La Cassazione evidenzia che l'efficacia probatoria di un documento legalmente riconosciuto, qualora se ne deduca la falsità materiale, può essere disattesa solo attraverso la proposizione di querela di falso.
Il Tribunale di Verona dichiarava risolto il contratto di locazione concluso tra locatori e conduttori in quanto ha ritenuto sussistente la morosità di questi ultimi in merito al pagamento di alcuni canoni e oneri condominiali. Nello specifico, il Tribunale aveva giudicato il documento prodotto dai resistenti (dal quale risultava l'attestazione del pagamento di una data somma accompagnato...
Svolgimento del processo
1. Con sentenza n. 2417/2017, il Tribunale di Verona dichiarò risolto il contratto di locazione di immobile ad uso abitativo intercorso tra S. D. e R. S. (locatori) e D. L. C. e M. A. A. (conduttori), ritenendo sussistente la morosità di questi ultimi nel pagamento dei canoni di giugno, luglio, settembre e ottobre del 2013, oltre oneri condominiali.
Ritenne infatti che il documento, prodotto dai resistenti, attestante il versamento dell'importo di € 2.570,00 – bensì recante sottoscrizione risultata autentica all’esito del giudizio di verificazione ex art. 216 cod. proc. civ. — mostrava evidenti segni di alterazione della scrittura tali da far ritenere fondata l'eccezione di non genuinità del testo.
2. Con sentenza n. 1314/2019 depositata il 10 aprile 2019 la Corte d’appello di Venezia ha accolto solo in minima parte il gravame interposto dai soccombenti, riducendo l’importo delle spese processuali poste a loro carico, poiché eccedenti, quanto ai compensi d’avvocato, quanto richiesto nella nota spese depositata; ha invece confermato la pronuncia di primo grado, sia quanto all’accoglimento della domanda di risoluzione per inadempimento, sia quanto alla ivi statuita condanna dei resistenti alle spese relative alla c.t.u. disposta in primo grado per la verificazione dell’autenticità della sottoscrizione.
Ha in particolare rilevato, quanto al merito della lite, che:
— «il riconoscimento tacito della scrittura privata ai sensi dell'art. 215 cod. proc. civ. e la verificazione della stessa ex art. 216 stesso codice, come nel caso di specie, attribuiscono alla scrittura il valore di piena prova fino a querela di falso, secondo quanto dispone l'art. 2702 c.c., della sola provenienza della stessa da chi ne appare come sottoscrittore e non anche della veridicità delle dichiarazioni in essa rappresentate, sicché il contenuto di queste ultime può essere contestato dal sottoscrittore con ogni mezzo di prova, entro i limiti di ammissibilità propri di ciascuno di essi;
— «dato per provato che la sottoscrizione del D. è autentica, risulta evidente che il testo della scrittura privata è stato redatto da una mano diversa da chi l'ha sottoscritta, essendo stata predisposta dai conduttori per essere sottoscritta dal locatore, il quale tuttavia afferma che in essa era indicato l'importo di 570,00 euro e non quello di 2.570,00 e che il contenuto era costituito solo dalla frase "ricevo 570 dal sig. C. affitto Agosto" e non anche dall'aggiunta "e varie" dopo "Agosto”;
— l’eccezione risulta fondata alla luce di un esame del contenuto sul piano della sua intrinseca coerenza logica, atteso che «risulta poco verosimile che il conduttore, all'atto di farsi rilasciare un'attestazione di pagamento, quale mezzo di prova, non indichi in modo preciso a quale debito imputare la somma versata. Risulta infatti inverosimile che il debitore si soffermi a precisare uno dei mesi cui si riferisce il pagamento dei canoni e non indichi in modo specifico anche gli altri, anche in considerazione del fatto che, per la stessa prospettazione data dagli appellanti, tale pagamento riguardava anche giugno e luglio, mesi precedenti ad agosto, e solo una parte di quest'ultimo mese: sarebbe stato infatti logico attendersi che in una ricevuta predisposta dai conduttori questi ultimi avessero dato atto delle singole mensilità saldate con il pagamento e non menzionarne solo una ed aggiungere una dizione cosi equivoca come “e varie", che poteva anche non riguardare i canoni di locazione»;
— «deve quindi ritenersi che in realtà l'aggiunta sia stata fatta artatamente, assieme al numero 2 avanti alla somma versata, per coprire anche parte dei canoni non corrisposti in precedenza».
