La vicenda riguardava la richiesta di risarcimento dei danni non patrimoniali di un dipendente pubblico nei confronti del MEF per le plurime condotte illegittime tenute nei suoi confronti.
L'attuale ricorrente si rivolgeva al Tribunale di Roma per chiedere la condanna del MEF, suo datore di lavoro, al risarcimento del danno derivante da una serie di condotte illegittime e comunque dannose poste in essere nei suoi confronti.
Il Giudice condannava il MEF al pagamento della somma di circa 70mila euro, comprendente i danni da dequalificazione...
Svolgimento del processo
1. S. C. ha agito con due cause, poi riunite, per ottenere il risarcimento del danno conseguente a comportamenti illegittimi e comunque dannosi nei suoi confronti verificatisi nel rapporto di lavoro (ex IX qualifica funzionale) con il Ministero dell'Economia e delle Finanze ( di seguito, MEF);
2. il Tribunale di Roma ha dapprima dichiarato il difetto di giurisdizione sulle domande che comportavano l'annullamento di atti amministrativi e su quelle riguardanti periodi anteriori al 30.6.1998, mentre ha condannato il MEF, per quanto viceversa ritenuto rientrare nella propria giurisdizione, al pagamento in favore del ricorrente della somma di euro 70.534,00 per i danni da dequalificazione professionale ed alla salute (3% di danno permanente);
3. la Corte d'Appello di Roma ha in seguito annullato la decisione sulla giurisdizione, con rinvio al giudice di primo grado;
4 avverso tale decisione il C. ha proposto ricorso per cassazione, adducendo l'omessa pronuncia sui motivi di appello riguardanti, con riferimento al periodo per il quale già il Tribunale aveva pronunciato nel merito, la domanda di danno da mobbing, la rideterminazione del danno biologico, una diversa quantificazione complessiva del danno ed il riconoscimento di un maggiore importo a titolo di spese di primo grado;
5. il ricorso fu accolto da questa S.C. e, riassunto il giudizio in sede di rinvio, la Corte d'Appello di Roma ha rigettato la domanda quanto al mobbing, ha incrementato il risarcimento per il danno biologico, sulla base di un riconoscimento di esso nella misura superiore del 6%, mentre ha confermato l'originaria condanna per il danno da demansionamento, per un riconoscimento totale dell'importo di euro 78.328,00 oltre accessori e spese, a quest'ultimo proposito riconoscendo il rimborso al C. in misura della metà per tutti i gradi di giudizio, compensando l'altra metà, stante l'accoglimento solo parziale della pretesa;
6. S. C. ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, resistiti da controricorso del MEF;
7. la proposta del relatore, ai sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ., è stata notificata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio non partecipata.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è formulato come omesso esame di fatti decisivi (art. 360 n.5 c.p.c.) e con esso il ricorrente individua vari profili che avrebbero dovuto portare la Corte territoriale a riconoscere nei comportamenti datoriali la necessarl1a intenzionalità lesiva;
2. il ricorrente fa in proposito leva sui provvedimenti di trasferimento, sulle sanzioni disciplinari applicate nei suoi confronti, sulle risultanze delle prove orali, tra cui quella del teste che aveva riferito come il Sindacato ritenesse assurde le sanzioni applicate al C. e quella di un collega che si vide intimare dal dirigente di non lavorare più con il ricorrente altrimenti gli sarebbe stata stroncata la carriera, il tutto argomentandosi anche sul fatto che la prova dell'elemento intenzionale avrebbe ben potuto essere raggiunta mediante presunzioni e comunque si sarebbero potute riqualificare le condotte nei termini della figura meno grave, ma pur sempre tali da integrare inadempimento e comporta re risarcimento, dello straining;
2. il motivo è inammissibile;
3. esso, infatti, consiste nell'allegazione di fatti (provvedimenti di trasferimento) che non necessariamente comportano la conclusione - necessaria per integrare gli estremi di cui all'art. 360 n. 5 c.p.c. - nel senso dell'adozione intenzionale di comportamenti lesivi ed anche la deposizione con cui un collega del ricorrente ha ricordato di essersi sentito minacciare dal dirigente nei termini sopra riportati, non è parimenti in sé sufficiente, in quanto di essa è trascritto sostanzialmente solo quanto sopra riferito e dunque, in mancanza di contestualizzazione, non è possibile sviluppare il giudizio di alta probabilità logica, di cui consiste 121 valutazione di decisività sottesa al disposto del citato art. 360 n. 5 i:.p.c.;
