Con la sentenza in commento, la Cassazione risponde al quesito.
Svolgimento del processo
La Corte di Appello di Firenze, con decreto n. 270/2018 depositato il 6 febbraio 2018, in accoglimento dell'opposizione incidentale proposta dal Ministero dell'economia e delle finanze, ai sensi dell'art. 5 ter legge n. 89 del 2001, avverso il decreto del magistrato designato che accogliendo parzialmente la domanda di equa riparazione formulata da M. R. liquidava l'indennizzo in complessivi euro 2.160,00 e in euro 915,00 le spese del procedimento, ritendo fondata l'eccezione spiegata dall'Amministrazione ad avviso della quale nulla spettava alla opponente principale a titolo di indennizzo per il giudizio pensionistico introdotto dal padre dinanzi alla Corte dei Conti, Sez. giur. Toscana con ricorso del 30.07.1982 definito con sentenza del 07.06.2015.,. neanche in ragione della quota ereditaria, per manifesta infondatezza della domanda azionata nel giudizio presupposto ex art. 2, comma 2 legge n. 89 del 2001.
Avverso il decreto della Corte di Appello fiorentina propone ricorso per cassazia.ne la R., fondato su due motivi. Il Ministero è rimasto intimato.
Il ricorso - previa relazione stilata dal nominato consigliere delegato - è stato inizialmente avviato per la trattazione in camera di consiglio,. in applicazione degli artt. 375 e 380-bis c.p.c., avanti alla sesta - 2 sezione civile. All'esito dell'adunanza camerale fissata al 05.03.2021, con ordinanza interlocutoria n. 27237 del 2021 depositata il 07.10.2021, il procedimento è stato rimesso dal Collegio alla pubblica udienza dinanzi alla seconda sezione in mancanza dell'evidenza decisoria, previo deposito dalla sola parte ricorrente di memoria illustrativa.
In prossimità della udienza pubblica è stata depositata dal sostituto procuratore generale, dott. Fulvio Troncone, memoria con la quale ha rassegnato le conclusioni nel senso dell'accoglimento del ricorso. Parte ricorrente ha curato il deposito di ulteriore memoria ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la ricorrente lamenta la viola: ione e la falsa applicazione dell'art. 2, comma 2 quinquies legge n. 89 del 2001 e degli artt. 24 e 101 Cost., per non avere la Corte di appello riconosciuto l'indennizzo alla luce dell'esito negativo del giudizio presupposto. Ad avviso della ricorrente la conclusione non è in linea né con il dettato normativo nazionale né con quello europeo, per essere peraltro il giudizio pensionistico davanti alla Corte dei Conti toscana stato istruito dalla sola Procura. Insiste la ricorrente nel ritenere, al punto 2 del ricorso, che la disposizione su cui si fonda il rigetto non prevede alcuna esclusione del beneficio per la parte soccombente, ma solo per la parte che ha agito/resistito in giudizio con temerarietà, consapevole dell'infondatezza della propria posizione.
La censura non può trovare ingresso.
L'art. 2, comma 2-quinquies L. 89/2001 afferma che "non e' riconosciuto alcun indennizzo in favore della parte che ha agito o resistito in giudizio consapevole della infondatezza originaria o sopravvenuta delle proprie domande o difese, anche fuori dai casi di cui all' articolo 96 del codice di procedura civile".
E', quindi, escluso l'indennizzo per l'irragionevole durata del processo al richiedente consapevole -· sin dall'inizio o nelle more della lite - della infondatezza delle proprie ragioni, poiché, in tali casi, manca il patema d'animo, difettando la stessa condizione soggettiva di incertezza e, dunque elidendosi il presupposto dello stato di disagio e sofferenza.
In base al comma 2-quinquies, aggiunto della L. n. 89 del 2001, art. 2, citato D.L. n. 83 del 2012, art. 55, comma 1, lett. a), n. 3), l'abuso del processo per effetto della temerarietà della lite osta al riconoscimento dell'equo indennizzo anche in mancanza di un provvedimento di condanna ai sensi dell'art. 96 c..p.c., in quanto l'elencazione contenuta in detto comma 2-quinquies non ha carattere tassativo, sicchè il giudice dell'equa riparazione può pervenire a tale giudizio in base al proprio apprezzamento (Cass. n.595 del 2019).
Milita a favore di tale affermazione,, innanzi tutto, l'assenza di elementi d'indole letterale idonei a supporre che l'indennizzo, fermo il danno (presunto o accertato), sia ammesso in ogni altra ipotesi diversa da quelle elencate dalla norma; in secondo luogo, la lett. f) del comma 2-quinquies cit. lascia intendere che il legislatore, tipizzate alcune ipotesi di abuso (nelle lett. da a) ad e), abbia voluto lasciare aperta la possibilità di individuarne altre di pari livello. La tipizzazione delle ipotesi di cui al comma 2-quinquies cit. reagisce sulla fattispecie concreta attraverso il vincolo che pone all'interprete: in particolare, va osservato che detta norma sottrae al giudice, in presenza di una condanna ai sensi dell'art. 96 c.p.c., ogni possibilità di apprezzare il caso specifico, di guisa che il diritto all'indennizzo è senz'altro escluso; correlativamente, l'assenza di un provvedimento di condanna per responsabilità aggravata restituisce al giudice il potere di valutare la condotta tenuta dalla parte nel processo presupposto e di pervenire se del caso ad un giudizio di temerarietà della lite non formulato dal 9iudice di quella causa. L'inesistenza nel giudizio presupposto di una condanna per responsabilità aggravata ben può dipendere, infatti, da fattori del tutto accidentali, quali l'assenza di domanda o il difetto di prova del danno, nelle ipotesi dei primi due commi dell'art. 96 c.p.c., ovvero il mancato esercizio del potere officioso ma discrezionale che il comma 3 di detta norma assegna al giudice. In questi casi nulla autorizza a ritenere che la parte soccombente non abbia agito o resistito in giudizio con la consapevolezza del proprio torto: semplicemente, non vi è stato alcun accertamento al riguardo.
Del resto sarebbe del tutto illogico sopprimere nel procedimento d'equa riparazione ogni altro rilievo della mala fede processuale (non già esclusa, ma) non valutata nel giudizio presupposto, vincolando il giudice ad un giudizio di non temerarietà della lite non altrimenti motivato e motivabile.
Si deve, quindi, concludere che l'ipotesi di abuso del processo di cui alla legge n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-quinquies, lett. a) e b), non esaurisce l'incidenza della temerarietà della lite sul diritto all'equa riparazione, essendo consentito al giudice di pervenire a tale giudizio in base al proprio apprezzamento e, pertanto, il giudice del procedimento ex lege n. 89 del 2001, può valutare - e poteva farlo anche nella previgente disciplina - anche ipotesi di temerarietà che per qualunque ragione nel processo presupposto non abbiano condotto ad una pronuncia di condanna ai sensi dell'art. 96 c.p.c..
Nella specie, sulla base di circostanze di fatto, apprezzate compiutamente dalla corte territoriale, è stata ravvisata la consapevolezza dell'infondatezza della prete:;a originaria, indipendentemente dall'omessa condanna della parte per lite temeraria nel giudizio presupposto.
Il giudice d'appello ha apprezzato elementi di fatto, insindacabili in sede di legittimità, che lo hanno portato a ravvisare la consapevolezza dell'infondatezza dell'originaria pretesa da parte dell'istante, consistenti in una serie di circostanze, come il "silenzio nosologico delle patologie lamentate" ed il criterio cronologico richiamato dall'Amministrazione e dalla Commissione Medica Superiore in data 17 dicembre 1973; aggiungeva che dal foglio matricolare del R. non emergevano variazioni di rilievo medico legale, né al rimpatrio egli ebbe modo di denunciare alcuna infermità, ragione per la quale era stato escluso che le infermità, cardiaca e spondiloartrosica, unitamente agli esiti del trauma cranico, fossero ricollegabili alle risalenti vicende belliche e al periodo di prigionia. La stessa ulcera gastrica è risultata priva di esiti patologici. A fronte di siffatto quadro istruttorio la parte ricorrente ovvero il suo dante causa non aveva prestato alcuna collaborazione per l'indicazione di dati obiettivi che consentissero un diverso esito della causa presupposta.
Trattasi di valutazione di merito degli elementi probatori che la parte aveva mancato di acquisire che come tale non è censurabile in sede di legittimità.
Con secondo ed ultimo motivo la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2, comma 2 quinquies legge n. 89 del 2001 e degli artt. 24 e 101 Cost., per l'omesso esame di circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in particolare la compensazione delle spese di lite nel giudizio presupposto, che evidenziava proprio la non infondatezza della pretesa fatta valere.
Anche siffatta censura è priva di pregio.
Come già esposto, il decreto impugnato non risulta censurabile ai sensi del nuovo testo dell'art. 360, n. 5, c.p.c. (motivo, questo, formulato dal ricorrente, il quale pur lamentando l'omesso esame di fatto decisivo, svolge critiche all'apparato motivazionale del decreto della Corte d'appello), atteso che tale decreto è stato depositato il 6 febbraio 2018 e ad esso si applica, appunto, l'art. 360, n. 5, come modificato dal decreto legge n. 83 del 2012, convertito dalla legge n. 134 del 2012 (sui limiti di deducibilità dei vizi di motivazione, Cass., Sez. Un., n. 8053 del 2014).
La valutazione di temerarietà del giudizio presupposto compiuta dal giudice della domanda di equa riparazione, infatti., da un lato si sottrae al sindacato di legittimità motivazionale, per effetto dei limiti introdotti dal nuovo testo dell'art. 360, n. 5 c:.p.c., per come interpretato da Cass. S.U. n. 8053/14, dall'altro è doverosamente operata d'ufficio dal giudice di merito, essendo requisito negativo per l'esistenza del diritto.
Il ricorso va perciò rigettato.
Nessuna pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione per avere l'Amministrazione, rimasta intimata, svolto difese.
Essendo il procedimento in esame esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al comma 1-quater all'art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.