Il Consiglio di Stato chiarisce se il controllo giudiziario conclusosi favorevolmente è ostativo a che il Prefetto, in sede di aggiornamento dell'informativa, possa confermare l'informativa antimafia disposta antecedentemente alla sottoposizione al controllo.
Con la sentenza n. 4912 del 16 giugno 2022, il Consiglio di Stato si occupa del rapporto tra controllo giudiziario conclusosi favorevolmente e il successivo procedimento di aggiornamento dell'informativa antimafia effettuato dal Prefetto.
Ad avviso del Consiglio, sebbene «la funzione bonificante concretamente svolta dal controllo giudiziario non possa essere obliterata dal Prefetto, pena lo scadimento dell'azione amministrativa nell'eccesso di potere con sostanziale tradimento della voluntas legislatoris», tuttavia ciò non impedisce «che dal controllo derivi un vincolo alle valutazioni postume del Prefetto, alla luce di una presunzione assoluta di bonifica».
Tuttavia, le favorevoli conclusioni dell'amministratore giudiziario, e la conseguente chiusura del “controllo”, non sono assimilabili ad un giudicato di accertamento ma, al contrario «si prestano ad uno screening e ad una valutazione ulteriore, sempre che sia argomentata e supporta da riscontri e considerazioni che basano su risultanze istruttorie, e sia sorretta da idonea motivazione dalla quale possano ricavarsi i processi logico deduttivi che l'hanno determinata».
Sulla questione, il Consiglio aggiunge che, «mentre il controllo giudiziario è parentesi cautelare ed emendativa che consegue ad un accertamento amministrativo che si ritiene presupposto e non sindacabile (…) l'informativa è invece frutto di una visione ampia che ingloba anche la storia dell'imprenditore, i suoi legami passati e le pregresse vicende, nei limiti in cui esse siano ancora significative e portatrici di un potenziale pregiudicante anche provvisto di riverberi attualità».
Il Consiglio esclude che tale controllo sia in grado di cancellare gli eventi che in passato hanno dato sostanza al rischio infiltrativo, «poiché così ragionando si andrebbe oltre la volontà del legislatore, sino a costruire un sistema di prevenzione penale/amministrativa in cui l'informativa assume il ruolo di condizione di procedibilità del controllo giudiziario a domanda».
Pertanto, il Consiglio conclude affermando che «la conclusione favorevole del controllo giudiziario di cui all'
Tuttavia, «nel procedere all'aggiornamento, il Prefetto deve individuare, dandone puntualmente conto in motivazione, quali siano i fatti, anche verificatisi nel periodo di durata del controllo stesso, da cui desumere il persistente rischio di infiltrazioni mafiose e ponderare la rilevanza di questi fatti con il percorso compiuto dall'imprenditore nel periodo di controllo, con la sua storia e con le ragioni che hanno motivato l'informativa antimafia originaria emessa a suo carico».
Consiglio di Stato, sez. Terza, sentenza (ud. 19 maggio 2022) 16 giugno 2022, n. 4912
Svolgimento del processo
La -omissis-, veniva colpita da informazione interdittiva antimafia e successivamente ammessa controllo giudiziario ai sensi dell’art. 34-bis d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159.
A conclusione del periodo biennale di sottoposizione al controllo, il Tribunale di Catanzaro non ne riteneva necessaria la proroga, in considerazione delle positive conclusioni cui era giunto l’amministratore giudiziario nelle sue relazioni sull’andamento della misura e avuto riguardo alle iniziative intraprese dall’impresa per prevenire il rischio di infiltrazione mafiose.
Nondimeno, la Prefettura di Catanzaro, interessata dalla richiesta di aggiornamento dell’informativa presentata dalla società, negava l’iscrizione alle c.d. white list e, con provvedimento del - omissis -, confermava l’interdizione.
La società proponeva ricorso al TAR Calabria.