3. Avverso tale sentenza D. L. C. e M. A. A. propongono ricorso per cassazione, articolando cinque motivi, cui resistono gli intimati, depositando controricorso.
La trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ..
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, con riferimento all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., «violazione e falsa applicazione degli artt. 2702 c.c. e degli artt. 116 e 216 c.p.c., per avere la Corte d'appello di Venezia affermato, nonostante la presunzione di autenticità del contenuto della quietanza di pagamento con sottoscrizione verificata del locatore S. D., la falsità materiale (e non ideologica) della detta quietanza per asseR. indebita manipolazione del testo della scrittura originaria da parte del conduttore C., in difetto di proposizione di (necessaria) querela di falso».
2. Con il secondo motivo essi denunciano «violazione e falsa applicazione degli artt. 1199 e 2732 c.c. e 216 c.p.c., in relazione all'art. 360 co. 1 n. 3, per avere la Corte d'Appello di Venezia trascurato che il rilascio di quietanza costituisce una confessione stragiudiziale del pagamento dell'obbligazione e come tale revocabile solo per errore o violenza di cui non è stata data alcuna prova in corso di causa, affermando inammissibilmente la non veridicità della quietanza di pagamento per presunzioni (cd. prova logica)».
3. Con il terzo deducono «violazione e falsa applicazione degli art. 2727 - 2729 c.c., in relazione all'art. 360 co. 1 n. 3, per aver affermato l'illecita alterazione del testo della quietanza di pagamento (fatto ignoto) non attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, ma attraverso una congettura o illazione».
4. Con il quarto denunciano, con riferimento all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., «violazione o falsa applicazione 92 comma primo, 220 comma secondo, 216, 132 comma secondo num. 4, cod. proc. civ., per avere la Corte d'appello rigettato il secondo motivo d'appello (in punto di spese del giudizio incidentale di verificazione) sul rilievo che, indipendentemente dall’esito positivo dell’istanza di verificazione, il disconoscimento dell'autenticità della sottoscrizione costituisce legittimo esercizio del diritto di difesa e di tale condotta processuale non avrebbero dimostrato la mala fede.
5. Con il quinto motivo essi infine deducono error in procedendo per violazione del d.m. n. 55 del 2014 per avere la Corte d'appello, avuto riguardo al valore della domanda (pari ad euro 2.762,30, compreso nella fascia da euro 1.100,01 a 5.200,00), liquidato a titolo di spese di lite del secondo grado la somma di euro 3.300,00, superiore (seppur di poco) ai valori massimi pari ad euro 3.294,00, scostandosi dalla liquidazione in base ai valori medi di ben euro 1.470,00, con motivazione apparente o, comunque, in violazione del c.d. minimo costituzionale della motivazione, nonostante l'accoglimento parziale dell'appello.
6. È fondato il primo motivo di ricorso, con conseguente assorbimento dei rimanenti.
La premessa da cui muove la corte di merito (secondo cui «il riconoscimento tacito della scrittura privata ai sensi dell'art. 215 cod. proc. civ. e la verificazione della stessa ex art. 216 stesso codice, come nel caso di specie, attribuiscono alla scrittura il valore di piena prova fino a querela di falso, secondo quanto dispone l'art. 2702 c.c., della sola provenienza della stessa da chi ne appare come sottoscrittore e non anche della veridicità delle dichiarazioni in essa rappresentate, sicché il contenuto di queste ultime può essere contestato dal sottoscrittore con ogni mezzo di prova, entro i limiti di ammissibilità propri di ciascuno di essi») è in sé astrattamente corretta ma risulta non pertinente ai fini della questione che si trattava di risolvere, che non poneva un problema di «veridicità» (intrinseca) della dichiarazione già oggetto di positivo giudizio di verificazione ma, ben diversamente, di «genuinità» (estrinseca) della sua espressione formale.
7. Occorre, invero, tener ferma sul piano concettuale la distinzione tra: a) autenticità della sottoscrizione; b) genuinità della dichiarazione cui la sottoscrizione è rifeR.; c) veridicità della dichiarazione medesima.
I primi due concetti attengono alla «verità del documento» e riguardano il suo contenuto estrinseco o, in altre parole, il suo contenuto nell’esteriore supporto materiale e nella sua espressione grafica.
L’autenticità attiene più precisamente alla sottoscrizione, quale elemento attraverso il quale il sottoscrittore attribuisce a se stesso la paternità della dichiarazione; riconosciuta l’autenticità è per ciò stesso riconosciuta la provenienza della anteposta dichiarazione dal soggetto che ne appare, appunto, come sottoscrittore.
La genuinità attiene invece più specificamente al documento ed al testo della dichiarazione ed è la qualità che ad esso si attribuisce in quanto esente da contraffazioni o alterazioni: le prime consistendo nella formazione ex novo di un documento, in modo tale che esso appaia formato da persona diversa da colui che ne è stato l’autore, o in data o in luogo diverso da quello vero; le seconde consistendo invece nella modificazione delle risultanze del documento compiuta successivamente alla sua formazione.
Veridicità della dichiarazione è, infine, ancora diversa qualificazione riferibile al contenuto intrinseco della dichiarazione medesima; presuppone la «verità del documento» nei sensi detti e riguarda l'insieme delle affermazioni o dichiarazioni manifestate in forma scritta, ovvero il significato di quelle affermazioni, non il significante, che è il mezzo attraverso cui esse sono manifestate.
Qualifica tale contenuto intrinseco come attendibile, ossia come credibilmente corrispondente alla realtà dei dati e dei fatti che essa afferma.
8. Per restare sul piano delle puntualizzazioni lessicali, va ora detto che, per converso, il concetto di falsità del documento può investire tanto il documento nella sua materialità estrinseca, quanto il contenuto intrinseco del documento: nel primo caso si ha falsità materiale; nel secondo caso si parla invece di falso ideologico, che consiste in un'enunciazione falsa nel suo contenuto.
9. La querela di falso si correla all’una e all’altra ipotesi solo in quanto sia necessario vincere l’efficacia probatoria privilegiata attribuita per legge, in presenza di determinate condizioni, alla verità del documento e alla veridicità del suo contenuto.
Occorre, infatti, tener presente che la principale caratteristica della querela di falso, e segnatamente di quella proposta in via incidentale, è quella di essere l'unico strumento a disposizione della parte per contestare che al documento, contro di essa prodotto in giudizio, debba riconoscersi la particolare efficacia di prova legale di cui agli artt. 2700 e 2702 cod. civ.. Il che significa anche che essa investe — e si rende necessaria in quanto si tratti di investire — l'efficacia probatoria dell'atto pubblico o della scrittura privata (riconosciuta o non disconosciuta) «nei rispettivi limiti di operatività» (Cass. n. 47 del 11/01/1988).
Ben, dunque, si comprende che un problema di falso ideologico, da far valere necessariamente attraverso querela di falso, potrà porsi solo nel caso dell’atto rogato dal notaio o da pubblico ufficiale e solo nei limiti nei quali a questo è attribuito valore di piena prova (fino, appunto, a querela di falso: art. 2700 cod. civ.) e dunque — oltre che con riferimento alla provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato — anche quanto alle «dichiarazioni delle parti» e agli «altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti». Il falso ideologico riguarderà in tal caso la difformità di ciò che il pubblico ufficiale attesta da ciò che è realmente avvenuto in sua presenza.
Le ipotesi di falso ideologico in scrittura privata sono invece del tutto estranee alla falsità documentale che è oggetto della querela di falso, concretandosi in un problema di natura sostanziale concernente la dichiarazione: poiché la scrittura privata non è destinata a far piena prova della veridicità delle dichiarazioni in essa contenute, queste non possiedono il carattere di vere e proprie attestazioni, e manca dunque il presupposto di base di una falsità ideologica (in giurisprudenza, nel senso che la scrittura privata è impugnabile con la querela di falso solo in caso di falsità materiale, v. Cass. n. 12707 del 14/05/2019; n. 47 del 1988, cit.; n. 3667 del 13/04/1987; n. 3042 del 04/05/1983; n. 2857 del 18/05/1979; n. 534 del 06/02/1978).
10. Nel caso, dunque, della scrittura privata riconosciuta, o non disconosciuta, la querela di falso è (l’unico) rimedio volto (e idoneo) ad escludere la verità della dichiarazione nel suo aspetto esteriore; ad escludere cioè che la sua apparenza corrisponda alla sua reale consistenza e ciò sia con riferimento alla sottoscrizione sia con riferimento al testo stesso della dichiarazione, in entrambi i casi per escluderne, in tutto o in parte, l’attribuibilità al suo apparente autore.
Deve invece escludersi l'ammissibilità (e l'onere) della querela di falso per contestare la veridicità intrinseca delle dichiarazioni rese dalle parti (v. in tal senso Cass. n. 3776 del 1987, cit., cui adde Cass n. 2284 del 19/03/1996; n. 2483 del 09/04/1986; n. 1224 del 19/02/1980) ovvero un mero errore materiale che non incide sul contenuto sostanziale del documento (Cass. n. 19626 del 18/09/2020; n. 8925 del 02/07/2001; n. 6375 del 25/11/1982) o per denunziare una violazione fiscale (Cass. n. 5515 del 27/10/1984), fatti tutti suscettibili di essere accertati con gli ordinari mezzi di prova.
11. Nel caso in esame si tratta di quietanza di pagamento la cui «autenticità» è stata accertata all’esito di giudizio di verificazione incidentale.
L’accertamento dell’autenticità riguarda, come detto, la sottoscrizione: esso vale a confermare, con forza di prova legale, la verità della sua grafia e quindi la provenienza dal suo apparente autore.
12. Tale attestazione non è certo isolabile dalla dichiarazione cui essa afferisce ma produce anzi l’effetto di cui all’art. 2702 cod. civ. (a mente del quale, giova ricordare, «la scrittura privata fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta»).
A fronte di tale chiaro dato normativo non è corretto sostenere che la non riferibilità della dichiarazione sottoscritta, in quanto in tesi alterata nel suo supporto materiale e/o nella sua espressione grafica, possa essere provata da chi ne ha interesse in altro modo che non sia la querela di falso.
Dal collegamento, infatti, tra l’art. 2702 cod. civ. e l’art. 221 cod. proc. civ. si desume che la querela di falso è l’unico rimedio previsto dall’ordinamento per contestare la verità esteriore del documento, sia sotto il profilo della sua autenticità (ove già tacitamente o giudizialmente riconosciuta), sia sotto quello della sua genuinità.
13. È bensì vero che, una volta acquisita (perché non contestata o perché confermata dall’esito negativo della espeR. querela di falso), la «verità del documento», nel duplice senso che si è detto, non esclude che il valore intrinseco della dichiarazione in esso contenuta possa essere contestato con i mezzi consentiti dalla natura della dichiarazione medesima.
A tal riguardo varrà incidentalmente rammentare che, come affermato da Cass. Sez. U. 22/09/2014, n. 19888, la quietanza, pur non essendo del tutto identificabile con la confessione stragiudiziale in quanto corrispondente ad un atto dovuto espressione di un diritto del solvens ed essendo sottoposta ad un regime speciale quanto all'accertamento della data (art. 2704, comma terzo, cod. civ.), è tuttavia soggetta in via analogica agli artt. 2732 e 2735 cod. civ. in quanto asseverazione di un fatto a sé sfavorevole e favorevole al solvens (v. in tal senso, da ultimo, Cass. 22/01/2019, n. 1572).
14. Nel caso di specie, però, le contestazioni si muovono evidentemente su di un piano totalmente diverso: quello, appunto, logicamente anteposto, della verità materiale del documento, suscettibile di essere contestata solo per il tramite di querela di falso.
15. Sulla scorta di tali considerazioni mette conto tornare sul principio affermato nella sentenza impugnata (v. supra «Ragioni della decisione», § 6) per evidenziarne ulteriormente l’eccentricità rispetto alla fattispecie in esame, anche alla luce del precedente che a torto viene al riguardo evocato (Cass. n. 13321 del 2015).
L’arresto del 2015 riguardava infatti un caso in cui, per contestare la verità di un documento recante riconoscimento di debito, era stata proposta querela di falso ed il relativo giudizio si era concluso, nei gradi di merito, con l’affermazione della falsità della dichiarazione.
La questione posta al vaglio della Suprema Corte riguardava la possibilità di porre a fondamento del giudizio di falso (ossia proprio del giudizio da compiere ai sensi dell’art. 225 cod. proc. civ. a seguito di rituale proposizione di querela di falso) la prova per testimoni e quella presuntiva.
A tale quesito è stata data risposta affermativa, evidenziandosi che nel giudizio di falso non vi è alcuna limitazione dei mezzi istruttori.
A supporto di tale condivisibile valutazione la S.C. ha richiamato il principio suddetto, citandone a sua volta la fonte nel precedente di Cass. n. 11674 del 2008; tale principio era però, nel caso deciso dall’arresto del 2015, in realtà inconferente dal momento che, come detto, si trattava di ipotesi in cui la querela di falso era stata proposta e non era dunque in discussione se questa fosse oppure no necessaria per dimostrare la falsità (materiale) di una scrittura privata recante sottoscrizione riconosciuta o tale considerata.
