Sbaglia la Corte d'Appello ad escludere la natura comune della soffitta e del cortile circostante all'edificio sulla base di una mera valutazione dello stato dei luoghi e delle risultanze catastali.
Parte attrice chiedeva al Tribunale di Fermo l'accertamento della proprietà condominiale di una soffitta e di un cortile a servizio dell'immobile con conseguente condanna del convenuto ad eliminare una porta aperta dal medesimo abusivamente sul vano scala condominiale. Il convenuto resisteva eccependo la proprietà esclusiva della soffitta. ...
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 2.4.2014 D. G. evocava in giudizio A. P. innanzi il Tribunale di Fermo, invocando l’accertamento della proprietà condominiale di una soffitta e di un cortile a servizio dell’immobile sito in (omissis), via (omissis) e la condanna del convenuto ad eliminare una porta dal medesimo aperta abusivamente sul vano scala condominiale.
Nella resistenza dell’A., che eccepiva la proprietà esclusiva della soffitta, il Tribunale, con sentenza n. 1033/2015, rigettava la domanda.
Interponeva appello avverso detta decisione il D. e la Corte di Appello di Ancona, con la sentenza impugnata, n. 86/2021, rigettava il gravame, confermando la decisione di prima istanza.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione D. G., affidandosi a quattro motivi.
Resiste con controricorso A. P..
Ambo le parti hanno depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.
Motivi della decisione
Il Relatore ha avanzato la seguente proposta ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.: “PROPOSTA DI DEFINIZIONE EX ART. 380-BIS COD. PROC. CIV.
ACCOGLIMENTO del primo e secondo motivo di ricorso, con ASSORBIMENTO del terzo e quarto motivo.
Con atto di citazione notificato il 2.4.2014 D. G. evocava in giudizio A. P. innanzi il Tribunale di Fermo per sentir accertare la proprietà comune di una soffitta e del cortile dell’edificio condominiale nel quale era collocata la proprietà dell’attore e per sentir condannare il convenuto ad eliminare la porta sul vano scale, realizzata dal convenuto al piano terreno dell’edificio per accedere alla sua proprietà. Nella resistenza del convenuto, il Tribunale, con sentenza n. 1033/2015, rigettava la domanda.
Interponeva appello avverso detta decisione il D. e la Corte di Appello di Ancona, con la sentenza impugnata, n. 86/2021, resa nella resistenza dell’appellato, rigettava il gravame.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione D. G., affidandosi a quattro motivi.
A. P., intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente escluso la natura comune della soffitta oggetto di causa, non già sulla scorta di un titolo idoneo a superare la presunzione legale, bensì in base ad una valutazione dello stato dei luoghi e sulla scorta delle risultanze catastali.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe, del pari, erroneamente escluso la natura comune del cortile circostante l’edificio, sempre in assenza di titolo idoneo a superare la presunzione legale.
Le due censure, che meritano un esame congiunto, sono fondate.
L’art. 1117 c.c., che contiene una elencazione non tassativa di beni assoggettati alla presunzione di condominialità (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17993 del 02/08/2010, Rv. 614186; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4787 del 28/02/2007, Rv. 598325), tra i quali rientrano i cortili (primo comma, n. 1) e “la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune” (primo comma, n. 2). Per vincere tale presunzione di condominialità, non è sufficiente la mera situazione di fatto, ma occorre l’allegazione di un titolo contrario (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3409 del 22/03/2000, Rv. 534988); ovvero, occorre la prova che si tratti di un bene dotato di propria autonomia ed indipendenza e pertanto non legato da una destinazione di servizio rispetto all'edificio condominiale, in quanto, non avendo la presunzione di cui all’art. 1117 c.c. natura assoluta, essa rimane vinta dalla destinazione particolare così come dall’esistenza di un titolo contrario (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10700 del 07/07/2003, Rv. 564876).
Ne consegue che l’indagine che il giudice di merito avrebbe dovuto condurre era, rispettivamente:
1) quanto alla soffitta, la verifica della sua idoneità all’uso comune, alla luce delle sue caratteristiche strutturali e funzionali (art. 1117, primo comma, n. 2, c.c.); nonché, in caso affermativo, l’ulteriore verifica dell’esistenza di un titolo idoneo a vincere la presunzione di condominialità;
2) quanto al cortile, l’esistenza del titolo idoneo a vincere la predetta presunzione.
