Per la Cassazione, la responsabilità cagionata da cose in custodia ricade sull'usufruttuario in quanto titolare della res.
Il Tribunale di Catania rigettava la domanda presentata dal nudo proprietario al 50% di un immobile avente ad oggetto la pretesa risarcitoria per i danni subiti dal ballatoio, dalle tubazioni e dallo scarico del bagno dell'appartamento di una condomina, anche essa nuda proprietaria al 50%. Proposto gravame, la Corte d'Appello...
Svolgimento del processo
1.- M. G., in qualità di nudo proprietario al 50% dell'appartamento sito in (omissis), via Via (omissis), e L. R., in qualità di usufruttuaria, convenivano, davanti al Tribunale di Catania, G. F., S. A., G. S. e il Condominio D., in persona del suo amministratore pro - tempore, chiedendo il risarcimento dei danni subiti dal ballatoio, dalle tubazioni e dallo scarico del bagno del richiamato appartamento.
Esponevano che G. S. era nuda proprietaria al 50% dell'appartamento di cui si lamentavano i danni e che i coniugi G. S. erano i proprietari dell'immobile sottostante.
Sostenevano, poi, che i coniugi G.-S. si erano impegnati, successivamente all'acquisto del loro appartamento, a riparare i danni subiti dall'appartamento soprastante, in ragione di un incendio verificatosi nell'immobile prima del perfezionamento del loro acquisto.
Rilevavano che, con precedente azione cautelare d'urgenza, i coniugi G.-S. avevano ottenuto, previo esperimento cli una consulenza tecnica d'ufficio, una misura cautelare, che disponeva, nei confronti del M., della G. e della L., l'esecuzione immediata dei lavori atti ad eliminare lo stato di pericolo che si era determinato nell'appartamento dei ricorrenti.
Quindi, G. F. e S. A. si costituivano nel giudizio di merito e resistevano alla domanda, proponendo domanda riconvenzionale volta ad ottenere la condanna all'eliminazione delle cause dei danni subiti dall'appartamento di loro proprietà, in ragione delle infiltrazioni provenienti dall'appartamento soprastante.
Si costituiva anche G. S., la quale chiedeva che fosse dichiarato il suo difetto di legittimazione passiva, in quanto mera nuda proprietaria nella misura del 50%.
Rimaneva contumace il Condominio D..
Il Tribunale adito, con sentenza n. 647/2009, depositata il 28 novembre 2009, rigettava la domanda di risarcimento danni proposta dagli attori e, in accoglimento della proposta domanda riconvenzionale, disponeva la condanna degli attori e della convenuta G. S. alla riparazione dei nocumenti subiti dall'immobile di proprietà G. S., confermando, sul punto, l'ordinanza cautelare emessa il 25 gennaio 2007.
2.- Sul gravame interposto, in via principale, da M. G. e L. R. e, in via incidentale, da G. S., la Corte d'appello di Catania, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava l'appello principale e accoglieva l'appello incidentale, dichiarando che G. S. non era tenuta all'esecuzione dei lavori volti ad eliminare le cause delle infiltrazioni.
A sostegno dell'adottata pronuncia la Corte territoriale rilevava: a) che, in base alle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio espletata nel procedimento cautelare ante causam, le cause delle infiltrazioni d'acqua presenti nell'appartamento sottostante di proprietà degli appellati dovevano essere rinvenute nello stato di degrado delle strutture del soprastante appartamento; b) che, segnatamente, la percolazione d'acqua proveniva dai tubi di scarico del wc degli appellanti e dallo scollamento delle giunture d'innesto mentre nei balconi le infiltrazioni erano addebitabili all'inesistenza di impermeabilizzazione del piano di calpestio; e) che le tubazioni anzidette risalivano ad almeno trent'anni prima, il che rendeva del tutto plausibile la mancata tenuta per vetustà delle giunture, senza che fosse stato provato, con sufficiente probabilità sul piano causale, che a determinare lo stato delle tubazioni avesse contribuito un presunto incendio verificatosi nel lontano anno 1996 nell'appartamento posto al piano terra; d) che la prova per testi sul punto non avrebbe potuto essere dirimente, poiché l'accertamento delle cause implicava valutazioni strettamente tecniche; e) che, in ogni caso, restava ferma la responsabilità del custode (dell'appartamento in cui erano state rilevate le perdite), ai sensi dell'art. 2051 c.c., per non aver provveduto alla manutenzione e al ripristino delle strutture danneggiate alla stregua di pregressi eventi a lui non addebitabili; f) che, oltretutto, al momento della verificazione dell'incendio, gli appellati non erano ancora proprietari, avendo acquistato solo nell'anno 2003, sicché essi non avrebbero potuto rispondere per fatti di cui non erano autori; g) che doveva essere, invece, accolto l'appello incidentale interposto dalla G., poiché questa, nella qualità di nuda proprietaria nella misura del 50%, non poteva rispondere della custodia dell'immobile che aveva causato i danni, custodia che competeva all'usufruttuario, non avendo la stessa alcuna relazione di fatto con il bene. 3.- Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, M. G.. Ha resistito con controricorso l'intimata G. S.. Sono rimasti intimati G. F., S. A. e il Condominio D..
4.- Il controricorrente ha presentato memoria.
Motivi della decisione
1.- Preliminarmente si rileva che non deve essere disposta l'integrazione del contraddittorio nei confronti dell'usufruttuaria L. R., poiché ciascuna delle parti che aveva all'origine proposto la domanda di risarcimento dei danni subiti dall'immobile - e contro cui è stata proposta la domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni - era legittimata disgiuntamente a spiegare il ricorso in cassazione. Infatti, ha natura scindibile la causa avente ad oggetto la domanda risarcitoria per i danni cagionati da cose in custodia, proposta congiuntamente dal nudo proprietario e dall'usufruttario del bene in tesi danneggiato, essendo ognuno di essi legittimato in via disgiuntiva a spiegare siffatta azione. Al contempo, i destinatari della condanna al risarcimento dei danni, in quanto obbligati solidali, sono legittimati in via disgiuntiva a proporre l'impugnazione, non essendovi alcun nesso di dipendenza tra le posizioni dei coobbligati. Ne consegue che in sede di legittimità non è necessaria l'integrazione del contraddittorio nei confronti di quelli, fra convenuti soccombenti, che non hanno proposto ricorso.
Al riguardo, questa Corte ha affermato che l'obbligazione solidale passiva, di regola, non dà luogo a litisconsorzio necessa1-io, nemmeno in sede di impugnazione, in quanto non fa sorgere un rapporto unico e inscindibile, neppure sotto il profilo della dipendenza di cause, bensì rapporti giuridici distinti, anche se fra loro connessi, in virtù dei quali è sempre possibile la scissione del rapporto processuale, potendo il creditore ripetere da ciascuno dei condebitori l'intero suo credito. Tale regola, peraltro, trova deroga - venendo a configurarsi una situazione di inscindibilità di cause e, quindi, di litisconsorzio processuale necessario - quando le cause siano tra loro dipendenti, ovvero quando le distinte posizione dei coobbligati presentino obiettiva interrelazione, alla stregua della loro strutturale subordinazione anche sul piano del diritto sostanziale, sicché la responsabilità dell'uno presupponga la responsabilità dell'altro (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10803 del 05/06/2020; Sez. 3, Ordinanza n. 20860 del 21/08/2018).
2.- Passando alle censure sollevate, con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa "interpretazione" degli artt. 669-octies e 700 c.p.c. nonché la violazione dell'art. 115 c.p.c. per la ricorrenza di una pronuncia extra petita.
Sul punto, si deduce che la sentenza impugnata non avrebbe potuto, porre a fondamento della decisione le risultanze della consulenza tecnica d'ufficio espletata nel giudizio cautelare anticipatorio intrapreso ante causam, poiché - in base al regime processuale vigente ratione temporis - la misura cautelare ex art. 700 c.p.c. era "decaduta" per difetto di tempestiva proposizione della causa di merito.
Al riguardo, l'istante osserva che l'ordinanza cautelare era stata depositata il 25 gennaio 2007 (a fronte della notifica del ricorso introduttivo in data 24 novembre 2005), mentre la domanda riconvenzionale proposta dai ricorrenti G.-S., nel giudizio risarcitorio avviato su impulso delle parti M.-L., era contenuta nella comparsa di costituzione e risposta del 12 aprile 2007, ossia ben oltre il termine di trenta giorni concesso dal giudice della cautela per intraprendere il giudizio di merito.
2.1.- Il motivo è infondato.
Il ricorrente ha precisato che, in riferimento al momento in cui il procedimento cautelare ante causam è stato instaurato, non operava ancora il principio di strumentalità attenuata, inerente ai provvedimenti cautelari anticipatori, di cui all'art. 669-octies, sesto comma, c.p.c. (introdotto dall'art. 2, terzo comma, lett. e-bis, del d.l. n. 35/2005, convertito, con modificazioni, in legge n. 80/2005), posto che - ai sensi dell'art. 39-quater del d.l. n. 273/2005, convertito, con modificazioni, in legge n. 51/2006 - tale principio è valevole per i procedimenti instaurati con decorrenza dal 1° marzo 2006.
Tanto premesso, in ogni caso, indipendentemente dalla perdita di efficacia della misura cautelare ante causam all'esito del decorso del termine prescritto per azionare il giudizio di merito, secondo il regime vigente anteriormente alla citata novella per tutti i procedimenti cautelari, non era e non è comunque preclusa l'utilizzazione delle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio - espletata nel procedimento cautelare - nella successiva causa di merito a cognizione piena, pendente tra le stesse parti.
Più in generale il giudice di merito può utilizzare, in mancanza di qualsiasi divieto di legge, anche prove raccolte in diverso giudizio fra le stesse od altre parti, come qualsiasi altra produzione delle parti stesse; può quindi avvalersi anche di una consulenza tecnica, ammessa in diverso procedimento, e valutarne liberamente gli accertamenti e i suggerimenti (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 66 del 08/01/1979; Sez. 2, Sentenza n. 840 del 27/03/1973; Sez. 2, Sentenza n. 437 del 19/02/197:l).
Tale utilizzazione non ha violato il principio del contraddittorio appunto alla stregua dell'identità delle parti del giudizio cautelare e del giudizio di merito.
3.- Con il secondo motivo il ricorrente prospetta, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione dell'art. 1117 c.c. in relazione all'art. 112 c.p.c.
In particolare, secondo il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe omesso di pronunciarsi sulla domanda rivolta verso il Condominio D., evocato in giudizio affinché fosse condannato al risarcimento dei danni provocati dallo stato dei frontalini e del ballatoio del balcone dell'appartamento sovrastante a quello di proprietà G.-S..
L'istante soggiunge che nel provvedimento cautelare innanzi richiamato si alludeva al fatto che le opere relative ai frontalini dovevano essere poste a carico del convenuto Condominio contumace e che ogni maggiore approfondimento veniva rinviato al giudizio di merito, mentre il giudizio di merito in prime cure si concludeva con la condanna del Condominio al pagamento delle spese di lite, ive compreso il compenso di consulenza.
3.1.- Tale doglianza è fondata.
E ciò perché, in conformità al principio di autosufficienza, sono stati riportati i riferimenti salienti da cui può desumersi che effettivamente tale domanda è stata spiegata in primo grado e riproposta in sede di gravame.
Infatti, affinché possa utilmente dedursi in sede di leqittimità un vizio di omessa pronuncia, è necessario, da un lato, che al ç1iudice di merito fossero state rivolte una domanda o un'eccezione autonomamente apprezzabili e, dall'altro, che tali domande o eccezioni siano state riportate puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, per il principio dell'autosufficienza, con l'indicazione specifica, altresì, dell'atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività e, in secondo luogo, la decisività (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 1525 del 19/01/2022; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 25338 del 20/09/2021; Sez. 6-5, Ordinanza n. 5344 del 04/03/2013; Sez. U, Sentenza n. 15781 del 28/07/2005).
Siffatti requisiti nella fattispecie sono stati soddisfatti.
All'esito, risulta che la sentenza d'appello non si è pronunciata, neanche implicitamente, sul motivo di gravame inerente alla richiesta di condanna del Condominio D. al risarcimento dei danni provocati dalle condizioni dei frontalini e del ballatoio del balcone dell'immobile sovrastante a quello dei danneggiati G.-S..
4.- Attraverso la terza critica è lamentata, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 c.c. nonché dell'art. 2051 c.c.
In ordine a questo mezzo, si obietta che la sentenza impugnata indebitamente avrebbe accolto l'appello incidentale, escludendo che G. S. fosse tenuta a rifondere il danno da cosa in custodia, in concorso con l'odierno ricorrente, sulla scorta della sua qualità di nuda proprietaria al 50% dell'immobile, non essendo dirimente, a tali fini, la discriminazione tra usufruttuario e nudo proprietario, bensì la natura ordinaria o straordinaria delle opere di manutenzione richieste.
Cosicché, a fronte di interventi che incidevano sulla struttura, sostanza e destinazione della cosa, la relativa riparazione avrebbe dovuto essere posta anche a carico della G..
Sostiene, poi, che contraddittoriamente sarebbe stata esclusa la responsabilità della G., quale nuda proprietaria al 50%, con la disposizione dell'integrale compensazione delle spese, mentre il ricorrente, quale ulteriore nudo proprietario, sarebbe stato condannato a corrispondere per intero tali spese legali.
4.1.- La censura è infondata.
La responsabilità cagionata da cose in custodia ricade infatti sul soggetto che abbia il pieno controllo della cosa, con la conseguenza che, I ove la res sia nel possesso di un usufruttuario, questi ne risponde quale I titolare della custodia (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12280 del 05/07/2004; Sez. 1, Sentenza n. 2301 del 01/03/1995; Sez. 3, Sentenza n. 819 del 02/04/1963). Questa conclusione discende dalla circostanza che il presupposto della responsabilità invocata risiede nella noi-male condizione di "potere sulla cosa", che - in quanto riflesso di una situazione giuridicamente rilevante rispetto alla res -- sia tale da rendere attuale e diretto l'anzidetto potere attraverso una signoria di fatto sulla cosa di cui si abbia la disponibilità materiale, sicché essa postula la qualità di proprietario della cosa che ha dato luogo all'evento lesivo che ne abbia l'effettivo godimento o, comunque, di soggetto terzo tenuto per legge a provvedere alla sua manutenzione ordinaria e straordinaria (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 38089 del 02/12/2021).
La distinzione in base alla natura dei vizi strutturali o funzionali e al tipo di opere interessate, allo scopo di individuare il soggetto tenuto al controllo, si attaglia, non già al rapporto nudo proprietario-usufruttuario, bensì alla relazione tra proprietario e conduttore, posto che il titolare del diritto personale di godimento è mero detentore qualificato e non già pieno possessore del bene (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 30729 del 26/11/2019; Sez. 3, Sentenza n. 21788 del 27/10/2015; Sez. 3, Sentenza n. 16422 del 27/07/2011).
Ciò vale anche per i pregiudizi che dipendono dall'insorgere nella cosa in custodia di un agente dannoso, come nel caso di infiltrazioni di acqua da un immobile ad un altro, di cui risponde l'usufruttuario che abbia la disponibilità materiale e giuridica dell'immobile (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5925 del 26/05/1993).
Peraltro, non risulta che la G. abbia mai avuto alcuna relazione di fatto con la res e che sia stata mai avvertita dei nocumenti subiti dall'appartamento sottostante. E ciò diversamente dalla posizione assunta dall'altro nudo proprietario, odierno ricorrente, M. G., il quale non solo è stato destinatario - unitamente all'usufruttuaria L. R. - della domanda di risarcimento danni inoltrata dai proprietari dell'immobile sottostante G.-S., ma in più ha, a sua volta, invocato la riparazione dei danni subiti dall'immobile di cui è nudo proprietario, senza esito.
E quindi la condanna alle spese di lite nei confronti dell'odierno ricorrente si giustifica alla stregua della sua soccombenza sulla domanda di risarcimento danni proposta contro i coniugi G.-S..
5.- Il quarto motivo investe, ai sensi dell'art. 360, primo comma, nn. 4 e 5, c.p.c., la violazione degli artt. 101 e 102 c.p.c., in relazione all'art. 111 Cost., con conseguente nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia in ordine ad un capo di domanda, violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., motivazione incongrua e contraddittoria.
Su questo vizio l'istante sostiene che, a fronte dell'esclusione di responsabilità dei coniugi G.-S., poiché al momento del lamentato incendio l'immobile posto al piano terra non e1-a ancora di loro proprietà, il giudice avrebbe dovuto, per un verso, disporre l'integrazione del contraddittorio nei confronti dei precedenti proprietari alienanti P.-B. e, per altro verso, avrebbe dovuto ammettere la prova testimoniale articolata, volta a dimostrare la concorrente responsabilità dei coniugi G.-S., i quali si sarebbero impegnati a realizzare gli interventi necessari.
