Qualora si vogliano criticare le conclusioni del CTU, vanno proposte apposite contestazioni alla consulenza tecnica prima dell'omologa e nel termine fissato dal giudice.
L'attuale ricorrente presentava presso il Tribunale ricorso
Svolgimento del processo
Con ricorso ex art. 445 bis c.p.c. depositato il 12 novembre 2014 presso il Tribunale di L.R.M. ha chiesto l'accertamento del grado di invalidità da cui era affetto, con riconoscimento del diritto a conseguire le prestazioni quale invalido civile ai sensi della legge n. 118 del 1971.
Il Tribunale di Locri, nel contraddittorio delle parti, premesso che si pronunciava sulla domanda di pensione ex art. 12 della legge n. 118 del 1971, ha emesso il decreto di omologa dell'accertamento tecnico secondo le conclusioni rassegnate dal CTU e ha dichiarato il ricorrente non meritevole del beneficio richiesto per insufficienza e/o comunque assenza del requisito sanitario, condannandolo, altresì, a rifondere le spese di lite in quanto non aveva reso dichiarazione conforme alla previsione di cui all'art. 152 disp. att. c.p.c..
R.M. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
L'INPS ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1) Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 13 della legge n. 118 del 1971 e dell'art. 112 c.p.c. poiché il Tribunale di Locri non aveva considerato che egli aveva chiesto il riconoscimento delle prestazioni economiche previste dalla legge n. 118 del 1974 senza alcuna esclusione, benché avesse indicato in particolare la pensione di inabilità.
Il giudice, quindi, nel rigettare la richiesta concernente la pensione ex art. 12 della legge n. 118 del 1974, avrebbe dovuto comunque concedere l'assegno mensile regolato dall'art. 13 della citata legge n. 118..
Il motivo è inammissibile.
Al riguardo, si osserva che contro il decreto di omologa (che segue automaticamente nel caso non sorgano contestazioni) non sono ammesse impugnazioni perché espressamente dichiarato, dall'art. 445 bis, comma 5, c.p.c., "non impugnabile né modificabile". Infatti, tale decreto non è soggetto ad appello e a ricorso per cassazione, neppure straordinario ex art. 111 Cast., considerato che, ove si vogliano criticare le conclusioni del CTU, vanno proposte apposite contestazioni alla consulenza tecnica prima dell'omologa e nel termine fissato dal giudice.
In assenza di dette contestazioni si chiude, quindi, definitivamente la fase dell'accertamento sanitario e le conclusioni del consulente sulle condizioni sanitarie dell'assistito divengono definitive.
Al contrario, qualora siffatte contestazioni vi siano, inizia il procedimento contenzioso, con onere, per la parte dissenziente, di proporre ricorso al giudice, in un termine perentorio, precisando, a pena di inammissibilità, i motivi della critica alle conclusioni dell'ausiliare dell'ufficio.
La fase contenziosa è circoscritta ai motivi addotti dal ricorrente ed il giudice può disporre ulteriori accertamenti, nonché apprezzare direttamente anche la condizione sanitaria.
Pertanto, il decreto di omologa - asseverando le condizioni sanitarie dell'assistito accertate dal consulente tecnico d'ufficio - non incide sulle situazioni giuridiche soggettive perché non conferisce e non nega alcun diritto, dal momento che non statuisce sulla spettanza della prestazione richiesta dall'assistito e sul conseguente obbligo dell'INPS di erogarla (cfr. Cass., Sez. L, n. 8878 del 4 maggio 2015, successivamente Cass, Sez. L, n. 27356 del 30 novembre 2020, non massimata).
Solo la statuizione sulle spese, legali e di consulenza, contenuta nel decreto di omologa costituisce, in parte qua, un provvedimento definitivo e decisorio, incidente sui diritti patrimoniali delle parti e non altrimenti impugnabile, con la conseguente ammissibilità del ricorso straordinario per cassazione contro il relativo capo del detto decreto, ai sensi dell'art. 111 Cost. (Cass., Sez. 6-L, n. 26758 del 22 dicembre 2016).
2) Con il secondo motivo R.M. lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 152 disp. att. c.p.c. atteso che il Tribunale di Locri avrebbe errato nel porre a suo carico le spese di lite (pe l'esattezza, quelle di CTU), poiché egli aveva formulato dichiarazione di legge nelle conclusioni dell'atto introduttivo (pur indicando, per mero errore, l'anno 2012 e non il 2013, come avrebbe dovuto) e nella procura in calce allo stesso.
La doglianza è fondata.
L'art. 152 disp. att. c.p.c. stabilisce, nella parte che qui rileva, che "Nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali o assistenziali la parte soccombente, salvo comunque quanto previsto dall'articolo 96, primo comma, del codice di procedura civile, non può essere condannata al pagamento delle spese, competenze ed onorari quando risulti titolare, nell'anno precedente a quello della pronuncia, di un reddito imponibile ai fini IRPEF, risultante dall'ultima dichiarazione, pari o inferiore a due volte l'importo del reddito stabilito ai sensi degli articoli 76, commi da 1 a 3, e 77 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115. L'interessato che, con riferimento all'anno precedente a quello di instaurazione del giudizio, si trova nelle condizioni indicate nel presente articolo formula apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione nelle conclusioni dell'atto introduttivo e si impegna a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito verificatesi nell'anno precedente ( )".
La giurisprudenza ha chiarito che, in tema di esenzione dal pagamento di spese, competenze e onorari nei giudizi per prestazioni previdenziali, l'art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo modificato dall'art. 42, comma 11, del d.l. n. 269 del 2003, conv. con modif. nella legge n. 326 del 2003, ove fa carico alla parte ricorrente, che versi nelle condizioni reddituali per poter beneficiare dell'esonero degli oneri processuali in caso di soccombenza, a rendere apposita dichiarazione sostitutiva "nelle conclusioni dell'atto introduttivo" va interpretato nel senso che della ricorrenza delle condizioni di esonero deve darsi atto nell'atto introduttivo del giudizio. Ne consegue che va ritenuta efficace la dichiarazione sostitutiva che, pur materialmente redatta su foglio separato, sia espressamente richiamata nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e ritualmente prodotta con il medesimo» (Cass., Sez. 6 - L, n. 16616 del 25 giugno 2018).
Questa interpretazione, a sua volta, è fondata sull'orientamento di legittimità per il quale l'art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo modificato dall'art. 42, comma 11, del d.l. n. 269 del 2003, conv., con modif., dalla legge n. 326 del 2003, e risultante dall'aggiunta operata dall'art. 52, comma 6, della legge n. 69 del 2009, stante il richiamo limitato ai commi 2 e 3, con esclusione del comma 1, dell'art. 79 del d.P.R. n. 115 del 2002, che disciplina il contenuto dell'istanza per il gratuito patrocinio, non impone alla parte ricorrente l'indicazione specifica dell'entità del reddito nella prescritta dichiarazione sostitutiva, in un'ottica di semplificazione delle condizioni di accesso alla tutela giurisdizionale, coerente con la ratio ispiratrice della disciplina di favorire l'effettivo accesso alla tutela di diritti costituzionalmente garantiti, benché diretta ad evitare e punire gli abusi (Cass., Sez. 6-L, n. 24303 del 29 novembre 2016).
In pratica, la ratio appena menzionata impone di evitare interpretazioni eccessivamente formalistiche che conducano a considerare come non rese delle dichiarazioni il contenuto delle quali, invece, può agevolmente evincersi dal contenuto dell'atto introduttivo del giudizio.
Pertanto, deve ritenersi che l'inesatta indicazione dell'anno rilevante ai fini dell'art. 152 disp. att. c.p.c. non assuma valore qualora, da elementi univoci, come la data di presentazione del ricorso o il contenuto della procura al difensore rilasciata in foglio allegato al menzionato ricorso, emerga la natura meramente formale dell'errore e non sia contestata la ricorrenza sostanziale dei requisiti richiesti dalla vigente normativa con riferimento all'anno che avrebbe dovuto, invece, essere menzionato.
Sostiene l'INPS che, comunque, la dichiarazione riportata nelle conclusioni dell'atto introduttivo del giudizio di prime cure non dovrebbe essere presa in considerazione poiché non sottoscritta dalla parte personalmente, ma dal suo difensore.)
Questa affermazione non può comportare il rigetto del motivo, nonostante sia in astratto conforme alla giurisprudenza della Corte di cassazione, per la quale, ai fini dell'esenzione dal pagamento di spese, competenze e onorari nei giudizi per prestazioni previdenziali, la dichiarazione sostitutiva di certificazione delle condizioni reddituali, da inserire nelle conclusioni dell'atto introduttivo ex art. 152 disp. att. c.p.c., sostituito dall'art. 42, comma 11, del d.l. n. 269 del 2003, conv. dalla legge n. 326 del 2003, è inefficace se non sottoscritta dalla parte, poiché a tale dichiarazione la norma connette un'assunzione di responsabilità non delegabile al difensore, stabilendo che "l'interessato" si impegna a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito (Cass., Sez. 6-L, n. 22952 del 10 novembre 2016).
Infatti, come evidenziato, nel caso in esame la sottoscrizione dell'interessato è comunque presente nel foglio contenente la procura, atto necessariamente collegato al ricorso introduttivo del giudizio di prime cure, e in quest'ultimo ricorso figurano tutte le attestazioni richieste dall'art. 152 disp. att. c.p.c..
Pertanto, deve ritenersi che R.M. abbia reso, in ogni caso, la dichiarazione prescritta dall'art. 152 disp. att. c.p.c..
3) Il ricorso è accolto limitatamente al secondo motivo, inammissibile il primo.
Il decreto impugnato è cassato in ordine alla pronuncia sulle spese di lite.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa è decisa nel merito ai sensi dell'art. 384 c.p.c. e le spese di CTU del giudizio ex art. 445 bis c.p.c. sono poste in via definitiva a carico dell'INPS, con esclusione della loro ripetibilità nei confronti di R.M., mentre il decreto impugnato è confermato per la restante parte.
L'INPS è condannata a rifondere al ricorrente le spese di lite del grado di legittimità ai sensi dell'art. 91 c.p.c., liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il ricorso limitatamente al secondo motivo, inammissibile il primo;
- cassa il decreto impugnato, decidendo nel merito, pone le spese di CTU del giudizio ex art. 445 bis c.p.c. in via definitiva a carico dell'INPS, con esclusione della loro ripetibilità nei confronti di R.M., confermando il detto decreto per la restante parte;
- condanna l'INPS a rifondere le spese di lite al ricorrente che liquida in complessivi € 600,00, oltre € 200,00 per spese, accessori di legge e spese generali nella misura del 15%.