Non è necessario che la stampigliatura sui prodotti “Italy” sia preceduta da “made in”, perché la merce prodotta all'estero non ha ragione di avere impressa una tale scritta se non quella di trarre in inganno i consumatori.
In sede di riesame, il Tribunale di Trieste confermava il sequestro preventivo di un'ingente quantità di metri di tubi in gomma prodotti da una società turca e destinati ad una società italiana recanti la stampigliatura “Italy” disposto nei confronti del legale rappresentante della società italiana, indiziato per il reato di cui all'
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza in data 16.11.2021 il Tribunale di Trieste, adito in sede di riesame, ha confermato il sequestro preventivo di circa 37.000 metri di tubi in gomma prodotti da una società turca e destinati alla società·(omissis) s.p.a., recanti la stampigliatura "Italy" disposto nei confronti di (omissis), legale rappresentante della società italiana, indiziato del reato di cui all'art. 517 cod. pen. per immissione in commercio, prodotti industriali con indicazioni fallaci sulla loro origine.
2. Avverso il suddetto provvedimento l'indagato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando due motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all'art. 173 disp.att. cod.proc.pen.
2.1. Con il primo motivo deduce, in relazione al vizio di cui all'art. 606 lett.c) cod. proc. pen. riferito all'art. 324 cod. proc. pen. due distinte violazioni di legge commesse nel procedimento di riesame, la prima consistita nella comunicazione dell'istanza di riesame trasmessa dalla cancelleria all'autorità procedente il giorno successivo al suo inoltro avvenuto in data 4.11.2021 via Pec, e la seconda consistita nella trasmissione degli atti del sequestro da parte del Gip al tribunale del riesame tre giorni dopo la ricezione della suddetta comunicazione, ovverosia 1'8.11.2021, e non già il giorno successivo. Lamenta pertanto che l'udienza innanzi al Tribunale del riesame fosse stata fissata oltre il termine di dieci giorni dalla ricezione degli atti previsto ex lege, ovverosia il 16.11.2021 e non già entro il 15.11.2021 con la conseguenza che il difensore, impossibilitato a partecipare a detta udienza, si era visto respingere la richiesta di differimento per legittimo impedimento e sì era dovuto far sostituire.
2.2. Con il secondo motivo contesta la riconducibilità della condotta, in relazione al vizio di violazione di legge, alla fattispecie delittuosa di cui all'art. 4, comma 49 L. 350/2003 in luogo dell'illecito amministrativo di cui al successivo comma 49 bis, rilevando come la dicitura "Italy" impressa sui tubi di gomma, seppur imprecisa non presentasse alcun contenuto ingannevole non comportando alcuna variazione della ragione sociale della società importatrice denominata (omissis) e non potendo essere riferita alla provenienza del prodotto in quanto non preceduta dalla locuzione "made in".
Motivi della decisione
1. Il primo motivo non può ritenersi fondato.
Va infatti rilevato che né la previsione contenuta nell'art. 324, comma 3, cod. proc. pen., che impone alla cancelleria di dare immediato avviso all'autorità procedente della richiesta dì riesame né il termine ivi previsto, ovverosia "entro il giorno successivo", per la trasmissione degli atti da parte dì quest'ultima al tribunale del riesame hanno natura perentoria, a differenza di quanto disposto per le misure cautelari personali dall'art. 309 quinto comma cod. proc. pen. ove la stessa previsione seguita dalla locuzione "non oltre il quinto giorno" comporta che la sua violazione determini, per effetto della trasmissione tardiva degli atti, l'inefficacia dell'ordinanza impugnata. Non potrebbe infatti farsi derivare dalla mancata previsione di alcuna sanzione di decadenza la perentorietà del termine "entro il giorno successivo" che lo stesso legislatore in materia dì misure cautelari incidenti sullo status libertatis ha ritenuto estensibile fino a cinque giorni, tenuto conto che quanto alla trasmissione degli atti e alla natura del termine collegato a detta trasmissione con le relative conseguenze, il riesame reale contiene, rispetto al riesame personale, una disposizione autonoma, autosufficiente e, quantunque facente parte del medesimo sottosistema, speciale ratione materiae, cristallizzata nel comma 3 dell'art. 324 cod. proc. pen. il cui termine (''entro il giorno successivo") conserva la sua natura ordinatoria.
Deve dunque essere ribadito il principio già affermato da questa Corte secondo il quale in tema di riesame di provvedimenti di sequestro, anche dopo l'entrata in vigore della legge n. 47 del 2015, che ha novellato l'art. 324, comma 7, cod. proc. pen., non è applicabile il termine perentorio di cinque giorni per la trasmissione degli atti al Tribunale, previsto dall'art. 309, comma 5, cod. proc. pen., con conseguente perdita di efficacia della misura cautelare impugnata in caso di trasmissione tardiva, bensì il diverso termine indicato dall'art. 324, comma 3, cod. proc. pen., che ha natura meramente ordinatoria (Sez. 6, n. 47883 del 25/09/2019, Rv. 277566; Sez. 3, n. 44640 del 29/09/2015, Rv. 265571).
Di nessuna censura può pertanto ritenersi passibile il procedimento di riesame la cui decisione è stata regolarmente emessa nel termine di dieci giorni decorrenti dal giorno della ricezione degli atti processuali (e non dalla ricezione dell'istanza di riesame), imposto, a pena di decadenza della misura, dal combinato disposto degli artt.324, comma settimo e 309, commi nono e decimo, cod.proc.pen. (Sez. U, n. 38670 del 21/07/2016, Rv. 267593).
2. Quanto al fumus commissi delicti oggetto del secondo motivo, correttamente il Tribunale del riesame ha ricondotto, sulla base delle emergenze indiziarie, il fatto alla fattispecie delittuosa di cui all'art. 4 comma 49 L.350/2003 (Legge finanziaria 2004). Non può invero non rilevarsi come che la dicitura "Italy" impressa sui tubi presentati in dogana per l'immissione in commercio non costituisce un'indicazione imprecisa o insufficiente circa la provenienza del prodotto, ipotesi nella quale soltanto è ravvisabile l'illecito amministrativo invocato dalla difesa ai sensi del successivo comma 49 bis della medesima norma, inducendo, al contrario, in termini decettivi per il consumatore a ritenere che la produzione dei suddetti beni sia avvenuta in Italia.
A tale conclusione conduce, del resto, la stessa previsione della littera legis.
Invero l'art. 4 della legge citata prevede al comma 49 (così modificato dal comma 9 dell'art. 1, D.L. 14 marzo 2005, n. 35, dall'art. 2-ter, D.L. 30 settembre 2005, n. 203, aggiunto dal6 la relativa legge di conversione, dal comma 941 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296, dal comma 4 dell'art. 17, L. 23 luglio 2009, n. 99 - successivamente abrogato dal comma 8 dell'art. 16, D.L. 25 settembre 2009, n. 135 - e, dal comma 5 dell'art. 16, D.L. 25 settembre 2009, n. 135, con la decorrenza indicata nel comma 7 dello stesso articolo 16) che: "L'importazione e l'esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione o la commissione di atti diretti in modo non equivoco alla commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine costituisce reato ed è punita ai sensi dell'artico/o 517 del codice penale.
Costituisce falsa indicazione la stampigliatura «made in Italy» su prodotti e merci non originari dall'Italia ai sensi della normativa europea su/l'origine; costituisce fallace indicazione, anche qualora sia indicata l'origine e la provenienza estera dei prodotti o delle merci, l'uso di segni, figure, o quant'altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana incluso l'uso fallace o fuorviante di marchi aziendali ai sensi della disciplina sulle pratiche commerciali ingannevoli, fatto salvo quanto previsto dal comma 49-bis."