5.1.- La critica è infondata sotto più profili.
In primis, l'esclusione della responsabilità dei proprietari dell'immobile sottostante (posto al piano terra) è stata argomentata dalla pronuncia impugnata per più ragioni, di cui quella relativa al difetto di proprietà al momento dell'insorgenza dell'incendio ha solo una valenza rafforzativa.
La primaria causa delle infiltrazioni è stata, infatti, rinvenuta, all'esito della richiamata consulenza tecnica d'ufficio, nella perdita dei tubi di scarico del wc dell'appartamento su cui vantano diritti reali gli appellanti e nello scollamento delle giunture d'innesto, mentre con riferimento ai balconi la causa è stata ricondotta all'inesistenza di impermeabilizzazione del piano di calpestio.
Significativamente la sentenza ha aggiunto che "le tubazioni di cui si è detto risalgono ad almeno trenta anni orsono", sicché "è del tutto plausibile che siano state le giunture ed il normale degrado a non garantire la tenuta per vetustà, senza che sia rimasto provato con sufficiente grado di probabilità, sul piano causale, che alle condizioni delle tubazioni possa aver contribuito un (presunto) incendio verificatosi nel lontano 1996 nell'appartamento a piano terra (né la prova per testi sul punto avrebbe potuto essere di aiuto al riguardo implicando la questione valutazioni strettamente tecniche)".
Ancora, la Corte di merito ha evidenziato che, in ogni caso, il custode dell'immobile risponde per non aver provveduto alla manutenzione e al ripristino delle strutture eventualmente danneggiate per pregressi eventi a lui non addebitabili. Sicché nella fattispecie il custode dell'immobile soprastante avrebbe avuto l'obbligo di interrompere la protrazione delle infiltrazioni provenienti dalle tubazioni del wc di tale appartamento, quand'anche la perdita di tali tubazioni si fosse in astratto determinata - condizione che in concreto è stata comunque esclusa -· per effetto del lamentato incendio.
Appunto solo in via rafforzativa la Corte territoriale ha affermato che l'asserito incendio si sarebbe verificato allorché l'appartamento al piano terra non era neanche di proprietà degli appellati (che lo hanno acquistato solo nel 2003), con l'effetto che l'obbligazione risarcitoria derivante da illecito extracontrattuale comunque non avrebbe fatto capo agli acquirenti, attesa la sua natura personale, senza che possa ipotizzarsi una sorta di diritto di sequela.
Senonché, a monte, il ricorrente non ha affatto contestato l'individuazione delle cause nei fatti dirimenti indicati rispetto alla verificazione dell'incendio e, quand'anche li abbia contestati con il primo motivo, tale doglianza è stata reietta.
Ne consegue che, fondandosi la decisione di merito su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la non contestazione o la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l'intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 11932 del 13/04/2022; Sez. 5, Ordinanza n. 11493 del 11/05/2018; Sez. 3, Sentenza n. 2108 del 14/02/2012).
5.2.- In secondo luogo, anche la contestazione della mancata ammissione della prova testimoniale richiesta è priva di fondamento.
E ciò perché la Corte territoriale ha puntualizzato che, a fronte della precisa individuazione delle cause tecniche delle infiltrazioni, risultanti dall'acquisita consulenza d'ufficio, i testimoni non avrebbero potuto dare smentita, trattandosi appunto di aspetti tecnici.
Giova, allora, rammentare che il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi risulti priva di fondamento (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 16214 del 17/06/2019; Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018; Sez. 6-1, Ordinanza n. 5654 del 07/03/2017; Sez. 3, Sentenza n. 11457 del 17/05/2007), il che, per definizione, non concerne il caso di specie per quanto anzidetto.
6.- Sulla scorta delle considerazioni che precedono, il secondo motivo di ricorso deve essere accolto mentre i rimanenti motivi devono essere disattesi.
All'esito, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte d'appello di Catania, in diversa composizione, che dovrà esaminare il motivo di gravame di cui è stata omessa la decisione, tenendo conto dei rilievi svolti, e regolare anche le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il secondo motivo, rigetta i rimanenti motivi, cassa in relazione alla censura accolta e rinvia la causa alla Corte d'appello di Catania, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.