Con un nuovo principio di diritto, gli Ermellini chiariscono la ripartizione dell'onere probatorio tra colui che lamenta la violazione delle distanze legali del fabbricato realizzato su un fondo limitrofo e il proprietario dello stesso.
Svolgimento del processo
1. I., A. e A. D., proprietari di un immobile sito in (omissis) convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere I. S. e A. D., proprietari del fondo confinante, lamentando che costoro avevano realizzato un fabbricato sul confine tra le due proprietà in violazione delle distanze legali previste dalle Norme Tecniche di Attuazione del PRG del Comune di Maddaloni; dedussero inoltre che i predetti avevano realizzato nuove aperture illegittime.
1.1. Gli attori chiesero quindi la riduzione in pristino ed il risarcimento dei danni.
1.2. I convenuti affermarono di aver demolito e ricostruito il fabbricato nella medesima posizione rispetto a quello preesistente ed eccepirono che le aperture costituivano delle luci.
1.3. Il Tribunale rigettò la domanda, ritenendo che il fabbricato realizzato dai convenuti rispettasse le norme del codice civile sulle distanze legali e che le aperture fossero delle luci.
1.4. La Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 28.11.2016, confermò la decisione di primo grado con diversa motivazione.
1.5. In primo luogo, la Corte di merito ritenne che le norme del Piano di recupero di cui all’art. 28 della L. 5.8.1978, n.457, previste per la rimozione dello stato di degrado del patrimonio edilizio comunale, erano soggette all’osservanza delle disposizioni del Piano Regolatore Generale quali norme di rango superiore. Dette norme erano applicabili alle nuove costruzioni e non alle ristrutturazioni di edifici già esistenti, secondo la distinzione individuata dalla giurisprudenza di legittimità; l’onere della prova che si trattasse di nuova costruzione e non di mera ricostruzione incombeva su parte attrice, che, invece, non aveva allegato nel corso del giudizio che vi fosse stato un aumento di volumetria o di sagoma di ingombro.
1.7. Quanto alle aperture, la Corte distrettuale rigettò la domanda sul rilievo che non poteva essere chiesta l’eliminazione delle luci ma solo la loro regolarizzazione, richiesta non formulata.
2. Per la cassazione della sentenza d’appello hanno proposto ricorso D. I. e D. A. sulla base di sei motivi lustrati da memoria.
2.1. Hanno resistito con controricorso i S.-D..
2.2. F. D. è rimasta intimata.
Motivi della decisione
1. Preliminarmente va esaminata e respinta l’eccezione sollevata a pag. 19 della memoria dei ricorrenti relativa alla mancanza di procura rilasciata da G. D.: la procura in calce al controricorso risulta infatti rilasciata dai “sottoscritti S. I. ….e D. G.….” e in calce vi è la firma autografa, in carattere leggibile, di G. D.”. Il fatto che sul foglio sia presente, a stampa, anche il nome di tale “G. DP.” integra solo un mero irrilevante refuso, perché, come si è detto, la firma autografa è di G. Della Valle ed è questo che conta per ritenere la validità della procura rilasciata al difensore.
Ciò chiarito e passando ai motivi di ricorso, col primo di essi si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art.3, comma 1, lett.d) del DPR 380/2001, combinato agli artt. 10, comma 1, lett.c) e 22, comma 1 e 2 del medesimo DPR 380/2001, dell’art.29 delle NTA del PRG , in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c.; il ricorrente deduce che secondo la normativa ratione temporis applicabile, cioè l’art.3, comma 1, lettera d) del DPR 380/2001, antecedente alla L.98/2013, la ristrutturazione poteva avvenire solo in caso di fedele ricostruzione del fabbricato “identico, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali a quello preesistente”. Nel caso di specie la corte di merito avrebbe errato nell’applicare la disposizione prevista dal D. Lgs 301/2002, in forza della quale sarebbe sufficiente che il fabbricato ricostruito avesse la medesima volumetria e sagoma di quello preesistente. Solo in caso di fedelissima ricostruzione sarebbe sufficiente la denuncia di inizio di attività mentre in caso di sostanziali variazioni di sagoma, volume e destinazione d’uso sarebbe necessario il permesso a costruire; in tal caso sarebbe applicabile l’art.29 NTA del PRG, previo accertamento della reale consistenza del fabbricato, al fine di stabilire se l’intervento consisteva in un restauro conservativo o ristrutturazione ovvero in una nuova costruzione.
1.1. Il motivo è infondato.
1.2. E’ principio pacificamente affermato da questa Corte (Sez. 2, Sentenza n.4980 del 02/03/2007; Cass. 1565/2000; Cass. 1047/1998 Cass.12104/1998; Cass.2887/1998) e condiviso dal collegio, che "in caso di successione nel tempo di norme edilizie, la nuova disciplina meno restrittiva è applicabile anche alle costruzioni realizzate prima della sua entrata in vigore con l'unico limite dell'eventuale giudicato formatosi nella controversia sulla legittimità o non della costruzione, onde non può disporsi la demolizione degli edifici originariamente illeciti alla stregua delle precedenti norme, nei limiti in cui siano consentiti dalla normativa sopravvenuta".
1.3. Ne consegue che è irrilevante stabilire se la disciplina anteriore fosse più restrittiva, trovando, in ogni caso applicazione la norma edilizia sopravvenuta più favorevole.
2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, la violazione degli artt. 115 e 116 cpc con riferimento alla concessione edilizia N.34/2000 e alla variante N. 56/2001, rilasciata dal Comune di Maddaloni e al contenuto delle note tecniche formulate dai CTP alla CTU. Da tali atti si evincerebbe, secondo i ricorrenti, che il fabbricato costruito ex novo dai convenuti fosse diverso per volumetria rispetto a quello preesistente, ragione per la quale si tratterebbe di nuova costruzione soggetta alle norme del vigente PRG.
2.1. Il motivo, che attiene in sostanza, alla omessa considerazione delle precedenti condizioni del fabbricato rispetto al nuovo e alla violazione delle norme in materia di ricostruzione, è fondato.
2.2. La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel ravvisare una "ricostruzione" quando l'opera di modifica dell'edificio preesistente si traduce non soltanto nell'esatto ripristino della costruzione precedente ma anche in qualsiasi modificazione della volumetria dell'edificio preesistente che ne comporti un aumento della volumetria.( Cassazione civile sez. II, 15/12/2020, n.28612).
2.3. E’ stato chiarito (v. ad es. Cass. sez. U n. 21578 del 19/10/2011; Cass. Civ., Sez. II, 11.6.2018 n15041) che è ravvisabile la "ricostruzione” nei casi in cui dell'edificio preesistente siano venute meno le componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura, per evento naturale o per volontaria demolizione, con aumento della volumetria. Dalla nuova costruzione va tenuta distinta la ristrutturazione, che si traduce in un intervento di ripristino dell’edificio preesistente, che riguardi modificazioni esclusivamente interne, senza alterazioni delle sue componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali e la copertura.
2.4. Ciò che rileva ai fini della distinzione tra nuova costruzione e ristrutturazione è che non vi sia un aumento di volumetria o modificazione nella sagoma di ingombro.
2.5. E’ vero che nell’indagine da svolgere non è vincolante il nomen iuris attribuito alle parti dal titolo abitativo ma il contenuto del titolo è idoneo ad individuare la tipologia dell’intervento.
2.6. La Corte di merito, dopo aver affermato che l’art.29 NTA del PRG è applicabile alle nuove costruzioni, ha omesso di esaminare tutte le censure sulla natura dell’intervento limitandosi ad affermare che dagli atti prodotti in giudizio non risultava se la ricostruzione avesse comportato un aumento della volumetria o della sagoma di ingombro, nonostante gli appellanti avessero richiamato la concessione edilizia N.34/2000 e la variante N. 56/2001, rilasciata dal Comune di Maddaloni, nonché le note tecniche formulate, dalle quali risulterebbero “diverse quote di imposte dei solai-diversa sagoma in pianta.” tali da comportare un aumento della volumetria o della sagoma di ingombro.
2.7. La Corte di merito avrebbe dovuto esaminare tali atti, che il ricorso riproduce in osservanza all’art.366, comma 1, n.6 c.p.c.
Si rende pertanto necessario un nuovo esame.
3.Con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c. in quanto la Corte di merito avrebbe invertito l’onere della prova in materia di violazione di distanze ponendo a carico degli attori l’onere di provare che il fabbricato fosse una nuova costruzione, mentre invece spettava ai convenuti di provare che si trattava di mera ristrutturazione.
