Il concetto di possesso in senso penalistico costituisce il discrimine tra le due fattispecie, tenendo conto che esso esclude la configurabilità del reato di furto.
I protagonisti della vicenda sono due imputati, uno dei quali era l'avvocato della parte offesa il quale, agendo anche quale procuratore speciale della medesima, e in concorso con l'altro imputato, un funzionario di una banca, avevano predisposto il nulla osta affinché il conto corrente e il deposito di titoli appartenenti al dante causa venissero estinti e il ricavato girato sul conto...
Svolgimento del processo
1. La Corte d'appello di Firenze con la statuizione indicata in epigrafe, in parziale riforma della sentenza emessa all'esito di giudizio abbreviato dal Tribunale di Firenze il 10 luglio 2018, ha condannato S. B. e M. G. C. per l'ascritto delitto di furto oltre che al risarcimento dei danni cagionati alla persona offesa, costituitasi parte civile, H. A. C. A. K. (di seguito anche: «K.» ), con provvisionale pari a 575.000,00 euro.
2. Gli imputati sono stati tratti a giudizio per rispondere di furto aggravato, in concorso, commesso, con le modalità di seguito sintetizzate, in offesa di H. A. C. A. K. ed avente a oggetto parte dei beni da questi ricevuti quale erede universale di Z. Renato (deceduto il 2 novembre 2009).
Secondo l'impostazione accusatoria, l'Avvocato B. avrebbe agito quale difensore di K. nel procedimento a suo carico per l'omicidio di due connazionali del 4 aprile 2010, all'esito del quale il suo assistito è stato successivamente giudicato non imputabile ex art. 85 cod. pen. (ma ritenuto in grado di partecipare coscientemente al processo). L'imputato avrebbe agito anche quale procuratore speciale della persona offesa (per atto notarile del 10 aprile 2010) e in concorso con C., dipendente della Banca I.. La citata funzionaria, ricevuta la dichiarazione di successione di Z. in favore di K., avrebbe predisposto e poi lei stessa sottoscritto, ancorché non autorizzata, il nulla osta a che il conto corrente e il deposito titoli intestati al defunto Z. venissero estinti e il ricavato girato sul conto corrente intestato a K. (nulla osta rinvenuto nell'abitazione di C. e sottoposto a sequestro). Fatto firmare per quietanza il 3 giugno 2011, 2 cura di B., il nulla osta di cui innanzi da K., ristretto in O.P.G. per i fatti di cui al duplice omicidio, e liquidati i titoli, i due imputati iii 30 maggio 2013, tramite bonifico predisposto da C., avrebbero trasferito il complessivo importo (pari a 575.000 euro), senza autorizzazione da parte di K., dal conto corrente intestato a Z. (deceduto nel 2010) al conto corrente intestato alla stessa persona offesa K. presso l'istituto Monte Paschi di Siena (così «svuotando totalmente» il conto corrente intestato al defunto).
Con tale condotta, secondo la prospettazione accusatoria, C. avrebbe dunque concorso con l'avvocato B. nell'attività d'impossessamento di 575.000,00 euro di K., somma della quale B. si sarebbe impossessato con successive condotte e avvalendosi della procura speciale conferitagli da K., il 10 aprile 2010 e per atto notarile, redatto presso il carcere il Sollicciano (punto 1 del capo d'imputazione). Trattasi in particolare di procura in forza della quale B. avrebbe avuto accesso al citato conto corrente acceso da K. presso la Banca Monte dei Paschi di Siena nonché ai rapporti contrattuali intrattenuti con il suddetto istituto di credito al fine del compimento di atti di ordinaria amministrazione tra cui pagamenti di bollette, imposte, tributi in genere, debiti nascenti da atti aventi data certa e comunque documentati, notule a professionisti di qualsiasi genere (legali, notarili, tecniche, mediche, peritali et similia) il tutto dietro presentazione del titolo giustificativo (notula, fattura, bolletta, contratto), e con previsione non solo di esonero da responsabilità per gli istituti di credito ma anche con promessa di retribuzione per l'attività svolta.
L'avvocato B., nel dettaglio, avrebbe però utilizzato detta procura non solo per il compimento di atti documentati e rientranti nell'oggetto di essa e per il pagamento di professionisti ma anche per impossessarsi, nel tempo, sottraendoli a K., di circa 623.171,08 euro (anche sotto forma di parcelle per proprie prestazioni gonfiate) con operazioni non documentate (con condotte specificate nel punto 2 del capo d'imputazione).
3. Con sentenza del 10 luglio 2018, resa all'esito di giudizio abbreviato, il Tribunale di Firenze ha assolto M. G. C. dal reato alla stessa ascritto in concorso con B. (descritto dal puto 1 della rubrica), perché il fatto non sussiste, e ha condannato B. per il delitto di appropriazione indebita aggravata della somma di euro 340.369,16, così diversamente qualificando il fatto di cui al punto 2 dell'imputazione e ritenendo insussistente il fatto di cui al punto 1 della stessa rubrica.
Nel dettaglio, il giudice di primo grado non ha ritenuto sussistente, al di là di ogni ragionevole dubbio, il furto in concorso di 570.000,00 euro (punto 1 dell'imputazione) e ha condannato B. (con riferimento al punto 2 dell'imputazione) riqualificando il contestato furto aggravato in appropriazione indebita aggravata dal danno di rilevante gravità e dall'abuso di prestazione d'opera limitatamente alla minor somma di euro 340.369,16, in quanto prelevata dal conto corrente di cui alla procura conferita all'imputato ma senza titoli giustificativi.
4. La Corte territoriale, invece, in accoglimento del solo appello proposto dal Pubblico Ministero e in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato gli imputati per furto aggravato oltre che, in solido, al risarcimento dei danni in favore della persona offesa, costituitasi parte civile, provvisionale di euro 575.000,00.
La statuizione d'appello, anche all'esito di rinnovazione dell'istruttoria e conseguente acquisizione della documentazione inerente l'«audit interno a Banca I. e relativo alla condotta della dipendente C.», si è sostanzialmente
fonda sulla diversa qualificazione dei fatti accertati. La Corte territoriale li ha sussunti nella fattispecie di furto aggravato in concorso, dando esplicitamente una diversa lettura della condotta «predatoria» globale e tale da ricomprendervi anche quella di cui al punto 1 dell'imputazione, relativa allo storno di liquidità in gran parte già investita in prodotti finanziari fatti transitare su conto corrente riferibile al correntista e poi trasferiti su altro conto corrente intestato alla persona offesa ma presso altra banca.
5. Avverso la prefata sentenza gli imputati B. e C. hanno proposto distinti ricorsi per cassazione, tramite i propri difensori di fiducia, articolando, rispettivamente, sette e due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173, comma 1, disp. att,/coord,/trans. cod. proc. pen.
5.1. Con il primo motivo di ricorso la difesa di B. deduce la mancanza della motivazione in punto di commisurazione giudiziale della pena, con particolare riferimento all'aggravante del mezzo fraudolento che, per la contestazione, sarebbe consistito nell'utilizzo della procura ma del quale non vi sarebbe traccia in sentenza. Per il caso in cui, invece, si ritenesse di leggere la sentenza impugnata nel senso dell'esclusione della detta circostanza aggravante di cui all'art. 625, comma 1, n. 2, cod. pen., il motivo di ricorso conclude nel senso della manifesta incongruità della pena per l'accertato delitto di furto caratterizzato solo dalle aggravanti di cui all'art. 61, nn. 5, 7 e 11, cod. pen.
5.1.1. Con il secondo motivo di ricorso, invece, si deducono vizi di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in quanto non «rafforzata» nonostante di segno opposto rispetto alla statuizione di primo grado.
5.1.2. Il ricorso nell'interesse di B. prospetta, con il terzo motivo, violazione e erronea applicazione degli artt. 624 e 646 cod. pen., oltre che, in uno con il quarto motivo, illogicità e contraddittorietà della motivazione.
In particolare, la Corte territoriale avrebbe errato, peraltro con motivazione viziata in punto di ricostruzione fattuale, nella sussunzione nella fattispecie di furto e non in quella di appropriazione indebita dei fatti accertati. Questi, a dire del ricorrente, si sarebbero concretizzati in termini di travalicamento dei limiti della procura operanti però con riferimento all'impiego ciel denaro e non all'accesso di B. alla provvista di cui al conto corrente intestato alla persona offesa. Gli altri vizi sono invece appuntati sull'apparato motivazionale inerente alla ritenuta sussistenza del furto in concorso con C., con riferimento alla condotta descritta al punto 1 della rubrica, nonostante la non intervenuta sottrazione del denaro stornato (570.00,00 euro) in quanto confluito sempre nel conto corrente della persona offesa: ancorché acceso presso altra banca.
5.1.3. L'aver considerato oggetto di furto anche la condotta inerente ai 570.000,00 euro (stornati), a detta del quinto motivo di ricorso, nonostante l'utilizzo di parte di essi previa documentazione giustificativa, renderebbe contraddittoria e illogica la motivazione anche in punto di quantificazione dell'ammontare del denaro costituente oggetto materiale della condotta.
5.1.4. Il sesto e il settimo motivo del ricorso in favore di B., infine, deducono vizi motivazionali con riferimento, rispettivamente, al capo relativo alla determinazione della provvisionale, in quanto determinata proprio con riferimento allo storno di 570.000,00 euro, e al capo inerente alla commisurazione giudiziale della pena.
5.2. Il primo motivo di ricorso proposto nell'interesse di C. deduce violazione di legge e vizi motivazionali per aver la Corte territoriale ritenuto responsabile l'imputata in merito al furto, in concorso con B., in ragione della condotta descritta nel punto 1 della rubrica e nonostante la non intervenuta sottrazione del denaro stornato (570.00,00 euro) in quanto confluito sempre nel conto corrente della persona offesa. C., poi, sia per il capo d'imputazione che per la stessa sentenza impugnata, non avrebbe preso parte alle condotte operate con riferimento al conto corrente acceso presso la Barica Monte Paschi di Siena, con le quali sarebbe stato effettivamente sottratto il denaro alla persona offesa da B. in concorso con altri soggetti.
Quanto innanzi, per il secondo motivo di ricorso, vizierebbe anche l'apparato motivazionale della sentenza inerente al capo relativo alla condanna di C., in solido con B., al risarcimento dei danni subiti da K. e alla provvisionale determinata nell'ammontare corrispondente alle somme stornate (570.000,00 euro).
6. Le parti hanno concluso per iscritto ex art. 23 d.l. 2B ottobre 2020, n. 137, a eccezione della difesa dell'imputata C..
6.1. La Procura generale presso la Suprema Corte, in persona del Sostituto Procuratore Luigi Orsi, ha concluso, riqualificata la fattispecie in termini di appropriazione indebita aggravata, per C., nel senso dell'annullamento senza rinvio, per non aver commesso il fatto, e, per B., nel senso dell'annullamento senza rinvio, per le condotte realizzate fino a metà novembre 2014 (in quanto oggetto di intervenuta prescrizione), e per l'annullamento con rinvio in merito alle condotte successive al novembre 2014.
6.2. La difesa di parte civile ha concluso chiedendo sostanzialmente il rigetto dei ricorsi (depositando anche nota spese).
6.3. La difesa di B. ha invece insistito nell'accoglimento del proprio ricorso depositando nei termini conclusioni scritte, sostanzialmente trasfuse in note che, già in questa sede, devono ritenersi inammissibili in quanto depositate non entro il termine del quinto giorno antecedente all'udienza (previsto dall'art. 23 cit.) bensì solo il giorno antecedente a essa.
Motivi della decisione
1. Le sole censure dedotte con entrambi i ricorsi e incentrate sulla qualificazione giuridica dei fatti sono fondate, nei termini di seguito esplicitati, con conseguente assorbimento di tutte le altre doglianze.
2. Fermo restando l'accertamento dei fatti nella loro materialità, con riferimento ai quali i ricorsi non appuntano critiche se non nei termini di cui ai motivi assorbiti, giudici dei due gradi di giudizio li hanno diversamente qualificati.
In particolare, il Tribunale ha ritenuto insussistente il furto, sostanzialmente ascritto al punto 1 del capo d'imputazione come commesso mediante storno di liquidità (già quasi totalmente investita in prodotti finanziari) fatta transitare su altro conto corrente intestato sempre alla persona offesa ancorché presso altra banca, e ha riqualificato in appropriazioni indebite i fatti invece qualificati furti dal punto 2 della medesima imputazione. La Corte territoriale, invece, esplicitamente muovendo da una visione unitaria della vicenda «predatoria» posta in essere in offesa di K., ha valutato i fatti di cui in rubrica (punti 1 e 2) in termini di furti, come da contestazione.
3. La questione giuridica principale è quella della sussumibilità nella fattispecie di furto o in quella di appropriazione indebita delle condotte con le quali un soggetto legittimato a operare sul conto corrente altrui in forza di apposita procura (nella specie considerata speciale ma 112 conclusioni non muterebbero per il caso di procura generale) operi ultra vires, cioè travalicando i limiti di cui alla procura e comunque non documentando le ragioni sottese alle eseguite operazioni (differentemente da quanto invece specificatamente previsto dalla procura).
Il tema è quello del possesso (in senso penalistico) delle ingenti somme sottratte la cui configurabilità escluderebbe la sussumibilità della fattispecie concreta nel reato di furto (art. 624 cod. pen.) e ne implicherebbe la qualifica in termini di appropriazione indebita (art. 646 cod. pen).
3.1. Orbene, come di recente sintetizzato da Sez. 4, n. 8128 del 31/01/2019, Canzian, Rv. 275215-01, in motivazione, va ricordato che costituisce ius receptum il principio secondo cui il possesso in senso penalistico si configura quando vi sia una autonoma disponibilità della cosa al di fuori della altrui sfera di vigilanza o custodia. Quado invece sussiste un semplice rapporto materiale tale possesso non è ipotizzabile e si configura, quindi, il reato di furto.
Tale apprezzamento è conforme alla consolidata giurisprudenza di legittimità, consacrata dalle Sezioni Unite, per la quale il possesso, inteso nella peculiare accezione propria della sfera penaliistica, è costituito da una detenzione qualificata, cioè da una autonoma relazione di fatto con la cosa, che implica il potere di utilizzarla, gestirla o disporne (Sez. U, n. 403S4 del 18/7/2013, Sciuscio, Rv. 255975, in motivazione; conf. anche Sez. 4, n. 40053 del 15/09/2015, Rinaldis, in motivazione, in fattispecie ritenuta sussumibile nel reato di appropriazione indebita in quanto caratterizzata da condotta di apprensione del bene da parte del trasportatore operante non quale dipendente di altri bensì quale lavoratore autonomo e, quindi, da intendersi penalisticamente possesso re).
In altri termini, il possesso penalistico implica una signoria di fatto che consente di fruire e disporre della cosa in modo indipendente, al di fuori della sfera di vigilanza e controllo di una persona che abbia su di essa un potere giuridico maggiore. Si tratta di un'autonomia che può essere definita in termini negativi i dall'assenza di signoria di fatto del dominus e dell'altrui custodia o vigilanza. Entro tale ordine concettuale, come ripetuto dalla citata Sez. 4, n. 8120 del 2019, si usano in una peculiare accezione penalistica i termini possesso e possessore.
Tale soluzione interpretativa, come ricordano le citate Sezioni Unite n. 40354 del 2013, consente di definire la linea di confine tra furto ed appropriazione indebita.
La detenzione qualificata non rende ipotizzabile la sottrazione da parte dello stesso detentore che, invece, ben può rendersi protagonista di atti di appropriazione indebita. Il possesso penalistico di cui si parla non è necessariamente caratterizzato da immediatezza a differenza di quello civilistico, che può configurarsi anche per mezzo di altra persona. Esso, peraltro, non implica necessariamente una relazione fisica con il bene. È concepibile pure il possesso a distanza, quando vi sia possibilità di ripristinare ad libitum il contatto materiale, o anche solo virtuale, quando vi sia effettiva possibilità di signoreggiare la cosa.
Per ripetere un antico e efficace esempio, le citate Sezioni Unite del 2013, come ribadito dalla citata Sez. 4, n. 8128 del 2019, ricordano che il possessore della valigia rimane tale anche se essa è nelle mani del portabagagli che è, invece, mero detentore. L'indicata interpretazione della fattispecie attribuisce rilievo anche alla relazione possessoria non sorretta da base giuridica, clandestina o addirittura illecita, con la conseguenza che costituisce furto pure la sottrazione della refurtiva al ladro. Tale soluzione trova tradizionale e razionale giustificazione nella considerazione che la spoliazione in danno del ladro, riguardata nell'ottica pubblicistica del diritto penale, non rende meno aggressiva e biasimevole la condotta e giustifica la reazione punitiva.
Argomentando nei termini di cui innanzi Sez. 4, n. 8128 del 2019 ha ritenuto nella specie correttamente sussunta nel reato di furto aggravato, e non in quello di appropriazione indebita, la condotta dalla dipendente di una società, incaricata di provvedere ai pagamenti in nome della stessa, impossessatasi di somme di denaro sottraendole dal conto corrente aziendale.
È importante rilevare però la specifica fattispecie sottesa alla statuizione in esame.
La Suprema Corte ha difatti ritenuto immune da censure la sentenza che aveva escluso che l'imputata avesse la disponibilità del denaro sottratto, e, quindi, il possesso penalistico dello stesso, solo perché disponeva della password per operare sul conto corrente della società. È stato in particolare rilevato che, nella specie, la facoltà dell'imputata di effettuare pagamenti non le conferiva una signoria autonoma sui detti conti, trattandosi di facoltà invece sussistente in capo ai vertici societari che la esercitavano con apposite istruzioni e direttive, e che, quindi, la provvista depositata sui conti correnti era sempre rimasta nella piena disponibilità dell'ente titolare.
3.2. Con riferimento più prossimo alla fattispecie che ci occupa, occorre evidenziare che la Suprema Corte, proprio nel solco argomentativo di cui innanzi, ha ritenuto responsabile di appropriazione indebita il mandatario che, violando le disposizioni impartite dal mandante, si appropri del denaro ricevuto, utilizzandolo per propri fini e, quindi, per scopi diversi e estranei agli intere ;si del mandante.
Il riferimento è, tra le tante, a Sez. 2, n. 22347 del 03/05/2016, Danielis, Rv. 267086-01 nonché a Sez. 2, n. 50156 del 25/11/2015, Fratini, Rv. 265513-01. Quest'ultima ha statuito in fattispecie relativa a rapporto di amministrazione e gestione di beni nel corso del quale l'autore del reato, compilando assegni in bianco rilasciatigli dalla vittima, accreditava sul proprio conto corrente somme di denaro di entità superiori a quelle necessarie all'espletamento del suo mandato.
Con medesime argomentazioni Sez. 2, n. 43643 del 23/09/2021, Indraccolo, Rv. 282351-01, ha ritenuto responsabile di appropriazione indebita il mandatario che, avendo la disponibilità di somme di denaro del mandante con espresso vincolo di destinazione, violando il rapporto fiduciario, le destini per scopi differenti da quelli predeterminati. La fattispecie era relativa ad una operazione di cartolarizzazione di provviste finanziarie di una società, di cui era stato deliberato l'accantonamento per il pagamento di oneri fiscali, mediante l'emissione di assegni bancari in favore del nuovo amministratore, da questi successivamente negoziati.
A integrazione del principio di diritto di cui innanzi è stato altresì aggiunto che commette il delitto di appropriazione indebita anche il mandatario senza rappresentanza che si appropri delle cose ricevute durante l'esecuzione del mandato, con l'animus di trattenerle per sé e di non ritrasferirle al mandatario, a meno che egli non abbia legittimo diritto di ritenzione per la natura del mandato conferitogli (mandato in rem propriam) o, limitatamente ai crediti, per soddisfarsi delle spese e dei compensi cui ha diritto (art. 1721 cod. civ.).
In tali termini ha in particolare concluso Sez. 2, n. 43119 del 28/06/2016, Camusso, Rv. 268242-01, premettendo che l'ordinamento civile conosce il mandato con e senza rappresentanza e che, nella prima ipotesi, il mandatario agisce in nome e per conto del mandante e gli acquisti effettuati dal primo si accrescono direttamente nel patrimonio nel secondo (artt. 1704 e 1388 cod. civ.). Nel caso di mandato senza rappresentanza, invece, il mandante agisce in nome proprio, ma pur sempre nell'interesse del mandante, il quale infatti ha facoltà, entro certi limiti, di acquisire comunque direttamente alcuni effetti giuridici dell'operato del mandatario. In particolare, il mandante, sostituendosi al mandatario, può esercitare i diritti di credito derivanti dall'esecuzione del mandato (art. 1705, secondo comma, cod. civ.) e può rivendicare le cose mobili acquistate per suo conto dal mandatario che ha agito in nome proprio (art. 1706, primo comma, cod. civ.). La differenza fra le due figure, ha chiarito la citata Sez. 2, n. 43119 del 2016, non presenta alcuna rilevanza nell'ambito penale, con particolare riferimento al delitto di appropriazione indebita commesso dal mandatario sulle cose o sul denaro ricevuti durante l'esecuzione del mandato. Se nel caso del mandato con rappresentanza, infatti, è di palmare evidenza che il
mandatario si appropria di cose o denaro di cui ha il possesso, ma che sono già entrate a far parte del patrimonio del mandante, non diversamente accade - a ben vedere - anche nel caso di mandato senza rappresentanza. Anche in questo caso, infatti, le cose o il denaro ricevuti in esecuzione del mandato appartengono alla sfera giuridica del mandante, sia per via delle facoltà di riscossione (dei crediti) e di rivendica (delle cose mobili) riconosciutegli dalla legge pur in difetto di un acquisto diretto della titolarità dei diritti, sia perché il mandatario – salvo che il mandato non sia in rem propriam - è comunque obbligato a ritrasferire al mandante quanto acquisito nel corso del mandato.
Pur se al diverso fine di chiarire che l'abuso di relazioni di prestazioni d'opera, previsto come circostanza aggravante dall'art. 61, n. 11 cod. pen., è configurabile in presenza di rapporti giuridici,, anche soltanto fondati sulla fiducia, che a qualunque titolo comportino un vero e proprio obbligo di facere, è infine intervenuta Sez. 2, n. 13775 del 30/01/2019, Greco, Rv. 276060, in fattispecie con elementi di comunanza ancorché non di sovrapponibilità all'ipotesi che ci occupa. Si trattava difatti di fattispecie in tema di appropriazione indebita, rispetto alla quale è stata ritenuta la configurabilità dell'agqravante in esame nella condotta dell'imputato che, approfittando di una procura generale e speciale, rilasciata dalla convivente in virtù di un rapporto di mandato comportante obblighi di facere, comprensivi dell'obbligo di rendiconto ex art. 1713 cod. civ., si era appropriato per intero dei corrispettivi della vendita del patrimonio immobiliare della persona offesa, depositati su un conto corrente cointestato, di cui il ricorrente poteva disporre in forza dei poteri rappresentativi e gestori conferitigli.
4. Proseguendo nel solco interpretativo segnato dalla giurisprudenza di legittimità innanzi evidenziata, e aggiungendo un ulteriore ta:;sello a essa, deve in questa sede ritenersi sussumibile nella previsione di cui all'art. 646 cod. pen., e non nel delitto di furto, la fattispecie (come quella che ci occupa) nella quale un soggetto legittimato a operare sul conto corrente altrui in forza di apposita procura (speciale o generale) operi ultra vires, cioè travalicando i limiti di cui alla procura, ancorché non si tratti di somme con vincolo di destinazione o derivanti dall'espletamento di un mandato.
L'accesso al conto corrente, derivante dalla procura,, segna difatti la disponibilità delle somme di cui al medesimo conto corrente in capo al soggetto attivo e, quindi, il loro possesso in senso penalistico, in ragione della detenzione qualificata quale autonoma relazione con la cosa implicante il potere di utilizzarla, gestirla e disporne al di fuori del potere di vigilanza di chi abbia su di essa un potere giuridico maggiore. Nell'ipotesi in esame, difatti, è configurabile un potere sulla cosa autorizzato dal titolare al di fuori dalla sua sfera di sorveglianza, ancorché da esercitarsi nei limiti della procura e previa esibizione alla banca della documentazione giustificativa.
5. Del principio di cui innanzi di cui innanzi non ha fatto buon governo la Corte territoriale che ha invece qualificato alla stregua cli furto e non di appropriazioni indebite le (plurime) condotte di cui al punto 2 dell'imputazione, integranti operazioni eseguite dall'imputato B. sul conto corrente intestato a K. previa procura ma operando ultra vires.
Presupponendo poi, il reato di furto, lo spossessamento, Ila parimenti errato il giudice di secondo grado nella qualificazione giuridica, in termini di furto, della fattispecie ascritta in concorso ai due imputati al punto 1 della medesima imputazione. Si è trattato difatti di storno di liquidità, già perlopiù investita in prodotti finanziari, fatta transitare sul conto corrente riconducibile a K. e poi trasferita su altro conto corrente intestato allo stesso soggetto, ancorché acceso presso altra banca, che, quindi, non ne ha subito, con la detta condotta, lo spossessamento.
6. In conclusione, all'annullamento della sentenza impugnata, nei termini di cui innanzi, segue il rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Firenze, che provvederà anche alla regolazione fra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze, cui demanda altresì la regolamentazione fra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.