Semaforo verde dalla Cassazione sulla prima soluzione. La percentuale di invalidità permanente, inoltre, non può essere calcolata in via equitativa, bensì va determinata secondo i criteri medico-legali contenuti nella tabella del D.M. 3 luglio 2003.
Svolgimento del processo
Nel 2009 F.S. convenne dinanzi al Tribunale di Vibo Valentia N.B. e la società U. s.p.a., chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni patiti in conseguenza di un sinistro stradale.
2. Con sentenza 18 maggio 2017 n. 407 il Tribunale accolse la domanda; ritenne non condivisibile il grado di invalidità permanente stimato dal c.t.u. in misura pari al 3%; condivise a tal riguardo l'opinione del consulente di parte attrice; determinò il grado di invalidità permanente nella misura del 20%, e liquidò conseguentemente il danno alla salute lamentato dall'attore m euro 79.319.
La sentenza venne appellata dalla U. s.p.a..
3. Con sentenza 6 giugno 2019 n. 1188 la Corte d'appello di Catanzaro accolse il gravame e determinò il danno non patrimoniale patito dall'attore nella minor somma di euro 8.374,48.
La Corte d'appello:
- ritenne che il danneggiato aveva subito postumi consistenti in una "lievissima sintomatologia” consistente in una sfumata paraparesi, in assenza di lesioni neuroradiologiche;
- liquidò il danno applicando i criteri stabiliti ai sensi dell'art. 139 cod. ass..
4. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione da F.S. con ricorso fondato su due motivi.
La U. s.p.a. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1. Col pruno motivo il ricorrente deduce che la Corte d'appello avrebbe erroneamente liquidato il danno in base ai criteri stabiliti dall'articolo 139 codice delle assicurazioni, norma entrata in vigore dopo l'avverarsi del sinistro.
Pare di capire, per quanto il motivo non sia del tutto chiaro su questo punto, che il ricorrente intenda censurare sia il criterio in base al quale il giudice di merito ha stimato il grado di invalidità permanente, sia il criterio in base al quale lo ha monetizzato.
1.1. Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente, in sostanza, deduce che il giudice di merito avrebbe liquidato il danno alla salute in base ad un criterio sbagliato.
Ora, poiché per proporre una impugnazione è necessario avere un interesse che la sottenda (art. 100 c.p.c.), in tanto una impugnazione concernente il criterio di liquidazione del danno alla salute è ammissibile, in quanto chi la proponga deduca che l'adozione di un diverso e corretto criterio avrebbe condotto a risultati più vantaggiosi. 11 ricorso proposto da F.S., tuttavia, in nessun punto chiarisce a quale diverso e più vantaggioso risultato la Corte d'appello sarebbe pervenuta, se avesse stimato il grado di invalidità permanente con altri barèmes (non si indica quali), oppure se avesse adottato altri criteri (non si indica quali) per la monetizzazione del danno biologico permanente.
Un ricorso così concepito è dunque inammissibile ai sensi dell'art. 366, n. 4, c.p.c., per insufficiente esposizione dell'interesse a proporlo.
1.2. Ritiene il Collegio di aggiungere, ad abundantiam, che il ricorso invoca comunque l'applicazione di princìpi di diritto erronei, che è doveroso qui confutare anche ai sensi dell'art. 363, terzo, comma, c.p.c..
1.3. Erronea è, innanzitutto, l'affermazione secondo cui, quando la legge in una determinata materia detti regole per la liquidazione del danno aquiliano, tali regole debbano applicarsi solo ai fatti illeciti avvenuti dopo l'entrata in vigore di esse.
E' vero piuttosto l'esatto contrario: la liquidazione di qualunque danno, ove la legge non disponga altrimenti, deve avvenire in base alle regole vigenti al momento della liquidazione, e non al momento del fatto illecito.
La liquidazione del danno, infatti, non è un elemento della fattispecie astratta "illecito". La liquidazione del danno è un giudizjo, e come tutti i giudizi non può che avvenire in base alle regole (di fonte normativa o pretoria) vigenti al momento in cui viene compiuto.
Tale criterio è stato già ripetutamente applicato da questa Corte, tra l'altro:
- in tema di danno alla salute causato da colpa medica, che deve avvenire in base ai criteri stabiliti dall'art 7, quarto comma, L. 8.3.2017 n. 24, anche per i fatti avvenuti prima dell'entrata in vigore di tale legge (Sez. 3 - , Sentenza n. 28990 del 11/11/2019, Rv. 655965 - 01);
- in terna di danno ambientale, da liquidarsi in base ai criteri stabiliti dall'art. 311, comma terzo, d. lgs. 152/06, anche se l'illecito è stato commesso prima (Sez. 3 - , Sentenza n. 8662 del 04/04/2017, Rv. 643837 - 02);
- in tema di danno non patrimoniale da morte, da liquidarsi in base ai criteri orientativi (e.cl. "tabelle) diffusi al momento della liquidazione, e non dell'illecito (Sez. 3 - , Sentenza n. 5013 del 28/02/2017, Rv. 643140 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 7272 del 11/05/2012, Rv. 622506 -
01);
- in tema di liquidazione del danno alla persona causato da sinistri stradali, proprio come nel caso di specie (Sez. 3 - , Sentenza n. 18773 del 26/09/2016, Rv. 642106 - 01);
- in tema di liquidazione del danno da ingiusta detenzione, che deve avvenire in base al massimale vigente al momento della liquidazione, e non della detenzione SS.UU pen., Sentenza n. 24287 del 09/05/2001 (dcp. 14/06/2001), Rv. 218974 - 01];
- in tema di liquidazione del danno da e.cl. occupazione appropriativa (Sez. 1, Sentenza n. 14357 del 21/12/1999, Rv. 532409 - 01).
1.4. Non meno erronea è l'allegazione secondo cui la Corte d'appello di Catanzaro, liquidando nel 2019 un danno alla salute verificatosi quattordici anni prima, non avrebbe potuto valutare il grado di invalidità permanente in base ai criteri stabiliti dall'art. 139 cod. ass.. Infatti l'art. 354, comma quinto, lettera (b), cod. ass., nell'elencare le norme abrogate per effetto dell'entrata in vigore del codice delle assicurazioni, ha espressamente previsto la permanenza in vigore del d.m. 3 luglio 2003 (in Gazz. uff. n. 211 dell'l 1 settembre 2003), vale a dire del provvedimento di approvazione della tabella contenente i criteri medico legali per la stima del danno biologico permanente compreso tra uno e nove punti di invalidità.
Il combinato disposto degli artt. 139 e 354 cod. ass., pertanto, impone al giudice di stimare il grado di invalidità permanente in base alla tabella approvata dal suddetto decreto.
Non solo dunque, il ricorso è infondato perché il danno alla salute va liquidato in base ai criteri di legge vigenti al momento della decisione, e non al momento del fatto illecito; ma sarebbe altresì infondato quand'anche fosse vero il contrario, giacché alla data del sinistro oggetto del presente giudizio (2005) erano in vigo.re già da due anni i criteri di determinazione del grado di invalidità permanente (che in futuro saranno) richiamati dall'art. 139 cod. ass..
1.5. Il ricorrente invoca, a sostegno della propria tesi, il precedente di questa Corte Sez. 3, Sentenza n. 11048 del 13/05/2009, così massimato dall'Ufficio del Massimario: "nella liquidazione del danno alla persona causato da sinistri stradali è inibito al giudice, per determinare il danno biologico lieve o da micropermanente, fare riferimento alle tabelle medico-legali approvate con d.m. 3 luglio 2003, quando il sinistro si sia verificato in data anteriore al/entrata in vigore del suddetto decreto, avvenuta t11 settembre 2003. li decreto, che si pone in rapporto di specialità rispetto alla generale disciplina di cui alt art. 2056 cod. civ., non ha efficacia retroattiva, a meno che le parti non ne chiedano concordemente l'applicazione. In mancanza di tale accordo, il giudice del merito è tenuto a liquidare il risarcimento mediante una valutazione equitativa personalizzata che tenga conto della tipologia delle lesioni e delle condizioni soggettive della vittima, esponendo nella motivazione della sentenza i criteri a tal fine adottati”.
Si tratta, tuttavia, di una decisione non pertinente rispetto al caso oggi m esame, ed alla quale comunque il Collegio non intende dare continuità.
1.6. In primo luogo il principio stabilito da Cass. 11048/09 non viene in rilievo nel presente giudizio, in quanto questo ha ad oggetto un danno verificatosi non già prima, bensì dopo l'entrata in vigore del d.m. 3.7.2003, che come si è accennato è richiamato dall'art. 139 cod. ass. ed è rimasto immutato negli ultimi vent'anni.
Il caso deciso da Cass. 11048/09, per contro, aveva ad oggetto un caso in cui il danno si era verificato prima dell'entrata in vigore del d.m. 3.7.2003.
1.7. In secondo luogo il principio affermato da Cass. 11048/09 non è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte: in senso contrario si è infatti osservato che anche ad ammettete che fosse corretto ritenere inapplicabile ratione temporis il barème medico legale approvato con d.m. 3.7.2003, ciò non esclude che i criteri di cui al suddetto decreto ''possano essere utilizzati dal giudice quale parametro di valutazione" in via analogica (così Sez. L, Sentenza n. 2883 del 24.2.2012, in motivazione).
1.8. In terzo luogo, quel che più rileva, il principio affermato da Cass. 11048/09 si fonda su un non condivisibile assunto: e cioè l'avere ritenuto che, quando non sia applicabile una legge ad bo, la determinazione del grado di invalidità permanente causato da un fatto illecito possa avvenire "in via equitativa".
Ma l'art. 1226 c.c. consente al giudice di provvedere equitativamente alla liquidazione del danno, non all'accertamento dei fatti. E lo stabilire quale sia il grado percentuale di invalidità residuato ad una lesione personale costituisce accertamento d'un fatto, non liquidazione d'un danno.
La determinazione del grado di invalidità permanente non ha nulla a che vedere con l'equità, poiché essa deve avvenire con criteriologia medico-legale, e sulla base di baréme aggiornati e condivisi dalla comunità scientifica medico-legale (Sez. 3 - , Sentenza n. 11724 del 05/05/2021). Questa Corte infatti ha stabilito che "ali'accerlame11to concreto del grado percentuale di invalidità permanente sono (...) estranei i concetti di equità e di iniqt1ità" ( Sez. 3 - , Sentenza n. 28986 del 11/11/2019, in motivazione; Sez. L, Sentenza n. 5437 del 08/03/2011).
Pertanto, anche nell'ipotesi in cui il d.m. 3.7.2003 non fosse stato applicabile ratione temporis, in ogni caso era perfettamente lecito e consentito al giudice valutare il grado di invalidità permanente in base al baréme approvato con quel decreto, in quanto comunque esso costituiva un metodo di valutazione scientificamente corretto, a fronte del quale resta esclusa la possibilità del ricorso "all'equità" (e men che meno alle personalissime convinzioni del medico-legale) per stimare il grado percentuale di invalidità permanente.
1.9. Ferma restando l'inammissibilità del ricorso, vanno dunque formulati ai sensi dell'art 363, terzo comma, c.p.c., i seguenti principi di diritto:
(a) ''qualsiasi tipo di danno, in assenza di diverse disposizioni di legge, va liqt1idato in base alle regole vigenti al momento della liquidazione, e non al momento del fatto illecito";
(b) la percentuale di invalidità permanente causata da una lesione della salute non può mai stabilirsi "in via equitativa: ma va determinata con corretto criterio medico legale, e in base ad un barèrme redatto con criteri di scientificità; il baréme approvato con d.m. 3.7.2003 possiede tale requisito".
2. Col secondo motivo il ricorrente deduce che la Corte d'appello, compensando in parte le spese di lite anche del primo grado di giudizio, avrebbe "violato il giudicato", dal momento che in primo grado le spese erano state addossate ai convenuti e non vi era stata impugnazione sul punto.
2.2. Il motivo è infondato.
La sentenza di pruno grado, infatti, in accoglimento del gravame proposto dalla U. s.p.a. fu riformata in melius a favore dell'appellante, sebbene questi sia comunque risultato soccombente.
Pertanto la Corte d'appello, avendo riformato in senso favorevole all'appellante la sentenza di primo grado, era tenuto ad una nuova regolazione delle spese di lite, ai sensi dell'art. 336 c.p.c..
3. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell'art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.
(-) dichiara inammissibile il ricorso;
(-) condanna F.S. alla rifusione in favore di U. s.p.a. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro 4.300, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55;
(-) ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.