Una volta proposta la relativa eccezione da parte del singolo coerede, il creditore deve agire in via esecutiva in proporzione alle quote ereditarie indicate.
La compagnia assicurativa notificava all'attuale ricorrente un atto di precetto con il quale le intimava il pagamento di una certa somma a titolo di spese processuali dovute dal padre defunto a seguito di una sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Trani.
Una volta respinta l'opposizione all'esecuzione proposta dall'erede, la Corte d'Appello di Bari rigettava...
Svolgimento del processo
Il 15 marzo 2015 la A. s.p.a. notificò ad A. D., figlia ed erede di R. D., un atto di precetto con cui le intimava il pagamento della somma di Euro 5.407,00, pari alle spese processuali dovute dal suo genitore alla R. Assicurazioni s.p.a., sulla base di una sentenza di condanna. emessa dal Tribunale di Trani.
L'opposizione all'esecuzione, proposta dalla precettata, fu respinta dal medesimo tribunale e il gravame da essa interposto è stato in massima parte rigettato dalla Corte di appello di Bari, la quale, con sentenza del 21 marzo 2019, ha accolto solo la doglianza relativa alla eccessiva liquidazione delle spese del giudizio di primo grado, che sono state rideterminate in misura inferiore, con compensazione di quelle di appello.
Avverso questa sentenza A. D. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sei motivi, cui non ha risposto l'intimata.
Fissata la pubblica udienza, il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, ai sensi dell'art. 23, comma 8-bis, del decreto-legge n. 137 del 2020, inserito dalla legge di conversione n. 176 del 2020, senza l'intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.
Il Procuratore Generale, nella persona della dott. A. M. S., ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo («violazione degli artt. 112 e 132 n. 4 c.p.c. e dell'art.477 c.p.c. comma 1 ») A. D. denuncia omessa pronuncia in ordine al motivo di appello con cui aveva dedotto la violazione dell'art. 477, primo comma, c.p.c., per non essere stato rispettato il termine di dieci giorni che deve intercorrere tra la notifica del titolo esecutivo e quella del precetto, nell'ipotesi in cui venga posto in esecuzione contro gli eredi il titolo ottenuto contro il defunto.
Evidenzia che ella aveva avuto conoscenza della sentenza emessa nei confronti del suo dante causa in data 11 marzo 2015 e che il precetto le era stato notificato il 15 marzo successivo, quando erano trascorsi solo quattro giorni dal momento in cui aveva assunto la predetta cognizione.
1.1. Il motivo non può essere accolto.
Invero, l'opposizione fondata sulla nullità del precetto, per violazione dell'art. 477, comma 1, c.p.c., va qualificata come opposizione agli atti esecutivi, e non già come opposizione all'esecuzione, poiché è conseguenza di una irregolarità formale del procedimento seguito dal creditore, che ha disatteso un onere imposto a garanzia della legittimità dell'azione esecutiva nei confronti degli eredi del debitore, e non una condizione di esistenza del diritto ad agire in executivis (Cass.14/07/2015, n.14653).
Avendo natura di opposizione agli atti esecutivi (la decisione sulla quale è inappellabile), la doglianza di cui si lamenta la mancata disamina sarebbe stata comunque inammissibile nel giudizio di appello; pertanto, deve farsi applicazione del principio, assolutamente pacifico e consolidato, secondo il quale le esigenze, costituzionalmente rilevanti, di economia processuale e di ragionevole durata del processo escludono la cassazione con rinvio della sentenza impugnata allorché, pur essendosi verificata un'omessa pronuncia su un motivo di appello, la questione di diritto con esso posta sarebbe risultata comunque infondata o inammissibile, sicché il dispositivo della sentenza medesima risulta conforme a diritto nel punto in cui ha disatteso il gravame in relazione al motivo non esaminato (Cass., Sez. U, 07/05/2019, n. 11933).
2. Con il secondo motivo [«violazione di legge art.360 c.p.c., comma 1, n. 3 (art.12 delle preleggi, art. 112 c.p.c., 115 c.p.c. e 116 c.p.c. e 132 c.p.c. comma IV, art. 157 c.p.c., comma II»)], A. D. critica la sentenza di appello nella parte in cui ha ritenuto che essa non avrebbe impugnato il capo di sentenza di primo grado con cui era stato dichiarato tardivo il rilievo in ordine all'illegale addebito dell'IVA sulle somme precettate.
Sulla premessa che la parte processuale vittoriosa, che ha la facoltà di detrarre l'IVA relativa alle spese legali liquidate in sentenza, non potrebbe addebitarla alla parte soccombente che sia una persona fisica, la ricorrente evidenzia che ella aveva rilevato tale non addebitabilità con eccezione formulata al verbale della prima udienza utile successiva alla costituzione in giudizio di A. s.p.a., avvenuta alla prima udienza di comparizione, e aggiunge che aveva successivamente impugnato il capo della sentenza di primo grado con cui la sua eccezione era stata dichiarata tardiva. Sostiene, infine, che, in ogni caso, l'eccezione medesima sarebbe stata rilevabile anche d'ufficio.
2.1. Il motivo è inammissibile per manifesta infondatezza.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte (Cass., Sez. U, 23/07/2019, n. 19889; Cass., Sez. U, 21/09/2021, n. 25478; da ultimo, Cass. 22/03/2022, n. 9226), nelle opposizioni esecutive non è ammessa la formulazione di domande nuove, né la deduzione di motivi ulteriori rispetto alle domande avanzate ed ai motivi dedotti nell'atto introduttivo, anche se tali da comportare la caducazione del titolo esecutivo o, comunque, l'insussistenza del diritto del creditore di procedere all'esecuzione forzata.
La circostanza, evidenziata dalla ricorrente, che l'eccezione di illegale addebito dell'IVA sulla somma precettata fosse stata sollevata solo nel verbale d'udienza e non già con l'atto introduttivo del giudizio di opposizione, rendeva, dunque, la stessa inammissibile, sicché correttamente il giudice di merito l'ha ritenuta tardiva.
3. Con il terzo motivo [«violazione di legge ex art. 360 c.p.c. comma 1 n. 3 (artt. 112, 115, 116 c.p.c. e 2714 c.c.»)] la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che ella non avesse contestato la circostanza che il cambio di denominazione della società precettante da R. ad A. risalisse al 2007, né che il mandato sull'appello conferito al difensore concernesse anche il precetto opposto.
Ricorda che, invece, con specifica eccezione (anche questa formulata a verbale d'udienza) ella aveva contestato il mancato deposito in copia conforme sia della procura notarile di conferimento dei poteri al procuratore generale che aveva sottoscritto la procura ad litem in favore del difensore costituito di R. s.p.a. (poi divenuta A. s.p.a), sia dell'atto notarile di fusione per incorporazione in base al quale A. s.p.a. era succeduta a R. s.p.a. nei rapporti giuridici ad essa facenti capo.
Sostiene che, in accoglimento di tale eccezione, la costituzione della compagnia avrebbe dovuto reputarsi inesistente, non essendo stata dimostrata la successione di A. s.p.a. a R. s.p.a. e non essendo stato provato «il regolare passaggio dei poteri dal legale rappresentante sino all'avvocato costituito in giudizio», circostanza, tra l'altro, rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo.
3.1. Anche questo motivo è inammissibile.
Esso, infatti, non si confronta con l'ulteriore ratio decidendi posta dalla Corte di merito a fondamento del rigetto della doglianza relativa alla mancata prova della successione tra le due società, fondata sul rilievo che si tratterebbe di un fatto notorio. L'omessa impugnazione di questa secondanna ratio decidendi, giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata sulla specifica doglianza, rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa all'altra, la quale, essendo passata in giudicato la ratio decidendi non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l'annullamento, sul punto specifico, della sentenza (Cass. 27/07/2017, n. 18641; Cass. 06/07/2020, n. 13880; Cass. 14/08/2020, n. 17182).
4. Con il quarto motivo [«violazione di legge ex art. 360 c.p.c. comma 1 n. 3 (art. 2697 c.c.; art. 112 c.p.c., 115 c.p.c. e 116 c.p.c.» )] la ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto valido il precetto notificatole (per l'intero e non per la quota ereditaria) nella sua qualità di erede del debitore indicato nel titolo, sul presupposto che non fosse stata provata l'avvenuta accettazione dell'eredità da parte dei suoi fratelli al momento della notifica del precetto medesimo.
Deduce, in particolare, che la Corte di merito avrebbe omesso di attribuire rilievo alla circostanza, dedotta tra i motivi di opposizione, che gli altri chiamati all'eredità erano già comproprietari della casa di abitazione del de cuius e che dopo la morte di costui (verificatasi il 15 dicembre 2014), in qualità di proprietari (benché non residenti) avevano posseduto l'immobile, facente parte dei beni ereditari, per un periodo di tre mesi; periodo che doveva ritenersi sufficiente, ai sensi dell'art.485 c.c., perché fossero considerati eredi al momento della notifica del precetto, avvenuta il 15 marzo 2015.
4.1. Questo motivo è fondato.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che la disposizione di cui all'art. 754 c.c., secondo la quale gli eredi rispondono dei debiti del de cuius secondo il valore della quota nella quale sono stati chiamati a succedere, con esclusione di qualsivoglia relazione di solidarietà tra le rispettive obbligazioni (giusta il principio nomina et debita hereditaria ipso iure dividuntur), deve essere interpretata nel senso che il coerede convenuto per il pagamento di un debito ereditario ha l'onere di indicare, al creditore, questa sua condizione di coobbligato passivo entro i limiti della propria quota, con la conseguenza che, integrando tale dichiarazione gli estremi dell'istituto processuale dell'eccezione propria, la sua mancata proposizione consente al creditore di chiedere legittimamente il pagamento per l'intero (Cass. 05/08/1997, n.7216; Cass. 12/07/2007, n.15592; Cass. 31/03/2015, n.6431).
Argomentando da tale principio, può dunque affermarsi che, nell'ipotesi in cui questo onere sia osservato - come è accaduto nella fattispecie in esame, ove, opponendosi all'intimazione, A. D. aveva dedotto la sua condizione di coobbligata passiva, evidenziando la presenza di altri coeredi, tra i quali la società precettante avrebbe dovuto suddividere l'importo preteso in base al titolo esecutivo ottenuto in confronto del de cuius -, il precetto intimato al singolo coerede per l'intero ammontare del credito vantato verso il soggetto defunto deve ritenersi invalido per eccessività della somma intimata, in quanto il creditore era tenuto ad agire esecutivamente in proporzione alle singole quote ereditarie.
Ne segue che la sentenza gravata va cassata in relazione a tale specifica censura.
5. Con il quinto motivo («violazione degli artt. 112 e 132 n. 4 c.p.c. e dell'art. 477 c.p.c., comma 1» ), la ricorrente denuncia omessa pronuncia in ordine alla doglianza con cui si era lamentato che la notifica del precetto non fosse stata preceduta dal necessario invito al pagamento bonario, così aggravandosi immotivatamente la sua posizione di debitrice.
Deduce che tale omissione, concretando una violazione dei principi di correttezza e buona fede, avrebbe dovuto condurre il giudice del merito ad annullare il precetto notificatole da A. s.p.a..
5.1. La manifesta infondatezza della questione di diritto sottesa alla censura in esame (atteso che la validità del precetto non è in alcun modo condizionata dalla necessità di un previo invito all'adempimento bonario) rende nuovamente applicabile il surrichiamato principio che esclude, in funzione della tutela delle esigenze di economia processuale e di ragionevole durata del processo, la cassazione della sentenza di appello, ove il vizio di omessa pronuncia cada su un motivo con cui è stata posta una questione infondata o inammissibile e il dispositivo della sentenza medesima risulti, pertanto, conforme a diritto nel punto in cui ha respinto l'impugnazione in ordine alla doglianza non esaminata.
6. Con il sesto ed ultimo motivo [«violazione di legge ex art. 360 c.p.c. comma 1 n. 3 (art. 91 comma 1 e 92 comma 2, c.p.c., 132 comma 2, n. 4 c.p.c.»)], A. D. si duole della pronuncia sulle spese. Sostiene che il parziale accoglimento dell'appello avrebbe dovuto indurre la Corte territoriale a liquidare in suo favore le spese del secondo grado di giudizio.
6.1. Premesso che la cassazione della sentenza in dipendenza dell'accoglimento del quarto motivo travolge pure ogni statuizione sulle spese, va rilevato che, in sé considerato, il motivo è manifestamente infondato.
Ferma restando la totale soccombenza della ricorrente in primo grado, l'accoglimento parziale dell'impugnazione ha determinato, quanto al grado di appello, una situazione di soccombenza reciproca che costituisce legittimo fondamento della statuizione di compensazione delle spese (art. 92, secondo comma, c.p.c.), la quale appare, pertanto, perfettamente conforme a diritto.
7. In conclusione, deve essere accolto il quarto motivo di ricorso e rigettati gli altri; la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione, che si uniformerà agli enunciati principi, provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità (art. 385, terzo comma, c.p.c.).
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo del ricorso e rigetta gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.