Il TAR ha accolto il ricorso con la sentenza in epigrafe indicata. Il TAR, ricostruisce in fatto la vicenda, enucleando gli indizi valorizzati dalla Prefettura: a) in alcuni rapporti contrattuali intercorsi tra la società ricorrente e soggetti controindicati, ed in particolare: - a1) in due vendite di immobili in favore di parenti di soggetti pluripregiudicati; - a2) nell’acquisto di un immobile e di materiale ferroso da un imprenditore individuale poi colpito da informazione interdittiva antimafia;
b) nel fatto che - omissis -, società riconducibile al socio accomandante della ricorrente, abbia tra i suoi dipendenti un soggetto legato da rapporti di parentela con individui controindicati.
Secondo il TAR, tuttavia “non risulta che le due vendite immobiliari, che appaiono peraltro rientrare nell’oggetto sociale della società ricorrente, siano state effettuate a prezzo diverso da quello di mercato o a condizioni anomale, o che i rapporti di parentela degli aventi causa abbiano in qualche modo condizionato l’an o il contenuto del contratto”.
“Simili considerazioni possono valere” – ad avviso del TAR – “per l’acquisto di un immobile al prezzo di € 40.000,00 da - omissis -, soggetto successivamente interdetto per il ruolo di appoggio a esponenti di cosche di ‘ndrangheta”. Allo stesso modo, l’acquisto di materiale ferroso da tale soggetto appare rientrare nella normale attività di impresa, tenuto conto in particolare che i rapporti contrattuali sono avvenuti nel contesto “garantito” del controllo giudiziario. Anche la presenza, tra i dipendenti di - omissis -, parente di appartenenti a famiglie di ‘ndrangheta, appare un elemento slegato dagli altri, non idoneo, di per sé, a far emergere un concreto pericolo di condizionamento mafioso”.
Del resto, chiosa il primo giudice, “l’istituto del controllo giudiziario è stato ideato allo scopo di consentire agli operatori economici oggetto di occasionale infiltrazione mafiosa di continuare, in regime di controllo straordinario, a svolgere la propria attività imprenditoriale, per ragioni di libertà di iniziativa e di garanzia dei posti di lavoro (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 31 maggio 2018, n. 3268. Il fine ultimo della misura, è quello di incentivare l’interruzione, attraverso l’adozione di misure di self-cleaning, di ogni occasione di contatto con il mondo della criminalità organizzata, da cui può sorgere il pericolo di infiltrazione mafiosa, onde consentire la riammissione dell’operatore economico nel mercato, libero da condizionamenti criminali….I dati fattuali sintomatici del pericolo di infiltrazione mafiosa che siano antecedenti al periodo di controllo giudiziario, dunque, possono essere valorizzati dall’amministrazione solo se ad essi corrispondano dati che attualizzano il pericolo”.
Avverso la sentenza ha proposto appello il Ministero dell’Interno.
A supporto del gravame l’amministrazione appellante, premessa la gravità del rischio infiltrativo che ha caratterizzato la prima informativa, osserva che allorché, all'esito del controllo giudiziario, venga richiesto l'aggiornamento della documentazione antimafia, o, come nel caso di specie, si faccia questione della permanenza dell'operatore economico nella c.d. white-list, alla Prefettura è demandato il delicato compito di verificare se il periodo di applicazione dell'istituto di cui all'art 34-bis Codice antimafia abbia portato a recidere i contatti con le organizzazioni criminali, non potendosi postulare che la pronuncia del giudice della prevenzione penale produca un accertamento vincolante, con efficacia di giudicato, sul rischio di infiltrazione dell’impresa da parte della criminalità organizzata.
Nel caso di specie, la rinnovata istruttoria avrebbe confermato la persistenza di elementi che conducono ad una valutazione di sussistenza attuale del pericolo di condizionamento mafioso secondo il criterio del più probabile che non, posto che durante il controllo giudiziario la società ha stipulato un atto di vendita di un immobile del valore di € 96.000,00 alla figlia del cugino di - omissis -, indagato per il reato di interposizione fittizia (artt. 110, 512-bis e 416-bis c.p.) nell'ambito del p.p. - omissis -citato, essendosi intestato il veicolo Fiat Punto - omissis -in realtà nella diretta disponibilità di suo genero, - omissis -. Risulta nel medesimo periodo la compravendita per l’importo di € 55.000,00, stipulata in data 9 luglio 2018, in favore di - omissis - della nuda proprietà in comune di una porzione immobiliare ubicata in - omissis -e dell'usufrutto generalizzato vitalizio a - omissis -genitori dei predetti, soggetti strettamente imparentati con pluripregiudicati appartenenti alla famiglia - omissis -. Inoltre, la società appellata ha acquistato dall’impresa individuale - omissis -, un immobile per un corrispettivo di € 40.000,00. L’imprenditore acquirente è destinatario di informazione interdittiva antimafia, per il ruolo di supporto dallo stesso svolto in favore del sodalizio mafioso dei - omissis -, svolto anche attraverso altra società, la - omissis -della quale è amministratore unico e socio di maggioranza, - omissis -.
La sentenza impugnata sarebbe inoltre contraddittoria nella parte in cui, da un lato richiede l’attualizzazione degli elementi sintomatici del pericolo di infiltrazione mafiosa, non ritenendo sufficienti i dati fattuali “che siano antecedenti al periodo di controllo giudiziario”, dall’altro, non ritiene rilevanti, ai fini del quadro indiziario posto a base del provvedimento di diniego, i rapporti contrattuali avvenuti “nel contesto ‘garantito’ del controllo giudiziario”.
Essa oblitererebbe che la possibilità da parte dei controllori giudiziari di andare al di là dell'aspetto formale della correttezza delle procedure e della documentazione fiscale, è molto limitata, non avendo gli amministratori giudiziari conoscenza di elementi informativi, quali quelli forniti dalle FF.OO., che, invece, consento all'organo prefettizio di valutare la "limpidezza" dei rapporti, contrattuali e non, intercorsi nel periodo del controllo.
Nel giudizio si è costituita la - omissis -. Replica osservando che a) non sussiste, nel caso di specie, una “regia familiare” che consenta di imputare le vicende dell’uno altro componente della famiglia; b) erroneo e ingiusto l’avere inferito il condizionamento mafioso dal mero e peraltro generico legame di parentela tra le parti acquirenti e soggetti ritenuti contigui o affiliati ai sodalizi criminali; c) se è vero che l’esito favorevole del controllo giudiziario non osta a che il Prefetto emani nuovo provvedimento interdittivo, è pur vero che lo stesso non può essere sorretto dalla passiva, acritica e stereotipata ripetizione degli elementi ritenuti di rischio già considerati, ma deve essere sostenuto (anche) da ulteriori fattori di controindicazione che convincono della persistenza, concretezza ed attualità del pericolo infiltrativo, nonostante il controllo giudiziario. Elementi nella specie insussistenti.
La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 19 maggio 2022.
Motivi della decisione
1. Viene in decisione una questione in cui è in rilievo il rapporto tra controllo giudiziario a domanda, conclusosi favorevolmente per il sottoposto, e valutazioni successive del Prefetto ai fini dell’aggiornamento dell’informativa antimafia.
Nel caso di specie, il Tribunale, sezione misure di prevenzione di Catanzaro, ha “chiuso” il controllo giudiziario, non ritenendo necessarie proroghe, atteso che, dalla relazione conclusiva dell’amministratore giudiziario è emerso che:
a) la società ha intrapreso iniziative atte a prevenire il rischio di infiltrazione mafiose, sia con riferimento alle modalità di assunzione di personale, che alle modalità di scelta dei fornitori e di pagamento;
b) non è stato registrato nessun fatto o notizia di sospetto o di contrasto con la procedura;
b) è stata riscontrata la massima collaborazione da parte dell’amministratore della società nel corso del monitoraggio.
La Prefettura, vagliando singole vicende negoziali poste in essere durante il periodo del controllo giudiziario, e incasellandole nel quadro di rischio che ha condotto a suo tempo all’informativa antimafia (sospesa in ragione del concesso controllo giudiziario), ha ritenuto persistente il rischio di infiltrazione e ha riemesso un un’informativa a carattere interdittivo.
Si tratta dunque di un caso in cui, ad avviso della Prefettura, il controllo giudiziario non ha svolto un’effettiva funzione “bonificante”. Di diverso avviso il TAR, e ovviamente la società appellata, secondo la quale invece la parentesi del controllo giudiziario sarebbe priva di utilità se non le si riconoscesse una funzione di cesura e garanzia.
2. La Sezione ha già avuto modo di affrontare il tema dei predetti rapporti, in particolare in ordine alla possibile refluenza delle valutazioni del controllo giudiziario in sede di sindacato di legittimità dell’informativa presupposta, chiarendo in proposito che “pretendere di sindacare la legittimità del provvedimento prefettizio alla luce delle risultanze della (successiva) delibazione di ammissibilità al controllo giudiziario, finalizzato proprio ad un'amministrazione dell'impresa immune da (probabili) infiltrazioni criminali, appare operazione doppiamente viziata: perché inevitabilmente diversi sono gli elementi (anche fattuali) considerati - anche sul piano diacronico - nelle due diverse sedi, ma soprattutto perché diversa è la prospettiva d'indagine, id est l'individuazione dei parametri di accertamento e di valutazione dei legami con la criminalità organizzata. Non può pertanto sostenersi che la pronuncia del giudice della prevenzione penale produca un accertamento vincolante o condizionante sul rischio di infiltrazione dell'impresa da parte della criminalità organizzata o che gli accertamenti (cfr. Cons. Stato Sez. III, 4 febbraio 2021, n. 1049).
La Corte di Cassazione, da canto suo, ha chiarito che, nel sistema delle relazioni fra prevenzione amministrativa e prevenzione penale antimafia, in sede di controllo giudiziario "vanno esclusi in capo al Tribunale di prevenzione, poteri di controllo dei presupposti della interdittiva antimafia, venendo altrimenti ad introdursi nel sistema una duplicazione del controllo sulla legittimità della misura interdittiva e segnatamente sulla sussistenza o meno dei presupposti (cfr. in tal senso Cass. Penale sentenza Sez. 6, del 9 maggio 2019, n. 26342)".
A indurre a queste conclusioni è la peculiarità del controllo giudiziario a “domanda” di cui all’art. 34 comma 6. A differenza di quanto previsto dall'art. 34 bis, comma 1 (controllo giudiziario d’ufficio), in relazione al quale "la valutazione del prerequisito del pericolo concreto di infiltrazioni mafiose, idonee a condizionare le attività economiche e le aziende, è riservata in via esclusiva al giudice della prevenzione - trattandosi di misura richiesta ad iniziativa pubblica in funzione di un controllo cd. prescrittivo - nel caso del comma 6 della medesima disposizione, la valutazione deve tener conto del provvedimento preventivo di natura amministrativa" e dunque non può prescindere "dall'accertamento di quello stesso prerequisito effettuato dall'organo amministrativo, substrato della decisione riservata alla cognizione del giudice ordinario, così da risultare preclusa la possibilità di negare addirittura la misura ove si ritenga inesistente, con gli standard probatori propri del giudizio penale di prevenzione, quello stesso pericolo di infiltrazione che, invece, l'organo amministrativo ha affermato, sia pure sulla base di un diverso parametro di giudizio, in dimensione prospettica, attraverso una lettura prognostica delle informazioni acquisite” (così Cass. 28 gennaio 2021, n. 9122).
Dunque: a) il Giudice penale deve considerare l’informativa antimafia quale presupposto insindacabile del giudizio; b) il Giudice amministrativo deve considerare il controllo giudiziario quale parentesi che dinamicamente tende all’emenda dell’imprenditore, e che non refluisce sul sindacato “statico” sull’informativa a suo tempo emessa, da esercitare alla luce del quadro istruttorio al tempo “fotografato” e vagliato dal Prefetto.
3. Sin qui il quadro dei rapporti che interessano il primo ciclo di relazioni tra informativa (e suo sindacato) e controllo giudiziario conseguente all’informativa.
Il caso di specie impone però di indagare un ulteriore ciclo di possibili relazioni: quello tra controllo giudiziario conclusosi favorevolmente, e valutazioni successivamente effettuate dal Prefetto in sede di aggiornamento dell’informativa (com’è noto doveroso in forza del disposto dell’art. 86, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011, così come interpretato dalla Corte costituzionale con sentenza 57/2020 e applicato dalla Sezione da ultimo con decisione 13 dicembre 2021 n. 8309).
