Per il professionista, però, il Tribunale avrebbe dovuto...
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato in data 12/10/2015, il dottor C. I. presentò istanza di ammissione al passivo del fallimento Villa S. (di seguito V.) s.r.l. del credito privilegiato, ex art.2751 bis, n.2, cod.civ. di euro 2.918.240,00, vantato per l'attività di consulenza, marketing e strategia industriale, ed in generale di advisor, svolta in favore della società nel periodo compreso tra ottobre 2010 ed il 7 ottobre 2014.
Con separato ricorso, in pari data, I. propose ulteriore domanda di insinuazione e chiese l’ammissione, in via principale in prededuzione e in subordine in privilegio ex art.2751 bis, n.2, cod.civ., del credito di euro 2.410.085,60= derivante dall'attività di advisor finanziario svolta nell'ambito della procedura di concordato preventivo di V., che aveva preceduto il fallimento.
Entrambe le domande vennero respinte dal giudice delegato, per carenza di prova, con unico decreto, contro il quale I. propose opposizione ex art.98 legge fall. Il Tribunale, con decreto del 7 febbraio 2017, ha rigettato l’opposizione ed ha condannato l’opponente alla rifusione delle spese legali.
Quanto alla prima domanda di ammissione al passivo (credito di euro 2.918.240,00, vantato per lo svolgimento di prestazioni professionali nel periodo compreso tra ottobre 2010 ed il 7 ottobre 2014) il giudice del merito ha affermato che non erano stati provati «il mandato ricevuto dal professionista, l’attività svolta, i costi anticipati (doc. 18b). In particolare, pur dando atto che il contratto avente ad oggetto lo svolgimento di prestazioni professionali è a forma libera e non deve necessariamente risultare da atto scritto, ha evidenziato che l’opponente, eccetto che per l’incarico consulenziale del 30/12/2011 (compenso di euro 500.000,00= compreso nella maggior somma richiesta), non aveva dimostrato né che il rapporto professionale era intercorso con la società fallita, né l’effettivo svolgimento delle prestazioni da cui sarebbero maturati gli asseriti crediti. A tale conclusione è pervenuto, dopo aver ritenuto: 1) inammissibile la produzione di circa 12.000 e-mail, perché allegate in atti su supporto informatico ed effettuata irritualmente, omesse le forme di cui agli artt. 74 e 87 disp. att. cod.proc.civ.; 2) inammissibili le prove testimoniali dedotte in ricorso, perché valutative e generiche; 3) inopponibili «perché privi di data certa i documenti 9) e 10) (cd. lettera di riconoscimento del debito), peraltro generici nel contenuto quanto alla riconducibilità a V. s.r.l. di uno specifico mandato professionale conferito al dott. I.».
Ha, quindi, respinto la domanda relativa al vantato credito di euro 500.000,00=, di cui al contratto di mandato stipulato da I. in data 30/12/2011 con il legale rappresentante della società, perché «dal testo dell’accordo, la corresponsione del citato importo è stata pattuita subordinatamente al perfezionamento delle operazioni intraprese, trasformando così la tipica obbligazione di mezzi incombente sul prestatore d’opera intellettuale in una di risultato. Il ricorrente non ha provato né l’effettivo svolgimento delle prestazioni professionali, né la positiva conclusione delle operazioni trattate».
Quanto alla seconda domanda di ammissione al passivo (credito di euro 2.410.085,60, vantato in prededuzione per lo svolgimento delle prestazioni professionali di advisor finanziario al fine di ottenere l’ammissione di V. – poi fallita - alla procedura di concordato preventivo in garanzia, con il terzo assuntore Fondazione di Cultura Internazionale A. V.) il tribunale ha affermato che gli elementi probatori, valutati complessivamente, non erano sufficienti a dimostrare che I. avesse ricevuto dalla società in bonis l’incarico per il cui svolgimento aveva chiesto il riconoscimento del compenso.
Premesso che l’attività sarebbe consistita prevalentemente nella ricerca di affidamenti finanziari da parte di enti attivi nel settore, disposti a rilasciare garanzie a prima richiesta nei confronti della capogruppo Fondazione di Cultura Internazionale A. V., il giudice ha osservato che la lettera contenente il preteso riconoscimento di debito del 18/10/2015 (doc. 10), sottoscritta da C. F. D. e da A. V., era priva di data certa ex art.2704 cod.civ. e dunque inopponibile al Fallimento, a prescindere dalla possibilità di considerarla quale manifestazione della volontà della società fallita, atteso che i sottoscrittori ricoprivano la carica di legali rappresentanti di una pluralità di altre società del gruppo. Ha quindi escluso che la prova del conferimento dell’incarico professionale da parte della società in bonis potesse ricavarsi dall’ulteriore documentazione prodotta dall’opponente, posto che l’attività dalla stessa risultante (ove compiutamente dimostrata) appariva volta al reperimento di garanzie a favore del terzo assuntore del concordato Fondazione V.. Ha aggiunto che dalle relazioni del 24/5/2015 e dell’8/6/2015, nonché da quella ex art.161, terzo comma, l.fall. si desumeva unicamente che l’opponente aveva analizzato e verificato le delibere favorevoli al rilascio delle fideiussioni adottate dagli istituti finanziari, ma non anche che si fosse attivato per la ricerca e selezione degli istituti finanziari e per ottenere tali delibere.
I. ha proposto ricorso per la cassazione del decreto, affidato a tre mezzi e seguito da memoria. Il Fallimento ha replicato con controricorso.
Motivi della decisione
1.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art.2704 cod.civ. Il ricorrente si duole che il Tribunale, facendo errata applicazione dei principi fissati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n.4213/2013, abbia respinto l’opposizione per la ritenuta inopponibilità delle scritture prive di data certa anteriore al Fallimento da lui prodotte sub. nn. 3, 9 e 10 del fascicolo di parte.
Pur riconoscendo che il curatore è da considerare terzo rispetto al rapporto contrattuale intercorso tra la società fallita ed il creditore, il ricorrente rileva che, secondo le Sezioni Unite, l’elemento della data certa non integra un fatto costitutivo del credito, ma incide solo sulla opponibilità del documento al terzo, mentre la prova del negozio e della sua anteriore stipulazione può essere fornita con tutti gli altri mezzi consentiti, anche nei confronti dei terzi e del curatore, salve le limitazioni derivanti dalla natura e dall’oggetto del negozio stesso.
Ciò premesso, il ricorrente:
- quanto alla domanda di ammissione al passivo del credito di euro 2.410.085,60= (attività di advisor finanziario nell’ambito della procedura di concordato preventivo), lamenta che il Tribunale non abbia dedotto la data certa del mandato professionale conferitogli dalla relazione di attestazione ex art.161 l. fall., comprensiva del verbale di asseverazione notarile (doc.11), in cui si faceva espresso riferimento alla perizia sulle garanzie consortili e transazioni fiscali da lui predisposta, e dall’esame della memoria depositata nell’ambito del procedimento per concordato (doc.12), dove era trasfusa la sua intera relazione;
- quanto alla domanda di ammissione al passivo del credito di euro 2.918.240,00= in privilegio (attività di consulenza finanzia, etc.) si duole che il Tribunale non abbia tenuto conto che la prova del negozio giuridico intercorso con la società poi fallita e della anteriorità della sua stipula rispetto al fallimento potevano essere fornite, prescindendo dal documento probatorio, con tutti i mezzi consentiti, anche nei confronti del curatore e dei terzi, e che nella specie la prova era stata offerta attraverso la produzione delle notule professionali da lui emesse per l’attività svolta, inviate a mezzo raccomandata a.r. ricevuta il 22/10/2014 dalla società, unitamente agli ulteriori documenti liberamente valutabili e all’articolazione di capitoli testimoniali di cui era stata chiesta l’ammissione.
1.2. Il motivo è inammissibile perché privo di attinenza alla ratio decidendi.
Il tribunale ha respinto le domande di I. non perché fondate su documenti privi di data certa, né perché ha negato che la prova del credito potesse essere offerta con altri mezzi, ma perché ha ritenuto che detta prova non fosse stata, in concreto, fornita: ciò sia in relazione al credito di cui era stata chiesta l’ammissione in prededuzione - avendo il giudice escluso che i documenti prodotti dall’opponente (delibere societarie, attestazioni, lettera di riconoscimento del debito sottoscritta da F. D. e V.) valessero a dimostrare l’avvenuto conferimento dell’incarico di advisor da parte di V. in bonis e lo svolgimento dell’attività che ne costituiva oggetto - sia in relazione al credito preteso per prestazioni anteriori all’ammissione della fallita alla procedura di concordato preventivo, che è stato reputato in massima parte non sorretto da prove (stante l’inammissibilità di quelle, documentali e orali, offerte), e, per la residua parte (euro 500.000, pretesi in forza di un contratto di mandato sottoscritto inter partes il 30.12.2011) sottoposto a condizione di cui non risultava dimostrato l’avveramento. Gli unici documenti di cui il giudice ha affermato l’inopponibilità al Fallimento ai sensi dell’art. 2704 cod. civ. sono il doc. 9 (che nel motivo è meramente menzionato, senza che ne siano indicati il contenuto e la rilevanza) e il doc. 10 (la lettera di riconoscimento del debito), ma l’accertamento concernente la loro mancanza di data certa (peraltro aggiuntivo rispetto al rilievo della non riconducibilità alla V. delle sottoscrizioni ad essi apposte) non sono investiti da specifica doglianza.
2.1. Con il secondo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt.74 e 87 disp.att. cod.proc.civ., per aver il tribunale ritenuto inammissibile la prova costituita dal “Supporto USB contenente 12.000 e-mail inerenti attività dell’opponente” (prodotto sub doc. 16 del fascicolo di parte).
Il ricorrente contesta la statuizione deducendo che le comunicazioni e-mail – per loro natura dematerializzate - erano ordinate analiticamente, all’interno del supporto informatico, per argomento e codice elettronico, ciascuno inserito in una distinta e specifica cartella (sotto-indicizzata per ordine alfabetico) munita di denominazione descrittiva del contenuto; rammenta, inoltre, che il legislatore, sin dall’approvazione della legge n.59/1997, all’art.15, comma 2, ha equiparato il documento informatico al documento cartaceo, il quale, dunque, seppure sprovvisto di firma digitale, rientra nell’alveo delle prove liberamente valutabili; rileva ancora che il cancelliere aveva regolarmente vidimato l’elenco documenti (comprensivo di quello sub. 16) all’atto della ricezione del fascicolo; assume, infine, che il contenuto di tale documento era decisivo ai fini dell’esito della controversia.
2.2. Il motivo non merita accoglimento.
Quando la domanda si fonda su documenti, l’attore ha l'onere di indicare in modo specifico nell’atto introduttivo del giudizio (art.163, terzo comma, n.5, cod.proc.civ.) quelli che offre in comunicazione e, altresì, di inserirli nel fascicolo di parte e di elencarli nel relativo indice, che deve essere sottoscritto dal cancelliere ex art.74 disp. att. cod.proc.civ. e comunicato alle altre parti ex art.87 disp. att. cod.proc.civ.
Il ricorrente non ha assolto a tale onere, atteso che, come egli stesso ammette, l’indice del suo fascicolo di parte non faceva accenno alla documentazione di cui assume la valenza probatoria, costituita da un elevatissimo numero di e-mail, ma elencava fra le produzioni solo il supporto informatico in cui le mail sarebbero state riversate e di cui, unicamente, il cancelliere ha attestato il deposito (vidimando, per l’appunto, l’indice in cui lo si identificava come documento 16) :il fatto (per il vero indimostrato) che all’interno di tale supporto i files fossero stati organizzati in cartelle indicizzate è privo di rilevanza e non consente di superare le conclusioni del tribunale, che ha correttamente osservato come l’indice dovesse, piuttosto, contenere l’elenco dettagliato delle mail, delle quali l’opponente avrebbe anche dovuto illustrare la specifica rilevanza rispetto alla propria tesi difensiva.
Compito del giudice è infatti quello di decidere sulla base della documentazione prodotta, menzionata dalla parte negli atti difensivi a sostegno dei propri assunti ed ordinatamente contenuta nel fascicolo di parte dalla stessa formato, e non anche quello di “trovare” la documentazione che non si rinvenga sotto i numeri dell'indice che la indicano, per essere il fascicolo di parte disordinatamente tenuto e confusamente composto, o perché, come nel caso in esame, l’indice si limiti a rinviare indistintamente a tutti i documenti raccolti all’interno di un supporto informatico, senza esplicitare il contenuto e la rilevanza di ciascuno di essi nei modi prescritti dalla disciplina processualcivilistica (Cass. n. 11617 del 26/05/2011).
Risulta, infine, fuor di luogo il richiamo all’art.15, comma 2, della legge n. 59 del 15/03/1997, che stabilisce che «Gli atti, dati e documenti formati dalla pubblica amministrazione e dai privati con strumenti informatici o telematici, i contratti stipulati nelle medesime forme, nonché la loro archiviazione e trasmissione con strumenti informatici, sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge» posto che nella specie non si discute della validità e della rilevanza delle e-mail contenute nel supporto informatico, ma, in via preliminare ed assorbente, della irritualità della loro modalità di produzione a mezzo di tale supporto.
3.1. Con il terzo motivo, che denuncia la violazione degli artt. 244 e 245 cod.proc.civ. e dell’art.99, comma 9, della legge fall., il ricorrente lamenta la mancata ammissione della prova orale richiesta.
3.2. Il motivo è infondato.
3.3. Va ricordato che, qualora con il ricorso per cassazione siano denunciati vizi della sentenza derivanti dal rifiuto del giudice di merito di dare ingresso a mezzi istruttori ritualmente richiesti, il ricorrente ha l'onere di indicare specificamente i mezzi non ammessi, trascrivendo le circostanze che costituiscono oggetto di prova, così da rendere immediatamente apprezzabile dalla questa Corte il vizio dedotto, nonché di dimostrare sia l'esistenza di un nesso eziologico tra l'omesso accoglimento dell'istanza e l'errore addebitato al giudice, sia che la pronuncia, senza quell'errore, sarebbe stata diversa, così da consentire al giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle prove (Cass. n. 23194/2017; Cass. n. n. 14107/20017; Cass. n. 4178/2007).
Nel caso di specie, il ricorrente ha trascritto i capitoli di prova testimoniale non ammessi, ma il loro contenuto non attiene a circostanze specifiche e decisive che, ove confermate, potrebbero sovvertire, in tutto, o anche solo in parte, l’esito del giudizio.
3.4. Seguendo l’ordine espositivo del motivo, va osservato che il primo capo di prova “vero che il dott. I. ha svolto per V. l’attività di advisor e consulente finanziario dall’ottobre 2010 sino al fallimento?” è formulato in maniera totalmente generica, in quanto non solo non contiene alcun riferimento al conferimento di uno specifico mandato professionale da parte di V., ma neppure indica le concrete attività che il ricorrente avrebbe svolto per la società nel corso degli anni: va escluso, pertanto, che il fatto capitolato, quand’anche dichiarato vero dai testi, valga a superare i plurimi rilievi del tribunale in ordine al difetto di prova dell’effettivo compimento, da parte dell’allora opponente, di prestazioni professionali riconducibili a un incarico ricevuto dalla fallita.
Il terzo capo di prova concerne i documenti redatti dagli attestatori del concordato, chiamati a testimoniare sugli stessi, senza che, anche in tal caso, vengano evidenziate circostanze specifiche relative al conferimento di uno specifico mandato professionale ad I. da parte della fallita, né a concrete attività svolte dal ricorrente per la società su incarico di questa; resta da aggiungere che detti documenti sono stati direttamente esaminati dal tribunale e ritenuti inconferenti ai detti fini.
Il secondo capitolo di prova concerne le garanzie che la V. avrebbe ottenuto “grazie all’attività del dott. I.” (doc. 4, 5, 6, 7 e 8)”, documenti che il Tribunale ha esaminato accertando, di contro, che le delibere di autorizzazione all’erogazione di linee di garanzie erano in favore della Fondazione, assuntore del concordato, e non della società (fol. 6 del decr. imp.), con statuizione non censurata dal ricorrente.
Il quarto ed il quinto capitolo di prova concernono la ricezione di alcune e-mail, il cui testo non è stato riportato e ciò impedisce di apprezzare la eventuale rilevanza della doglianza proposta.
4. In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
Raddoppio del contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio, che liquida in euro 23.000,00=, oltre euro 200,00= per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.