16. Quanto poi al detto precedente di Cass. n. 11674 del 2008, che a sua volta richiamava il conforme arresto di Cass. n. 5958 del 1996, va rilevato che entrambi negarono bensì la necessità della querela in ipotesi in cui si verteva: nel primo caso, sulla efficacia probatoria attribuibile ad una copia di contratto di agenzia recante, a differenza di quella prodotta dalla controparte, espressa esclusione di esclusività del rapporto; nel secondo caso, di una quietanza di pagamento di parte del prezzo pattuito in un preliminare di compravendita. Ebbene in entrambi i casi tale efficacia probatoria è stata negata dalla S.C. pur in assenza di querela di falso, la cui necessità è stata esclusa sulla scorta del detto principio.
Al di là della condivisibilità o meno di tale decisione, ai fini che qui interessano importa rilevare che il principio di diritto della libertà della prova sulla verità della dichiarazione è in entrambi i casi affermato non tanto per dire che quelle dichiarazioni non fossero riferibili a chi le aveva sottoscritte (nulla in tal senso si trae invero dalle motivazioni), quanto per giustificare valutazioni sulla «veridicità» intrinseca della dichiarazione, che — come detto — è cosa diversa.
17. Deve in conclusione ribadirsi che l'efficacia probatoria del documento legalmente riconosciuto (nella specie per l’esperimento positivo del giudizio di verificazione), ove se ne deduca la falsità materiale, può essere disattesa solo per il tramite della proposizione di querela di falso (artt. 221 c.p.c. e segg.): querela proponibile in qualunque stato e grado del giudizio, con le modalità e nelle forme di cui al secondo ed al terzo comma dell'art. 221 c.p.c. (cfr., sul tema, Cass. 30/04/2005, n. 9024; 29/01/2021, n. 2152). In tali ipotesi, invero, l'esperimento della querela di falso resta indispensabile per escludere la genuinità della dichiarazione e per rompere il collegamento, quanto alla provenienza, tra dichiarazione e sottoscrizione (cfr. Cass. n. 6534 del 2013, cit., con richiamo a Cass. n. 5383 del 1999 ed a Cass. n. 18664 del 2012; cui adde da ultimo, nello stesso senso, Cass. 25/10/2021, n. 29912; 03/11/2021, n. 31243; 05/11/2021, n. 32061).
18. La sentenza impugnata ha fatto applicazione di una opposta regola di giudizio e deve quindi ritenersi errata in diritto.
Il giudice del gravame ha infatti ritenuto di valorizzare elementi di valutazione che escludevano, in base ad un ragionamento inferenziale, che la cifra cui si riferiva la quietanza potesse essere realmente quella indicata nell'atto, trascurando la fondamentale circostanza che in tal modo l’oggetto della propria indagine era dato da una ipotizzata falsificazione materiale (alterazione), perpetrata asseR.mente con l'aggiunta - ad una scrittura già completa - di un falso contenuto, per espresso e univoco dettato normativo accertabile solo nell’ambito di un giudizio di falso.
19. Né potrebbe obiettarsi che ciò che veniva dedotto era l’abusivo riempimento contra pacta di foglio firmato in bianco, concretando questo la ben diversa ipotesi nella quale non si nega in realtà la provenienza della dichiarazione dal sottoscrittore (e non si verte dunque in ipotesi di accertanda falsità materiale del documento), ma si deduce solo la non corrispondenza fra ciò che risulta dichiarato e ciò che era stato pattuito di dichiarare (v. ex multis Cass. 17/01/2018, n. 899).
20. In base agli esposti principi deve, pertanto, ritenersi che i locatori avrebbero dovuto proporre querela di falso.
Nella specie non è stata assunta dagli interessati alcuna iniziativa del genere, sicché la corte di merito ha nella sostanza accertato incidentalmente e d'ufficio la falsità (materiale) della quietanza, al di fuori delle rigorose procedure di legge.
21. Per tal motivo, il ricorso va accolto — restando assorbito, come detto, l’esame degli altri motivi — e la sentenza deve essere cassata, con conseguente rinvio della causa davanti al giudice a quo, che dovrà uniformarsi ai principi richiamati nel procedere a nuovo esame.
Allo stesso giudice va demandata la determinazione delle spese anche del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbiti i rimanenti; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia, comunque in diversa composizione, cui demanda anche il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.