La necessità di rimuovere incongruenze e sperequazioni e di ripristinare i criteri di equità e di ragionevolezza prevale infatti sulla tutela dell'affidamento.
Il Tribunale di Trento sollevava questioni di legittimità costituzionale in relazione ad alcune disposizioni regionali disciplinanti i vitalizi regionali trentini dopo l'introduzione delle misure che hanno previsto una loro riduzione in vista del contenimento della spesa pubblica.
Con la sentenza n. 136 del 3 giugno 2022, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni sollevate dal Tribunale, riconoscendo innanzitutto che le misure riduttive rientrano nella competenza del legislatore regionale, in quanto riconducibili alla competenza autonoma della Regione in materia di vitalizi spettanti a chi ha ricoperto la carica di consigliere regionale.
Nello specifico, poi, le norme censurate hanno ridotto i vitalizi regionali trenini in corso di erogazione diretti e di reversibilità, non andando però a contrastare con i principi di coordinamento della finanza pubblica evocati dal Tribunale di Trento.
Le misure, infatti, non ledono il principio del legittimo affidamento poiché trovano, da un lato, una giustificazione nelle esigenze di contenimento della spesa, di sobrietà ed equità e, dall'altro, non danno luogo ad alcun regolamento irrazionale. Ciò si spiega perché, come afferma la Consulta, la necessità insita nei trattamenti di ripristinare i criteri di ragionevolezza e di equità e di eliminare sperequazioni e incongruenze è preponderante rispetto alla tutela dell'affidamento, tenendo conto inoltre della portata del trattamento anche a seguito della riduzione.
Per questa ragione, dunque, la riduzione dei vitalizi regionali supera il vaglio della Consulta.
Corte costituzionale, sentenza (ud. 22 marzo 2022) 3 giugno 2022, n. 136
Svolgimento del processo
1.– Con ordinanza iscritta al numero 123 del registro ordinanze 2020, il Tribunale ordinario di Trento ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 3 della legge della Regione Trentino-Alto Adige 11 luglio 2014, n. 5, recante «Modifiche alla legge regionale 26 febbraio 1995, n. 2 (Interventi in materia di indennità e previdenza ai Consiglieri della Regione autonoma Trentino-Alto Adige), come modificata dalle leggi regionali 28 ottobre 2004, n. 4, 30 giugno 2008, n. 4, 16 novembre 2009, n. 8, 14 dicembre 2011, n. 8 e 21 settembre 2012, n. 6, nonché alla legge regionale 23 novembre 1979, n. 5 (Determinazione delle indennità spettanti ai membri della Giunta regionale), e successive modificazioni, volte al contenimento della spesa pubblica», in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 11, 42, 64, 66, 68, 69, 97 e 117 della Costituzione, quest’ultimo anche in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.
L’art. 2 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014 disponeva che «[a] decorrere dal mese successivo all’entrata in vigore della presente legge l’ammontare lordo mensile di tutti gli assegni vitalizi diretti, non attualizzati, e di reversibilità, compresi quelli già in godimento o attribuiti, è ridotto di una percentuale del 20 per cento, desunta dalla percentuale di riduzione della indennità parlamentare lorda di cui all’articolo 1 della legge 31 ottobre 1965, n. 1261 e successive modificazioni, alla data del 1° gennaio 2014, rispetto all’indennità parlamentare lorda indicata nell’articolo 8, comma 2, della legge regionale 21 settembre 2012, n. 6 (Trattamento economico e regime previdenziale dei membri del Consiglio della Regione autonoma Trentino-Alto Adige)».
Il successivo art. 3 disponeva che «1. Ove il titolare di assegno vitalizio diretto o di reversibilità goda di altro trattamento o vitalizio diretto o di reversibilità per aver ricoperto cariche di parlamentare nazionale o europeo o per essere stato componente di organi di altre Regioni, l’assegno erogato dal Consiglio regionale, considerato ai fini del calcolo del cumulo al lordo del valore attuale, viene ridotto, qualora l’importo lordo complessivo degli assegni stessi superi la misura lorda di euro 9.000,00 per gli assegni vitalizi diretti, rispettivamente calcolata in modo proporzionale per gli assegni vitalizi di reversibilità. 2. Ai fini dell’applicazione del comma 1, il titolare di assegno vitalizio diretto o di reversibilità erogato dal Consiglio regionale è tenuto a dichiarare all’Ufficio di Presidenza o di non percepire alcun assegno vitalizio diretto o di reversibilità, o l’ammontare lordo degli assegni percepiti, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge. 3. In caso di mancata ottemperanza dell’obbligo di dichiarazione previsto dal comma 2, l’assegno vitalizio diretto o di reversibilità viene sospeso e, per le due mensilità già erogate, si provvede al recupero dell’indebito in base alle comuni procedure».
Entrambe le disposizioni sono state abrogate dall’art. 2, comma 2, della legge della Regione Trentino-Alto Adige 15 novembre 2019, n. 7 (Rideterminazione degli assegni vitalizi e di reversibilità secondo il metodo di calcolo contributivo).
Il rimettente riferisce di essere stato adito da S. B., titolare di vitalizio a carico del Consiglio regionale dal 15 marzo 2013, il quale aveva convenuto in giudizio quest’ultimo unitamente alla Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol per ottenere l’accertamento del proprio diritto alla corresponsione dell’assegno senza le decurtazioni operate in applicazione delle norme censurate, con conseguente condanna in tal senso.
Dopo l’esperimento di regolamento preventivo di giurisdizione, in esito al quale la Corte di cassazione aveva confermato la giurisdizione ordinaria, il giudice a quo aveva sollevato incidente di costituzionalità relativamente alla medesima normativa, definito nel senso della manifesta inammissibilità con l’ordinanza n. 111 del 2019 di questa Corte.
Il rimettente solleva le descritte questioni di legittimità costituzionale a seguito dell’avvenuta riassunzione del giudizio principale.
1.1.– A suo avviso, le disposizioni censurate contrasterebbero con «il principio della intangibilità dei diritti acquisiti e della certezza e stabilità dei rapporti giuridici quale forma di tutela del legittimo affidamento», riconducibile agli artt. 2, 3 e 97 Cost., «in quanto elemento essenziale dello Stato di diritto ed espressione, da un lato, del principio di uguaglianza dinanzi alla Legge; dall’altro, del principio di solidarietà cui sono collegati i canoni di buona fede e di correttezza dall’agire, e ciò anche da parte della P.A. che deve improntare la propria condotta a canoni di lealtà e di imparzialità», nonché all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 CEDU, «in assenza di motivi imperativi di interesse generale costituzionalmente rilevanti».
Secondo il rimettente, sebbene il principio dell’affidamento non abbia valenza assoluta, le disposizioni normative retroattive, quali sarebbero quelle denunciate, non potrebbero trasmodare in una regolamentazione irrazionale, incidendo su situazioni sostanziali di natura patrimoniale fondate sulla legislazione precedente, rendendosi necessario al riguardo un rigoroso scrutinio di ragionevolezza – e non di mera mancanza di arbitrarietà – valutando le motivazioni a sostegno dell’intervento legislativo, anche alla luce delle circostanze di fatto e del contesto in cui esso è maturato, il tempo trascorso dal momento di definizione dell’assetto regolatorio alterato, la prevedibilità della modifica retroattiva e la proporzionalità dell’iniziativa.
Nella fattispecie, il legislatore regionale non avrebbe addotto alcuna specifica motivazione a sostegno dell’intervento riduttivo, limitandosi a indicare, nell’intitolazione della legge, una generica esigenza di contenimento della spesa pubblica, considerata inidonea a fondarne la legittimità. Al contempo, l’attore nel giudizio principale, che aveva iniziato a percepire l’assegno vitalizio da ben oltre un anno, aveva terminato il proprio mandato elettivo in seno al Consiglio regionale (svolto dal 1988 al 1994) da venti anni, senza poterne prevedere, a distanza di così tanto tempo, il sostanziale ed evidentemente sproporzionato azzeramento, nemmeno in relazione al godimento del vitalizio erogato dalla Camera dei deputati, poiché l’eventualità dello svolgimento di mandati parlamentari da parte di coloro che avrebbero goduto di quello dipendente dal mandato di consigliere era espressamente contemplata dalla normativa regionale di riferimento.
Inoltre, le disposizioni censurate violerebbero gli artt. 64, 66, 68 e 69 Cost., in quanto i vitalizi regionali risponderebbero alla medesima ratio, propria dell’indennità, di «sterilizzazione degli impedimenti economici all’accesso alle cariche di rappresentanza democratica» e di garanzia dell’attribuzione di un trattamento economico adeguato ad assicurarne l’indipendenza.
Infine, gli artt. 2 e 3 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014 violerebbero l’art. 117 Cost., in quanto l’art. 4 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), attribuirebbe alla Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol una potestà legislativa limitata alla materia dell’ordinamento degli uffici regionali e del personale a essi addetto, che non comprenderebbe la possibilità di incidere sui vitalizi, ambito riservato alla potestà legislativa dello Stato, che, peraltro, avrebbe sì chiamato le Regioni a interventi riduttivi, ma salvaguardando i trattamenti in corso di erogazione (art. 2, comma 1, lettera m, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, recante «Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012», convertito, con modificazioni, nella legge 7 dicembre 2012, n. 213).
1.2.– In punto di rilevanza, il giudice a quo riferisce che l’attore, ex consigliere della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e, in ragione di ciò, già percettore di un assegno vitalizio di euro 3.543,86 lordi mensili, avrebbe dapprima subìto, come da nota del 23 luglio 2014, in virtù dell’art. 2 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014, una decurtazione di euro 708,77 con decorrenza dal mese di luglio del 2014 e, successivamente, con decreto 26 settembre 2014, in applicazione dell’art. 3 della medesima legge regionale, la riduzione dell’assegno vitalizio regionale a euro 139,03, pari alla differenza tra il previsto tetto di euro 9.000,00 lordi mensili e il vitalizio di euro 8.860,97 lordi mensili percepito quale ex parlamentare, avendo svolto cinque mandati quale deputato.
A fronte di una domanda di accertamento del diritto alla corresponsione dell’assegno vitalizio senza decurtazioni e di condanna al pagamento di quanto dovuto a tale titolo per l’intero, l’accoglimento o il rigetto della pretesa dipenderebbe dalla fondatezza o meno delle questioni di legittimità costituzionale sollevate.
2.– Con atti dal contenuto coincidente, si sono costituiti in giudizio la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e il Consiglio regionale, deducendo l’inammissibilità e, comunque, la non fondatezza delle questioni sollevate.
Anzitutto, permarrebbero le ragioni d’inammissibilità evidenziate nell’ordinanza n. 111 del 2019 di questa Corte, cui il rimettente non avrebbe posto rimedio, con conseguente difetto di motivazione sulla rilevanza.