Ritiene il Collegio che tale ambito sia ancor più delicato, poiché interessa un’attività che nell’ottica del legislatore dovrebbe avere non solo un effetto cautelarmente protettivo (sospendere gli effetti potenzialmente esiziali dell’informativa), ma anche e soprattutto bonificante, grazie ad un monitoraggio giudiziario idoneo a disinnescare, pro futuro, gli “occasionali” rischi infiltrativi appalesatesi alla lente del Prefetto. Un modello, quello cautelare e bonificante, sul quale il legislatore ha di recente puntato, estendendone, di fatto, l’applicazione anche alla sede amministrativa, seppur con alcuni tratti di originalità, in alternativa all’informativa interdittiva ove il rischio possa, nella valutazione che ne fa in prima istanza il Prefetto, considerarsi “occasionale” (artt. 47, 48 e 49 del d.l. n. 152, convertito nella l. n. 233 del 2021).
4. Non v’è dubbio, ad avviso del Collegio, che la funzione bonificante concretamente svolta dal controllo giudiziario non possa essere obliterata dal Prefetto, pena lo scadimento dell’azione amministrativa nell’eccesso di potere con sostanziale tradimento della voluntas legislatoris. Ciò non vuol dire, però, che dal controllo giudiziario derivi un vincolo alle valutazioni postume del Prefetto, alla luce di una presunzione assoluta di avvenuta bonifica.
E’ pur vero che il controllo giudiziario è idoneo a creare un ambiente di impresa e di relazioni commerciali “garantito”, caratterizzato dal controllo analitico dell’amministratore sugli atti di disposizione, di acquisto o di pagamento effettuati e ricevuti, sugli incarichi professionali, di amministrazione o di gestione fiduciaria, nonché dall’imposizione di modelli organizzativi idonei a prevenire o a diminuire il rischio infiltrativo, anche ai sensi degli articoli 6, 7 e 24-ter del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e successive modificazioni.
4.1. Potrebbero tuttavia verificarsi vicende non facilmente intercettabili dall’amministratore giudiziario in quanto destinate a muoversi sul piano dei rapporti personali dell’imprenditore e degli ambienti familiari e sociali nel quale egli opera e che, viceversa, più agevolmente si prestano ad essere vagliate nel quadro di indagini penali o di controlli di polizia che ne disvelino la loro vera natura sostanziale, al di là degli schermi formali prescelti.
Le favorevoli conclusioni dell’amministratore giudiziario, e la conseguente chiusura del “controllo giudiziario” non sono dunque assimilabili ad un giudicato di accertamento. Esse si prestano ad uno screening e ad una valutazione ulteriore, sempre che essa sia argomentata e supportata da riscontri e considerazioni che basano su risultanze istruttorie, e sia sorretta da idonea motivazione dalla quale possano ricavarsi i processi logico deduttivi che l’hanno determinata.
4.2. Non solo. Mentre il controllo giudiziario è parentesi cautelare ed emendativa che consegue ad un accertamento amministrativo che si ritiene presupposto e non sindacabile - ed è dunque tutto incentrato su una prognosi che guarda al futuro affrancamento dai rischi che seppur occasionalmente in passato hanno condizionato l’imprenditore - l’informativa (anche quella eventualmente successiva al controllo giudiziario) è invece frutto di una visione ampia che ingloba anche la storia dell’imprenditore, i suoi legami passati e le pregresse vicende, nei limiti in cui esse siano ancora significative e portatrici di un potenziale pregiudicante ancora provvisto di riverberi attualità. Ciò consente al Prefetto di giustificare le sue valutazioni, utilizzando, seppur per meglio inquadrare e qualificare le sopravvenienze, lo sfondo in cui le vicende sono maturate e la storia in cui esse si innestano.
4.3. Deve in particolare escludersi che il controllo giudiziario sia in grado di cancellare gli eventi che in passato hanno dato sostanza al rischio infiltrativo, in guisa da assumere oltre ad una funzione cautelare e bonificante, anche una funzione riabilitante, poiché così ragionando si andrebbe oltre la volontà del legislatore, sino a costruire una sistema di prevenzione penale/amministrativa in cui l’informativa assume il ruolo di condizione di procedibilità del controllo giudiziario a domanda, e quest’ultimo quello di un percorso che esenta l’imprenditore da qualsivoglia effetto interdittivo nei rapporti con la Pubblica amministrazione (dapprima in sede cautelare e poi in forza dell’effetto riabilitante).
5. Dunque, coniugando a sistema le considerazioni di cui sopra, ritiene il Collegio che, a valle del controllo giudiziario il Prefetto ben possa individuare episodi, comportamenti, relazioni che depongono per la permanenza del rischio infiltrativo, anche ove essi si siano verificati durante la fase giudiziaria monitorata, purché ne dia compiuta e concludente evidenza in sede motivazionale e non manchi di ponderandoli con il percorso compiuto dall’imprenditore in costanza del controllo giudiziario, da valutare anche alla luce della storia del medesimo e delle ragioni del primigenio sorgere del rischio infiltrativo.
6. Chiarito quanto sopra il Collegio ritiene che nel caso di specie la valutazione del Prefetto sia legittima.
La storia dell’impresa evidenzia la sussistenza di una regia familiare. Come condivisibilmente affermato dalla Prefettura, l'analisi dei mutamenti intervenuti nel corso degli anni in seno alla compagine societaria della - omissis -vede la costante presenza dei tre componenti del nucleo familiare - omissis -
La prima, al momento della sua costituzione, avvenuta in data 12 febbraio 2014, annoverava tra i soci: - omissis -, in qualità di socio accomandatario; -- omissis -, in qualità di soci accomandanti. In data 29 maggio 2014, -- omissis - cedeva la propria quota di partecipazione a - omissis -, salvo poi rientrare nella società in data 18 agosto 2017. La circostanza è da imputare alla contestuale fuoriuscita dalla compagine societaria del figlio, -- omissis -, costretto a cedere la sua partecipazione al capitale sociale per via del suo coinvolgimento nel procedimento penale scaturito dall'operazione - omissis -.
Speculari le vicende societarie che hanno riguardato l’altra società di famiglia, la - omissis -. Al momento della sua costituzione, avvenuta in data 5 febbraio 2001, anch'essa annoverava come soci tutti e i componenti del nucleo familiare - omissis -è stato estromesso dalla società.
Il nesso cronologico che lega le vicende appena richiamate è stato valutato dall'Ufficio prefettizio anche in collegamento ad ulteriori due elementi che hanno dato consistenza alla prognosi circa la sussistenza di una regia familiare unica, ossia che le due società avessero la medesima sede legale e svolgessero la propria attività di impresa nello stesso settore, quello cementizio, ambito tradizionalmente privilegiato dalla 'ndrangheta e quindi a forte rischio infiltrativo.
Ciò premesso l'Ufficio prefettizio ha enucleato gli indici sintomatici del rischio di infiltrazione che hanno caratterizzato la storia recente dell’impresa, ossia la stipula di contratti con personaggi appartenenti a famiglie mafiose, l'assunzione di soggetti che risultano essere amministratori di società interdette nonché il coinvolgimento del socio - omissis - in un'indagine della Guardia di Finanza in cui risultano coinvolti soggetti riconducibili a famiglie mafiose operanti nel territorio in cui ha sede la società odierna appellata.
Gli ulteriori elementi emersi durante il controllo giudiziario consistono in due vendite di immobili in favore di parenti di soggetti pluripregiudicati; nell’acquisto di un immobile e di materiale ferroso da un imprenditore individuale poi colpito da informazione interdittiva antimafia; nel fatto che - omissis -, società riconducibile al socio accomandante della ricorrente, abbia tra i suoi dipendenti un soggetto (-omissis -) legato da rapporti di parentela con individui controindicati.
Il TAR in proposito afferma che “non risulta che le due vendite immobiliari, che appaiono peraltro rientrare nell’oggetto sociale della società ricorrente, siano state effettuate a prezzo diverso da quello di mercato o a condizioni anomale o che i rapporti di parentela degli aventi causa abbiano in qualche modo condizionato l’an o il contenuto del contratto”.
