Vigente il principio di infrazionabilità del credito. L'attore può agire separatamente per il risarcimento dei danni patrimoniali e non, scaturenti dal medesimo sinistro, solo se prova un interesse oggettivamente valutabile alla tutela frazionata.
Svolgimento del processo
in relazione ad un sinistro stradale verificatosi il 5.2.2013, A. A. S. agì per il risarcimento dei danni materiali conseguiti al tamponamento della propria vettura da parte del veicolo condotto da G. Z., assicurato presso la V. Ass.ni s.p.a.;
successivamente, dopo che era passata in giudicato la sentenza che aveva accolto la domanda, la S. agì per il risarcimento dei danni alla persona riportati a seguito del medesimo sinistro;
il Giudice di Pace di Lanciano dichiarò l'improcedibilità di tale domanda per essere stato violato il principio giurisprudenziale di infrazionabilità del credito, sul rilievo che integrava un abuso del diritto l'attivazione di due distinti giudizi per il risarcimento dei danni conseguenti ad un medesimo fatto generatore;
il Tribunale di Lanciano ha rigettato l'appello della S., confermando la pronuncia di primo grado;
ha proposto ricorso per cassazione la S., affidandosi a sei motivi; ha resistito la V. Assicurazioni con controricorso illustrato da memoria;
la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell'art. 380 bis.1. c.p.c..
Motivi della decisione
il primo motivo denuncia la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. in relazione all'interpretazione data dal giudice di appello alle sentenze indicate dal Giudice di Pace, alla sentenza n. 4090/2017 emessa dalle Sezione Unite di questa Corte, al principio di infrazionabilità del credito e alla sanzione che la violazione di detto divieto comporta; evidenziata la necessità di distinguere fra "frazionamento del credito" e "frazionamento dei crediti" e rilevato che il Tribunale «non ha tenuto in alcun conto il fatto che i due diritti tutelati con le rispettive azioni (danno auto e lesioni personali) sono completamente distinti poiché i loro elementi costitutivi sono in parte differenti», la ricorrente contesta di avere commesso un qualche abuso e sostiene che, in ogni caso, «la sanzione che sarebbe potuta scaturire da un simile comportamento doveva essere quella della condanna. al pagamento delle spese di lite e mai, invece, la dichiarazione di improcedibilità della domanda», la quale comporta che sia «il creditore ad essere punito» con la perdita del proprio diritto per ragioni puramente processuali;
il secondo motivo deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, co. 2, n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. per avere il giudice di appello «completamente omesso di rispondere al 2° motivo di impugnazione [ ...] nella parte in cui è stata lamentata l'errata applicazione della sanzione conseguente alla ipotetica violazione del principio che impone il divieto di frazionabilità del credito e del principio di buona fede e correttezza, nonché del giusto processo»;
col terzo motivo (che deduce anch'esso la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, co. 2, n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.), si censura la sentenza impugnata «poiché, anche a voler per assurdo ritenere che la stessa sia sorretta da una motivazione, sui punti della pronuncia contestati, tale motivazione è assolutamente apparente, contraddittoria ed illogica»;
il quarto motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione dell'art. 116 c.p.c. sotto il profilo del «travisamento delle prove» che - si assume- «ha condotto il Giudice di merito ad una ricostruzione della quaestio facti non coerente con gli atti di causa determinando un contrasto tra i documenti allegati ed il loro apprezzamento giudiziale»; col quinto motivo, si lamenta la violazione e/o la falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 116 c.p.c. e 1375, 1175 e 1218 c.c.; rilevato che il principio di correttezza e buona fede costituisce espressione del dovere di solidarietà di cui all'art. 2 Cost. ed opera come criterio di reciprocità che impone a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra parte, la ricorrente assume che, «con la propria condotta, non ha in alcun modo alterato o ridotto il potere di difesa della compagnia assicurativa costituitasi la quale, anzi, ha resistito strenuamente ad ottemperare, al contrario, a quanto contrattato tra le parti e che era suo preciso dovere onorare»;
il sesto motivo denuncia la violazione e/o la falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., in tema di ripartizione dell'onere della prova, per avere la sentenza «ritenuto assolto l'onere della prova da parte della V. Ass.ni di essersi comportata con correttezza e buona fede nei rapporti» con la S.; assume che «la V. Ass.ni non ha mai provato di essersi comportata in modo retto e corretto, in ossequio ai principi di buona fede e correttezza, né ha dimostrato l'esistenza di fatti che abbiano modificato o fatto venir meno il dovere di comportarsi correttamente»;
vanno esaminati con precedenza -per priorità logica- i motivi secondo e terzo, che denunciano (per le ragioni sopra illustrate) la nullità della sentenza e che vanno entrambi disattesi;