Infatti “La presunzione legale di condominialità stabilita per i beni elencati nell'art. 1117 cod. civ. ,la cui elencazione non è tassativa, deriva sia dall'attitudine oggettiva del bene al godimento comune sia dalla concreta destinazione di esso al servizio comune, con la conseguenza che, per vincere tale presunzione, il soggetto che ne rivendichi la proprietà esclusiva ha l'onere di fornire la prova di tale diritto; a tal fine, è necessario un titolo d'acquisto dal quale si desumano elementi tali da escludere in maniera inequivocabile la comunione del bene, mentre non sono determinanti le risultanze del regolamento di condominio, né l'inclusione del bene nelle tabelle millesimali come proprietà esclusiva di un singolo condomino” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5633 del 18/04/2002, Rv. 553833).
Per quanto poi attiene specificamente ai cortili, va considerato l’ulteriore principio secondo cui esso “… salvo titolo contrario, ricade nella presunzione di condominialità ai sensi dell'art. 1117 c.c., essendo destinato prevalentemente a dare aria e luce allo stabile comune, senza che la presunzione possa essere vinta dalla circostanza che ad esso si acceda solo dalla proprietà esclusiva di un condomino, in quanto l'utilità particolare che deriva da tale fatto non incide sulla destinazione tipica del bene e sullo specifico nesso di accessorietà del cortile rispetto all'edificio condominiale” (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 23316 del 23/10/2020, Rv. 659381). Analogo criterio si applica in riferimento al cavedio (o chiostrina, vanella, pozzo luce), cortile di piccole dimensioni, circoscritto dai muri perimetrali e dalle fondamenta dell'edificio condominiale, che, essendo destinato prevalentemente a dare aria e luce a locali secondari, si ritiene sottoposto al medesimo regime giuridico del cortile vero e proprio (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17556 del 01/08/2014, Rv. 631830) e, più in generale, a “… qualsiasi area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica, che serva a dare luce e aria agli ambienti circostanti o sia destinata a spazi verdi, zone di rispetto, parcheggio di autovetture” (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 3852 del 17/02/2020, Rv. 657106).
Nel caso di specie il giudice di merito, anziché condurre l’indagine nei termini suindicati, ha escluso la natura comune dei beni di cui è causa sulla mera scorta delle risultanze catastali e dello stato dei luoghi, omettendo, quindi, tanto di indagare sulla effettiva idoneità della soffitta ad assolvere all’uso comune, quanto sull’esistenza di un titolo contrario, sia per la soffitta che per il cortile, o spazio esterno assimilabile.
Ne consegue l’accoglimento delle prime due censure, che comporta l’assorbimento delle altre due, con le quali il ricorrente lamenta, rispettivamente, la violazione degli artt. 1117, 1062 c.c. e 112 c.p.c., poiché la Corte di Appello avrebbe comunque dovuto riconoscergli un diritto di passaggio sul cortile (terzo motivo) e degli artt. 1120 c.c., 100 e 112 c.p.c., nella misura in cui il giudice di seconde cure non ha considerato la porta aperta dall’A. sul vano scale come una innovazione, ai sensi dell’art. 1120 c.c. (quarto motivo)”.
Il Collegio osserva che l’A. si è ritualmente costituito nel presente giudizio di legittimità mediante tempestiva notificazione e deposito di controricorso.
Con detto atto, il controricorrente ha in primo luogo eccepito l’inammissibilità del ricorso perché il ricorrente avrebbe invocato un riesame del merito, nonostante la sussistenza di una ipotesi di cd. “doppia conforme”. A parere del controricorrente, quanto precede sarebbe evidenziato dall’utilizzazione, nel ricorso, di una serie di termini che necessariamente sottointendono una rivalutazione del fatto (cfr. pagg. 4 e s. del controricorso).
Il rilievo non coglie nel segno, considerato che –al contrario di quanto ritenuto dall’A.– la parte ricorrente ha articolato, con i primi due motivi di ricorso, dei quali il Relatore ha proposto l’accoglimento, specifiche censure di diritto, avendo la Corte di Appello erroneamente escluso la natura comune della soffitta e del cortile oggetto di causa senza aver ravvisato l’esistenza di un titolo idoneo a superare la regola legale di attribuzione della proprietà condominiale di detti beni, contenuta nell’art. 1117 c.c.
Sul punto, occorre premettere che, secondo l’insegnamento di questa Corte, “In tema di condominio negli edifici, l'individuazione delle parti comuni, come le terrazze di copertura, risultante dall'art. 1117 cod. civ. –il quale non si limita a formulare una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i condomini, vincibile con qualsiasi prova contraria– può essere superata soltanto dalle opposte risultanze di un determinato titolo e non opera con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 7449 del 07/07/1993, Rv. 483033; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 24189 del 08/09/2021, Rv. 662169).
L’art. 1117 c.c., dunque, non introduce una presunzione di appartenenza comune di determinati beni a tutti i condomini, ma fissa un criterio di attribuzione della proprietà del bene, che è suscettibile di essere superato mediante la produzione di un titolo che dimostri la proprietà esclusiva di quel bene in capo ad un condomino, o a terzi, ovvero attraverso la dimostrazione che, per le sue caratteristiche strutturali, la res sia materialmente asservita a beneficio esclusivo di una o più unità immobiliari (cfr., sul punto, Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 13317 del 28/04/2022, non massimata).
In relazione ai cortili, in particolare, si è ritenuto che “I cortili (e, successivamente all'entrata in vigore della legge n. 220 del 2012, le aree destinate a parcheggio) rientrano, salvo una espressa riserva di proprietà nel titolo originario di costituzione del condominio, tra le parti comuni dell'edificio e la loro trasformazione in un'area edificabile destinata alla installazione, con stabili opere edilizie, di autorimesse a beneficio soltanto di alcuni condomini, sebbene possa incidere sulla regolamentazione del loro uso, non ne comporta, sotto il profilo dominicale, una sottrazione al regime della condominialità” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 16070 del 14/06/2019, Rv. 654086; nella specie, questa Corte aveva evidenziato come la realizzazione delle autorimesse nel cortile condominiale, sia pure in base ad una concessione rilasciata su richiesta di alcuni condomini, ne aveva determinato, in assenza di accordo rivestente la forma scritta, l'acquisto, per accessione e pro indiviso, in favore di tutti i condomini). Ed ancora, che “In tema di condominio, l'apertura di finestre ovvero la trasformazione di luci in vedute su un cortile comune rientra nei poteri spettanti ai singoli condomini ai sensi dell'art. 1102 c.c., considerato che i cortili comuni, assolvendo alla precipua finalità di dare aria e luce agli immobili circostanti, sono utilmente fruibili a tale scopo dai condomini stessi, cui spetta la facoltà di praticare aperture che consentano di ricevere, appunto, aria e luce dal cortile comune o di affacciarsi sullo stesso, senza incontrare le limitazioni prescritte, in materia di luci e vedute, a tutela dei proprietari degli immobili di proprietà esclusiva. In proposito, l'indagine del giudice di merito deve essere indirizzata a verificare esclusivamente se l'uso della cosa comune sia avvenuto nel rispetto dei limiti stabiliti dal citato art. 1102, e, quindi, se non ne sia stata alterata la destinazione e sia stato consentito agli altri condomini di farne parimenti uso secondo i loro diritti: una volta accertato che l'uso del bene comune sia risultato conforme a tali parametri deve, perciò, escludersi che si sia potuta configurare un'innovazione vietata” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13874 del 09/06/2010, Rv. 613241).
Fatta tale doverosa precisazione in relazione al corretto inquadramento della fattispecie normativa di cui all’art. 1117 c.c., il Collegio osserva che lo stesso controricorrente, nel contestare la fondatezza dei predetti primi due motivi di ricorso, richiama il decisivo passaggio della sentenza impugnata, con il quale la Corte di Appello rileva l’assenza di “… alcun riferimento esplicito …” nei titoli di provenienza “… nè alla soffitta e nè all’area circostanza l’edificio” (cfr. pag. 8 del controricorso). In tal modo, il controricorrente conferma che il giudice di merito è pervenuto all’esclusione della proprietà comune dei detti beni senza aver ravvisato l’esistenza di un titolo contrario, idoneo a vincere il criterio legale di cui al già richiamato art. 1117 c.c.
Quanto invece alle contestazioni mosse alla fondatezza del terzo e del quarto motivo di ricorso (cfr., rispettivamente, pag. 9 e pag. 10 del controricorso), esse sono evidentemente superate dall’assorbimento delle predette censure, che a sua volta è conseguenza dell’accoglimento dei primi due motivi.
La memoria depositata dalla parte ricorrente in prossimità dell’adunanza camerale non offre argomenti ulteriori rispetto ai motivi di ricorso.
La memoria depositata dalla parte controricorrente, invece, impone alcune precisazioni.
In primo luogo, va rigettata l’istanza di astensione del Relatore, in quanto la formulazione della proposta non implica alcuna anticipazione della decisione del ricorso, essendo la deliberazione riservata al Collegio.
Trova applicazione infatti il seguente principio: “in tema di ricusazione nell'ambito del procedimento di cassazione ex art. 380- bis c.p.c., non ricorre l'obbligo di astensione di cui all'art. 51, n. 4, c.p.c., in capo al giudice relatore autore della proposta di cui al primo comma della citata disposizione, in quanto detta proposta non riveste carattere decisorio, essendo destinata a fungere da prima interlocuzione fra il relatore e il presidente del collegio, senza che risulti in alcun modo menomata la possibilità per il collegio, all'esito del contraddittorio scritto con le parti e della discussione in camera di consiglio, di confermarla o modificarla” (cfr. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 7541 del 16/03/2019 Rv. 653507).
Nè rileva, al riguardo, il fatto che la proposta sia articolata e motivata, posto che ciò, lungi dal danneggiare la difesa del controricorrente, gli ha –al contrario– consentito la piena esplicazione del diritto di difesa, nel rispetto del particolare rito previsto e disciplinato dall’art. 380 bis c.p.c. Rito che, per inciso, non impone alcuna forma specifica per la redazione della proposta del Relatore, la quale (alla luce del primo comma della disposizione da ultimo richiamata) deve solo esplicitare i motivi della ravvisata sussistenza di “… un’ipotesi di inammissibilità, di manifesta infondatezza o di manifesta fondatezza del ricorso”. Il Collegio ritiene che nella fattispecie i predetti requisiti sussistano, anche alla luce della natura articolata e motivata della proposta ricevuta dalle parti.
La parte controricorrente prosegue poi affermando che il criterio di attribuzione della proprietà previsto dall’art. 1117 c.c. opererebbe soltanto nella sussistenza di alcuni presupposti di fatto, che nel caso di specie sarebbero stati esclusi dal giudice di merito (cfr. pagg. 3 e ss. della memoria in esame).
In realtà la Corte di Appello, dopo aver escluso l’esistenza nei titoli di proprietà di alcun riferimento ai beni controversi, non ha condotto alcuna valutazione in relazione alle loro caratteristiche strutturali, ma si è limitata ad affermare (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata) che la proprietà esclusiva sarebbe desumibile dal fatto che A. S., dante causa di entrambe le parti, “… nel disporre del proprio patrimonio faceva preciso riferimento al dato catastale per l’identificazione della consistenza immobiliare trasferita; proprio da tale consistenza immobiliare, ragionando a contrario, quindi esaminando la donazione a favore della figlia M., si può desumere la proprietà esclusiva della soffitta e dell’area circostante l’edificio (cfr. pag. 16 della perizia)”. Il giudice di merito, quindi, ha prima escluso la presenza, nei titoli, di un riferimento chiaro ai beni di cui è causa, e subito dopo ne ha ravvisato la proprietà esclusiva in capo all’A. proprio sulla scorta di una considerazione inerente al contenuto di detti titoli. L’insanabile contrasto tra le predette affermazioni, e l’assenza di qualsiasi indagine svolta, in concreto, sulle caratteristiche strutturali dei beni in contestazione, rende la motivazione della Corte distrettuale non idonea a sostenere la decisione adottata.
Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, la proposta del Relatore va condivisa, con accoglimento del primo e secondo motivo di ricorso e logico assorbimento degli altri. La sentenza impugnata va conseguentemente cassata, in relazione alle censure accolte, e la causa rinviata alla Corte di Appello di Ancona, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e secondo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa alla Corte di Appello di Ancona, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.