In secondo luogo, le questioni sarebbero inammissibili per omessa ricostruzione del quadro normativo di riferimento, atteso che il giudice a quo non avrebbe considerato che, già prima dell’ordinanza di rimessione, le disposizioni censurate sono state abrogate dall’art. 2, comma 2, della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 7 del 2019, e che l’art. 1, commi da 965 a 967, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), avrebbe imposto il ricalcolo con metodo contributivo degli assegni vitalizi in corso di erogazione, con ciò venendo meno il carattere permanente e irreversibile dell’intervenuta riduzione, profilo di rilievo centrale nelle censure articolate dal rimettente.
Ancora, le questioni sollevate sarebbero inammissibili in quanto generiche e indeterminate, poiché con esse si mirerebbe all’eliminazione di un inesistente carattere retroattivo della legge – che viceversa disporrebbe una riduzione pro futuro di benefici relativi ai rapporti di durata – con correlativa impossibilità di «esercizio del diritto di difesa».
In subordine, la Regione e il Consiglio regionale eccepiscono l’irrilevanza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014, atteso che nel giudizio a quo sarebbe contestata la «rideterminazione dell’assegno vitalizio mediante applicazione del limite al cumulo in applicazione dell’art. 3, non mediante la riduzione dell’assegno vitalizio in applicazione dell’art. 2, che è assorbita dalla prima operazione. Sicché l’art. 2 non ha trovato e non è destinato a trovare applicazione nel giudizio a quo», alla luce dell’intervenuta abrogazione.
Infine, sarebbero inammissibili le questioni genericamente sollevate in riferimento all’art. 117 Cost., poiché il rimettente non avrebbe indicato la competenza statale violata dalla legge regionale.
Sempre in via preliminare, la Regione e il Consiglio regionale sostengono che il thema decidendum non possa includere anche la violazione degli artt. 10, 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 CEDU, non trattandosi di «domande rivolte a codesta Corte»; in subordine, si tratterebbe di censure inammissibili, perché insufficientemente argomentate, o manifestamente infondate, in quanto i parametri evocati sarebbero inconferenti rispetto alle norme denunciate.
Nel merito, le questioni sollevate in riferimento agli artt. 2, 3 e 97 Cost. non sarebbero fondate, poiché dai principi dell’affidamento e della certezza e stabilità dei rapporti giuridici non potrebbe derivare alcuna pretesa all’immutabilità della disciplina legislativa dei rapporti intersoggettivi di durata: essa non potrebbe consistere né in un diritto fondamentale della persona (art. 2 Cost.) né in un riflesso del principio di buon andamento, mentre sarebbe necessario che la funzione legislativa possa conformare tali rapporti secondo le concrete esigenze e circostanze che si pongono nel corso del tempo, anche in termini di concretizzazione dei doveri inderogabili di solidarietà sociale che costituiscono il risvolto del riconoscimento dei diritti della persona di cui all’art. 2 Cost. e il fondamento del programma di cui all’art. 3, secondo comma, Cost. Quanto all’evocazione del principio di ragionevolezza a sostegno del divieto di regolazione retroattiva, esso non sarebbe pertinente, poiché nel presente caso non vi sarebbe applicazione retroattiva di norme.
Peraltro, quand’anche la censura fosse diretta a evidenziare l’irragionevolezza delle disposizioni in quanto volte a prevedere una modifica peggiorativa dei trattamenti di durata, essa non sarebbe comunque fondata, atteso che difetterebbe la configurabilità di un affidamento sull’immutabilità dei trattamenti medesimi, suscettibili di alterazione in senso sfavorevole da parte del legislatore, a maggior ragione quando la loro determinazione sia regolata da una disciplina dettata proprio dai destinatari degli stessi. Inoltre, nell’ambito in considerazione, la discrezionalità del legislatore sarebbe particolarmente estesa – anche alla luce della non assimilabilità dei vitalizi ai trattamenti pensionistici, viste le condizioni privilegiate che ne consentono il godimento – e, a fondamento della scelta legislativa, sussisterebbe la necessità di soddisfare indefettibili esigenze di bilancio e di equità sociale, evidenziate dalla relazione al disegno di legge, che costituirebbero «imperativi costituzionalmente rilevanti», a prescindere dalla situazione finanziaria del bilancio del Consiglio regionale della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol.
Con particolare riferimento all’art. 3 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014, la ragionevolezza dell’intervento si desumerebbe sia dal fatto che tale disposizione si pone in continuità con altre previsioni di legge adottate in passato dalla Regione per porre limiti al cumulo del vitalizio regionale con altri vitalizi pubblici (viene evocato l’art. 4, comma 11, della legge della Regione Trentino-Alto Adige 26 febbraio 1995, n. 2, recante «Interventi in materia di indennità e previdenza ai consiglieri della Regione autonoma Trentino-Alto Adige»), sia dal fatto che, «a fronte di erogazioni della medesima natura non sussist[o]no ragioni per destinare ulteriori risorse pubbliche alla stessa finalità, essendo tali finalità già integralmente soddisfatte dagli altri assegni vitalizi». Peraltro, il tetto massimo mensile fissato dal legislatore regionale in euro 9.000 lordi garantirebbe comunque «una indennità idonea a compensare lo svolgimento di ogni tipo di servizio onorario prestato» e soddisferebbe «qualunque forma di esigenza latamente previdenziale», oltretutto con un trattamento maturato a seguito di condizioni particolarmente favorevoli e determinato attraverso un meccanismo che ne consentirebbe la rimodulazione al rialzo, come sarebbe concretamente avvenuto nella fattispecie, a seguito della riduzione del vitalizio parlamentare.
Infine, non sarebbero fondate né le censure di violazione dell’art. 42 Cost., in quanto inapplicabile alle prestazioni obbligatorie, né quelle formulate in riferimento agli artt. 64, 66, 68 e 69 Cost., parametri riferibili ai membri delle Camere e non a quelli del Consiglio regionale, la cui violazione, inoltre, sarebbe esclusa dal fatto che, in ogni caso, la necessità di «sterilizzazione degli impedimenti economici alle cariche elettive» non sarebbe in alcun modo pregiudicata dalle norme contestate, che garantirebbero un congruo emolumento.
3.– Si è costituito in giudizio S. B., chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate dal giudice a quo e rinviando lo svolgimento dei propri argomenti difensivi a successiva memoria illustrativa.
4.– È intervenuto in giudizio H. F., anch’egli titolare di assegno vitalizio regionale ridotto in applicazione delle disposizioni censurate e parte in causa in analogo contenzioso pendente davanti al Tribunale di Trento.
A suo avviso, l’ammissibilità del proprio intervento deriverebbe dalla già avvenuta riunione del giudizio incidentale originato dalle domande svolte da S. B., oggi riproposto, con quello scaturito dalle analoghe pretese da lui stesso vantate dinanzi al medesimo Tribunale, entrambi definiti con l’ordinanza n. 111 del 2019 di questa Corte.
Tanto premesso, l’intervenuto sostiene che il rimettente abbia emendato i difetti motivazionali che avevano dato luogo alla precedente pronuncia di manifesta inammissibilità delle questioni sollevate e che esse, nel merito, siano fondate.
A quest’ultimo proposito, la consistenza e la permanenza delle riduzioni operate dalle disposizioni censurate a mero beneficio della finanza pubblica, peraltro a fronte di una contribuzione di ammontare non irrilevante, violerebbero il principio del legittimo affidamento presidiato dai parametri evocati dal rimettente, ivi incluso l’art. 117, primo comma, Cost. in relazione all’art. 6 CEDU, rispetto alle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario, e in combinato disposto con l’art. 11 Cost., trattandosi di principio del diritto eurounitario.
Inoltre, le disposizioni violerebbero le competenze statali in materia di ordinamento civile (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.) – cui ricondurre i rapporti intersoggettivi privatistici e la salvaguardia della proprietà privata – e di coordinamento della finanza pubblica (art. 117, terzo comma, Cost.), atteso che il principio espresso dall’art. 2, comma 1, lettera m), del d.l. n. 174 del 2012, come convertito, nell’incentivare una riduzione dei vitalizi regionali, farebbe salvi quelli in corso di erogazione.
5.– In prossimità dell’udienza S. B., la Regione e il Consiglio regionale hanno depositato delle memorie illustrative.
S. B., dopo aver confermato la ricostruzione operata dal rimettente in merito all’applicazione di entrambe le misure riduttive previste dalla normativa censurata, ha sostenuto la violazione degli artt. 2, 3, 10, 42, 51, 64, 66, 68, 69 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 CEDU e all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, firmato a Parigi il 20 marzo 1952.
Ciò alla luce della mancata considerazione della data di maturazione dei trattamenti, dei mandati consiliari svolti, delle riduzioni operate in epoca di poco precedente – che hanno anche riguardato i vitalizi dovuti in ragione dell’attività di parlamentare nazionale – e della concomitante applicazione dei contributi di solidarietà, nonché della mancata previsione di gradualità, temporaneità e mitigazione delle misure, foriere di un sostanziale azzeramento dell’assegno – con portata di fatto espropriativa fondata sul mero interesse finanziario – e di una correlata vanificazione della contribuzione versata. Di qui la violazione dei principi del legittimo affidamento e di certezza del diritto – trattandosi di misure ingiustificate, sia economicamente che alla stregua dell’art. 2, comma 1, lettera m), del d.l. n. 174 del 2012, come convertito, oltre che irragionevoli, discriminatorie e sproporzionate, trasmodate in una regolamentazione irrazionale di un assetto ormai consolidato, la cui modifica in peius non era prevedibile – e del principio di libero accesso alle cariche elettive, essendovi frapposto un impedimento economico, in violazione degli artt. 3, secondo comma, e 51 Cost.
La Regione e il Consiglio regionale, nella loro memoria illustrativa, oltre a eccepire l’inammissibilità dell’intervento in giudizio spiegato da H. F., hanno rimarcato l’incompleta ricostruzione del contesto normativo e, segnatamente, la mancata considerazione della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 7 del 2019, che, riducendo ulteriormente il trattamento di S. B., osterebbe all’accoglimento della domanda formulata nel giudizio a quo.
Le parti hanno inoltre ribadito i loro argomenti quanto all’omesso superamento della lacuna ricostruttiva rilevata dall’ordinanza n. 111 del 2019 di questa Corte – circa l’interazione tra la decurtazione del 20 per cento e il limite alla possibilità di cumulo (destinato ad assorbire la prima, come dimostrerebbero le rideterminazioni in aumento dell’assegno, di cui S. B. avrebbe frattanto beneficiato) – e al difetto di rilevanza, evidenziando altresì la peculiarità del vitalizio spettante ai consiglieri regionali – che ne giustificherebbe la modificabilità anche per ragioni di sostenibilità del sistema – la possibilità di riespansione insita nel meccanismo del limite di cumulo – che escluderebbe la sterilizzazione della contribuzione – e la non assimilabilità alle pensioni. Infine, non sarebbe pertinente l’evocazione degli artt. 64, 66, 68 e 69 Cost., in quanto ius singulare inapplicabile ai consiglieri regionali.
6.– Con ordinanza iscritta al numero 139 del registro ordinanze 2021 il Tribunale ordinario di Trento ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014 – in riferimento agli artt. 3, 97, 117, commi primo, secondo, lettera l), e terzo, Cost., in relazione all’art. 6 CEDU e all’art. 2, comma 1, lettera m), del d.l. n. 174 del 2012, come convertito, e in riferimento all’art. 4 dello statuto reg. Trentino-Alto Adige – nonché degli artt. 3 della legge della Regione Trentino-Alto Adige 28 ottobre 2004, n. 4 (Modificazioni ed integrazioni alla legge regionale 26 febbraio 1995, n. 2 «Interventi in materia di indennità e previdenza ai Consiglieri della Regione Autonoma Trentino-Alto Adige), nella parte in cui introduce l’art. 4-bis della legge della Regione Trentino-Alto Adige 26 febbraio 1995, n. 2 (Interventi in materia di indennità e previdenza ai consiglieri della Regione autonoma Trentino-Alto Adige), 15 della legge della Regione Trentino-Alto Adige 21 settembre 2012, n. 6 (Trattamento economico e regime previdenziale dei membri del Consiglio della Regione autonoma Trentino-Alto Adige), e 4 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014, in riferimento agli artt. 3, 38, 53, 97, 117, commi primo – in relazione all’art. 6 CEDU – e secondo, lettera l), Cost. e 4 dello statuto reg. Trentino-Alto Adige.
Del contenuto dell’art. 2 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014 si è già detto a proposito dell’ordinanza iscritta al n. 123 reg. ord. del 2020.
L’art. 4-bis della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 2 del 1995 – come detto, introdotto dall’art. 3 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2004 – prevede che «1. A carico degli assegni vitalizi e di reversibilità dei Consiglieri eletti fino alla XIII Legislatura compresa viene effettuata, con decorrenza 1° gennaio 2005, una trattenuta del 4 per cento a titolo di contributo di solidarietà. 2. L’Ufficio di Presidenza con regolamento individuerà le relative modalità operative».
L’art. 15 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012 prevede che «1. A carico degli assegni vitalizi diretti e di reversibilità viene effettuata una trattenuta variabile fino a un massimo del 12 per cento a titolo di contributo di solidarietà. 2. L’Ufficio di Presidenza disciplina con propria deliberazione le modalità operative».
L’art. 4 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014 stabilisce che «[i]l contributo di solidarietà da applicare agli assegni vitalizi inferiori alla misura del 30,40 per cento della base di calcolo prevista dal comma 2 dell’articolo 8 della legge regionale n. 6 del 2012 è pari al 6 per cento. Agli assegni di reversibilità riferiti ad assegni vitalizi non attualizzati, maturati fino alla misura del 57 per cento della medesima base di calcolo, il contributo di solidarietà da applicare è pari all’8 per cento ed agli assegni di reversibilità riferiti ad assegni vitalizi di misura superiore, il contributo di solidarietà da applicare è pari al 12 per cento».
Il rimettente riferisce di essere stato adito da N. T. – vedova di W. M., consigliere regionale dal 1978 al 1993, e titolare di assegno vitalizio di reversibilità dal giugno 2008 – la quale aveva convenuto il Consiglio regionale unitamente alla Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol per ottenere l’accertamento del proprio diritto alla corresponsione dell’assegno senza le decurtazioni operate in applicazione dell’art. 2 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014 e dei contributi di solidarietà previsti dall’ulteriore normativa regionale censurata, con conseguente condanna in tal senso delle controparti.
6.1.– Le censure mosse dal rimettente all’art. 2 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014 in riferimento agli artt. 3, 97 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 CEDU, sostanzialmente coincidono con quelle rivolte alla medesima disposizione dall’ordinanza iscritta al n. 123 reg. ord. del 2020 e precedentemente illustrate, con la precisazione che il legislatore non avrebbe tenuto conto della non irrilevante contribuzione versata durante il mandato e avrebbe operato «senza che vi fosse una ragione stringente e insuperabile connessa alla finanza pubblica». L’art. 97 Cost. risulterebbe altresì violato in quanto i percettori del trattamento verrebbero penalizzati «senza ottenere una maggiore efficienza dell’Amministrazione e della sicurezza previdenziale nella garanzia del mandato elettivo».
Inoltre, la disposizione violerebbe la competenza regionale in materia di ordinamento degli organi e degli uffici regionali (art. 4 dello statuto reg. Trentino-Alto Adige), invadendo quelle statali in materia di ordinamento civile (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.), cui ricondurre i rapporti intersoggettivi privatistici e la salvaguardia della proprietà privata, e di coordinamento della finanza pubblica (art. 117, terzo comma, Cost.), atteso che il principio espresso dall’art. 2, comma 1, lettera m), del d.l. n. 174 del 2012, come convertito, nell’incentivare una riduzione dei vitalizi regionali, farebbe salvi quelli in corso di erogazione.
Quanto alla normativa regionale relativa ai contributi di solidarietà, essa violerebbe gli artt. 3, 97 e 117, commi primo – in relazione all’art. 6 CEDU – e secondo, lettera l), Cost., nonché l’art. 4 dello statuto, in quanto tali prelievi, solo nominalmente distinguibili dal “taglio lineare” operato dall’art. 2 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014, non risponderebbero a esigenze solidaristiche o perequative e non sarebbero né temporanei né dettati dalla necessità di sopperire a esigenze di erogazione.
Infine, i contributi di solidarietà disciplinati dalla normativa censurata rivestirebbero natura tributaria, in quanto integrerebbero i requisiti al riguardo delineati dalla giurisprudenza costituzionale e attingerebbero una platea di soggetti irragionevolmente limitata (si cita in particolare la sentenza n. 116 del 2013), senza ricevere una destinazione endoprevidenziale e tantomeno rispettare lo statuto di costituzionalità tracciato da questa Corte nelle sentenze n. 173 del 2016 e n. 234 del 2020. Di qui la violazione degli artt. 3, 38 e 53 Cost.
6.2.– Quanto alla rilevanza delle questioni sollevate, il rimettente, oltre a escludere la praticabilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni censurate, riferisce che l’attrice avrebbe subito dal giugno 2008, sull’assegno di reversibilità pari a euro 5.159,65 lordi mensili, la riduzione dovuta all’applicazione del contributo di solidarietà variamente modulato nel tempo, cui si è cumulato nel 2014 l’autonoma riduzione del 20 per cento in applicazione dell’art. 2 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014.
A fronte di una domanda di accertamento del diritto alla corresponsione dell’assegno di reversibilità senza decurtazioni e di condanna al pagamento di quanto dovuto a tale titolo per l’intero, l’accoglimento o il rigetto della pretesa dipenderebbe dalla fondatezza o meno delle questioni di legittimità costituzionale sollevate.
Né rileverebbe l’abrogazione, da parte degli artt. 2, comma 2, e 3 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 7 del 2019, rispettivamente degli artt. 2, 3 e 4 della legge regionale n. 5 del 2014 e degli artt. 4-bis della legge regionale n. 2 del 1995 e 15 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012 che disporrebbe solo pro futuro, lasciando inalterata la rilevanza delle questioni sollevate.
7.– Si sono costituiti in giudizio la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e il Consiglio regionale, deducendo l’inammissibilità e, comunque, la non fondatezza delle questioni sollevate.
Anzitutto, le questioni relative agli artt. 4-bis della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 2 del 1995 – come introdotto dall’art. 3 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2004 – e 15 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012 sarebbero irrilevanti, in quanto, nel giudizio a quo, l’attrice avrebbe avanzato domanda di accertamento e condanna al versamento di quanto dovuto a titolo di vitalizio nell’ammontare risultante prima delle decurtazioni operate in applicazione degli artt. 2 e 4 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014, dolendosi, dunque, solo dell’applicazione di questi ultimi.
In secondo luogo, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014, sollevate in riferimento agli artt. 3, 97 e 117, primo comma, in relazione all’art. 6 CEDU, sarebbero inammissibili, in quanto prive del requisito della chiarezza, poiché fondamentalmente incentrate su un inesistente carattere retroattivo della legge – che viceversa disporrebbe solo una riduzione pro futuro di benefici relativi ai rapporti di durata – con pregiudizio alla possibilità di difesa.
Nel merito, tali censure non sarebbero fondate, in quanto la giurisprudenza costituzionale non avrebbe mai riconosciuto la configurabilità di un affidamento sull’immutabilità della disciplina dei rapporti di durata, neanche in materia pensionistica, rimanendo ferma la possibilità di un intervento riduttivo non irrazionale. Nella fattispecie, peraltro, la discrezionalità del legislatore sarebbe ancora maggiore, stante la non riconducibilità dell’assegno vitalizio alle prestazioni di quiescenza – rispetto alle quali risulterebbe attribuito a condizioni più favorevoli – e il suo esercizio risponderebbe, oltre che a indefettibili esigenze di bilancio, a ragioni di equità sociale, le quali, al pari delle prime, rappresenterebbero «imperativi costituzionalmente rilevanti». Un affidamento da tutelare, infine, sarebbe da escludere nella fattispecie, proprio in ragione del fatto che la disciplina del vitalizio sarebbe dettata dai suoi stessi beneficiari.
Inammissibile, in quanto apodittica, sarebbe la censura di violazione del principio di imparzialità di cui all’art. 97 Cost.
Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014 sollevate in riferimento agli artt. 117, commi secondo, lettera l), e terzo, Cost. non sarebbero fondate.
Quanto al primo parametro, non sarebbe revocabile in dubbio la competenza della Regione a incidere sui trattamenti vitalizi, avendoli istituiti e regolati. Ciò, peraltro, troverebbe conferma nel fatto che il legislatore non vi avrebbe mai provveduto direttamente, limitandosi a condizionarne la disciplina nell’esercizio della propria competenza in materia di coordinamento della finanza pubblica. A tale ambito andrebbe ricondotto l’art. 2, comma 1, lettera m), del d.l. n. 174 del 2012, come convertito, evocato dal rimettente quale parametro interposto, ma la “salvezza” dei trattamenti in corso di erogazione, ivi prevista, avrebbe dovuto intendersi esclusivamente nel senso che essi non rientravano nel vincolo riduttivo imposto dalla disposizione di coordinamento, non invece quale impedimento per le Regioni di assumere misure più virtuose dal punto di vista finanziario.
Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014, sollevate in riferimento agli artt. 3, 97, 117, commi primo – in relazione all’art. 6 CEDU – e secondo, lettera l), Cost. sarebbero inammissibili o, comunque, non fondate per le stesse ragioni illustrate a proposito delle censure rivolte all’art. 2 della medesima legge regionale, ulteriormente evidenziandosi, a riprova dell’insussistenza dell’affidamento, come, al momento dell’inizio del godimento del trattamento di reversibilità, fosse già operante un contributo di solidarietà, seppur diversamente modulato.
Le censure rivolte al citato contributo di solidarietà per violazione degli artt. 3, 38 e 53 Cost. sarebbero inammissibili, in quanto presenterebbero carattere ancipite e contraddittorio. Il rimettente, infatti, da un lato assumerebbe la natura tributaria della ritenuta – onde il contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost., che dovrebbe condurre all’ablazione della normativa – e, dall’altro, la smentirebbe – secondo quanto ritenuto dalla giurisprudenza costituzionale richiamata, che, appunto, l’ha negata – evocando la violazione degli artt. 3 e 38 Cost. in quanto, quale prestazione legalmente imposta non tributaria, avrebbe dovuto avere durata al massimo triennale e prevedere la destinazione del provento della riduzione a finalità mutualistiche. Tale ultima conclusione, peraltro, urterebbe con l’assunto precedente per cui la Regione sarebbe priva di competenza a legiferare.
Nel merito, le questioni non sarebbero fondate, in quanto il previsto contributo di solidarietà non avrebbe natura tributaria ma «interna al sistema degli assegni vitalizi» a integrale carico del Consiglio regionale, e sarebbe finalizzato a ridurre l’onere di finanziamento degli assegni medesimi, al fine di fronteggiarne il costo gravoso e insostenibile, successivamente ovviato dall’imposizione di un ricalcolo contributivo.
8.– Si è costituita in giudizio N. T., parte attrice nel giudizio a quo, sostenendo l’ammissibilità e la fondatezza delle questioni sollevate alla stregua dei ritenuti condivisibili argomenti sviluppati nell’ordinanza di rimessione a sostegno di un petitum ablativo della normativa regionale, sulla quale si fonda sia la riduzione del 20 per cento, sia il contributo di solidarietà, come variamente modulato nel corso del tempo, applicato all’assegno di reversibilità erogatole.
9.– In prossimità dell’udienza, N. T., la Regione e il Consiglio regionale hanno depositato una memoria illustrativa.
N. T., in replica agli argomenti difensivi svolti dalla Regione e dal Consiglio regionale, ripercorrendo, in particolare, il contenuto dei propri atti processuali nel giudizio principale, ha anzitutto sostenuto la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale relative ai contributi di solidarietà anteriori a quello di cui all’art. 4 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014. In secondo luogo, ha evidenziato come, a suo avviso, correttamente le censure si appuntino sul carattere retroattivo della normativa censurata, trattandosi di retroattività impropria lesiva del legittimo affidamento, a fronte di misure non temporalmente limitate e reiterate, come ritenutosi a proposito dell’incisione sui trattamenti pensionistici. Ancora, ha negato rilievo alla mancata censura della sopravvenuta legge reg. Trentino-Alto Adige n. 7 del 2019, applicabile solo pro futuro e non necessariamente foriera di ulteriori riduzioni rispetto al regime precedente alle misure adottate nel 2014. Inoltre, ha negato che l’incisione determinata dalla normativa censurata si giustifichi alla stregua di un’esigenza di sostenibilità, considerate le condizioni di avanzo di amministrazione in cui versava il bilancio del Consiglio regionale. Infine, ha contestato ogni contraddittorietà nella qualificazione tributaria dei contributi di solidarietà avvicendatesi nel tempo e nell’evocazione della giurisprudenza costituzionale che ne ha sancito la necessaria temporaneità.
La Regione e il Consiglio regionale, nella loro memoria illustrativa, oltre a ribadire le difese precedentemente svolte, hanno evidenziato come il trattamento riconosciuto agli ex consiglieri regionali abbia caratteristiche tali da impedirne la futura intangibilità, nella fattispecie giustificata da ragioni di sostenibilità del sistema, considerato anche il regime contributivo di favore accordato dal legislatore statale ai lavoratori che accedono alle cariche elettive. Viene inoltre evidenziato come il trattamento di reversibilità di cui beneficia la parte, anche a fronte dell’applicazione del contributo di solidarietà, sia comunque più vantaggioso di quello fruito a seguito della rideterminazione in applicazione del criterio di calcolo contributivo, introdotto dalla legge reg. Trentino-Alto Adige n. 7 del 2019, non censurata.
Motivi della decisione
1.– Con ordinanza iscritta al numero 123 del registro ordinanze 2020 il Tribunale ordinario di Trento ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 3 della legge della Regione Trentino-Alto Adige 11 luglio 2014, n. 5, recante «Modifiche alla legge regionale 26 febbraio 1995, n. 2 (Interventi in materia di indennità e previdenza ai Consiglieri della Regione autonoma Trentino-Alto Adige), come modificata dalle leggi regionali 28 ottobre 2004, n. 4, 30 giugno 2008, n. 4, 16 novembre 2009, n. 8, 14 dicembre 2011, n. 8 e 21 settembre 2012, n. 6, nonché alla legge regionale 23 novembre 1979, n. 5 (Determinazione delle indennità spettanti ai membri della Giunta regionale), e successive modificazioni, volte al contenimento della spesa pubblica», in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 11, 42, 64, 66, 68, 69, 97 e 117 della Costituzione, quest’ultimo anche in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.
Con successiva ordinanza, iscritta al numero 139 del registro ordinanze 2021, il medesimo Tribunale di Trento ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014 – in riferimento agli artt. 3, 97, 117, commi primo, secondo, lettera l), e terzo, Cost., in relazione all’art. 6 CEDU e all’art. 2, comma 1, lettera m), del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012), convertito, con modificazioni, nella legge 7 dicembre 2012, n. 213, e all’art. 4 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) – nonché degli artt. 3 della legge della Regione Trentino-Alto Adige 28 ottobre 2004, n. 4 (Modificazioni ed integrazioni alla legge regionale 26 febbraio 1995, n. 2 «Interventi in materia di indennità e previdenza ai Consiglieri della Regione Autonoma Trentino-Alto Adige), che introduce l’art. 4-bis della legge della Regione Trentino-Alto Adige 26 febbraio 1995, n. 2 (Interventi in materia di indennità e previdenza ai consiglieri della Regione autonoma Trentino-Alto Adige), 15 della legge della Regione Trentino-Alto Adige 21 settembre 2012, n. 6 (Trattamento economico e regime previdenziale dei membri del Consiglio della Regione autonoma Trentino-Alto Adige), e 4 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014, in riferimento agli artt. 3, 38, 53, 97, 117, commi primo – in relazione all’art. 6 CEDU – e secondo, lettera l), Cost. e 4 dello statuto reg. Trentino-Alto Adige.
Più in particolare, l’art. 2 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014 disponeva che «[a] decorrere dal mese successivo all’entrata in vigore della presente legge l’ammontare lordo mensile di tutti gli assegni vitalizi diretti, non attualizzati, e di reversibilità, compresi quelli già in godimento o attribuiti, è ridotto di una percentuale del 20 per cento, desunta dalla percentuale di riduzione della indennità parlamentare lorda di cui all’articolo 1 della legge 31 ottobre 1965, n. 1261 e successive modificazioni, alla data del 1° gennaio 2014, rispetto all’indennità parlamentare lorda indicata nell’articolo 8, comma 2, della legge regionale 21 settembre 2012, n. 6 (Trattamento economico e regime previdenziale dei membri del Consiglio della Regione autonoma Trentino - Alto Adige)».
Il successivo art. 3 disponeva che «1. Ove il titolare di assegno vitalizio diretto o di reversibilità goda di altro trattamento o vitalizio diretto o di reversibilità per aver ricoperto cariche di parlamentare nazionale o europeo o per essere stato componente di organi di altre Regioni, l’assegno erogato dal Consiglio regionale, considerato ai fini del calcolo del cumulo al lordo del valore attuale, viene ridotto, qualora l’importo lordo complessivo degli assegni stessi superi la misura lorda di euro 9.000,00 per gli assegni vitalizi diretti, rispettivamente calcolata in modo proporzionale per gli assegni vitalizi di reversibilità. 2. Ai fini dell’applicazione del comma 1, il titolare di assegno vitalizio diretto o di reversibilità erogato dal Consiglio regionale è tenuto a dichiarare all’Ufficio di Presidenza o di non percepire alcun assegno vitalizio diretto o di reversibilità, o l’ammontare lordo degli assegni percepiti, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge. 3. In caso di mancata ottemperanza dell’obbligo di dichiarazione previsto dal comma 2, l’assegno vitalizio diretto o di reversibilità viene sospeso e, per le due mensilità già erogate, si provvede al recupero dell’indebito in base alle comuni procedure».
L’art. 4-bis della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 2 del 1995 – introdotto dall’art. 3 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2004 – prevedeva che «1. A carico degli assegni vitalizi e di reversibilità dei Consiglieri eletti fino alla XIII Legislatura compresa viene effettuata, con decorrenza 1° gennaio 2005, una trattenuta del 4 per cento a titolo di contributo di solidarietà. 2. L’Ufficio di Presidenza con regolamento individuerà le relative modalità operative».
L’art. 15 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012 prevedeva che «1. A carico degli assegni vitalizi diretti e di reversibilità viene effettuata una trattenuta variabile fino a un massimo del 12 per cento a titolo di contributo di solidarietà. 2. L’Ufficio di Presidenza disciplina con propria deliberazione le modalità operative».
L’art. 4 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014 stabiliva che «[i]l contributo di solidarietà da applicare agli assegni vitalizi inferiori alla misura del 30,40 per cento della base di calcolo prevista dal comma 2 dell’articolo 8 della legge regionale n. 6 del 2012 è pari al 6 per cento. Agli assegni di reversibilità riferiti ad assegni vitalizi non attualizzati, maturati fino alla misura del 57 per cento della medesima base di calcolo, il contributo di solidarietà da applicare è pari all’8 per cento ed agli assegni di reversibilità riferiti ad assegni vitalizi di misura superiore, il contributo di solidarietà da applicare è pari al 12 per cento».
Le ordinanze censurano dunque alcune disposizioni che hanno inciso negativamente sull’ammontare degli assegni vitalizi, diretti e di reversibilità, spettanti in ragione della carica di consigliere regionale precedentemente rivestita dal beneficiario o dai superstiti, prevedendo, rispettivamente, la riduzione del 20 per cento del loro importo (art. 2 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014), un limite alla cumulabilità con altro trattamento vitalizio erogato dal Parlamento nazionale o europeo o da altra Regione (art. 3 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014) e un contributo di solidarietà, variamente modulato nel corso del tempo (artt. 4-bis della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 2 del 1995, 15 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012 e 4 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014).
Tutte le disposizioni censurate sono state abrogate a opera degli artt. 2, comma 2, e 3 della legge della Regione Trentino-Alto Adige 15 novembre 2019, n. 7 (Rideterminazione degli assegni vitalizi e di reversibilità secondo il metodo di calcolo contributivo).
2.– I due atti di promovimento censurano una normativa parzialmente coincidente, in riferimento a parametri e con argomenti in larga misura sovrapponibili. I giudizi possono dunque essere riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia.
3.– Preliminarmente, deve essere dichiarato inammissibile l’intervento spiegato da H. F. nel giudizio iscritto al n. 123 reg. ord. del 2020.
A suo avviso, l’ammissibilità dell’intervento deriverebbe dalla già avvenuta riunione dell’incidente di costituzionalità oggi riproposto con altro giudizio incidentale – in cui H. F. si era costituito in quanto parte di quello principale dal quale era scaturito, relativo ad analoghe pretese – entrambi definiti con l’ordinanza n. 111 del 2019 di questa Corte.
Ai sensi dell’art. 4, comma 7, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, vigente ratione temporis, «[n]ei giudizi in via incidentale possono intervenire i titolari di un interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato al rapporto dedotto in giudizio».
Alla stregua della costante giurisprudenza costituzionale, «non è sufficiente, al fine di rendere ammissibile l’intervento, la circostanza che il soggetto sia titolare di interessi analoghi a quelli dedotti nel giudizio principale o che sia parte in un giudizio analogo, ma diverso dal giudizio a quo, sul quale la decisione di questa Corte possa influire» (ordinanza n. 225 del 2021). In tal caso, infatti, ove ammesso, l’intervento «contrasterebbe […] con il carattere incidentale del giudizio di legittimità costituzionale, in quanto il suo accesso a tale giudizio avverrebbe senza la previa verifica della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale da parte del rispettivo giudice a quo» (ordinanza n. 191 del 2021).
L’occasionale precedente trattazione congiunta di distinti incidenti di costituzionalità non consente di giungere a una diversa conclusione, restando inalterato l’impedimento all’accesso diretto, scisso dalla verifica di rilevanza e di non manifesta infondatezza che solo il giudice a quo, e l’ordinanza di rimessione che ne racchiuda le valutazioni al riguardo, può svolgere.
D’altra parte, la riunione delle cause per consentirne la definizione con «un’unica pronuncia» (art. 15, comma 2, delle Norme integrative, vigente ratione temporis) lascia immutata l’autonomia dei singoli giudizi e della posizione delle parti in ciascuno di essi, senza per ciò rendere l’interesse di cui è titolare l’intervenuto «immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura» (sentenza n. 106 del 2019).
4.– Sempre in via preliminare, occorre valutare l’ammissibilità delle plurime questioni di legittimità costituzionale sollevate con le due ordinanze, procedendo partitamente per ciascuna di esse e muovendo anzitutto dall’ordinanza iscritta al n. 123 reg. ord. del 2020.
4.1.– Costituendosi in giudizio, la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e il Consiglio regionale hanno eccepito che il rimettente non avrebbe provveduto a emendare l’atto di rimessione dai vizi, relativi alla difettosa motivazione sulla rilevanza, che avevano condotto alla pronuncia di manifesta inammissibilità, da parte dell’ordinanza di questa Corte n. 111 del 2019, delle questioni precedentemente sollevate.
L’eccezione non è fondata.
Il rimettente riferisce che S. B. ha subìto, dapprima (nel luglio 2014), la decurtazione del 20 per cento dell’assegno, percependolo in misura ridotta, e in seguito, a distanza di due mesi (nel settembre 2014), la sua rideterminazione in ragione dell’applicazione del limite al cumulo con altro trattamento vitalizio (di fonte parlamentare). In tal modo, seppur per un bimestre, hanno trovato applicazione sia l’art. 2 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014, sia successivamente l’art. 3 della medesima legge, relativo alla cumulabilità, con la conseguenza che l’accoglimento o la reiezione della domanda attorea di accertamento del diritto a ricevere l’assegno vitalizio senza decurtazioni e quella di condanna al pagamento di quanto trattenuto dipendono dalla declaratoria d’incostituzionalità, o meno, di entrambe le disposizioni. Di qui la rilevanza delle questioni a esse afferenti, senza che possano venire in rilievo le allegazioni delle parti, ossia della Regione e del Consiglio regionale (ex multis, sentenza n. 237 del 2021 e ordinanza n. 111 del 2019), secondo cui la riduzione del 20 per cento sarebbe avvenuta solo provvisoriamente, fintantoché il Consiglio non avesse rideterminato “ora per allora” l’ammontare dell’assegno in applicazione del solo limite di cumulo, destinato ad assorbire l’altra misura, con richiesta di restituzione di quanto frattanto versato in eccedenza.
4.2.– La Regione e il Consiglio regionale eccepiscono altresì l’incompleta ricostruzione del quadro normativo di riferimento, con riflesso sull’iter argomentativo seguito a supporto della non manifesta infondatezza delle questioni, in quanto il rimettente non avrebbe tenuto conto dell’avvenuta abrogazione, già prima dell’ordinanza di rimessione, delle disposizioni censurate da parte dell’art. 2, comma 2, della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 7 del 2019, rendendo le riduzioni non più «permanenti e irreversibili».
L’eccezione non è fondata.
L’incompleta ricostruzione della cornice normativa è fonte di inammissibilità ove comprometta irrimediabilmente le valutazioni del rimettente sulla rilevanza o sulla non manifesta infondatezza (ex aliis, sentenza n. 61 del 2021). Ciò, tuttavia, non accade nella fattispecie: non sotto il primo profilo, alla stregua delle domande proposte nel giudizio principale, di accertamento del diritto alla corresponsione dell’assegno senza le decurtazioni operate in applicazione delle norme censurate, con conseguente condanna in tal senso (salva la precisazione che seguirà); ma nemmeno sotto il secondo, considerato che la permanenza e l’irreversibilità degli effetti delle misure riduttive non costituiscono un aspetto cruciale (sentenza n. 264 del 2020) delle censure formulate (in sintesi: d’incompetenza del legislatore regionale e di violazione del principio del legittimo affidamento e della garanzia della posizione del consigliere), supportate da una motivazione non incentrata specificamente (ordinanza n. 147 del 2020) sulla durata delle riduzioni e quindi influenzata poco o punto dal fatto che esse siano poi cessate per essere sostituite da un regime altrimenti limitativo dell’ammontare dovuto.
Nella memoria depositata in prossimità dell’udienza, la Regione e il Consiglio regionale, a sostegno della carenza nella ricostruzione del quadro normativo, evidenziano che l’accoglimento delle domande attoree sarebbe impedito dalla legge reg. Trentino-Alto Adige n. 7 del 2019, che disciplina la rideterminazione dell’assegno secondo il metodo di calcolo contributivo, determinando una riduzione ancor più marcata di quella derivante dalle misure censurate.
In disparte il rilievo che il ricalcolo contributivo non implica sempre necessariamente una riduzione del trattamento – non avendo altrimenti senso la previsione per cui «[l]’assegno vitalizio a seguito della rideterminazione non può comunque superare l’importo dell’assegno vitalizio erogato o comunque spettante ai sensi delle norme vigenti prima dell’entrata in vigore di questa legge» (art. 5, comma 3, della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 7 del 2019) – la rideterminazione riguarda soltanto le prestazioni future, successive alla normativa sopravvenuta, non quelle anteriori, alle quali confinare la domanda e la pronuncia. Dunque, la nuova disciplina non esclude la rilevanza delle questioni né inficia l’iter logico che ha supportato la relativa valutazione.
4.3.– La Regione e il Consiglio regionale eccepiscono l’inammissibilità delle questioni per genericità e incertezza sia del petitum che della motivazione, in quanto sarebbe chiesta l’eliminazione di un inesistente carattere retroattivo della legge – che viceversa disporrebbe una riduzione pro futuro di benefici relativi a un rapporto di durata – con correlativa impossibilità di «esercizio del diritto di difesa».
L’eccezione non è fondata.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, «l’ordinanza di rimessione delle questioni di legittimità costituzionale non necessariamente deve concludersi con un dispositivo recante altresì un petitum, essendo sufficiente che dal tenore complessivo della motivazione emerga[no] con chiarezza il contenuto ed il verso delle censure» (di recente, sentenza n. 150 del 2021).
Sebbene la lettura del dispositivo dell’atto introduttivo possa indurre a ravvisare una richiesta di intervento di tipo manipolativo, le argomentazioni contenute nel corpo dell’ordinanza evidenziano con chiarezza come quello auspicato sia meramente ablativo, in quanto diretto alla radicale caducazione di entrambe le disposizioni sottoposte all’esame di questa Corte.
Come detto, l’incertezza denunciata riguarderebbe anche la motivazione sulla non manifesta infondatezza, ritenuta oscillare tra la denuncia della retroattività della disciplina e la lamentata modifica in peius del regime relativo a un rapporto di durata.
Il riferimento alla retroattività per una normativa destinata a operare solo per il futuro, tuttavia, non rende incerta la motivazione, evidentemente calibrata – come agevolmente desumibile anche dalla descrizione della fattispecie – sulla modifica peggiorativa del rapporto, secondo il meccanismo della cosiddetta retroattività impropria (ex aliis, sentenza n. 234 del 2020), in relazione al quale il rimettente formula le proprie censure.
Poiché, peraltro, la legittimità di interventi di tal fatta deve trovare adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza – come meglio si vedrà – ad avviso del rimettente tale valutazione imporrebbe di considerare anche le circostanze di fatto e di contesto in cui essi sono maturati, tra cui distanza temporale dalla definizione del precedente assetto regolatorio, prevedibilità e proporzionalità dell’iniziativa. Se detti elementi rilevino solo nel caso di disposizione propriamente retroattiva o anche in caso di modifica peggiorativa pro futuro costituisce valutazione afferente al merito; la loro deduzione, nella fattispecie, non è comunque tale da inficiare la chiarezza delle censure e la relativa intellegibilità ai fini del contraddittorio.
4.4.– La Regione e il Consiglio regionale eccepiscono altresì l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento all’art. 117 Cost., genericamente indicato, poiché il rimettente non avrebbe chiarito quale sarebbe la competenza statale violata dalla legge regionale.
L’eccezione è fondata.
Il giudice a quo, infatti, non specifica in alcun modo a quale materia l’intervento normativo censurato sarebbe ascrivibile e, quindi, nemmeno precisa quale competenza statale sarebbe incisa, rendendo così inammissibili le questioni in riferimento al parametro evocato (di recente, sentenza n. 84 del 2022, intervenuta in un giudizio in via principale).
4.5.– In via gradata, la Regione e il Consiglio regionale sostengono che il thema decidendum non possa includere anche la violazione degli artt. 10, 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 CEDU, non trattandosi di «domande rivolte a codesta Corte» e, in ulteriore subordine, eccepiscono l’inammissibilità delle questioni sollevate in riferimento ai citati parametri, in quanto non assistite da adeguata motivazione.
Quanto alla prima difesa, volta a un’interpretazione riduttiva del thema decidendum, essa non può essere condivisa.
Invero, il rimettente assume che sia «dato ravvisare anche la violazione dell’art. 117 co. 1 Cost. per violazione dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali», richiamando l’art. 6 CEDU, nonché la violazione degli artt. 10 e 11 Cost., questi ultimi specificamente indicati anche in dispositivo.
È fondata l’eccezione d’inammissibilità limitatamente alla dedotta violazione degli artt. 10 e 11 Cost., che risultano evocati senza che sia spesa alcuna specifica motivazione a sostegno del vulnus a essi recato.