3.1. Anche questo motivo è fondato.
3.2. Secondo la ripartizione dell’onere probatorio, infatti, in tema di distanze legali, il proprietario che lamenti la violazione delle distanze a causa della realizzazione di un’opera su un fondo limitrofo è tenuto a dare prova sia del fatto della costruzione che di quello della dedotta violazione.
3.3. Una volta che l’attore ha assolto al summenzionato onus probandi, è il convenuto che deduca di avere acquisito per usucapione il diritto di mantenere il suo fabbricato a distanza inferiore a quella legale per avere ricostruito un edificio preesistente in loco, a dovere provare sia gli elementi costitutivi dell’acquisto a titolo originario, come la presenza per il tempo indicato dalla legge del manufatto nella stessa posizione, che la circostanza dell’identità fra la nuova e la vecchia struttura (Cassazione civile sez. II, 11/06/2018, n.15041).
3.4. Nel caso di specie, gli attori avevano dedotto la violazione delle distanze del fabbricato realizzato dai convenuti (pag.2, rigo 2 della sentenza impugnata e ricorso pag. 7 ove si richiama il contenuto delle note tecniche) sicchè, in applicazione del citato principio, spettava ai convenuti provare che si trattava di mera ristrutturazione o ricostruzione.
3.5. Ha quindi errato la corte territoriale nell’affermare che l’onere della prova in ordine alla reale natura dell’intervento doveva gravare su parte attrice e che la stessa non aveva dedotto alcuno specifico aumento di volumetria o differenza di sagoma di ingombro, né nell’atto di citazione né nella sua integrazione effettuata a seguito di ordine giudiziale ex atrt.164 c.p.c., né nei successivi atti.
3.6. Del tutto apodittica ed illogica è inoltre l’affermazione secondo cui “il consulente tecnico d’ufficio, ritenendo inapplicabile la disposizione del PRG, ha implicitamente escluso trattarsi di nuova costruzione” in quanto, occorreva invertire il ragionamento: occorreva dapprima individuare il tipo di costruzione e poi individuare la norma locale applicabile.
3.7. La corte territoriale, in definitiva, ha posto l'onere della prova della modifica in esame a carico degli attori, i quali, una volta dimostrato che una costruzione su un fondo confinante si trovava ad una distanza non legale, nessuna ulteriore attività istruttoria erano tenuti a compiere.
3.8. Sulla base dell’erronea ripartizione dell’onere probatorio, la corte territoriale ha ritenuto che il manufatto oggetto di causa costituisse una ricostruzione di un precedente edificio, con riferimento al quale era maturato il diritto del proprietario del fondo confinante a mantenerlo a distanze inferiore a quella legale.
La sentenza impugnata va, pertanto cassata in relazione anche al quarto motivo, con rinvio alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, che accerterà - applicando correttamente la regola dell’onere probatorio in materia ed esaminando gli atti prodotti - se il fabbricato dei convenuti costituisse una ricostruzione o una nuova costruzione.
Il giudice di rinvio si conformerà al seguente principio di diritto:
“In materia di violazioni delle distanze legali, il proprietario che lamenti la realizzazione di un manufatto su un fondo limitrofo a distanza non regolamentare di dare prova solo del fatto della costruzione e di quello della violazione di distanze, mentre incombe sul convenuto, che deduca di avere acquisito per usucapione il diritto di mantenere il suo fabbricato a distanza inferiore a quella legale per avere ricostruito un edificio preesistente in loco, l'onere di dimostrare gli elementi costitutivi dell'acquisto a titolo originario, vale a dire, nella specie, la presenza per il tempo indicato dalla legge del manufatto nella stessa posizione nonchè la circostanza dell'assoluta identità fra la nuova e la vecchia struttura”.
4 Resta logicamente assorbito l’esame delle restanti tre censure e cioè del terzo motivo (con cui si deduce la nullità della sentenza per omessa pronuncia sulle istanze di prova; giudicato interno e ultrapetizione), del quinto motivo (violazione delle norme sulle presunzioni (artt. 2728 e ss) e del sesto motivo (sulla mancata regolarizzazione delle luci).
Al giudice del rinvio è demandato anche il regolamento delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il secondo e quarto motivo di ricorso, rigetta il primo, dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione.