Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Latina, dopo aver pronunciato con sentenza non definitiva n. 1501/2013 la separazione personale dei coniugi F. D. e N. B., con sentenza definitiva n. 2731/2015 dispose l'affidamento condiviso del figlio minore S. ad entrambi i genitori, con collocamento prevalente presso la madre, determinando in Euro 600,00 mensili l'assegno dovuto dal padre a titolo di contributo per il suo mantenimento, oltre alla partecipazione nella misura del 50% alle spese straordinarie necessarie per il minore, ed in Euro 300,00 mensili quello dovuto dall'uomo per il mantenimento della donna.
2. L'impugnazione proposta dalla B. avverso la sentenza definitiva è stata parzialmente accolta dalla Corte d'appello di Roma, che con sentenza del 27 settembre 2017 ha rideterminato l'assegno mensile dovuto per il mantenimento del figlio in Euro 750,00 mensili, oltre alla partecipazione nella misura del 50% alle spese straordinarie necessarie per il minore.
Premesso che nella specie non era applicabile l'art. 348-bis cod. proc. civ., trattandosi di causa nella quale era obbligatorio l'intervento del Pubblico Ministero, ed esclusa la novità della domanda di pagamento del canone di locazione dell'immobile in cui l'appellante viveva con il figlio, in quanto volta ad ottenere il riconoscimento di un contributo in conseguenza dell'abbandono della casa familiare di proprietà della famiglia del coniuge, la Corte ha ritenuto di non poter porre il predetto canone direttamente a carico dell'appellato, rilevando comunque che quest'ultimo si era sempre dichiarato disponibile a provvedervi nella misura mensile di Euro 500,00, adeguata alle esigenze del minore e della madre. Ha aggiunto che, mentre la B. era titolare di uno stipendio netto di Euro 850,00/900,00 mensili, calcolato su dodici mensilità, il D. aveva una posizione economica ben più solida, essendo titolare di una partecipazione al 50% nonché amministratore di una società operante nel settore dell'impiantistica idraulica, con un volume di affari consistente ed in crescita, dalla quale percepiva un compenso di Euro 1.800,00 mensili; ri- levato inoltre che l'uomo viveva in un immobile di sua proprietà con una nuova compagna, dalla quale aveva avuto un altro figlio, ha precisato che il mantenimento di quest'ultimo non incideva significativamente sul suo red- dito, disponendo la donna di un proprio stipendio.
3. Avverso la predetta sentenza il D. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, illustrati anche con memoria. La B. ha resistito con controricorso, anch'esso illustrato con memoria.
Motivi della decisione
1. Preliminarmente, si dà atto, in conformità dell'istanza presentata dalla difesa del ricorrente il 17 novembre 2021, dell'ammissibilità della memoria dalla stessa depositata ai sensi dell'art. 380-bis.1 cod. proc. civ., la quale, pur essendo stata inserita nel fascicolo informatico soltanto in data 25 novembre 2021, e quindi successivamente all'adunanza in camera in consiglio, risulta tempestivamente trasmessa alla Cancelleria e da quest'ultima accettata, come si evince dalle ricevute del relativo messaggio di posta elettronica certificata, allegate alla predetta istanza e recanti la data del 3 novembre 2021.
2. Ai fini dell'ammissibilità del ricorso per cassazione, deve poi ritenersi irrilevante la circostanza, segnalata in memoria dalla difesa della controricorrente, che nelle more del presente giudizio sia stata proposta domanda di divorzio dinanzi al Tribunale di Cassino, il quale ha ripetutamente rigettato la richiesta di modificazione dell'assegno avanzata dal ricorrente, con ordinanze emesse dal Presidente del Tribunale il 13 febbraio 2019 e dal Giudice istruttore il 14 ottobre 2021.
La proposizione della domanda di divorzio non determina infatti automaticamente il venir meno dell'efficacia delle statuizioni di ordine economico contenute nella sentenza di separazione, le quali continuano a regolare i rapporti tra i coniugi fino al passaggio in giudicato della pronuncia di risoluzione del vincolo coniugale, a meno che non vengano modificate attraverso provvedimenti temporanei ed urgenti adottati nella fase presidenziale o istruttoria del giudizio di divorzio, che si sostituiscano a quelli adottati in sede di separazione (cfr. Cass., Sez. I, 15/02/2021, n. 3852; 23/10/2019, n. 27205).
3. Con il primo motivo d'impugnazione, il ricorrente denuncia l'omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che, nel valutare la sua situazione economica, ai fini della liquidazione dell'assegno di mantenimento, la sentenza impugnata ha fatto riferimento ai ricavi della società da lui gestita, anziché all'utile di esercizio, avendo omesso di detrarre i costi, risultanti dai bilanci e dalle dichiarazioni dei redditi prodotti in giudizio. Premesso che la società non ha mai distribuito utili, avendoli sempre reinvestiti nella propria attività, al fine di migliorarne l'efficienza attraverso la riduzione del ricorso al capitale di terzi, afferma che le sue disponibilità economiChe sono legate esclusivamente al suo inquadramento come dipendente, osservando inoltre che la B. è economicamente autosufficiente, e richiamando l'orientamento giurisprudenziale che ricollega a tale condizione l'esclusione del diritto all'assegno.
1.1. Il motivo è infondato.
Premesso che le doglianze proposte dal ricorrente sono riferibili unicamente alla determinazione del contributo da lui dovuto per il mantenimento del figlio, essendo rimasta incensurata la precisazione compiuta dalla Corte d'appello, secondo cui la sentenza di primo grado non era stata impugnata nella parte concernente la liquidazione dell'assegno dovuto per il mantenimento del coniuge, si osserva che, nella valutazione della situazione economica del D., la sentenza impugnata ha tenuto opportunamente distinto il reddito mensile da lui percepito in qualità di dipendente della società dagli introiti di quest'ultima, avendo dato atto dell'incremento del volume di affari della stessa esclusivamente al fine di evidenziare il positivo andamento della gestione sociale, destinato indubbiamente a tradursi in un aumento di valore della partecipazione detenuta dal ricorrente, e quindi in un accrescimento delle sue disponibilità patrimoniali, indipendentemente dalla mancata percezione di utili.
Non può quindi ritenersi violato il principio, più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità in tema di separazione personale dei coniugi, secondo cui la valutazione delle rispettive capacità economiche, ai fini del riconosci- mento e della determinazione dell'assegno di mantenimento, deve aver luogo sulla base del reddito netto e non già di quello lordo, dal momento che in costanza di matrimonio il nucleo familiare fa affidamento, per il proprio so- stentamento, sull'ammontare delle risorse immediatamente disponibili per la soddisfazione delle sue esigenze, detratti i costi sostenuti dai suoi componenti per l'acquisizione delle stesse e gli oneri fiscali (cfr. Cass., Sez. VI, 31/05/ 2018, n. 13954; Cass., Sez. I, 23/04/2010, n. 9719). Il reddito personale costituisce d'altronde soltanto uno degli elementi da prendere in considerazione nella valutazione delle condizioni economiche dell'obbligato ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento, dovendosi tenere conto anche del suo patrimonio mobiliare ed immobiliare, la cui consistenza e composizione contribuiscono a delineare il quadro delle risorse economiche da cui egli può complessivamente attingere per l'adempimento dei suoi doveri familiari: è stato infatti precisato che, ai fini della determinazione delle predette risorse, il giudice del merito non può limitarsi a prendere in considerazione soltanto il reddito personale emergente dalla documentazione fiscale prodotta in giudizio, ma deve tenere conto anche di altre circostanze, non indicate specificamente né determinabili a priori, ma individuabili in tutti quegli elementi fattuali di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito ed idonei ad incidere sul patrimonio e sugl'introiti delle parti, la cui valutazione, peraltro, non richiede necessariamente l'accertamento del- le rispettive disponibilità nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente una attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi (cfr. Cass., Sez. I, 20/01/2021, n. 975; 12/01/2017, n. 605; 11/ 07/2013, n. 17199).
Non risultano poi pertinenti la sottolineatura da parte del ricorrente della autosufficienza economica del coniuge ed il connesso richiamo all'orientamento giurisprudenziale sviluppatosi in riferimento all'assegno divorzile, che facendo leva sul principio di autoresponsabilità economica di ciascuno dei coniugi quali persone singole, ritenuto operante in conseguenza della risoluzione del vincolo coniugale, subordinava il riconoscimento del diritto all'assegno all'accertamento dell'indisponibilità da parte del richiedente di mezzi eco- nomici adeguati, da valutarsi in relazione non più ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, come affermato in precedenza dalla giurisprudenza di legittimità, ma all'indipendenza o autosufficienza eco- nomica dell'ex coniuge (cfr. Cass., Sez. I, 10/05/2017, n. 11504). Tale principio, peraltro superato dalla giurisprudenza più recente attraverso l'affermazione della natura non solo assistenziale, ma anche perequativo-compensativa dell'assegno, ritenuta conforme al principio costituzionale di solidarietà ed idonea a giustificare il riconoscimento di tale contributo sulla base di una valutazione dell'adeguatezza del livello reddituale del richiedente rapportata al contributo dallo stesso fornito alla conduzione della vita familiare ed alle aspettative professionali da lui sacrificate (cfr. Cass., Sez. Un., 11/07/2018,
n. 18287; Cass., Sez. I, 28/02/2020, n. 5603), si riferisce esclusivamente all'assegno divorzile, attenendo all'interpretazione dell'art. 5, sesto comma, della legge 1° dicembre 1970, n. 898: esso non trova pertanto applicazione in sede di separazione, soprattutto nel caso in cui, come nella specie, non si controverta in ordine al contributo dovuto da uno dei coniugi per il mantenimento dell'altro (oggetto comunque di un'autonoma disciplina da parte dello art. 156 cod. civ., che ne subordina il riconoscimento a presupposti diversi: cfr. Cass., Sez. I, 28/02/2020, n. 5605; 16/05/2017, n. 12196; Cass., Sez. VI, 24/06/2019, n. 16809), ma in ordine a quello dovuto da ciascuno dei genitori per il mantenimento dei figli nati dal matrimonio. Tale contributo è infatti disciplinato dall'art. 337-ter cod. civ., il quale, imponendo a ciascuno dei genitori di provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, secondo le modalità e nella misura stabilita dal giudice, salvo accordi liberamente sottoscritti dalle parti, richiede, oltre alla considerazione delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da lui goduto nel corso della convivenza, una valutazione comparata delle condizioni patrimoniali e reddituali di entrambi i genitori, nell'ambito della quale l'autosufficienza economica di uno di essi non costituisce una ragione di per sé sufficiente per esonerare l'altro dall'obbligo di contribuzione (cfr. Cass., Sez. VI, 16/09/ 2020, n. 19299; 1/03/2018, n. 4811; Cass., Sez. I, 10/07/2013, n. 17089).
2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce l'omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che, nel dare atto della sua convivenza con la nuova compagna, la sentenza impugnata non ha tenuto conto della documentazione prodotta, da cui emergeva che egli viveva da solo in un immobile messo a sua disposizione dalla madre. Afferma quindi di non poter contare su alcun contributo economico da parte della predetta donna, aggiungendo che la nascita del secondo figlio ha comunque inciso sulla situazione economica.
2.1. Il motivo è inammissibile.
La parte che in sede di legittimità intenda denunciare l'omesso esame di documenti dai quali risulti un fatto decisivo per il giudizio, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e sia stato trascurato dalla sentenza impugnata, è infatti tenuta, in ossequio al principio di specificità dell'impugnazione, a precisare in quale fase del giudizio di merito i documenti sono stati prodotti ed a riportarne il contenuto nel ricorso, al fine di consentire a questa Corte di vagliarne la decisività, nonché ad indicare gli argomenti, le deduzioni e le istanze proposti al riguardo, dovendosi altrimenti escludere che il giudice di merito avesse l'obbligo di esaminarli (cfr. Cass., Sez. I, 10/12/2020, n. 28184; 7/03/2018, n. 5478; Cass., Sez. V, 21/05/2019, n. 13625). Tale onere è rimasto nella specie inadempiuto, essendosi il ricorrente limitato a dolersi genericamente dell'omesso esame della «documentazione fiscale ed anagrafica allegata agli atti», astenendosi dall'indicare la sede in cui la stessa è stata prodotta e dallo specificarne la natura ed il contenuto, nonché dal riportare, a corredo della propria censura, le argomentazioni svolte sulla base dei documenti trascurati, delle quali fa valere la pretermissione da parte della sentenza impugnata.
In ogni caso, anche a voler ritenere che dalla predetta documentazione emergessero effettivamente le circostanze di fatto indicate nel ricorso e che le stesse fossero state effettivamente sottoposte al dibattito processuale, dovrebbe ugualmente escludersene l'idoneità ad orientare in senso diverso la decisione in ordine alla misura dell'assegno dovuto dal ricorrente per il mantenimento del figlio: la mera residenza del D. in un immobile messogli a disposizione dalla madre, anziché in uno di sua proprietà, risulta infatti ininfluente ai fini della valutazione delle sue condizioni economiche, non essendo stato dedotto che per l'utilizzazione dello stesso egli sia tenuto a corrispondere un canone; parimenti irrilevante deve ritenersi la mancata instaurazione di un rapporto di convivenza tra il ricorrente e la donna con cui ha intrapreso una nuova relazione, dal momento che la Corte d'appello ha fatto riferimento al reddito di quest'ultima quale fonte di sostentamento non già per il D., ma per il figlio che egli ha avuto dalla donna, desumendone un parziale sgravio del ricorrente dal relativo onere economico.
3. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.