Diversamente, la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 CEDU, risulta sufficientemente, seppur sinteticamente, argomentata, anche grazie al richiamo alle pronunce di questa Corte che hanno ricondotto alla disposizione convenzionale interposta la tutela dell’affidamento legittimo e della certezza delle situazioni giuridiche. La verifica della consistenza del motivo di censura costituisce valutazione propria dello scrutinio di merito.
4.6.– Infine, occorre rilevare d’ufficio che le censure prospettate in riferimento agli artt. 2 e 97 Cost. per violazione dell’affidamento e della certezza del diritto sono inammissibili per l’insufficienza delle argomentazioni spese a conforto delle stesse (analogamente, sentenza n. 236 del 2017).
Parimenti inammissibile è la censura formulata in riferimento all’art. 42 Cost., parametro meramente evocato, senza che la sua violazione sia minimamente motivata e senza che a tale lacuna possa sopperirsi attingendo alla memoria illustrativa depositata da S. B. in prossimità dell’udienza, atteso che l’oggetto del giudizio incidentale è definito dall’ordinanza di rimessione e non è possibile far ricorso alle integrazioni ricavabili dalle memorie delle parti costituite (ex aliis, sentenza n. 237 del 2021).
In tale memoria, peraltro, la parte deduce anche la violazione degli artt. 3, secondo comma, 51 e 117, primo comma, Cost. in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, non indicati nell’ordinanza di rimessione.
È tuttavia precluso alle parti ampliare il thema decidendum come circoscritto dal giudice a quo, con la conseguenza che le censure formulate in riferimento a tali parametri non possono essere prese in considerazione.
5.– Sempre in via preliminare, occorre valutare anche l’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate con l’ordinanza iscritta al n. 139 reg. ord. del 2021.
5.1.– Anzitutto, la Regione e il Consiglio regionale eccepiscono l’irrilevanza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2004 – che introduce l’art. 4-bis della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 2 del 1995 – e 15 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012, atteso che la parte attrice nel giudizio a quo avrebbe avanzato domanda di accertamento e condanna al versamento di quanto dovuto a titolo di vitalizio nell’ammontare risultante immediatamente prima delle decurtazioni operate in applicazione degli artt. 2 e 4 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014, dolendosi, dunque, solo dell’applicazione di questi ultimi.
L’eccezione non è fondata.
Il rimettente riferisce che la domanda attorea riguarda l’ammontare dell’assegno di reversibilità nella sua integralità, ossia al lordo di tutti i contributi di solidarietà applicati nel corso del tempo, nessuno escluso. Di qui la rilevanza delle questioni a essi afferenti, senza che possano venire in rilievo le allegazioni delle parti (ex multis, sentenza n. 237 del 2021 e ordinanza n. 111 del 2019).
5.2.– In secondo luogo, le medesime parti eccepiscono l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014 in riferimento agli artt. 3, 97 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 CEDU, in quanto prive del requisito della chiarezza, poiché fondamentalmente incentrate su un inesistente carattere retroattivo della legge – che viceversa disporrebbe una riduzione pro futuro di benefici relativi a un rapporto di durata – con pregiudizio alla possibilità di difesa.
Con riguardo all’art. 3 Cost. si può richiamare quanto precedentemente osservato a proposito dell’analogo argomento dedotto a proposito delle questioni sollevate con l’ordinanza iscritta al n. 123 reg. ord. del 2020 (supra, punto 4.3.), per cui l’eccezione non è fondata.
Analogamente deve concludersi quanto alle censure formulate in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 CEDU, atteso che il rimettente deduce chiaramente la violazione, dedicandole una specifica motivazione di sostegno, accompagnata dall’indicazione degli orientamenti giurisprudenziali della Corte EDU che conforterebbero una pronuncia nel senso auspicato. La verifica della consistenza degli argomenti addotti attiene alla valutazione di merito.
Viceversa, la questione sollevata in riferimento all’art. 97 Cost. è inammissibile per carenza di argomentazioni spese a suo conforto.
5.3.– Fondata è l’eccezione d’inammissibilità della Regione e del Consiglio regionale relativa all’autonoma censura formulata nei confronti dell’art. 2 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014 – e successivamente ribadita nei riguardi dei contributi di solidarietà – in riferimento all’art. 97 Cost.
Il rimettente, dopo aver richiamato un’ordinanza del Tribunale ordinario di Trieste con cui si denuncia una disposizione regionale di contenuto analogo a quella trentina, afferma che «[a]lla luce di queste considerazioni si manifesta anche il dubbio di violazione dell’art. 97 Cost., in quanto il legislatore regionale è intervenuto violando il principio di imparzialità dell’Amministrazione e ha compresso i diritti dei soggetti pregiudicati senza ottenere una maggiore efficienza dell’Amministrazione e della sicurezza previdenziale nella garanzia del mandato elettivo».
In tal modo, da un lato, la motivazione della censura è illustrata per relationem con riferimento al diverso atto di promovimento, senza tuttavia ripercorrere per sintesi le argomentazioni poste a fondamento del dubbio di legittimità costituzionale ivi palesato (ex plurimis, sentenza n. 92 del 2021); dall’altro, quanto il rimettente ulteriormente deduce non risulta altrimenti sufficiente a colmare la lacuna motivazionale. È infatti evocato il principio di imparzialità senza spiegare perché la riduzione del trattamento vitalizio debba tradursi in un incremento di efficienza amministrativa per essere compatibile con tale parametro. Di qui l’inammissibilità della censura.
5.4.– La Regione e il Consiglio regionale eccepiscono, inoltre, l’inammissibilità delle questioni relative alle disposizioni regionali disciplinanti il contributo di solidarietà sollevate in riferimento agli artt. 3, 38 e 53 Cost. In particolare, le censure sarebbero contraddittorie e ancipiti in quanto il rimettente, da un lato, assumerebbe la natura tributaria del prelievo – onde il contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost., che dovrebbe condurre all’ablazione della normativa – e, dall’altro, la smentirebbe – secondo quanto ritenuto dalla richiamata giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 173 del 2016 e n. 234 del 2020) che, appunto, l’ha negata – evocando la violazione degli artt. 3 e 38 Cost. a opera di una prestazione legalmente imposta non tributaria, che avrebbe dovuto avere durata al massimo triennale e prevedere la destinazione del provento della riduzione a finalità mutualistiche.
L’eccezione è fondata.
Il rimettente, assumendo la sussistenza dei requisiti elaborati da questa Corte per ravvisare la natura tributaria del prelievo, deduce la violazione degli artt. 3 e 53 Cost., evocando a sostegno della censura, in particolare, quanto affermato nella sentenza n. 116 del 2013 a proposito di un contributo di solidarietà che attingeva le cosiddette “pensioni d’oro”.
Al contempo, però, il giudice a quo lamenta la violazione degli artt. 3 e 38 Cost., deducendo il mancato rispetto dello statuto costituzionale tracciato dalla giurisprudenza di questa Corte (nelle sentenze n. 173 del 2016, citata per ampi stralci, e n. 234 del 2020), in particolare quanto a termine di durata triennale del prelievo e sua mancata devoluzione a una finalità “endoprevidenziale”. Tale giurisprudenza, tuttavia, ha negato la natura tributaria dei contributi allora scrutinati, qualificandoli come prestazioni patrimoniali non tributarie e, su tale presupposto, delineando i requisiti da rispettare per ritenerli costituzionalmente compatibili.
Dunque, senza alcun tipo di graduazione nella prospettazione della doglianza, il rimettente assume la natura tributaria dei prelievi, sottratti al principio di universalità dell’imposizione tributaria, e, al contempo, la nega, lamentando il mancato rispetto dello statuto costituzionale che consenta di ravvisarne la legittimità ove ne siano privi.
In tal modo, come eccepito, il giudice a quo, muovendo da due collidenti interpretazioni della normativa denunciata, secondo un’alternatività irrisolta, fornisce una motivazione contraddittoria e ancipite in ordine alla non manifesta infondatezza delle questioni, con la conseguenza che esse risultano inammissibili (ex multis, sentenza n. 271 del 2019 e ordinanza n. 104 del 2020; nonché, più specificamente, sentenza n. 46 del 2018, relativa a un vizio motivazionale analogo a quello che connota la fattispecie all’odierno esame).
A tale profilo d’inammissibilità si aggiunge quello correlato all’incertezza del tipo di intervento richiesto a questa Corte onde porre rimedio alla dedotta illegittimità costituzionale, non desumendosi in maniera univoca, né dal dispositivo, né dalla motivazione dell’ordinanza di rimessione, se il giudice a quo invochi un’ablazione che consenta la reductio ad legitimitatem a fronte di prelievi tributari ingiustificatamente discriminatori, o un intervento manipolativo-additivo, come evincibile dai passaggi motivazionali in cui si denuncia la mancata previsione di un termine triennale di vigenza e il difetto di destinazione endoprevidenziale del provento della prestazione imposta.
L’evidenziata indeterminatezza – in questo secondo caso amplificata dalla genericità dell’intervento indicato – costituisce ulteriore causa di inammissibilità (ex multis, sentenza n. 123 del 2021).
6.– Nel merito, occorre anzitutto esaminare, per ragioni di priorità logico-giuridica (sentenza n. 108 del 2017), le questioni di legittimità costituzionale, sollevate con l’ordinanza iscritta al n. 139 reg. ord. del 2021, degli artt. 2 e 4 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014, 3 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2004, nella parte in cui introduce l’art. 4-bis della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 2 del 1995, 15 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012 in riferimento agli artt. 4 dello statuto reg. Trentino-Alto Adige e 117, secondo comma, lettera l), Cost., nonché la questione dell’art. 2 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 2, comma 1, lettera m), del d.l. n. 174 del 2012, come convertito.
6.1.– Il primo ordine di questioni non è fondato.
Questa Corte ha ricondotto la disciplina afferente al trattamento economico e previdenziale dei consiglieri regionali alla struttura organizzativa delle Regioni (sentenza n. 198 del 2012), al contempo riconoscendo loro ampia autonomia al riguardo (sentenze n. 44 del 2021, n. 254 del 2015, n. 23 del 2014 e n. 151 del 2012) e richiamando, specificamente, quella a esse spettante in ambito finanziario (sentenza n. 157 del 2007).
Tali considerazioni consentono di ricondurre la disciplina del vitalizio regionale, a prescindere dal fatto che essa incida riduttivamente o meno sulla sua misura, alla potestà normativa della Regione – che dispone di competenza legislativa in materia di «ordinamento degli uffici regionali e del personale ad essi addetto» (art. 4, numero 1, dello statuto) e di ampia autonomia finanziaria (articoli da 69 a 86 dello statuto) – nonché, in correlazione all’organo interessato, alla potestà regolamentare spettante al Consiglio regionale (art. 31 dello statuto).
Ne consegue la non fondatezza delle censure attinenti alla competenza.
