Accolto il ricorso di due professionisti che lamentavano l'errata quantificazione degli onorari a loro dovuti per aver difeso un assessore regionale in un procedimento per responsabilità contabile.
Svolgimento del processo
1. Gli avv.ti O. E. e M. M. C. hanno convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma C. A. M., chiedendo il pagamento del compenso per le attività svolte in favore dell'assistito, assessore della Regione Lazio, in un procedimento per responsabilità contabile avviato dalla Procura Regionale della Corte dei conti.
Gli attori avevano dedotto che, con invito a dedurre ex art. 5 L. 19/1994, era stato contestato al M. l'illegittima assunzione di lavoratori socialmente utili, comportante un danno per l'amministrazione che la Guardia di finanza aveva quantificato in € 70.836321,15; che le spettanze professionali erano state calcolate in base all'importo del danno erariale risultante dall'invito emesso dalla Procura regionale della Corte dei conti, richiedendo un unico compenso per entrambi i difensori in applicazione dei valori tariffari massimi per le controversie dinanzi alle giurisdizioni amministrative di primo grado.
Il convenuto si è costituito, opponendosi alla domanda e chiedendo la chiamata in causa della Regione Lazio e dell'A. s.p.a. per essere manlevato.
Disposta ed effettuata la chiamata in giudizio, all'esito il tribunale ha liquidato un compenso pari ad € 300.000,00, respingendo le domande di garanzia verso i terzi chiamati.
La sentenza, appellata dal M., è stata parzialmente riformata dalla Corte distrettuale di Roma.
Il giudice territoriale ha ridotto il compenso ad € 6769,12 ai sensi dell'art. 6 comma 5, D.M. 127/2004, in base ai valori tariffari per le cause di valore da€ 25.900,001 a€ 51.700,00 per gli onorari minimi e a quelli previsti per le cause di valore da € 51.700,01 a € 103.300,00, per gli onorari massimi, ritenendo che la lite fosse di valore indeterminabile, non potendosi tener conto della stima del danno formulata nell'invito a dedurre notificato all'incolpato.
Secondo la sentenza, nella fase preliminare-istruttoria del giudizio di responsabilità contabile si avrebbe una mera ipotesi di illecito e una quantificazione ancora approssimativa del danno: anche nell'invito a dedurre era espressamente evidenziato che "l'atto aveva finalità limitate a informare dei risultati dell'istruttoria i presunti responsabili e a raccogliere le deduzioni difensive, rinviando ad altro momento e all'eventuale citazione in giudizio, gli approfondimenti in tema di responsabilità personale e quantificazione conclusiva del danno", non essendo ancora possibile stabilire l'ammontare del pregiudizio di cui dovesse rispondere il M..
La Corte ha infine respinto la domanda di manleva verso la Regione Lazio e ha condannato l'A. s.p.a. a tenere indenne il M. dagli effetti della condanna, regolando le spese processuali.
Per la cassazione della sentenza gli avv.ti O. E. e M. M. C. hanno proposto ricorso in due motivi.
C. A. M. e l'A. s.p.a. resistono con controricorso.
La Regione Lazio non ha svolto difese.
In prossimità dell'udienza pubblica i ricorrenti e l'A. s.p.a. hanno depositato memorie illustrative.
Il ricorso, originariamente destinato alla trattazione in pubblica udienza, è stato deciso in camera di consiglio nelle forme di cui all'art. 23, comma 8-bis, D.L. 137/2020, convertito con modificazioni con L. 176/2020.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 6, comma terzo, D.M. 127/2004, ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c., per aver la Corte d'appello ritenuto che la controversia nella quale era stato svolta l'attività difensiva avesse valore indeterminabile, sull'assunto che, nella fase preliminare all'instaurazione del giudizio di responsabilità e nell'invito a dedurre fosse stata formulata solo un'ipotesi di illecito dalle conseguenze non quantificate in modo definitivo, trascurando che tale invito, richiamando a pag. 4 il verbale della Guardia di finanza, individuava l'ammontare del danno erariale, anche nella misura attribuita a ciascuno dei soggetti incolpati, valore che doveva costituire la base di calcolo dei compensi professionali, essendo l'invito a dedurre/ equiparabile all'esercizio della domanda di responsabilità contabile.
Il motivo è infondato.
1.1. Vanno respinte le eccezioni di inammissibilità del motivo in quanto pertinente a profili di merito preclusi in cassazione: il tema proposto dai ricorrenti solleva anche quesiti in diritto circa l'ipotizzata valenza processuale dell'invito a dedurre ex art. 5 L. 19/1994 e quanto ai criteri utilizzabili per individuare il valore della causa ai fini della corretta quantificazione del compenso per le attività difensive svolte nel giudizio contabile.
1.2. Deve considerarsi nuova e - dunque - non esaminabile in questa sede di legittimità, la deduzione formulata in ricorso circa l'avvenuta archiviazione del procedimento per responsabilità contabile avviato a carico del M., ancor prima dell'instaurazione della lite: di tale evento non fa alcuna menzione la sentenza d'appello, né il ricorso chiarisce se e in che fase sia stato dibattuto tra le parti, eventualmente al fine del corretto inquadramento dell'attività svolta dai difensori.
1.3. La Corte di merito, riformando la sentenza di primo grado, ha ritenuto la causa di valore indeterminabile e ha liquidato i diritti e gli onorari per i giudizi di primo grado dinanzi agli organi di giustizia amministrativa, reputando di non poter assumere, quale valore della lite, l'importo dell'ammontare del danno indicato nell'invito a dedurre ex art. 5 L. 19/1994 notificato al resistente, evidenziando che tale atto non costituisce esercizio della domanda e che la detta quantificazione doveva considerarsi approssimativa.
In effetti, tale invito, essendo diretto all'acquisizione di ulteriori elementi in vista delle determinazioni del pubblico ministero, attiene ad una fase del procedimento avente natura pre-processuale, sicché l'effettiva proposizione dell'azione di responsabilità è del tutto eventuale, concretizzandosi solo con la notifica dell'atto di citazione emesso dalla Procura contabile (Corte cost. 415/1995; Corte cost. 163/1997; Corte cost. 513/2002; Corte cost. 235/2015).
Si è - in proposito - sostenuta la sua assimilazione con le attività che si compiono nelle fasi delle indagini nei procedimenti penali (cfr., Corte dei conti S.U. 7/2003 in motivazione; nel senso che l'invito non costituisce atto di instaurazione del giudizio contabile anche Corte dei conti sez. Sardegna 1831/2008), a conferma della provvisorietà delle valutazioni ivi espresse, da considerarsi ancora in fieri.
L'attività anteriore alla citazione è - difatti - preordinata ad acquisire elementi per la formulazione delle contestazioni (o per l'eventuale archiviazione) e ad assicurare il contraddittorio con l'incolpato (cfr., Corte cost. 261/2006): in quanto tale, non si traduce in valutazioni definitive, destinate sicuramente a confluire nella domanda.
Né rileva che detto invito possa valere come atto interruttivo della prescrizione: ciò non dipende dalla sua equiparabilità all'atto con cui si inizia il processo ai sensi dell'art. 2943, comma primo, c.c., ma dall'eventuale idoneità del suo contenuto, nei singoli casi, a costituire un valido atto di messa in mora, essendo l'effetto interruttivo ammissibile anche rispetto ai crediti illiquidi e di importo non determinabile (art. 2943, comma terzo, c.c.: cfr. Corte dei conti Toscana 435/2012; Corte dei conti Molise, 193/2009, nonché Corte dei conti Lombardia 227/2011, secondo cui ai fini dell'interruzione della prescrizione del debito da responsabilità amministrativa, l'invito a dedurre ha effetto solo quando, pur facendo riferimento alla costituzione in mora ai sensi degli art. 1219 e 2943 c.c., contenga una chiara richiesta o intimazione di pagamento).
1.4. La pronuncia è - quindi - esente da vizi giuridici nel punto in cui ha stabilito che la stima del danno (pari all'importo di € 70.000.000,00) formulata nell'invito a dedurre non individuava affatto la somma richiesta a titolo di risarcimento nel giudizio contabile, ma rappresentava una mera indicazione provvisoria del pregiudizio, priva di definitiva cristallizzazione nell'ipotesi accusatoria, di più sicuri elementi di verificabilità e, infine, carente di specificazione quanto all'ammontare del danno alle casse regionali direttamente imputabile al M., conclusioni cui il giudice distrettuale è pervenuto non senza evidenziare che la medesima provvisorietà inficiava anche la quantificazione contenuta nel verbale della Guardia di finanza (cfr. sentenza, pag. 5).
È stato chiarito da questa Corte che «ai fini della liquidazione degli onorari di difesa a carico del cliente, il valore della causa si determina in base alle norme del Codice di procedura civile in tema di competenza per valore, avendo riguardo all'oggetto della domanda considerata al momento iniziale della lite.
Esso, ai fini dell'applicazione delle tariffe forensi, è indeterminabile se il suo valore non può essere determinato e non se, invece, l'azione sia di valore indeterminato, ma possa accertarsi fino al momento della precisazione delle conclusioni (cfr. Cass. 12043/2020 in motivazione; Cass. 4832/2019; Cass. 1499/2018; Cass. 1666/2017; Cass. 3372/2007; Cass. 5905/2004).
Per le cause di risarcimento, in mancanza di concreti ed attendibili elementi per la stima precostituiti e disponibili fin dall'introduzione del giudizio, la domanda deve ritenersi parimenti di valore indeterminabile se gli elementi di valutazione del danno, del quale si chiede il ristoro, costituiscano l'oggetto, o uno degli oggetti, dell'accertamento e della quantificazione rimessi al giudice o non siano già disponibili ex ante (Cass. 14586/2005; Cass. 9451/2001). Nella specie, come evidenziato nella sentenza, l'invito a dedurre difettava di una indicazione conclusiva dell'ammontare del credito che potesse assumersi a fondamento del calcolo del compenso, né dal suo contenuto potevano evincersi elementi certi di quantificazione, stante la fase ancora interlocutoria del procedimento contabile. La dichiarata impossibilità di attribuire un valore determinato alle domande in base agli elementi disponibili - ai fini della liquidazione degli onorari di avvocato a carico del cliente - è apprezzamento che ricade nell'ambito del giudizio di fatto rimesso al giudice di merito ed insindacabile in cassazione (cfr., Cass. 2401/1981; Cass. 1422/1973; Cass. 2995/1975; Cass. 8865/1987).
2. Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 5 e 6 D.M. 127/2004, ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c., lamentando che, una volta ritenuto che la causa fosse di valore indeterminabile, il giudice distrettuale avrebbe dovuto calcolare gli onorari in base ai valori tariffari massimi per le cause di valore fino ad € 516.000,00, data la rilevanza degli interessi coinvolti, per poi quadruplicarli in considerazione della straordinaria importanza della controversia, adeguandolo ai risultati ottenuti e alla complessità delle questioni esaminate.
Il motivo è fondato nei limiti che seguono.
La Corte di merito ha ritenuto applicabile i valori tariffari massimi per le cause di valore indeterminabile, applicando lo scaglione per le cause di valore compreso tra € 51.700,00 ed € 103.300,00, senza alcun apprezzamento dei rilevanti interessi coinvolti nella controversia, riguardante - in effetti - una contestazione di gravi irregolarità gestionali a carico del dirigente nelle attività di assunzione di centinaia di lavoratori socialmente utili, con potenziali riflessi non solo economici, ma anche reputazionali e di carriera, valore della lite.
La pronuncia si è limitata limita a dar rilievo - con formula stereotipa - alle questioni giuridiche trattate, ai risultati conseguiti e all'urgenza richiesta, benché, ai sensi dell'art. 6, comma 3, D.M. 127/2004, nelle cause avanti gli organi di giustizia amministrativa, quando non è possibile determinare il valore della causa secondo i criteri indicati dal comma primo, nella liquidazione degli onorari a carico del soccombente va tenuto conto dell'interesse sostanziale che riceve tutela attraverso la sentenza, criterio esplicitamente richiamato dal successivo comma quarto, che appunto prescrive che "nella liquidazione degli onorari a carico del cliente, per la determinazione del valore effettivo della controversia, deve aversi riguardo al valore dei diversi interessi perseguiti dalle parti".
Il comma sesto del citato art. 6 dispone poi che, nelle cause di valore indeterminabile, gli onorari minimi sono quelli previsti per le cause di valore da euro 25.900,01 a euro 51.700,00, mentre gli onorari massimi sono quelli previsti per le cause di valore da euro 51.700,01 a euro 103.300,00, tenuto conto dell'oggetto e della complessità della controversia, ma precisando che, qualora le cause siano di particolare importanza per l'oggetto, per le questioni giuridiche trattate, per la rilevanza degli effetti e dei risultati utili di qualsiasi natura, anche di carattere non patrimoniale, gli onorari possono essere liquidati fino al limite massimo previsto per le cause di valore fino a euro 516. 500,00, dando esplicito rilievo ai risvolti anche non prettamente economici della vicenda dedotta in lite.
Una tale valutazione è stata pretermessa dalla Corte di merito, che è pervenuta all'individuazione del valore indeterminabile della causa senza minimamente valutare se gli interessi implicati nella vicenda giustificassero la liquidazione fino al limite massimo previsto per le cause di valore fino ad€. 516.000,00, fatte salve eventuali ulteriori maggiorazioni o incrementi, da valutare in concreto nel giudizio di svolta.
Si configura - pertanto - la denunciata violazione, avendo la sentenza disatteso il criterio legale che deve orientare l'individuazione del valore della controversia ai fini del calcolo del compenso.
E' - entro tali limiti - accolto il secondo motivo di ricorso con rigetto della prima censura.
La sentenza impugnata è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, che regolerà anche le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.