanda nei confronti della C. G. S.R.L. e liquidò ai ricorrenti la somma di € 25.311,35.
Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione la C. G. s.r.l. sulla base di unico motivo.
Hanno resistito con distinti controricorsi la C. G. s.r.l. in concordato preventivo e gli avv.ti A. L., S. C. e G. G. P..
In prossimità dell’udienza la ricorrente ed i controricorrenti avv.ti A. L., S. C. e G. G. P. hanno depositato memorie illustrative.
Motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile.
L’art. 14 D. Lgs 150/2011 prevede che le controversie di cui all'articolo 28 della legge 13 giugno 1942, n. 794, e l'opposizione proposta a norma dell'articolo 645 c.p.c. avverso il decreto ingiuntivo riguardante onorari, diritti o spese spettanti ad avvocati per prestazioni giudiziali sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo.
Ai sensi dell’ art.14 comma IV, l'ordinanza che definisce il giudizio non è appellabile.
Le Sezioni Unite, con sentenza del 23.2.2018 n.4485, hanno stabilito che, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, la controversia di cui all'art. 28 della l. n. 794 del 1942, come sostituito dal d.lgs. cit., può essere introdotta: a)con un ricorso ai sensi dell'art. 702 bis c.p.c., che dà luogo ad un procedimento sommario "speciale" disciplinato dagli artt. 3, 4 e 14 del menzionato d.lgs.; oppure: b) ai sensi degli artt. 633 segg. c.p.c., fermo restando che la successiva eventuale opposizione deve essere proposta ai sensi dell'art. 702 bis segg. c.p.c., integrato dalla sopraindicata disciplina speciale e con applicazione degli artt. 648,649,653 e 654 c.p.c. E', invece, esclusa la possibilità di introdurre l'azione sia con il rito ordinario di cognizione sia con quello del procedimento sommario ordinario codicistico disciplinato esclusivamente dagli artt. 702 bis e segg. c.p.c..
In tale ipotesi, il giudice deve disporre il mutamento del rito. Qualora il mutamento del rito non vi sia stato ed il procedimento è proseguito con il rito ordinario o con il procedimento sommario, si tratta di stabilire se, malgrado l'adozione della forma dell’ordinanza, la decisione sia impugnabile con l’appello, a prescindere dalla qualificazione esplicita data dal giudice dell'opposizione, oppure con ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. art.14 Dlgs 150/2011.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l'individuazione del mezzo d'impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale va fatta in base alla qualificazione data dal giudice con il provvedimento impugnato all'azione proposta, a prescindere dalla sua esattezza. Tale scelta è stata ritenuta l'unica conforme ai principi fondamentali della certezza dei rimedi impugnatori e dell'economia dell'attività processuale, evitando l'irragionevolezza di imporre di fatto all'interessato di tutelarsi proponendo impugnazioni a mero titolo cautelativo, nel dubbio circa l'esattezza della qualificazione operata dal giudice a quo. Proprio sullo specifico tema dell'impugnabilità dei provvedimenti decisori adottati a conclusione di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di prestazioni giudiziali forensi, in cui il giudice aveva espressamente qualificato la pronuncia emessa quale ordinanza inappellabile ex art. 645 c.p.c., e L. n. 794 del 1942, art. 30, questa Corte ha ritenuto preclusa alla parte soccombente la scelta del mezzo d'impugnazione secondo una propria diversa qualificazione (Cass. S.U., sent. n. 182 del 23.3.1999).
Tale impostazione è stata ribadita anche nella sentenza 11 gennaio 2011, n. 390, delle Sezioni Unite di questa Corte, la quale ha riconosciuto che, a prescindere dalla forma del provvedimento decisorio (sentenza ovvero ordinanza), ciò che assume decisivo rilievo è la natura assunta dal procedimento nel suo concreto svolgersi; e in quel caso, infatti, le Sezioni Unite hanno cassato la sentenza di secondo grado che aveva dichiarato inammissibile l'appello proprio in base ad una valutazione formale, senza considerare che il giudizio (svoltosi come opposizione a decreto ingiuntivo) aveva assunto una forma tipicamente contenziosa, per cui non aveva alcun senso escludere l'impugnazione con l'appello.
Questi principi non trovano deroga nemmeno a seguito delle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 150 del 2011.
Deve pertanto essere ribadito il principio secondo cui (Cass. 26347/2019) anche in seguito all'entrata in vigore del D. Lgs 150 del 2011, art.14, al fine di stabilire il regime di impugnazione del provvedimento con cui si liquidano gli onorari e le altre spettanze dovuti dal cliente al proprio difensore per prestazioni giudiziali civili, assume rilevanza la forma adottata dal giudice in base alla qualificazione che egli abbia dato, implicitamente o esplicitamente, all'azione esercitata in giudizio (conf. Cass. 24515/2018; Cass. 4904/2018).
Nel caso di specie, emerge con chiarezza che il procedimento si è svolto con il rito sommario ex art.702 bis c.p.c. innanzi al giudice monocratico, il quale non ha disposto il mutamento del rito ed ha deciso la causa con ordinanza in composizione monocratica, dopo aver concesso il termine per il deposito di note conclusive.
La decisione è stata quindi adottata sulla base del procedimento sommario di cognizione ordinaria e non sulla base dell’art.14 D. Lgs 150/2011.
Ne consegue che l’impugnazione avrebbe dovuto seguire il regime previsto dall’art.702 quater c.p.c. e, segnatamente, l’appello e non il ricorso per cassazione.
Il ricorso è, pertanto, inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo. Sussistono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1- quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore di ciascuna parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 3000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto.