Lo ribadisce la Suprema Corte, dichiarando inammissibile il ricorso proposto dal terzo pignorato nell'ambito di un procedimento di espropriazione conclusosi con la pronuncia di due ordinanze: una di accertamento dell'obbligo del terzo e una di assegnazione del credito.
La vicenda trae origine da una procedura di espropriazione di crediti presso terzi attivata dal creditore in danno del debitore (un Condominio) e del terzo pignorato, all'esito della quale il Tribunale di Messina accertava con distinte ordinanze la sussistenza dell'obbligo del terzo nei confronti del Codominio per via del mancato pagamento di alcune quote condominiali,...
Svolgimento del processo
1. A definizione della procedura di espropriazione di crediti presso terzi iscritta al R.G. n. 1754 dell’anno 2017, promossa da A.L.S. (creditore) in danno del Condominio Porta Grazia di Messina (debitore) e nei confronti di A.L. (terzo pignorato), il giudice del Tribunale di Messina, con distinte ordinanze emesse il giorno 12 novembre 2018, accertava l’esistenza dell’obbligo del terzo nei confronti del debitore esecutato (per mancato pagamento di quote condominiali) ed assegnava ex art. 553 cod. proc. civ. al creditore pignorante la somma dovuta dal terzo al debitore, come accertata, a soddisfazione del credito azionato.
2. Avverso ambedue dette ordinanze ricorre per cassazione A.L., affidandosi ad unico motivo illustrato da memoria; resiste, con controricorso, A.L.S..
Motivi della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso è denunciata – per violazione e falsa applicazione di plurime norme di diritto – la nullità delle impugnate ordinanze per mancata instaurazione del contraddittorio (per vizio di notifica) nel subprocedimento di accertamento dell’obbligo del terzo.
2. Non risulta evocato in grado di legittimità il debitore esecutato, parte necessaria del procedimento esecutivo in ogni sua articolazione, incluse le incidentali controversie oppositive (cfr. Cass. 01/12/2021, n. 37847; Cass. 18/05/2021, n. 13533; Cass. 12/05/2021, n. 12685; Cass. 31/1/2017, n. 2333; Cass. 30/01/2012, n. 1316).
Ciò premesso, ritiene il Collegio di non dover disporre l’integrazione del contraddittorio in questa sede, stante la inammissibilità del ricorso per le ragioni in appresso meglio esplicate.
Il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone infatti al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 cod. proc. civ.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo, in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l'atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti. Ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione prima facie infondato o inammissibile, appare superflua, pur potendone sussistere i presupposti (come nel caso, non risultando effettuata la notificazione del ricorso al debitore esecutato), la fissazione del termine per l’integrazione del contraddittorio nei riguardi del litisconsorte pretermesso, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei tempi di definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell'effettività dei diritti processuali delle parti (così, sulla scia di Cass., Sez. U, 22/03/2010, n. 6826, cfr., tra le tantissime, Cass. 13/10/2011, n. 21141; Cass. 17/06/2013, n. 15106; Cass. 10/05/2018, n. 11287; Cass. 21/05/2018, n. 15106).
3. Il ricorso è inammissibile in quanto proposto avverso provvedimenti (ordinanza di assegnazione ex art. 553 cod. proc. civ., ordinanza di accertamento dell’obbligo del terzo ai sensi dell’art. 549 cod. proc. civ.) insuscettibili di impugnazione con il rimedio previsto dall’art. 111, settimo comma, Costituzione.
Secondo la lettura ermeneutica di quest’ultima disposizione offerta in maniera assolutamente monolitica dal giudice della nomofilachia (con principio di diritto enunciato per la prima volta da Cass., Sez. U, 30/07/1953, n. 2593, in seguito mai posto in discussione), il testuale richiamo alle «sentenze» va riferito ad ogni tipo di provvedimento che, a prescindere dalla forma rivestita, si pronunci su diritti o su questioni e per il quale non sia previsto uno specifico mezzo d’impugnazione.
Il perimetro di operatività dell’impugnazione ex art. 111, settimo comma, Cost. è dunque così tracciato: il ricorso straordinario per cassazione è ammesso contro tutti i provvedimenti, comprese le ordinanze ed i decreti, connotati dal duplice requisito della decisorietà (nel senso che incidano su diritti soggettivi) e della definitività (cioè a dire non altrimenti impugnabili).
Alla stregua del descritto criterio di delimitazione, questa Corte ha ripetutamente escluso la praticabilità di tale strumento impugnatorio avverso ordinanze di assegnazione di crediti pronunciate dal giudice dell’esecuzione (cfr. Cass. 19/01/2016, n. 773; Cass. 13/05/2015, n. 9830; Cass. 17/01/2012, n. 615; Cass. 23/02/2010, n. 4337; Cass. 22/06/2007, n. 14574; Cass. 16/10/2001, n. 12596).
Del pari, va negata l’esperibilità del ricorso diretto per cassazione avverso l’ordinanza conclusiva del subprocedimento di accertamento dell’obbligo del terzo, attesa l’impugnabilità di detto provvedimento, per chiaro ed univoco dettato positivo (art. 549 cod. proc. civ.), con l’opposizione agli atti esecutivi.
4. Le spese del grado seguono la soccombenza.
5. Attesa l’inammissibilità del ricorso, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass., Sez. U, 20/02/2020, n. 4315) per il versamento da parte del ricorrente - ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 - di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 1.400 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori, fiscali e previdenziali, di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.