A sua volta, l'art. 4 citato, comma 49 bis, (aggiunto dal D.L. 25 settembre 2009, n. 135, art. 16, comma 6, con la decorrenza indicata nello stesso art. 16, comma 7, e poi così modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 43, comma 1 quater, nel testo integrato dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 134), prevede espressamente che "Costituisce fallace indicazione l'uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana ai sensi della normativa Europea sull'origine, senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull'origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull'effettiva origine del prodotto, ovvero senza essere accompagnati da attestazione, resa da parte del titolare o del licenziatario del marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto. Per i prodotti alimentari, per effettiva origine si intende il luogo di coltivazione o di allevamento della materia prima agricola utilizzata nella produzione e nella preparazione dei prodotti e il luogo in cui è avvenuta la trasformazione sostanziale. Il contravventore è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da Euro 10.000 ad Euro 250.000".
Al fine di far chiarezza tra le condotte che ora assumono rilievo penale, ai sensi dell'art. 4 comma 49 cit, distinguendo quelle integranti un mero illecito amministrativo, questa Corte, ribadita la natura di norma generale dell'art. 4, comma 49, che sanziona l'importazione, l'esportazione e la commercializzazione dei prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine, nonché l'abuso dei marchi d'impresa al fine di indurre il consumatore a ritenere che la merce sia di origine italiana, è pervenuta a delineare i confini delle rispettive fattispecie.
Secondo l'excursus ripercorso dalla sentenza di questa stessa Sezione n. 54521 del 14/06/2016 è stato affermato che integra la condotta punibile quella realizzata: a) mediante la stampigliatura "made in Italy'' su prodotti e merci non originari dall'Italia ai sensi della normativa Europea sull'origine che integra la fattispecie di "falsa indicazione" dell'origine ed è punibile ai sensi dell'art. 517 c.p. (v., tra le tante: Sez. 3, n. 39093 del 24/04/2013 - dep. 23/09/2013, Benigni, Rv. 257615); b) mediante l'utilizzo di un'etichetta del tipo "100% made in italy'', "100% Italia", "tutto italiano" o "full made in Italy'', per contrassegnare prodotti non interamente disegnati, progettati, lavorati e confezionati nel nostro Paese, costituendo la stessa un'ipotesi aggravata di "falsa indicazione" dell'origine, punibile, ai sensi del combinato disposto del D.L. n. 135 del 2009, art. 16, comma 4, e dell'art. 517 c.p., con le pene previste da quest'ultima disposizione, aumentate di un terzo, che rende questa previsione speciale rispetto alla precedente, di portata generale (v., ad esempio, sul punto: Sez. 3, n. 28220 del 05/04/2011, F., Rv. 250639); c) mediante "l'uso di segni, figure e quant'altro" che induca il consumatore a ritenere, anche in presenza dell'indicazione dell'origine o provenienza estera della merce, che il prodotto sia di origine italiana, trattandosi esemplificativamente dei casi in cui sul prodotto sono apposti segni e figure tali da oscurare, fisicamente e simbolicamente, l'etichetta relativa all'origine, rendendola di fatto poco visibile e non individuabile all'esito di un esame sommario del prodotto, realizzandosi in questo caso la fattispecie di "fallace indicazione", punibile ai sensi dell'art. 517 c.p. (v., sul punto: Sez. 3, n. 19746 del 09/02/2010, P.M. in proc. F., Rv. 247485); d) mediante l'uso ingannevole del marchio aziendale da parte dell'imprenditore titolare o licenziatario, in modo "da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto sia di origine italiana ai sensi della normativa Europea sull'origine", a meno che i prodotti importati o esportati non siano accompagnati da indicazioni "evidenti" sull'esatta origine geografica o sulla loro provenienza estera.
Pertanto, nel caso di specie, in mancanza di indicazioni grafiche o etichette relative alla provenienza estera, del tutto logicamente logicamente il Tribunale triestino, facendo buon governo dei richiamati principi, ha ritenuto che la stampigliatura sulla merce della scritta "Italy" configuri la fattispecie penalmente rilevante contestata, stante l'ingannevole richiamo alla sua produzione in Italia senza che a tal fine possa ritersi essenziale la mancanza della precedente dicitura "made in", tenuto conto che la scritta in questione non avrebbe avuto altra ragione di esserci se non quella di trarre in inganno i consumatori.
Il ricorso deve essere conseguentemente rigettato, seguendo a tale esito ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.