Come ricorda la Cassazione, infatti, seppur privo di sottoscrizione non può dirsi anonimo il documento la cui paternità e provenienza sia stata indicata dalla parte che lo ha prodotto, sussistendo solo un problema circa l'affidabilità delle deduzioni.
La Corte d'Appello di Milano confermava la condanna dell'imputato per il reato di maltrattamenti in famiglia ai danni della moglie aggravato dall'avere tenuto le condotte in presenza dei figli minori.
Contro la decisione, l'imputato propone ricorso per cassazione lamentando, tra i diversi motivi, l'inutilizzabilità di uno scritto attribuito al...
Svolgimento del processo
1. S.V.S. impugna, tramite il proprio difensore, la sentenza della Corte di appello di Milano del 13 settembre 2021, che ne ha confermato la condanna per il delitto di maltrattamenti verso la moglie convivente L.T., aggravato dall'aver tenuto tali condotte anche alla presenza dei loro figli minori.
2. Il ricorso propone cinque motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo si deduce l'inutilizzabilità di uno scritto attribuito ad uno dei figli della coppia, A., depositato dalla difesa della persona offesa attraverso la copia dello screenshot del tablet col quale era stato redatto; si sostiene che, stante l'incerta identificazione del suo autore, si tratterebbe di documento anonimo, come tale affetto da inutilizzabilità patologica, rilevabile anche qualora - come nel caso in esame - il processo si sia svolto con il rito abbreviato.
La sentenza impugnata ha respinto la relativa eccezione, osservando che la provenienza è attestata con la sua allegazione all'atto di opposizione all'archiviazione, e che mai la genuinità del documento era stata contestata dall'imputato nel giudizio di primo grado.
Replica la difesa che la provenienza non è garanzia di genuinità e che l'assenza di una censura difensiva in primo grado non può avere efficacia sanante, proprio per la radicale inutilizzabilità processuale degli scritti anonimi.
2.2. Con il secondo motivo si deduce l'inutilizzabilità dei documenti trasmessi direttamente al Giudice dell'udienza preliminare e da questi allegati al fascicolo del giudizio il 20 agosto 2019, successivamente all'ammissione del rito abbreviato non condizionato (avvenuta all'udienza del 19 giugno precedente) e prima della discussione (tenutasi all'udienza del successivo 6 novembre), senza alcuna interlocuzione con la difesa.
Si tratterebbe di un'ulteriore denuncia-querela e di un verbale di sommarie informazioni rese dalla persona offesa, del verbale di sommarie informazioni della sua amica M.P., e della relativa informativa di polizia, che hanno svolto un ruolo decisivo nelle decisioni di merito per il giudizio di responsabilità dell'imputato, per l'accertamento dell'aggravante dell'art. 61, n. 11-quinquies, cod. pen., e per lo spostamento del termine di consumazione del reato in epoca successiva alla legge n. 69 del 2019, rendendo possibile l'applicazione del più severo trattamento sanzionatorio da questa introdotto.
Si rileva, inoltre, l'assenza di motivazione sulla relativa eccezione.
2.3. Con la terza doglianza denuncia vizi di motivazione in ordine alla valutazione di attendibilità del complessivo apporto probatorio della persona offesa, costituitasi parte civile ed animata da sentimenti di disprezzo per il proprio marito.
In particolare, la motivazione della sentenza si presenterebbe illogica: a) allorché tenta di conciliare le diverse dichiarazioni di costei sulla protrazione nel tempo delle condotte asseritamente prevaricatrici, secondo la querela protrattesi con continuità sin dal 2012, mentre, stando alle successive sommarie informazioni, intervallate da un lungo periodo di quiete fino al 2017; b) nella parte in cui ricollega all'ipotetica condotta vessatoria dell'imputato situazioni penalizzanti per la persona offesa - quali l'abbandono degli studi, la mancata frequentazione di amici e familiari e la necessità di trovare un'occupazione - ragionevolmente riconducibili alla situazione obiettiva di donna divenuta madre a 17 anni, con quattro figli, senza supporti familiari ed in condizioni economiche disagiate; c) laddove valorizza l'affermazione della donna circa la sua condizione di isolamento, smentita dalla relazione del centro anti-violenza che la seguiva, in cui si riferisce della presenza di una rete amicale di sostegno.
2.4. Con il quarto motivo, si deducono violazione di legge e vizi di motivazione in punto di abitualità delle condotte e del relativo dolo unitario.
