Va esclusa l'ipotesi di giustificato motivo oggettivo quando il datore, seppur in presenza di crisi aziendale o di trasformazione organizzativa della società, ha fatto ricorso a strumenti conservativi dei rapporti di lavoro.
Svolgimento del processo
1. CC adiva il Tribunale di Firenze deducendo: di essere giornalista professionista e di aver lavorato per il quotidiano X (editore P s.p.a.), a seguito di contratto di collaborazione autonoma del X /2011, dal dicembre 2011 al X/2016, oltre che in alcuni limitati periodi con distinti contratti di lavoro subordinato a termine; di avere rivendicato in via stragiudiziale, con lettera raccomandata del X/2016 ricevuta il X/2016, la natura effettivamente subordinata del rapporto per tutta la sua durata e il proprio diritto all'inquadramento come redattore; di avere ricevuto il X/2016 da P s.p.a. comunicazione di recesso dal contratto di collaborazione, senza alcuna motivazione. Impugnava, quindi, il recesso, qualificato come licenziamento, chiedendo che, previo accertamento in via incidentale della natura subordinata del rapporto e del suo diritto all'inquadramento come redattore, fosse dichiarata la natura ritorsiva del provvedimento espulsivo, con le conseguenze di legge.
2. Il Tribunale ha riconosciuto la natura subordinata del rapporto, ritenendo il licenziamento illegittimo formalmente per difetto di motivazione ma determinato, nella sostanza, da giustificato motivo oggettivo, rappresentato da crisi aziendale, oltre che insussistenti le condizioni per il repechage. Ha condannato, di conseguenza, l'editore a corrispondere al giornalista il risarcimento dei danni ai sensi dell'art. 18 sesto comma I. 300/1970 nella misura di 12 mensilità, riconoscendogli anche l'indennità sostitutiva del preavviso nella misura di otto mensilità.
3. La Corte d'appello di Firenze, con la sentenza impugnata, muovendo dall'affermata natura subordinata del rapporto, ha qualificato il recesso intimato dalla società come ritorsivo, oltre che illegittimo per mancanza delle dovute formalità, perché causalmente riferibile a un motivo illecito determinante, costituito dalla reazione della società all'affermazione da parte del giornalista del proprio diritto alla regolarizzazione del rapporto di lavoro, nel contempo negando la sussistenza del giustificato motivo oggettivo fatto valere dalla società. Ha condannato la società a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro e a risarcirlo del danno derivante dal recesso nella misura di tante mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto dovuta al lavoratore quante ne decorreranno tra la data del recesso e l'effettiva reintegrazione, detratto dall'aliunde perceptum come documentato, quantificando la retribuzione nella misura di € 2.057,38, considerata la maggiorazione per tredicesima e le altre maggiorazioni previste e tenuto conto della media di trenta articoli al mese redatti, secondo il minimo tabellare previsto dal CCNL, cui doveva farsi riferimento al fine di ritenere la retribuzione conforme all'art. 36 Cost.
4. cc ha proposto ricorso per cassazione, da qualificarsi come principale, sulla base di due motivi. Ha proposto ricorso per cassazione anche la società, da qualificarsi come incidentale, sulla base di tre motivi.
Motivi della decisione
1.Vengono in considerazione, in primo luogo, per ragioni di pregiudizialità delle questioni, i motivi del ricorso proposto dalla società. Con il primo motivo è dedotta violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all'art. 2 del Contratto Collettivo di lavoro Giornalistico, in merito al riconoscimento della qualifica di collaboratore fisso. Osserva la ricorrente che la Corte d'appello, pur avendo il C rivendicato il riconoscimento della qualifica di redattore, ha finito per attribuirgli la qualifica di collaboratore fisso in presenza di elementi, circostanze e presupposti che non sono propri di tale qualifica, giacché il collaboratore fisso svolge una prestazione non quotidiana, deve risultare titolare di uno specifico settore di informazione e redigere con carattere di continuità articoli su specifici .argomenti o compilare rubriche, mentre lo stesso C aveva dichiarato di avere svolto una prestazione quotidiana articolata su cinque giorni alla settimana, di essersi occupato per tutto il periodo di collaborazione di cronaca bianca (detta cronaca, nel contesto giornalistico, si identifica con qualsiasi notizia, con esclusione della Cronaca nera, così da comprendere ogni settore di informazione), della quale aveva trattato indistintamente tutti gli argomenti, sicché non era ravvisabile la necessaria specificità di settore che connota il collaboratore fisso.
2.II motivo è infondato. I giudici di merito, infatti, nel procedere all'inquadramento del lavoratore secondo le disposizioni della contrattazione collettiva, hanno dapprima esaminato la disposizione contrattuale (art. 2 CCNL), individuando i caratteri del collaboratore fisso nella continuità della prestazione, non occasionale se pur non necessariamente quotidiana (ancorché non possa essere esclusa la quotidianità della prestazione, come si pretenderebbe), nel vincolo di dipendenza, consistente nell'impegno di porre a disposizione la propria opera senza che venga meno tra una prestazione e l'altra, nella responsabilità di un servizio con riferimento all'impegno di redigere articoli su specifici argomenti. Ha proceduto, quindi, all'accertamento delle attività in concreto svolte dal giornalista, ravvisandovi i caratteri prima evidenziati e, in particolare, quello della richiesta specificità di settore, individuato nella cura della cronaca bianca, con la precisazione che, concernendo tale cronaca un ambito solo locale, ciò connotava il compito assegnato di adeguata specificità. Il ragionamento è conforme ai criteri che la giurisprudenza di legittimità pone a fondamento del c.d. procedimento trifasico che deve accompagnare il giudizio relativo all'inquadramento del lavoratore (ex multis Cass. 27 settembre 2016 n. 18943); esso, inoltre, è coerente e logico nel suo insieme, né l'argomentazione fondante relativa alla specificità del settore della cronaca bianca, nei termini in cui in concreto detta specificità è stata individuata, risulta essere stato efficacemente censurato dalla ricorrente.
3. Con il secondo motivo la ricorrente deduce erronea e/o falsa applicazione degli artt. 1 e 3 I. n. 604/1966 e degli artt. 116 e 409 c.p.c., 1345, 1362, 227, e 2729 cod. civ. per avere la Corte attribuito natura ritorsiva alla risoluzione di un rapporto di collaborazione, rispetto al quale non può configurarsi un licenziamento, stante l'inesistenza di una prestazione di lavoro subordinato al momento della risoluzione. Evidenzia in proposito che l'atto risolutivo del rapporto di lavoro (reso nelle forme della coll21borazione) non è stato diretto a porre fine ad una prestazione di lavoro dipendente e non ha ingenerato l'esistenza della fattispecie del licenziamento ai sensi della I. 604/1966. La natura ritorsiva del licenziamento, infatti, può essere invocata solo nell'ambito di un rapporto di lavoro la cui natura subordinata risultava in essere al momento della sua irrogazione.
4. Anche questo motivo è infondato. La ricorrente non ha impugnato il capo di sentenza che ha accertato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, ancorché non formalizzato, sicché, in coerenza con tale intervenuto accertamento, il recesso deve ritenersi aver determinato un licenziamento.
5. Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 18 primo comma I. 300/1970 degli artt. 1345 e 2729 c.c. dell'art. 16 c.p.c. e 3 I. n. 604/1966, per avere la Corte ritenuto chi in base al solo elemento della sequenza temporale tra rivendicazione della prestazione di lavoro dipendente e la risoluzione del rapporto di collaborazione potesse ritenersi sussistente l'unico e illecito motivo del negozio (ritorsione) e per non avere la sentenza ritenuto il licenziamento fondato su giustificato motivo oggettivo, a fronte delle condizioni funzionali e organizzative in essere presso l'azienda, dimostrate dalla pluralità di accordi sindacali diretti alla gestione di personale allegati, e delle ragioni tecniche organizzative e produttive addotte a sostegno del licenziamento.
6. La censura è infondata. Quanto al profilo attinente al ragionamento presuntivo, questa Corte (ex multis Cass. n. 22366 del 05/08/2021) ha affermato che, con riferimento agli artt. 2727 e 2729 c.c., spetta al giudice di merito valutare l'opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità. Nel caso in disamina il ragionamento presuntivo che sorregge il ritenuto motivo ritorsivo del recesso si fonda sul rilievo che la reazione della societ;3 è intervenuta a distanza di soli sei giorni dalla ricezione della lettera con cui il lavoratore aveva rivendicato la natura subordinata del rapporto, e ciò è sufficiente, unitamente alla mancanza di una qualsiasi ragione lecita del licenziamento, a sorreggere le conclusioni. Va rilevato, inoltre, poiché la censura in disamina sottende, al di là della formulazione della rubrica, anche un vizio motivazionale, che tale tipo di censura non può limitarsi a prospettare l'ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l'assoluta illogicità e contraddittorietà ciel ragionamento decisorio, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo criterio di normalità, visto che la deduzione logica è una valutazione che, in quanto tale, deve essere probabilmente convincente, non oggettivamente inconfutabile (Cass. citata, Cass. 23 settembre 2019 n. 23583). Quanto alla invocata sussistenza del dedotto giustificato motivo oggettivo, si osserva che correttamente il collegio ha rilevato che la pur la dimostrata crisi aziendale e la trasformazione organizzativa della società, peraltro risalente ad epoca di anni anteriore al recesso (tanto che nell'accordo del dicembre 2016, a meno di tre mesi dal recesso, le parti collettive definirono congiunturali le eccedenze di personale, affrontate perciò coerentemente con lo strumento conservativo dei rapporti di lavoro del contratto di solidarietà), non consentono di ritenere provata la necessaria relazione causale tra la situazione organizzativa adottata in ragione della crisi e il recesso dal rapporto (soppressione del posto), risultando, al contrario, che la società avesse fronteggiato la crisi con il ricorso a strumenti conservativi dei rapporti di lavoro, sicché non è dimostrato che le ragioni addotte dal datore di lavoro a sostegno della modifica organizzativa da lui attuata abbiano inciso, in termini di causa efficiente, sulla posizione lavorativa ricoperta dal lavoratore licenziato (si vedano Cass. n. 15400 del 20/07/2020 Cass. n. 29101 del 11/11/2019, Cass. n. 24882 del 20/10/2017).
7. In ordine al ricorso proposto da C , il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione artt. 112 c.p.c., omessa pronuncia. Rileva il ricorrente che, nel formulare le conclusioni, aveva indicato la retribuzione spettantegli sia in funzione reintegratoria che risarcitoria, mentre la Corte d'appello aveva solo parzialmente pronunciato su detta domanda, in quanto nel disporre la reintegrazione nel posto di lavoro aveva omesso di indica1 e la retribuzione dovuta al ricorrente ai fini reintegratori, limitandosi a quantificare l'importo solo con riferimento alla condanna risarcitoria, senza nulla disporre sulla retribuzione dovuta alla ripresa del rapporto. A fronte dell'indeterminatezza della previsione contrattuale relativa alla retribuzione del collaboratore fisso era fondamentale che l'ordine di reintegrazione fosse accompagnato dalla precisa quantificazione della retribuzione mensile.
8 Con il secondo motivo il ricorrente deduce che l'omissione di cui sopra determina anche violazione dell'art. 18 I. 300/1970, poiché l'ordine di reintegrazione pronunciato non può essere puntualmente applicato in difetto dell'indicazione della retribuzione dovuta.
9. I motivi, da trattare congiuntamente in ragione dell'intima connessione, sono infondati. Non è ravvisabile, infatti, omessa pronuncia in relazione alla presunta mancata determinazione delle retribuzioni spettanti al lavoratore dopo l'avvenuta reintegrazione, essendo il contenuto del provvedimento giudiziale emesso ai sensi dell'art. 18 Statuto limitato all'ordine di reintegrazione, alla determinazione del risarcimento dei danni, alla condanna al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, restando esclusa ogni statuizione circa il rapporto instaurando a seguito della reintegrazione medesima.
10. In base alle svolte argomentazioni entrambi i ricorsi devono essere rigettati.
11. La parziale soccombenza giustifica la compensazione delle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta entrambi i ricorsi e dichiara compensate tra le parti le spese di giudizio.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte di entrambi i ricorrenti dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.