6.2.– Parimenti non fondata è la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014, sollevata in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 2, comma 1, lettera m), del d.l. n. 174 del 2012, come convertito (disciplina comunque temporanea in quanto abrogata dalla legge reg. Trentino-Alto Adige n. 7 del 2019).
L’autonomia regionale in tema di trattamento dei consiglieri regionali ben può essere indirizzata dal legislatore statale nell’esercizio della competenza concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica. E tra le norme statali espressive di un principio riconducibile a tale ambito materiale rientra senz’altro l’art. 2, comma 1, lettera m), del d.l. n. 174 del 2012, come convertito (sentenza n. 23 del 2014).
Esso, a fini di contenimento della spesa pubblica, ha richiamato, per i consiglieri regionali, la previsione del passaggio al sistema di calcolo contributivo del vitalizio (art. 14, comma 1, lettera f, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante «Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo», convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148) e, «fatti salvi i relativi trattamenti già in erogazione», fino a tale passaggio ha indicato limiti di età e di durata del mandato per il riconoscimento e la corresponsione dell’assegno.
Il rimettente sostiene che la disposizione evocata a parametro interposto risulta violata dalla riduzione percentuale degli assegni in corso di erogazione disposta dall’art. 2 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014, con conseguente vulnus all’art. 117, terzo comma, Cost.
Il dedotto contrasto, tuttavia, non sussiste.
Anzitutto, alla stregua del suo tenore letterale, l’art. 2, comma 1, lettera m), del d.l. n. 174 del 2012, come convertito, fa salvi i trattamenti in essere solo quanto alla previsione dei limiti di età e di durata del mandato, senza precludere una loro riduzione.
In secondo luogo, la norma statale esprime un principio di coordinamento della finanza pubblica in quanto volta a contenere la spesa e a garantire un risparmio in relazione al funzionamento del sistema politico (sentenza n. 23 del 2014). Esula da tale finalità – e, dunque, dalla portata dell’evocato principio – la salvezza dei trattamenti in corso di erogazione, in quanto piuttosto volta a definire il perimetro di operatività del vincolo.
Alla luce delle considerazioni che precedono, la censura formulata in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost. risulta priva di fondamento.
7.– Le ordinanze di rimessione censurano la riduzione del 20 per cento dell’assegno diretto e di reversibilità, il limite (9.000 euro lordi mensili) alla cumulabilità del vitalizio regionale con analogo trattamento per aver ricoperto la carica di parlamentare nazionale o europeo o per essere stato componente di organi di altre Regioni e i contributi di solidarietà avvicendatisi nel tempo; misure, queste, considerate lesive dei principi del legittimo affidamento e di certezza del diritto e, dunque, degli artt. 3 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 CEDU.
7.1.– Quanto a quest’ultima disposizione, si può fin da subito rilevare come, secondo quanto chiarito da questa Corte, in consonanza con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (sentenza 3 settembre 2013, M.C. e altri contro Italia), presupposto oggettivo, in questo contesto, della tutela garantita dall’art. 6 CEDU è che le disposizioni censurate diano corpo a un’ingerenza del potere legislativo sull’amministrazione della giustizia e mirino a influenzare la definizione giudiziaria di una lite (sentenza n. 236 del 2017).
Nella fattispecie non solo tale ingerenza non viene affatto dedotta, ma, e soprattutto, l’efficacia solo pro futuro delle misure riduttive censurate esclude che le stesse possano violare la disposizione convenzionale evocata. Di qui la non fondatezza delle questioni sollevate in relazione a essa e in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost.
7.2.– Quanto alla violazione dell’art. 3 Cost., a cui ricondurre il principio di tutela del legittimo affidamento, «da considerarsi ricaduta e declinazione “soggettiva” dell’indispensabile carattere di coerenza di un ordinamento giuridico, quale manifestazione del valore della certezza del diritto» (sentenza n. 108 del 2019), occorre rammentare che, «con riferimento ai rapporti di durata, e alle modificazioni peggiorative che su di essi incidono secondo il meccanismo della cosiddetta retroattività impropria, questa Corte ha più volte affermato che il legislatore dispone di ampia discrezionalità e può anche modificare in senso sfavorevole la disciplina di quei rapporti, ancorché l’oggetto sia costituito da diritti soggettivi perfetti; ciò a condizione che la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non trasmodi in un regolamento irrazionalmente lesivo del legittimo affidamento dei cittadini (ex plurimis, sentenze n. 241 del 2019, n. 16 del 2017, n. 203 del 2016 e n. 236 del 2009)» (sentenza n. 234 del 2020).
7.2.1.– Onde valutare il requisito della «giustificazione sul piano della ragionevolezza» occorre prendere le mosse dalle ragioni che hanno condotto il legislatore regionale all’adozione delle disposizioni censurate.
Per quanto riguarda la legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014 – e quindi le misure consistenti nella riduzione del 20 per cento degli assegni (art. 2), nel limite alla cumulabilità (art. 3) e nell’ultima declinazione del contributo di solidarietà (art. 4) – dai lavori preparatori (segnatamente, dalla relazione introduttiva al disegno di legge) emerge come l’iniziativa sia stata adottata «nell’intento di intervenire sugli assegni vitalizi diretti o di reversibilità in godimento o da attribuire, al fine di essere maggiormente in linea con esigenze di sobrietà, di ragionevolezza e di contenimento della spesa pubblica», aspetto, quest’ultimo, evidenziato nella stessa intitolazione della legge («Modifiche […] volte al contenimento della spesa pubblica») e valorizzato dalla «grave situazione economica» in cui le misure vengono assunte.
Tali ragioni trovano conferma nella discussione in sede assembleare, che ha condotto all’approvazione e ha coinvolto la coeva legge della Regione Trentino-Alto Adige 11 luglio 2014, n. 4, recante «Interpretazione autentica dell’articolo 10 della legge regionale 21 settembre 2012, n. 6 (Trattamento economico e regime previdenziale dei membri del Consiglio della Regione autonoma Trentino-Alto Adige) e provvedimenti conseguenti», la quale è anch’essa intervenuta in senso riduttivo sui vitalizi in corso di erogazione, in particolare incidendo – in senso retroattivo proprio – su un meccanismo di attualizzazione di una loro quota. Scrutinando le questioni di legittimità costituzionale di detta normativa, questa Corte ha ravvisato il perseguimento di una duplice esigenza giustificativa: «quella di ricondurre a criteri di “equità e ragionevolezza”» e «quella di provvedere al “contenimento della spesa pubblica”» (sentenza n. 108 del 2019).
Proprio con riferimento alla coeva legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014, relativa ai trattamenti vitalizi regionali trentini, questa Corte ha valorizzato le esigenze di contenimento della spesa pubblica e di risparmio nella loro plausibilità astratta e, nel giudizio di ragionevolezza, le ha ritenute prevalenti rispetto, tra l’altro, alla ritenuta non necessarietà di interventi correttivi nella prospettiva della finanza pubblica, al cospetto di una crisi economica di ingente e notoria portata e in coerenza con interventi legislativi statali, in larga misura coevi.
Analoghe finalità si rinvengono anche alla base della previsione dei contributi di solidarietà che si sono avvicendati nel tempo precedentemente all’art. 4 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014, come si desume dalla destinazione loro impressa dalla deliberazione dell’Ufficio di presidenza del Consiglio della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol 26 novembre 2013, n. 371 (Testo unificato dei Regolamenti di esecuzione della legge regionale 26 febbraio 1995, n. 2 concernente “Interventi in materia di indennità e previdenza ai Consiglieri della Regione autonoma Trentino-Alto Adige”, modificata dalle leggi regionali 28 ottobre 2004, n. 4, 30 giugno 2008, n. 4, 16 novembre 2009, n. 8 e 14 dicembre 2011, n. 8, nonché dalla legge regionale 21 settembre 2012, n. 6 che disciplina altresì il trattamento economico e il regime previdenziale dei membri del Consiglio a decorrere dalla XV Legislatura), ossia la riduzione dell’onere per gli assegni vitalizi diretti e di reversibilità a carico del bilancio del Consiglio regionale (per i contributi di solidarietà dal 2005 al 31 dicembre 2013: art. 56) e il concorso all’alimentazione a regime del fondo di garanzia (art. 23) istituito «a tutela del bilancio del Consiglio regionale per la liquidazione degli assegni vitalizi diretti e di reversibilità dei Consiglieri eletti fino alla XIV» legislatura (art. 21).
Orbene, sul piano della ragionevole giustificazione, questa Corte, in generale, ha considerato idoneo sia l’intento del contenimento della spesa (sentenze n. 236 del 2017 e n. 203 del 2016), sia quello di sostenibilità di un regime, previdenziale (sentenza n. 263 del 2020) o meno (sentenza n. 16 del 2017).
A queste considerazioni giustificative, si possono aggiungere le asserite «esigenze di sobrietà» da assecondare attraverso il ridimensionamento di trattamenti retti da un regime connotato da indici di particolare favore quanto: a età e contribuzione minima necessaria per maturare il diritto all’assegno; ad ammontare della contribuzione gravante sul consigliere in rapporto alla sua misura; alla possibilità di cumularlo con altro trattamento vitalizio (in tutto o in parte) e di quiescenza altrimenti maturato, in passato anche in virtù di contribuzioni figurative (finché non è intervenuto l’art. 38 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge finanziaria 2000)».
Tali elementi di vantaggio, seppur sensibilmente temperati nell’evoluzione normativa successiva, risultano più marcati per i trattamenti retti dai regimi maggiormente risalenti, quali quelli di cui ai giudizi a quibus, regolati, secondo i dati riferiti nelle ordinanze di rimessione, dal decreto del Presidente del Consiglio regionale della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol 24 ottobre 1994, n. 209 (Testo coordinato ed unificato del regolamento per la previdenza e assistenza ai Consiglieri della Regione Trentino-Alto Adige) – applicabile ai consiglieri eletti tra la VII e la X legislatura (dicembre 1973-dicembre 1993), come si desume dall’art. 20 – e dalla successiva legge reg. Trentino-Alto Adige n. 2 del 1995.
Più in particolare, il citato decreto assoggettava i consiglieri a una contribuzione mensile pari al 14 per cento dell’indennità consiliare (art. 1), prevedendo che l’assegno venisse liquidato ai consiglieri cessati dal mandato che avessero compiuto 60 anni, ricoperto la carica per almeno una legislatura e corrisposto i contributi per almeno 5 anni, con un’età minima che si abbassava di un anno per ogni anno in più di mandato consiliare (o parlamentare, nazionale e europeo) con «il limite al compimento del 50° anno di età» (art. 2); la misura dell’assegno variava a seconda del numero di anni di contribuzione, raggiungendo il 25 per cento dell’indennità consiliare lorda per i soggetti con 5 anni di contribuzione, incrementato del 4 per cento per ogni anno di contribuzione ulteriore, fino a raggiungere il massimo dell’85 per cento dell’indennità consiliare lorda (art. 4). Quanto all’assegno di reversibilità – spettante al superstite se la morte fosse avvenuta: a) dopo la cessazione del mandato in presenza di almeno 5 anni di contribuzione; b) in corso di mandato; c) dopo la concessione del vitalizio (art. 6) – esso variava, per il coniuge, da un minimo del 65 per cento a un massimo del 90 per cento dell’assegno che sarebbe spettato al defunto, a seconda del numero di figli a carico (art. 7).