Ad eccezione che nella prima denuncia-querela dell'agosto 2017, in cui la persona offesa delinea un quadro di condotte reiterate e continue, le condotte di possibile rilevanza per attestare la consumazione del reato da parte dell'imputato sono circoscritte a tre periodi distinti tra loro: agosto 2012, maggio-agosto 2017, ottobre 2018. Il lungo lasso temporale intermedio, dunque, esclude che tali episodi possano farsi rientrare - come fa la sentenza - nel fisiologico alternarsi di momenti di quiete all'interno di un contesto abituale di violenza, nonché rende impossibile la configurazione del necessario dolo unitario, punto, quest'ultimo, sul quale la sentenza omette del tutto di pronunciarsi.
2.5. La quinta doglianza attinge, sotto il profilo sia della violazione di legge che del vizio di motivazione, l'affermazione della sussistenza dell'aggravante dell'art. 61, n. 11-quinquies, cod. pen., nel presupposto che i minori siano stati sistematici spettatori obbligati della violenza e che, sotto il profilo del dolo, l'agente abbia tenuto la propria condotta nella consapevolezza della presenza di costoro e disinteressandosi del nocumento che potrebbe loro derivarne.
La sentenza impugnata, secondo il ricorrente, a) ha trascurato che gli episodi rilevanti sono stati soltanto tre in sette anni; b) ha valorizzato il contegno tenuto dalla figlia S. in occasione dell'episodio del 2012, tuttavia con apprezzamenti meramente congetturali e riferibili, semmai, a fatti necessariamente anteriori che esulavano dalla contestazione; c) ha disatteso la relazione dei servizi sociali, che attestava la situazione familiare di quiete, quanto meno negli anni 2013-2014; d) ha travisato il dato probatorio, laddove asserisce che l'imputato abbia tenuto contegni violenti, in presenza dei figli, anche in occasione degli interventi delle forze di polizia, mentre ciò è avvenuto, al più, solo una volta, nel 2012, laddove, invece, in occasione degli interventi del 2017 e del 2018, dalle relazioni di servizio emerge che i figli della coppia non presentavano alcun turbamento; e) ha illegittimamente valorizzato l'inutilizzabile scritto anonimo attribuito al figlio A..
3. La difesa ha depositato motivi aggiunti, ad integrazione ed esplicazione di quelli appena esposti.
3.1. Quanto all'inutilizzabilità dello scritto anonimo, ribadisce l'impossibilità di attribuirne una paternità anche per via logica, nonché di stabilirne la datazione.
Evidenzia, altresì, in punto di rilevanza della prova, la valenza essenziale attribuitagli dalla Corte di merito per la protrazione della condotta sino al 2019 e per la dimostrazione di sussistenza dell'aggravante dell'art. 61, n. 11-quinquies, cod. pen..
3.2. Riguardo all'inutilizzabilità degli atti acquisiti al fascicolo processuale successivamente all'ammissione del rito abbreviato, si sottolinea la violazione del diritto di difesa, consumata attraverso l'omessa instaurazione del contraddittorio sull'ingresso di tali elementi di prova.
Si rappresenta, inoltre, come anch'essi abbiano avuto rilevanza decisiva, oltre che per l'estensione del tempus commissi delicti, con gli effetti conseguenti in termini di pena, anche per il diniego della sospensione condizionale.
3.3. Si ribadiscono, altresì, le censure in tema di valutazione delle dichiarazioni della persona offesa, in particolare sotto l'aspetto dell'abitualità delle condotte, e si sottolinea la rilevanza, ai fini dell'esclusione della stessa, del notevole tempo intermedio tra gli episodi aggressivi da costei descritti.
3.4. Si censura l'illogica valutazione unitaria di tali singole vicende, per effetto della quale: a) è stata omessa ogni valutazione sulla configurabilità del delitto di maltrattamenti in relazione agli episodi verificatisi in ciascuno dei separati e circoscritti periodi conflittuali della vita coniugale, nonché, in caso affermativo, sulla prescrizione di quelli risalenti al 2012; b) non è stato possibile rilevare la nullità della sentenza di primo grado, nella parte in cui si è pronunciata anche sui fatti del 2019, pur integrando gli stessi un fatto nuovo rispetto all'imputazione.