4. l'insieme degli elementi addotti prospetta in sostanza una diversa lettura dell'istruttoria e delle conclusioni di merito, in sé inappropriata rispetto al giudizio di legittimità (C., S.U., 34476/2019; c., s.u., 24148/2013);
5. inconsistente è infine anche il richiamo allo straining, tenuto conto che, essendo stato riconosciuto il danno, anche biologico, per disturbo dell'adattamento conseguente al demansionamento, non è chiaro né specificato come e perché l'ipotizzato straining potesse ricevere un'autonoma valorizzazione,, anche sotto il profilo delle conseguenze lesive;
6. il secondo motivo è formulato come denuncia di omessa liquidazione degli ulteriori danni non patrimoniali patiti dal ricorrente, oltre al danno alla salute, in violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2059 c.c., degli artt. 138 e 139 d. lgs. 209/2005 (art. 360 n. 3 c.p.c.);
7. secondo il ricorrente, liquidando il danno alla professionalità con una quota, per il numero di mesi di demansionamento, della retribuzione mensilmente dovuta, la Corte di merito avrebbe omesso di tenere conto del danno esistenziale e dii quello morale, da essa non valutati in quanto evidentemente, ma erroneamente, ritenuti non degni di autonoma liquidazione, in difformità tra l'altro a quanto previsto dagli artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni;
8. il motivo è infondato;
9. la Corte del rinvio, nel riferirsi e fare propria la pronuncia del Tribunale sul danno professionale, ha rilevato come si fosse ritenuto che esso «ricomprende il danno per perdita di altre possibilità professionali, per lesione della dignità personale e della vita di relazione, ossia della personalità dal lavoratore riferita sia all'auto considerazione che a quella esterna»;
10. una tale valutazione, per il proprio carattere onnicomprensivo, abbraccia evidentemente tutti quei profili personali (pregiudizio esistenziale, pregiudizi morali etc.) di cui il ricorrente lamenta la mancata liquidazione, perché viceversa, nell'importo equitativo di una quota mensile della retribuzione (750 euro) moltiplicata per i 92 mesi di demansionamento, era da intendersi espressamente ricompreso, secondo l'argomentare della Corte territoriale, ogni profilo di lesione non patrimoniale;
11. improprio è poi il richiamo alle norme della disciplina del Codice delle Assicurazioni, riguardante l'ambito della copertura obbligatoria dei danni conseguenti alla circolazione di veicoli e natanti, certamente estraneo a quello qui in esame, senza contare che anche in tale sede, la stima avviene in via equitativa (con percentuale di aumento sul danno biologico: v. artt. 138 e 139, ai rispettivi commi 3, del Codice delle Assicurazioni), sicché ne resta semmai confermata la possibilità, allorquando vi sia contiguità tra le voci da stimare (e non può dirsi che l'apprezzamento equitativo del danno alla professionalità non sia contiguo alla stima parimenti equitativa delle ricadute sul piano personale del medesimo illecito lavorativo), di operare con modalità onnicomprensive;
12. il terzo motivo censura la sentenza impugnata, richiamando l'art. 112 c.p.c. ed il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, per non avere dato attuazione alla pronuncia cassatoria, nella parte in cui essa aveva rilevato come la sentenza di appello non avesse deciso sul motivo riguardante la richiesta di una nuova e maggiore liquidazione delle spese giudiziali di primo grado;
13. il motivo è inammissibile in quanto la pronuncia di rinvio ha l'effetto in concreto di una riforma rispetto alla ori9inaria sentenza di primo grado e dunque in essa si è proceduto ad una nuova determinazione del regime delle spese (compensazione della metà con rimborso della restante metà al lavorare in ragione della parziale soccombenza), senza contare, si osserva ad abundantiam, che la liquidazione per il primo grado, in sede di rinvio, è avvenuta in misura grandemente superiore (euro 9.200,00 per l'intero) rispetto a quanto era avvenuto presso il Tribunale (euro 4.570,00);
14. il ricorso per cassazione va dunque disatteso e le spese del grado si regolano secondo soccombenza;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a I pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 4.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali pe1· il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per ili ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.