7. Il Collegio è di diverso avviso. Invero, dall'allegato alla prima relazione dell’amministratore giudiziario, redatta in data 19 aprile 2018, al termine del primo bimestre di controllo giudiziario ex art. 34-bis, d.lgs. 159/2011, si evince la stipula di un atto di vendita di un immobile del valore di € 96.000,00, in favore della figlia del cugino di - omissis - (indagato per il reato di interposizione fittizia nell'ambito del p.p. - omissis -, essendosi intestato il veicolo Fiat Punto (-omissis -), in realtà nella diretta disponibilità di suo genero, - omissis -). Ebbene non è privo di rilievo che già negli anni 2011/2015, il socio accomandatario, -- omissis -, aveva intrattenuto rapporti economici con soggetti appartenenti alla famiglia - omissis -, ossia con le figlie di -- omissis -(sorvegliato speciale di P.S. e coinvolto nell'operazione - omissis -, nell'ambito della quale è stato arrestato ed indagato per associazione di stampo mafioso, estorsione, produzione e traffico di sostanze stupefacenti assieme al fratello, -- omissis -, ritenuto capo dell'omonima cosca). La vendita dunque si inserisce in un quadro di rapporti che assume valenza e significatività ai fini del rischio infiltrativo.
7.1. Così è anche per la seconda vendita. Dalla quarta relazione dell’amministratore giudiziario, redatta in data 19 ottobre 2018, risulta la compravendita per l’importo di € 55.000,00, stipulata in data 9 luglio 2018, con la quale la -- omissis -. di - omissis SSIS- ha ceduto a - omissis - la nuda proprietà in comune di una porzione immobiliare ubicata in -OMISSIS-e l'usufrutto generalizzato vitalizio a - omissis -genitori dei predetti. Al riguardo la Prefettura ha evidenziato che i - omissis -sono strettamente imparentati con pluripregiudicati (anche per reati di mafia) appartenenti alla famiglia - omissis - (CZ).
7.2. Dalla documentazione allegata alle relazioni bimestrali risulta, altresì, che la società appellata ha acquistato dall’impresa individuale - omissis -, destinataria di informazione interdittiva antimafia, un immobile per un corrispettivo di € 40.000,00.
In proposito, il TAR ritiene che l’acquisto di materiale ferroso da tale impresa individuale appaia “rientrare nella normale attività d’impresa, tenuto conto in particolare che i rapporti contrattuali sono avvenuti nel contesto “garantito” del controllo giudiziario.”
In realtà - omissis -, titolare della predetta impresa individuale, è stato poi destinatario della informazione interdittiva antimafia per il ruolo di supporto dallo stesso svolto in favore del sodalizio mafioso dei - omissis -, svolto anche attraverso altra società, della quale è amministratore unico e socio di maggioranza, la - omissis -
7.3. Non può condividersi neanche l’affermazione del primo giudice secondo la quale “presenza, tra i dipendenti di - omissis -, di - omissis -, parente di appartenenti a famiglie di ‘ndrangheta, appare un elemento slegato dagli altri, non idoneo, di per sé, a far emergere un concreto pericolo di condizionamento mafioso”.
Trattasi piuttosto di parente di - omissis -, citato dalla Prefettura in relazione alla compravendita del 19 aprile 2018, e dunque non “slegato” dal castello indiziario.
8. Il complesso degli elementi sopra passati in rassegna sono ad avviso del Collegio sufficienti per ritenere ragionevole la prognosi di permanenza del rischio infiltrativo formulata dalla Prefettura, alla luce del criterio del più probabile che non che caratterizza siffatto peculiare strumento di avanzata prevenzione amministrativa.
9. L’appello deve pertanto essere accolto, con riforma della sentenza di prime cure.
10. Avuto riguardo all’evoluzione del giudizio e alla peculiarità e novità delle questioni trattate, il Collegio ravvisa i presupposti per compensare tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie. Per l’effetto, in riforma della sentenza gravata, respinge il ricorso introduttivo del primo grado.
Spese del doppio grado compensate.