L'intervento di un terzo giustifica la configurabilità di tale attenuante per il solo reato tentato e non anche per quello consumato. Inoltre, l'applicazione della minore gravità postula una valutazione globale del fatto.
Il Procuratore della Repubblica propone ricorso in Cassazione avverso la sentenza con cui il Tribunale condannava l'imputato per il reato di violenza sessuale consumata riconoscendogli la circostanza attenuante speciale del fatto di minore gravità e le circostanze attenuanti generiche. Il ricorrente deduce...
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. Con sentenza del 7 gennaio 2021, il Tribunale di Busto Arsizio, all'esito del dibattimento, riconosciute la circostanza attenuante speciale del fatto di minore gravità e le circostanze attenuanti generiche, con giudizio di prevalenza, quanto alle prime, sulla contestata recidiva reiterata, ha condannato l'imputato alla pena di anni due e mesi sei di reclusione per il reato di violenza sessuale consumata a lui ascritto, ritenendo in questo assorbita l'ulteriore contestazione di tentata violenza sessuale.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica, deducendo l'inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con il primo motivo in relazione al riconoscimento del fatto di minore gravità e, con il secondo motivo, con riguardo al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
3. Il ricorso è inammissibile sotto entrambi i profili, essendo manifestamente infondate le dedotte violazioni della legge penale sostanziale lamentate e difettando inoltre un concreto ed attuale interesse in ordine al secondo motivo di ricorso.
3.1. Quanto alla riconosciuta attenuante di cui all'ultimo comma dell'art. 609-bis cod. pen, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e psicologiche di quest'ultima, anche in relazione all'età, mentre ai fini del diniego della stessa attenuante è sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità (Sez. 4, n. 16122 del 12/10/2016, L., Rv. 269600; Sez. 3, n. 6784 del 18/11/2015, dep. 2016, D., Rv. 266272; Sez. 3, n. 21623 del 15/04/2015, K., Rv. 263821). In particolare, per il riconoscimento della circostanza attenuante deve potersi ritenere che la libertà sessuale della persona offesa sia stata compressa in maniera non grave, e che il danno arrecato alla stessa anche in termini psichici sia stato significativamente contenuto (Sez. 3, n. 23913 del 14/05/2014, C., Rv. 259196; Sez. 3, n. 19336 del 27/03/2015, G., Rv. 263516), dovendosi escludere che la sola tipologia dell'atto possa essere sufficiente per ravvisare o negare tale attenuante (Sez. 3, n. 39445 del 01/07/2014, S., Rv. 260501).
Nel caso di specie la sentenza impugnata - richiamando la limitata invasione della sfera sessuale della vittima per essersi gli atti sessuali limitati a baci sul collo, l'età della persona offesa in relazione alla sua maturità sessuale e la breve durata dell'aggressione, risoltasi con un'agevole fuga della donna - ha effettuato quella valutazione complessiva che la legge richiede senza che possa ravvisarsene la violazione. Le censure mosse dal ricorrente impingono nella valutazione discrezionale del giudice di merito, senza che neppure sia stato dedotto il vizio di motivazione, e sono pertanto estranee al sindacato di legittimità.
Per altro verso, considerando che l'azione delittuosa è stata interrotta dall'intervento di un terzo - presente ai fatti - intervenuto in difesa della donna, che ha consentito a questa di fuggire, non può qui invocarsi il consolidato principio giusta il quale, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del fatto di minore gravità nel tentativo di violenza sessuale, non si deve tenere conto dell'azione effettivamente compiuta dall'agente, ma di quella che lo stesso aveva intenzione di porre in essere e che non è stata realizzata per cause indipendenti dalla sua volontà (Sez. 4, n. 18793 del 06/04/2017, P., Rv. 270169). Detto principio, di fatti, opera solo per il reato tentato - vale a dire per un diverso delitto, punito con pena decisamente inferiore alla luce dei limiti edittali quantificati in base all'art. 56, secondo comma, ultima parte, cod. pen. - e non può dunque trovare applicazione per il reato consumato, valorizzandosi contra reum le potenziali ben più gravi conseguenze in termini di compromissione della libertà sessuale della vittima e di danno della medesima che si sarebbero potute verificare qualora la condotta illecita fosse stata portata ad ulteriori conseguenze, pena l'attribuzione di responsabilità, a questi fini, di un fatto consumato diverso e ben più grave di quello invece commesso.
3.2. Analoghe conclusioni valgono per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, che la sentenza argomenta in base al corretto comportamento processuale tenuto dall'imputato, per il tramite del difensore, nel prestare il consenso all'utilizzazione di tutti gli atti di indagine. Anche in questo caso il Tribunale ha assunto la propria decisione con motivazione non censurabile in questa sede, giusta il consolidato principio secondo il quale, in tema di circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, P., Rv. 271269), tra questi certamente rientrando il corretto comportamento processuale e la collaborazione prestata nel corso del procedimento (cfr. Sez. 5, n. 33690 del 14/05/2009, B. e a., Rv. 244912). Né risulta dalla sentenza impugnata - non essendo stato peraltro dimostrato, e neppure specificamente dedotto, un travisamento della prova - che l'imputato non sarebbe stato consapevole della scelta processuale compiuta dal suo difensore.
3.3. In ogni caso, detto motivo, prima ancora che manifestamente infondato, è inammissibile per difetto d'interesse, poiché il Tribunale - dopo aver ritenuto la prevalenza dell'attenuante speciale sulla contestata recidiva reiterata - non ha apportato alcuna diminuzione di pena per le circostanze attenuanti generiche, ritenendo che per le stesse valesse invece il divieto di prevalenza sancito dall'art. 69, quarto comma, cod. pen. Stante la conclusione argomentata supra, sub 3.1, un'eventuale decisione di accoglimento del ricorso sul punto qui in esame non avrebbe dunque alcuna conseguenza sulla sentenza impugnata, sicché vale il principio giusta il quale, nell'ipotesi di ricorso per cassazione del pubblico ministero avverso una sentenza di condanna non è sufficiente la mera pretesa teorica preordinata all'astratta osservanza della legge e alla correttezza giuridica della decisione, essendo invece necessario che sia comunque dedotto un pregiudizio concreto e suscettibile di essere eliminato dalla riforma o dall'annullamento della decisione impugnata (Sez. 5, n. 35785 del 04/05/2018, E.H., Rv. 273630).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.