Secondo i Giudici di merito, però, la capacità dell'imputato era stata accertata in un precedente processo sulla...
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Torino confermava la sentenza con cui il tribunale di Asti, in data 26.9.2017, aveva condannato C. R. alla pena ritenuta di giustizia e al risarcimento dei danni derivanti dal reato in favore della costituita parte civile, in relazione ai reati di cui agli artt. 614, c.p., in forma aggravata, così riqualificata l'originaria imputazione ex art. 610, c.p.; 582, 61, n. 11) quinquies, c.p.; 612 bis, co. 1 e 2, c.p., commessi in danno della sua ex convivente, B. G..
2. Avverso la sentenza del tribunale, di cui chiede l'annullamento, ha proposto ricorso per cassazione il C., lamentando violazione di legge, con riferimento agli artt. 178, co. 1, lett. c), 187 e 238, c.p.p., e mancata assunzione di una prova decisiva, in relazione all'art. 70, c.p.p., in ordine, da un lato, al mancato accoglimento della richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, volta a ottenere l'espletamento di una perizia al fine di accertare la capacità d'intendere e di volere del prevenuto nel momento di commissione dei reati, dall'altro, all'acquisizione della perizia disposta nel corso del dibattimento svoltosi innanzi al tribunale di Alba, conclusosi con sentenza emessa il 10.5.2013, con cui venne affermata la responsabilità penale del C. per il reato di cui all'art. 572, c.p., commesso sempre in danno della B..
2.1. Con requisitoria scritta del 13.1.2022, depositata sulla base della previsione dell'art. 23, co. 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, che consente la trattazione orale in udienza pubblica solo dei ricorsi per i quali tale modalità di celebrazione è stata specificamente richiesta da una delle parti, il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
3. Il ricorso va rigettato per le seguenti ragioni.
4. Si discute della capacità d'intendere e di volere dell'imputato al momento della commissione dei reati per cui si procede nei suoi confronti.
Tema già prospettato al giudice di appello, che lo risolveva in senso negativo per la difesa, sulla base di un percorso motivazionale affatto manifestamente illogico o contraddittorio, incentrato su due argomenti decisivi, tali da integrarsi reciprocamente.
Sulla base della relazione peritale in cui sono stati consacrati gli esiti del relativo incarico conferito in sede dibattimentale dal tribunale di Asti, che, con sentenza del 10.5.20131, aveva affermato la responsabilità penale dell'imputato per il delitto di cui all'art. 572, c.p., commesso in danno della B., si è, infatti, accertata la mancanza di "oggettivi elementi patologici o disfunzionali tali da fare ritenere scemata o esclusa al momento dei fatti la capacità di intendere e di volere dell'imputato".
Tali conclusioni, elaborate nel febbraio del 2013, evidenzia la corte territoriale con logico argomentare, spiegano i loro effetti anche con riferimento alle altre condotte penalmente rilevanti oggetto del presente procedimento, in quanto in parte coeve (gli atti persecutori vengono collocati a far data dal 2012, sino al mese di gennaio 2016), in parte successive a tale data (agosto 2014 per le residue imputazioni), come si evince dalle contestazioni di cui ai capi a); b) e c).
In questa prospettiva. le diverse condotte poste in essere nel tempo dal C. in danno della B., pur integrando la violazione di diverse norme penali, assumono, per sistematicità e continuità, una dimensione unitaria, che consente di estendere a ciascuna di esse la valutazione positiva in ordine alla capacità di intendere dell'imputato espressa dal perito nell'ambito del richiamato procedimento sorto a carico del ricorrente per il delitto di cui all'art. 572, c.p.
Ciò, anche in ragione del fatto che, come sottolinea la corte territoriale, al tempo stesso la documentazione prodotta dalla difesa a sostegno della propria tesi, non fornisce elementi significativi, in quanto essa risulta "risalente nel tempo e non riferibile all'epoca di consumazione dei fatti oggetto delle imputazioni", non risultando indicate nel gravame "specifiche patologie o alterazioni psichiche in atto nel periodo in considerazione", posto che la difesa si è limitata a "sollevare dubbi in ordine alla sussistenza di tali elementi, senza offrire elementi oggettivi in grado di sostenere le ipotizzate asserzioni" (cfr. pp. 6-8 della sentenza oggetto di ricorso).
4.1 Orbene, nessun dubbio è lecito coltivare sulla utilizzabilità della indicata relazione peritale.
Come evidenziato da un condivisibile arresto della giurisprudenza della Suprema Corte, invero, sono legittimamente utilizzabili in giudizio gli elaborati peritali formati in altro procedimento penale, trattandosi di mezzo di prova sottratto al divieto di cui all'art. 238, comma secondo bis, c.p.p., concernente i verbali di dichiarazioni di prove di altro procedimento penale ai quali non può essere ricondotta la perizia (cfr. Cass., Sez. 5, n. 7615 del 20/09/2016, Rv. 269474).
Vero è che più recentemente nella giurisprudenza di legittimità è emersa un'opzione diversa, essendosi affermato che sono inutilizzabili le dichiarazioni rese dal perito in altro dibattimento, unitamente alla relazione ivi acquisita, se il difensore dell'imputato nel procedimento "ad quem" non ha partecipato alla loro assunzione (cfr. Cass., Sez. 6, n. 41766 del 13/06/2017, Rv. 271095, nonché, sostanzialmente nello stesso senso, Cass., Sez. 6, n. 2696 del 06/12/2017, Rv. 272132).
Tuttavia, ritiene il Collegio che, ove anche si volesse considerare la relazione peritale riconducibile alla categoria dei "verbali di prove di altro procedimento penale" di cui all'art. 238, c.p.p., l'utilizzabilità dei risultati di una perizia disposta in un altro dibattimento debba ritenersi condizionata unicamente alla circostanza che l'imputato in tale dibattimento sia stato assistito da un difensore, che abbia partecipato all'assunzione del mezzo di prova di cui si discute, secondo la regola prevista dall'art. 238, comma secondo bis, c.p.p.
Non è invece necessario che il difensore che ha preso parte al processo "a quo", in cui sia stata espletata la perizia, sia lo stesso difensore, inteso come persona fisica, presente nel processo "ad quem", in cui i risultati della perizia vengono utilizzati, perché la menzionata disposizione normativa consente l'utilizzazione contro l'imputato dei verbali di prove assunte in altro procedimento penale, solo a condizione che "il suo difensore" abbia partecipato all'assunzione della prova, non richiedendo una coincidenza nella stessa persona fisica dei difensori dell'imputato nei due distinti procedimenti, quello "a quo" e quello "ad quem".
Ciò appare conforme alla ratio della norma che, per l'appunto, mira a impedire l'utilizzazione nei confronti dell'imputato di prove assunte a suo carico in un procedimento nel quale egli non è stato messo in condizione di esercitare il suo diritto di difesa tecnica.
Circostanza non verificatasi nel caso in esame, posto che, come si evince dalla sentenza pronunciata dal tribunale di Alba nei confronti del C. in data 10.5.2013, versata in atti, quest'ultimo, nel corso del dibattimento in cui era stata disposta perizia psichiatrica, "che dava esito positivo in ordine alla sua piena capacità di intendere e di volere al momento del fatto e alla possibilità di partecipare coscientemente al processo", era assistito da un difensore di fiducia, nella persona dell'avv. S. G. del Foro di Alba.
4.2. Nel resto i rilievi difensivi non colgono nel segno, apparendo, anzi, inammissibili. Al riguardo si osserva che, secondo il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, da un lato, spetta al giudice di appello procedere, anche d'ufficio, all'accertamento della capacità di intendere e di volere dell'imputato, allorquando ci siano elementi per dubitare dell'imputabilità (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 3, n. 25434 del 22/09/2015, Rv. 267450); dall'altro, in tema di capacità dell'imputato a stare in giudizio, il giudice alla luce di un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'espressione "se occorre", contenuta nella previsione dell'art. 70, comma 1, c.p.p., può non procedere ad approfondimento specialistico se si convinca autonomamente dello stato di incapacità, mentre a fronte di un "fumus" di incapacità non può negare l'indagine peritale senza rendere idonea e convincente motivazione (cfr., Cass., Sez. 2 n. 33098 del 19/04/2019, Rv. 276983).
Orbene, nel caso in esame, come si è visto, la corte territoriale ha esplicitato, con motivazione immune da vizi, per quale ragione non vi siano elementi per dubitare della imputabilità del C. al momento della commissione dei fatti. Sotto questo punto di vista le censure difensive, incentrate sulla mancanza di una congrua considerazione da parte della corte territoriale del contenuto della documentazione medica prodotta (risalente al 15.10.2008 e al 7.12.2012), che, ad avviso del ricorrente, autorizza un'ipotesi di progressivo peggioramento della condizioni di salute psichica dell'imputato, e sulla mancanza di una valutazione in termini di attualità, rispetto alla valutazione operata nella perizia acquisita, si presentano come rilievi di natura meramente fattuale e reiterativi delle doglianze già disattese dal giudice di appello, come tali non scrutinabili in questa sede di legittimità (cfr., ex pLurimis, Cass., Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Rv. 277710).
Peraltro proprio il richiamo alla necessità di procedere a un nuovo accertamento della capacità di intendere e di volere dell'imputato all'epoca dei fatti, rispetto al periodo di commissione dei reati per cui si procede, contiene un evidente limite intrinseco, posto che la difesa non ha rappresentato, come si è detto, nessun ulteriore elemento concreto, idoneo a mettere in discussione, sia pure problematicamente, il quadro delineato dal perito, che ha consentito di superare i dubbi sulla imputabilità del C., fondati sulla pregressa documentazione sanitaria.
5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell'art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
Va, infine, disposta l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento, ai sensi dell'art. 52, CO. 5, d. lgs. 30/06/2003 n. 196.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52, d. lgs. 196/2003, in quanto imposto dalla legge.