L’art. 4 della successiva legge reg. Trentino-Alto Adige n. 2 del 1995, nella sua versione originaria, prevedeva che ai consiglieri spettasse un assegno vitalizio in base ai requisiti previsti per i membri della Camera dei deputati, salvo che per l’età minima richiesta per beneficiarne (65 anni, anziché i 60 previsti per i deputati) e il periodo minimo di contribuzione (10 anni, anziché 5), fissata nel 18 per cento dell’indennità consiliare; l’importo dell’assegno ammontava, dopo dieci anni di contribuzione, al 38 per cento dell’indennità parlamentare lorda, cifra che poteva essere aumentata del 3,8 per cento per ogni anno di contribuzione fino al massimo di venti anni, potendo così raggiungere il limite del 76 per cento; era poi imposto a tutti i consiglieri, indipendentemente dallo stato civile, il versamento di un’ulteriore quota per consentire l’erogazione del 65 per cento del vitalizio ai superstiti.
È di tutta evidenza la vantaggiosità della disciplina sommariamente descritta, soprattutto se confrontata con i principi che nel tempo sono venuti regolando i trattamenti pensionistici, per quanto non assimilabili, per natura e regime, ai vitalizi goduti in conseguenza della cessazione di una determinata carica (sentenza n. 289 del 1994), salvo che per la lata funzione previdenziale che questi ultimi anche rivestono e per alcune affinità strutturali (versamenti contributivi, erogazione al raggiungimento di una certa età, reversibilità) (Corte di cassazione, sezioni unite, sentenze 20 luglio 2016, n. 14925 e n. 14920).
Con specifico riferimento ai contributi di solidarietà, occorre altresì evidenziare che, nel medesimo periodo in cui hanno trovato applicazione quelli oggetto della normativa censurata, si sono susseguiti prelievi che hanno riguardato i trattamenti pensionistici di importo più elevato. Ci si riferisce, in particolare, alle ritenute, variamente denominate, di cui all’art. 37 della legge n. 488 del 1999; all’art. 3, comma 102, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004)»; all’art. 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111; all’art. 1, commi 486 e 487, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)»; all’art. 1, comma 261, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021).
Infine, con specifico riferimento al limite alla cumulabilità di cui all’art. 3 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014, si può rammentare quanto affermato da questa Corte, sempre con riferimento ai trattamenti pensionistici, ossia che la sussistenza di un’altra fonte di reddito ne può ragionevolmente giustificare la diminuzione, riducendosi la funzione previdenziale che li connota (sentenza n. 241 del 2016).
7.2.2.– Se le considerazioni che precedono consentono di riscontrare la ragionevole giustificazione degli interventi riduttivi posti in essere dal legislatore regionale, occorre adesso valutare se essi si traducano in un regime lesivo del legittimo affidamento, tenendo presente che anch’esso «è soggetto al normale bilanciamento proprio di tutti i principi e diritti costituzionali» (sentenza n. 241 del 2019).
Ebbene, al riguardo questa Corte ha chiarito che «[l]’esigenza di ripristinare criteri di equità e di ragionevolezza e di rimuovere le sperequazioni e le incongruenze, insite in un trattamento di favore, è da ritenersi preponderante rispetto alla tutela dell’affidamento» (sentenza n. 240 del 2019; nello stesso senso, sentenza n. 108 del 2019).
D’altra parte, si deve rimarcare che, segnatamente nelle fattispecie dei giudizi a quibus, le misure di cui alla normativa censurata riguardano trattamenti di ammontare più elevato, come dimostrato dall’applicabilità del limite alla cumulabilità – comunque destinato ad assorbire, a regime, la riduzione di cui all’art. 2 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014. Ciò è comprovato dai decreti del Presidente del Consiglio regionale che, nel corso del tempo, hanno rideterminato l’ammontare dell’assegno di S. B. in considerazione delle fluttuazioni del vitalizio parlamentare, garantendogli il mantenimento di un importo complessivo di 9.000 euro lordi mensili, chiaramente non comprensivo di eventuali ulteriori redditi da lavoro o da pensione e tutt’altro che esiguo – e dalla percentuale (12 per cento) del contributo di solidarietà applicata all’assegno spettante al coniuge superstite N. T. (nella specie pari a euro 5.159,65 lordi mensili), ossia quella prevista per gli «assegni di reversibilità riferiti ad assegni vitalizi di misura superiore» (art. 4 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014).
Tali considerazioni risultano in linea con la giurisprudenza di questa Corte, che ha escluso la lesione del legittimo affidamento in ragione dell’incisione su un trattamento di ammontare elevato (sentenza n. 263 del 2020).
Quanto alla prevedibilità degli interventi, non si può ritenere che, nella fattispecie, gli interessati potessero fare affidamento su un ammontare degli assegni, anche di quelli in corso di erogazione, non suscettibile di modifiche riduttive pro futuro, a fronte di trattamenti così come in precedenza descritti e delle coeve misure adottate in generale dal legislatore statale a fini di contenimento della spesa, anche previdenziale.
Le considerazioni fin qui svolte conducono a concludere che le misure introdotte, oltre a trovare giustificazione sul piano della ragionevolezza, non trasmodano in un regolamento lesivo del legittimo affidamento. Ne consegue la non fondatezza delle questioni sollevate.
8.– Con l’ordinanza iscritta al n. 123 reg. ord. del 2020 il rimettente lamenta altresì il contrasto della riduzione del 20 per cento dei vitalizi e del limite alla loro cumulabilità con gli artt. 64, 66, 68 e 69 Cost.
A sostegno della violazione, il giudice a quo assume che il vitalizio regionale risponda alla medesima ratio, sottesa all’indennità consiliare, di sterilizzazione degli impedimenti economici all’accesso alle cariche di rappresentanza democratica e di garanzia dell’attribuzione di un trattamento economico adeguato ad assicurarne l’indipendenza.
Le questioni non sono fondate.
Come chiarito da questa Corte, nonché dalla giurisprudenza di legittimità, «[a]l Parlamento nazionale […] deve essere riconosciuta una posizione costituzionale del tutto peculiare […], in ragione della quale le norme che si riferiscono ad esso od ai suoi membri sono da qualificare come diritto singolare» (sentenza n. 24 del 1968; nello stesso senso, ex aliis, Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza 13 marzo 2020, n. 7220). Da esso «vengono garantite forme di indipendenza e prerogative ben più ampie di quelle concesse ai Consigli regionali» (sentenza n. 66 del 1964), «negandosi in conseguenza la piena equiparazione delle assemblee legislative regionali alle assemblee parlamentari» (sentenza n. 6 del 1970; nello stesso senso, sentenze n. 110 del 1970, n. 143 del 1968 e n. 14 del 1965), considerato che, «“diversamente dalle funzioni assegnate alle Camere, le attribuzioni dei Consigli si inquadrano […] nell’esplicazione di autonomie costituzionalmente garantite, ma non si esprimono a livello di sovranità” (sentenza n. 301 del 2007)» (sentenza n. 279 del 2008).
Alla luce delle considerazioni che precedono, i parametri evocati risultano inconferenti, con conseguente non fondatezza delle questioni sollevate in riferimento a essi (sentenza n. 198 del 2021).
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara inammissibile l’intervento di H. F., spiegato nel giudizio relativo all’ordinanza iscritta al numero 123 del registro ordinanze 2020, indicata in epigrafe;
2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 3 della legge della Regione autonoma Trentino-Alto Adige 11 luglio 2014, n. 5, recante «Modifiche alla legge regionale 26 febbraio 1995, n. 2 (Interventi in materia di indennità e previdenza ai Consiglieri della Regione autonoma Trentino-Alto Adige), come modificata dalle leggi regionali 28 ottobre 2004, n. 4, 30 giugno 2008, n. 4, 16 novembre 2009, n. 8, 14 dicembre 2011, n. 8 e 21 settembre 2012, n. 6, nonché alla legge regionale 23 novembre 1979, n. 5 (Determinazione delle indennità spettanti ai membri della Giunta regionale), e successive modificazioni, volte al contenimento della spesa pubblica», sollevate, in riferimento agli artt. 2, 10, 11, 42, 97 e 117 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Trento con l’ordinanza iscritta al n. 123 reg. ord. del 2020 indicata in epigrafe;
3) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014, nonché degli artt. 3 della legge della Regione Trentino-Alto Adige 28 ottobre 2004, n. 4 (Modificazioni ed integrazioni alla legge regionale 26 febbraio 1995, n. 2 «Interventi in materia di indennità e previdenza ai Consiglieri della Regione Autonoma Trentino-Alto Adige), che introduce l’art. 4-bis della legge della Regione Trentino-Alto Adige 26 febbraio 1995, n. 2 (Interventi in materia di indennità e previdenza ai consiglieri della Regione autonoma Trentino-Alto Adige), e 15 della legge della Regione Trentino-Alto Adige 21 settembre 2012, n. 6 (Trattamento economico e regime previdenziale dei membri del Consiglio della Regione autonoma Trentino-Alto Adige), sollevate, in riferimento all’art. 97 Cost., dal Tribunale ordinario di Trento con l’ordinanza iscritta al n. 139 del registro ordinanze 2021 indicata in epigrafe;
4) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2004, che introduce l’art. 4-bis della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 2 del 1995, 15 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012 e 4 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 38 e 53 Cost., dal Tribunale ordinario di Trento con l’ordinanza iscritta al n. 139 reg. ord. del 2021 indicata in epigrafe;
5) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014, 3 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2004, che introduce l’art. 4-bis della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 2 del 1995, e 15 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012, sollevate, in riferimento agli artt. 4 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), e 117, secondo comma, lettera l), Cost., dal Tribunale ordinario di Trento con l’ordinanza iscritta al n. 139 reg. ord. del 2021 indicata in epigrafe;
6) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014, sollevata, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 2, comma 1, lettera m), del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012), convertito, con modificazioni, nella legge 7 dicembre 2012, n. 213, dal Tribunale ordinario di Trento con l’ordinanza iscritta al n. 139 reg. ord. del 2021 indicata in epigrafe;
7) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, 3 e 4 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014 e degli artt. 3 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2004, che introduce l’art. 4-bis della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 2 del 1995, e 15 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012, complessivamente sollevate, in riferimento agli art. 3 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, dal Tribunale ordinario di Trento con le ordinanze indicate in epigrafe;
8) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 3 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 5 del 2014, sollevate, in riferimento agli artt. 64, 66, 68 e 69 Cost., dal Tribunale ordinario di Trento con l’ordinanza iscritta al n. 123 reg. ord. del 2020 indicata in epigrafe.