infatti, a prescindere dal profilo di inammissibilità del secondo motivo conseguente alla mancata riproduzione della censura di appello che non avrebbe ricevuto risposta, dal corpo della motivazione emergono chiaramente le ragioni per cui il Tribunale ha ritenuto che risultasse integrato un illegittimo frazionamento del credito e che la "sanzione" ad esso conseguente dovesse essere -anche dopo la pronuncia delle Sezioni Unite del 2017- quella della improcedibilità della domanda successiva non giustificata da un interesse oggettivamente valutabile all'esercizio separato delle azioni; la motivazione è dunque presente e chiaramente percepibile come tale, ma viene criticata sulla base di elementi aliunde e, quindi, con modalità che si pongono al di fuori della logica della deduzione del vizio di mancanza di motivazione;
i restanti motivi -attinenti direttamente alle questioni della applicabilità del principio di infrazionabilità del credito e delle conseguenze della sua violazione- possono essere esaminati congiuntamente e vanno dichiarati infondati (a prescindere da ogni valutazione sulla loro stessa ammissibilità, in ragione della dubbia specificità delle censure);
e ciò alla stregua della giurisprudenza di questa Corte e, in particolare, proprio dei principi messi a fuoco da Cass., S.U. n. 4090/2017, che -com'è noto- ha affermato il principio secondo cui «le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, - sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell'identica vicenda sostanziale - le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata»;
il che comporta, con specifico riguardo al frazionamento di pretese creditorie scaturenti da un unico sinistro stradale, che «il danneggiato, che non dimostri di avervi un interesse oggettivamente valutabile, non può, in presenza di un unitario fatto illecito lesivo di cose e persone, frazionare la tutela giudiziaria, agendo separatamente per il risarcimento dei danni patrimoniali e di quelli non patrimoniali, poiché tale condotta aggrava la posizione del danneggiante-debitore e causa ingiustificato aggravio del sistema giudiziario», con la precisazione che «non integrano un interesse oggettivamente valutabile ed idoneo a consentire detto frazionamento, di per sé sole considerate, né la prospettata maggiore speditezza del procedimento dinanzi ad uno anziché ad altro dei giudici aditi, in ragione della competenza per valore sulle domande risultanti dal frazionamento, né la semplice ricorrenza di presupposti processuali più gravosi per l'azione relativa ad una delle componenti del danno, soprattutto in caso di intervalli temporali modesti» (Cass. n. 8530/2020);
alla luce di tali principi e a fronte di pretese risarcitorie scaturenti da un medesimo fatto generatore (l'incidente stradale del 5.2.2013) e tali, quindi, da essere inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato e da poter essere accertate separatamente solo a costo di una duplicazione di attività istruttorie e di una conseguente dispersione della conoscenza della medesima vicenda sostanziale, deve ritenersi che il ricorso alla tutela frazionata da parte della S. potesse essere giustificato soltanto in presenza di un interesse oggettivamente valutabile della stessa; interesse che -per quanto correttamente rilevato dal Tribunale- non ricorreva nel caso di specie, essendo emerso (dalla stessa relazione medica prodotta dall'attrice) che i postumi invalidanti conseguenti alle lesioni riportate nel sinistro si erano stabilizzati in epoca anteriore alla proposizione della domanda concernente i danni materiali; sicché non sussistevano ragioni oggettive che potessero fondare un interesse del creditore ad agire separatamente per il risarcimento dei danni alla persona;
né merita accoglimento la censura che lamenta l'eccessività della "sanzione" della improcedibilità della domanda successiva e suggerisce l'opportunità di utilizzare la "leva" del regolamento delle spese di lite: invero, sia l'esigenza di scoraggiare abusi del diritto da parte del creditore in danno del debitore che quella di evitare le ricadute in termini di aggravio dell'operatività del sistema giudiziario (che si verificherebbero in ogni caso se si intervenisse soltanto sulle spese processuali) comportano la necessità di mantenere fermo l'esito della improcedibilità, in difetto di un interesse obiettivamente apprezzabile del creditore al frazionamento;
va evidenziata, da ultimo, l'inammissibilità del sesto motivo, che non prospetta un erroneo riparto dell'onere probatorio, ma censura un (asserito) apprezzamento di merito del Tribunale che, tuttavia, non trova specifico riscontro nel contesto della decisione e che, comunque, attiene ad un profilo (quello della correttezza dell'assicuratrice convenuta nei confronti della danneggiata) che non è pertinente al tema del frazionamento del credito;
resta assorbita l'eccezione della controricorrente circa le produzioni effettuate in questa sede dalla ricorrente;
il ricorso va pertanto rigettato, nel suo complesso, con condanna. della ricorrente al pagamento delle spese di lite;
sussistono le condizioni per l'applicazione dell'art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna. la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in euro 1.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in euro 200,00) e agli accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.