3.5. Si insiste, infine, nella censura della motivazione sulla sussistenza dell'aggravante dell'art. 61, n. 11-quinquies, cod. pen., evidenziandosi: che, tra le confidenze della figlia S. al poliziotto in occasione dell'intervento del 2012 e lo scritto in ipotesi ascrivibile all'altro figlio A., sono intercorsi sei anni; che la valutazione di tale contegno di S. da parte della Corte d'appello, quale manifestazione di un disagio non estemporaneo, ma sedimentatosi negli anni, non solo è congetturale, ma smentita dalla relazione dell'assistente sociale F., che ha seguìto la famiglia nel periodo 2013-2014 ed ha riferito di una situazione di serenità dei figli; che la sentenza non spiega perché le considerazioni esposte nello scritto asseritamente redatto da A. debbano necessariamente essere intese come il prodotto di sue percezioni personali e non, invece, la rappresentazione di quanto comunicatogli da terzi.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato, nei termini di seguito precisati.
2. Preliminarmente, mentre non può condividersi la qualificazione dell'atto prodotto dalla parte offesa (screenshot del tablet dove sarebbe riportato uno sfogo del figlio della coppia, redatto con programma informatico di scrittura e non recante alcuna sottoscrizione) quale documento anonimo, si deve convenire con il ricorrente, riguardo alla presenza del vizio di motivazione, inerente alla valutazione della produzione e della sua portata dimostrativa.
Sotto il primo profilo non può qualificarsi anonimo un documento la cui paternità e provenienza è stata indicata dalla parte che lo ha prodotto, ponendosi solo un problema di accertamento dell'affidabilità di tali deduzioni; deve in proposito richiamarsi quanto già chiarito da pronunce di questa Corte sul tema (Sez. 6, n. 52926 del 04/11/2016, C., Rv. 268967; Sez. 1, n. 39259 del 13/10/2010, A., Rv. 248831) secondo cui non può qualificarsi anonimo il documento privo di sottoscrizione di cui l'autorità inquirente sia in grado di identificare l'autore, sulla base di logiche e pertinenti considerazioni; nel caso in esame può lamentarsi un difetto di approfondimento sulla genuinità del dato, non l'impossibilità di individuare la paternità dell'atto.
Esclusa quindi la fondatezza di qualsiasi censura di inutilizzabilità della prova, che risulta tempestivamente proposta fin dall'atto di appello, deve però convenirsi sulla mancanza di approfondimento quanto alla sua genuinità, oltre che rilevarsi la contraddittorietà della motivazione sul punto; invero la sentenza impugnata, sotto un primo profilo, osserva la superfluità del dato probatorio in quanto definito elemento di contorno (fg 10), salvo poi a richiamare quanto deducibile dallo scritto, attribuito con certezza dal figlio della coppia, per supportare la sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 61 n. 11 quinques cod. pen. (fg.11), elemento che diviene quindi comunque rilevante al fine dell'accertamento della responsabilità, come delineata in sentenza, che, se necessario, richiede ulteriori approfondimenti ai fini della sua utilizzazione.
Sotto tale profilo quindi, esclusa la tardività dell'eccezione, che riguarda più propriamente l'efficacia dimostrativa delle prove acquisite, già contestata in atto di appello, deve disporsi un ulteriore approfondimento che potrà snodarsi o sull'accertamento della provenienza e genuinità dell'atto, o sulla sua esclusione dal materiale valutabile.
3. Parimenti fondato risulta il secondo motivo di ricorso. L'esame del fascicolo, cui questa Corte ha accesso in ragione della natura processuale dell'eccezione, ha consentito di acclarare che sono stati allegati agli atti, dopo l'ammissione del rito abbreviato incondizionato, ma prima dell'udienza di decisione, ulteriori denunce proposte dalla parte lesa per fatti consumati nell'agosto 2019, in epoca successiva all'ammissione del rito, valutati in sentenza come atto unitario rispetto all'oggetto del giudizio, che hanno costituito inoltre elemento rilevante al fine di determinare la pena edittale, modificata nelle more del giudizio dalla legge del 19/7/2019 n.69.
Risulta invero del tutto pacifico che, ammesso il giudizio abbreviato, la valutazione non possa che fermarsi alle acquisizioni realizzate in quella fase (sul punto Sez. U. n. 5788 del 18/04/2019, dep. 2020, H.A., Rv. 277706 - 01), e che ogni ulteriore sopravvenienza avrebbe dovuto condurre alla modifica dell'imputazione, con il procedimento di cui all'art 516 cod. proc pen. e la possibilità per l'interessato di recedere dalla scelta del rito; in alternativa doveva procedersi all'instaurazione di un nuovo procedimento.
