Ciò che distingue la fattispecie del primo comma da quella del secondo comma dell'art. 659 c.p. è la fonte del rumore prodotto: se esso proviene dall'esercizio della professione rumorosa allora si rientra nel secondo comma, altrimenti si ricade nella prima fattispecie.
La Corte d'Appello di Genova riformava parzialmente la sentenza di primo grado con la quale l'imputato era stato condannato per il reato di cui all'
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 12 gennaio 2021, la Corte d'appello di Genova ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Savona del 18 settembre 2018, con la quale l'imputato era stato condannato alla pena di venti giorni di arresto per avere, in violazione dell'art. 659 cod. pen., nella qualità di legale rappresentante di una società, disturbato le occupazioni e il riposo delle persone, tenendo alto il volume (o comunque non vigilando in merito) dell'impianto stereo installato presso il suo esercizio commerciale, oltre l'orario consentito ed in tempo di notte.
La Corte d'appello ha sostituito la pena detentiva inflitta con la pena dell'ammenda di euro 2.500,00.
2. Avverso la sentenza di secondo grado l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, lamentando, con unico motivo di doglianza, l'erronea applicazione dell'art. 659 cod. pen., nonché la mancanza e manifesta illogicità della motivazione. In particolare, secondo la difesa, la Corte d'appello si sarebbe limitata a confermare le stesse erronee argomentazioni dei giudici di primo grado, senza considerare che il caso di specie rientrerebbe, piuttosto che nella fattispecie del primo comma, in quella del secondo comma dell'art. 659 cod. pen., in quanto l'attività di bar, locale notturno e discoteca costituisce per antonomasia una professione c.d. "rumorosa". Diversamente opinando - sostiene parte ricorrente - si rischierebbe di snaturare la stessa previsione di cui al secondo comma, il quale, pur sanzionando chi arreca un potenziale disturbo alla quiete pubblica, adotta un trattamento sanzionatorio di maggiore indulgenza nei confronti di coloro che stiano svolgendo un'attività lavorativa e non meramente ludica. In aggiunta, si afferma che la previsione di cui al secondo comma dell'art. 659 cod. pen. deve intendersi depenalizzata in conseguenza del principio di specialità di cui all'art. 9 della legge n. 689 del 1981, vista la perfetta identità tra la condotta considerata dalla menzionata disposizione del codice penale e quella di cui al comma 2 dell'art. 10 della legge n. 447 del 1995. La difesa precisa, inoltre, che: a) nessuna rilevazione è stata mai eseguita sul rumore arrecato dal vociare degli avventori del locale; b) l'intero quadro probatorio si fonda solamente sulle dichiarazioni di alcuni condomini indispettiti e determinati a far chiudere il locale; c) l'imputato non può essere ritenuto responsabile dell'eventuale vociare dei clienti o degli schiamazzi di eventuali passanti. Quanto alla sussistenza dell'elemento soggettivo, nel ricorso si asserisce la totale mancanza di elementi idonei a dimostrare che gli asseriti schiamazzi possano imputarsi al ricorrente a titolo di dolo o colpa. Infine, per quanto riguarda il trattamento sanzionatorio, si lamentano il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e del beneficio di cui all'art. 163 cod. pen. Ad avviso della difesa infatti, la decisione negativa sul punto, a causa di due datati precedenti, per guida in stato di ebrezza e per falso ideologico in atto pubblico, non può che assumere "connotati punitivi non condivisibili.
3. Con memoria pervenuta nella cancelleria di questa Corte in data 23 dicembre 2021, il difensore dell'imputato, fermi restando i motivi sviluppati nel ricorso principale, ha introdotto un motivo nuovo, con il quale si deduce la "mancanza o manifesta illogicità" del provvedimento gravato nella parte relativa alla mancata dichiarazione di non doversi procedere per estinzione del reato per intervenuta prescrizione. In particolare si afferma che, nel caso di specie, il tempo necessario perché la prescrizione maturi è pari a cinque anni (quattro anni aumentati di un quarto a causa del verificarsi di un evento interruttivo) e pertanto il reato dovrebbe considerarsi prescritto a decorrere dal 14 maggio 2021.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Le censure relative all'erronea applicazione dell'art. 659 cod. pen. e alla mancanza e manifesta illogicità della motivazione sotto il profilo della qualificazione del fatto sono manifestamente infondate.
Va premesso che il reato di cui all'art. 659 cod. pen. deve essere qualificato, nel caso di specie, come reato abituale e non come reato istantaneo. Come infatti emerge dallo scenario fattuale descritto dai giudici di merito, tra il 3 gennaio e il 14 maggio 2016, risultano essere state effettuate, da parte di quattro persone, una serie di segnalazioni ai Carabinieri, con le quali si lamentavano rumori, provenienti dai locali dell'imputato, durante le ore notturne. Ciò posto, la contravvenzione di cui all'art. 659 cod. pen. deve essere considerata come reato eventualmente permanente (Sez. 3, n. 8351 del 24/06/2014, dep. 2015, Rv. 262510), che si consuma con un'unica condotta rumorosa o di schiamazzo recante un effettivo disturbo alle occupazioni o al riposo delle persone, o anche con una condotta reiterata nel tempo da parte dell'imputato, il quale, mediante più azioni identiche e omogenee, ometta - come nel caso di specie - di ottemperare all'obbligo giuridico impostogli dalla norma di controllare che la frequenza del locale da parte degli utenti non sfociasse in un danno alla tranquillità pubblica.
Quanto al rilievo difensivo secondo cui il caso de qua rientrerebbe nella previsione di cui al secondo comma piuttosto che nella fattispecie descritta al primo comma dello stesso art. 659, poiché l'attività in questione costituirebbe strutturalmente una professione c.d. "rumorosa", lo stessa risulta del pari manifestamente infondato. Nel caso di specie, infatti, dall'attività dell'imputato derivava non solo il rumore - intollerabile dato il volume del suono e l'orario notturno - proprio delle fonti sonore utilizzate in discoteca, ma altresì il rumore antropico prodotto dai frequentatori del locale; il tutto in misura tale da arrecare disagio non solo a chi abitava nello stesso stabile ma anche ad una pluralità indistinta di altri soggetti. Conseguentemente, si era verificata una situazione di disturbo del riposo delle persone e della pubblica quiete, idonea ad integrare il reato di cui al primo comma dell'art. 659 cod. pen., senza che l'interessato avesse tentato di porvi riparo. Va ricordato, sul punto, che l'elemento che differenzia tra loro le due autonome fattispecie configurate dall'art. 659 cod. pen. è rappresentato dalla fonte del rumore prodotto: ove esso provenga dall'esercizio di una professione o di un mestiere rumorosi, la condotta rientra nella previsione del secondo comma,_ del citato articolo per il semplice fatto della esorbitanza rispetto alle disposizioni di legge o alle prescrizioni dell'autorità, presumendosi la turbativa della pubblica tranquillità; qualora, invece, le vibrazioni sonore non siano causate dall'esercizio dell'attività lavorativa, ricorre l'ipotesi di cui all'art. 659 cod. pen., primo comma, per la quale occorre che i rumori superino la normale tollerabilità e investano un numero indeterminato di persone, disturbando le loro occupazioni o il loro riposo (ex plurimis, Sez. 3, n. 12967 del 17/12/2014, dep. 2015; Sez. 3, n. 37196 del 03/07/2014). Perché sussista la rilevanza penale ex art. 659 c.p., della condotta produttiva di rumori, censurati come fonte di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, è richiesta l'incidenza sulla tranquillità pubblica, in quanto l'interesse tutelato dal legislatore è la pubblica quiete, sicché i rumori debbono avere una tale diffusività che l'evento disturbo sia potenzialmente idoneo ad essere risentito da un numero indeterminato di persone, pur se poi concretamente solo taluna se ne possa lamentare (ex plurimis, Sez. 1, n. 47298 del 29/11/2011). E risponde del reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone (art. 659, primo comma, cod. pen.) il gestore di un pubblico esercizio che non impedisca i continui schiamazzi provocati dagli avventori in sosta davanti al locale anche nelle ore notturne, essendogli imposto l'obbligo giuridico di controllare, anche con ricorso allo ius excludendi o all'Autorità, che la frequenza del locale da parte degli utenti non sfoci in condotte contrastanti con le norme poste a tutela dell'ordine e della tranquillità pubblica (ex p/urimis, Sez. 3 n. 1717 del 11/11/2020, dep. 2021; Sez. 3, n. 14750 del 22/01/2020, Rv. 279381).
1.2. Sono inammissibili per genericità le doglianze mosse nei confronti della valutazione del quadro probatorio.
La difesa si limita, infatti, a formulare asserzioni - del tutto sganciate da una puntuale critica alla sentenza impugnata - circa la mancata rilevazione tecnica del rumore asseritamente arrecato e circa una pretesa volontà persecutoria dei vicini denuncianti, ma non considera, quanto al primo aspetto, che la sussistenza del reato essere ritenuta dimostrata anche a prescindere dall'accertamento tecnico dell'entità del rumore (in tale senso, ex p/urimis, Sez. 3, n. 11031 del 05/02/2015, Rv. 263433) e, quanto al secondo aspetto, che i fatti sono pacifici sia in relazione alla provenienza e all'entità delle emissioni sonore sia quanto alla decisiva circostanza - non compiutamente contestata neanche con il ricorso per cassazione - che l'imputato non ha in alcun modo tentato di impedire gli schiamazzi, reiterati per mesi; ciò che rende evidentemente sussistente anche l'elemento soggettivo.
1.3. Del pari inammissibili sono le censure relative al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e del beneficio di cui all'art. 163 cod. pen. La difesa concentra, infatti, la sua doglianza sul riferimento della Corte d'appello a due datati precedenti penali, per guida in stato di ebrezza e per falso ideologico in atto pubblico, ma non considera che la lievità di tali precedenti è già stata apprezzata dai giudici di merito, che si sono correttamente incentrati, per la loro valutazione negativa, sulla persistenza della condotta illecita per mesi e sulla totale noncuranza dell'imputato rispetto alle lamentele reiterate dei vicini, indici di una significativa gravità del fatto.
1.4. Quanto al motivo nuovo di doglianza, deve osservarsi che la dedotta prescrizione del reato in data successiva alla pronuncia di secondo grado (12 gennaio 2021) non può essere dichiarata in questa sede, dal momento che l'inammissibilità del ricorso per cassazione non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen., nella specie la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso (ex p/urimis, Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, Rv. 256463; Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, Rv. 217266).
2. Il ricorso, per tali motivi, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.