Nella specie, malgrado la formulazione di una contestazione temporalmente aperta, gli atti acquisiti, e valutati al fine della condanna, risultano pacificamente realizzati, sulla base della denuncia acquisita, dopo la richiesta di rinvio a giudizio, ed in epoca successiva all'ammissione del rito, scelta che cristallizza l'ipotesi di accusa; tale fase processuale consente solo modifiche dettate dall'esigenza di correggere errori materiali, non la valutazione di ogni sopravvenienza successiva alla decisione della difesa di un giudizio allo stato degli atti, scelta che fissa sia i termini dell'accusa, che gli elementi probatori posti a sostegno.
Per tali emergenze dovrà provvedersi ad autonomo esercizio dell'azione penale, mentre l'accertamento di responsabilità, ove confermato, non potrà che condurre alla determinazione di una sanzione parametrata ai limiti edittali esistenti all'atto della cessazione della condotta, accertata sulla base delle allegazioni contenute al momento dell'ammissione del rito.
4. Fondato, nei termini di seguito precisati, risulta anche il terzo motivo di ricorso.
Preliminarmente deve escludersi ogni rilevanza alle censure in tema di
credibilità della persona offesa, che celano la sollecitazione ad una nuova valutazione di merito, preclusa in questa fase, motivi essenzialmente di merito, consistenti in una rilettura della risultanze probatorie; la sentenza spiega in modo non manifestamente illogico perché non si sia trattato di episodi isolati e perché la vittima abbia tentato fin quando possibile di coprirli, comunque avendo cura di riferire del corretto comportamento del marito verso i figli, atteggiamento incompatibile con intenzioni calunniose; depongono in tal senso, del resto, la circostanza che il ricorrente sia rimasto per anni in casa pur dopo la separazione, oltre che la scelta della donna di separarsi nonostante condizioni economiche precarie, la presenza di quattro figli e l'assenza di nuove relazioni.
Per contro risulta carente l'argomentazione inerente all'individuazione del dolo unitario, elemento necessario per consentire una qualificazione dei fatti connessa temporalmente per tutti gli episodi in contestazione.
Invero dall'esame delle dichiarazioni della parte lesa si evince che la stessa ha fatto riferimento ad episodi del 2012, corroborati dalle dichiarazioni della figlia agli operanti intervenuti, che condussero ad una osservazione della famiglia da parte degli assistenti sociali, seguiti poi da ulteriori condotte snodatesi dal 2017 in epoca successiva.
Quel che non emerge da entrambe le sentenze di merito è la presenza di elementi di continuità nel quinquennio intercorso tra i due episodi, poiché sia la sentenza di primo grado, che quella oggetto di impugnazione, nel ricostruire gli episodi, non danno conto di emergenze in tale intervallo temporale, né il dato risulta ricavabile sul punto dalle dichiarazioni delle assistenti sociali intervenute, per come riportati nelle sentenze.
La difesa, che aveva espressamente censurato la sentenza di primo grado al riguardo, denuncia la genericità della motivazione della sentenza di appello, che, facendo riferimento a massime di esperienza sulla irrilevanza di iati temporali tra episodi aggressivi, al fine di identificare l'abitualità del reato, non si confronta con il dato temporale concreto, costituito da un intervallo apparentemente silente di cinque anni, in linea astratta idoneo, in caso di accertata remissione di qualsivoglia espressione aggressiva, a consentire l'identificazione di due autonome condotte, una delle quali, la più antica, suscettibile di estinzione per effetto del decorso del termine massimo di prescrizione.
Corretta appare quindi la contestazione svolta nell'impugnazione che, esclude che possa ritenersi, sulla esclusiva base della struttura abituale del reato, una continuità nella sua esecuzione, pur in assenza di manifestazione di qualsiasi genere, aggressive o di disprezzo, suscettibili di evidenziare anche in quell'intervallo di tempo, l'abitualità e sostanziale continuità dell'atteggiamento maltrattante, continuità di cui non è dato conto in sentenza, se non con il richiamo generico ad alti e bassi nei rapporti tra le parti, ed a risultanze nel corso del tempo, che si esauriscono materialmente nell'evocazione della denuncia del 2012 e nelle condotte tenute dal 2017 ad epoca successiva.
La sentenza va quindi annullata anche sul punto, affinché vengano definiti gli elementi di fatto sulla base dei quali può dirsi accertato un dolo unitario che colleghi gli episodi snodatisi nell'arco temporale oggetto della contestazione.
Gli ulteriori rilievi, inerenti alla sussistenza dell'aggravante, essendo connessi agli accertamenti sollecitati, non possono che considerarsi assorbiti.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Milano.